N. 326 SENTENZA 18 maggio - 6 giugno 1989

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e regione.
 Concessioni amministrative - Regione Valle d'Aosta - Sorgenti di
 acque minerali e termali - Canoni relativi - Inscindibile connessione
 con il diritto dominicale sulle acque - Inconferente richiamo alla
 sentenza n. 1029/1988 - Spettanza allo Stato
(GU n.24 del 14-6-1989 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  promosso  con  ricorso  della  Regione  Valle  d'Aosta
 notificato il 3 marzo 1989, depositato in  Cancelleria  il  15  marzo
 1989  ed iscritto al n. 5 del registro ricorsi 1989, per conflitto di
 attribuzione sorto a seguito delle note dell'Intendenza di Finanza di
 Aosta,  protocollo  n.  23659  in data 5 gennaio 1989 (Sorgente acque
 minerali "La Saxe" in Comune di Courmayeur), protocollo n.  14711  in
 data  30  gennaio 1989 (Demanio - Sorgente acque minerali "La Regina"
 in Comune di Courmayeur), protocollo n. 14712 in data 30 gennaio 1989
 (Demanio  -  Sorgente  acque  minerali  "La  Vittoria"  in  Comune di
 Courmayeur).
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 16 maggio 1989 il Giudice relatore
 Francesco Paolo Casavola;
    Uditi  l'avvocato Gustavo Romanelli per la Regione Valle d'Aosta e
 l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio
 dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la Regione
 autonoma Valle d'Aosta ha sollevato  conflitto  di  attribuzione  nei
 confronti  dello  Stato,  in  riferimento  alle  note  n. 23659 del 5
 gennaio 1989, n. 14711 e n.  14712  del  30  gennaio  1989,  con  cui
 l'Intendenza  di  Finanza  di  Aosta  l'aveva  invitata  a versare al
 competente Ufficio del Registro i canoni attinenti  alle  concessioni
 per  lo  sfruttamento delle sorgenti di acqua minerale "La Saxe", "La
 Vittoria" e "La  Regina",  tutte  oggetto,  secondo  l'Intendenza  di
 Finanza,  di provvedimenti concessori risalenti a data anteriore al 7
 settembre 1945, ai sensi dell'art. 7, secondo comma, e dell'art.  11,
 terzo comma, dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta.
    Nel  lamentare  l'illegittimita'  degli  atti  della Intendenza di
 Finanza di Aosta e nel denunciare violazione degli artt. 2, 3, 4,  5,
 6,  7 e 11 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, recante
 lo Statuto speciale per la Valle d'Aosta (in relazione anche all'art.
 11  della legge 16 maggio 1970, n. 281, alla legge 16 maggio 1978, n.
 196, al d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182, nonche' al regio decreto  29
 luglio  1927,  n.  1443),  la  ricorrente contesta sotto vari profili
 l'assunto dell'Intendenza di Finanza, secondo cui  la  Regione  Valle
 d'Aosta  non  avrebbe  la  competenza  e  il diritto di riscuotere ed
 acquisire  i  canoni  della  concessione  delle  sorgenti  di   acque
 minerali.
    Anzitutto  l'art.  34  del  d.P.R.  22  febbraio  1982, n. 182, ha
 trasferito - ricorda la ricorrente - le funzioni amministrative dallo
 Stato   alla   Regione   Valle  d'Aosta  e,  in  particolare,  quelle
 concernenti "la ricerca e la utilizzazione  delle  acque  minerali  e
 termali  e  la  vigilanza  sulle  attivita' relative, ivi compresa la
 pronuncia di decadenza del concessionario".
    Inoltre,  ad avviso della ricorrente, il suo potere di acquisire i
 canoni delle concessioni in questione si basa sull'appartenenza delle
 sorgenti  di  acque  minerali  al  patrimonio  regionale che, pur non
 essendo prevista nella elencazione dell'art. 6, secondo comma,  dello
 Statuto, sarebbe da desumersi dall'art. 11, quinto comma, della legge
 n. 281 del 1970, che  annovera  nel  patrimonio  indisponibile  delle
 regioni a statuto ordinario anche le acque minerali. La disposizione,
 ad avviso della ricorrente, deve trovare applicazione anche nei  suoi
 confronti  perche',  come  affermato  dalla Corte costituzionale, una
 norma dettata per le regioni a statuto ordinario "trova  applicazione
 anche   per   le   regioni   ad   autonomia   differenziata,  essendo
 inaccettabile che tali regioni, allorche' manchino apposite norme  di
 attuazione  (...)  e nel medesimo tempo non vi ostino precise norme o
 ragioni in  senso  contrario  (...)  restino  prive  di  attribuzioni
 riconosciute alle regioni a statuto ordinario" (Corte costituzionale,
 sentenza n. 1029 del 1988, n. 3. 4).
    Ne'  si  giustifica la tesi dell'Intendenza di Finanza, per cui le
 sorgenti di acque minerali debbano  seguire  la  disciplina  prevista
 dall'art.  11  dello  Statuto per le miniere: queste ultime, anche se
 hanno un regime giuridico per certi versi analogo alle  prime,  vanno
 da   queste   differenziate  proprio  per  quanto  riguarda  la  loro
 attribuzione al demanio statale. Oltre tutto, e' proprio  lo  Statuto
 regionale  della  Valle  d'Aosta  che  detta,  agli  artt. 2 e 3, una
 disciplina nettamente diversa per le due categorie di beni.
    Altra conferma della tesi della ricorrente si troverebbe nell'art.
 5 dello Statuto, secondo il quale sono "trasferite al  demanio  della
 Regione le acque pubbliche in uso di irrigazione e potabile". Ora non
 v'e' dubbio - sostiene la ricorrente - che le acque minerali siano da
 considerare  pubbliche  e  "ad  uso  potabile".  Del resto, lo stesso
 assunto  dell'Intendenza  di  Finanza  e'   fondato   sul   carattere
 "pubblico" delle acque in questione e sulla loro appartenenza ai beni
 demaniali   e   indisponibili.   Peraltro   la   stessa   Intendenza,
 richiamandosi espressamente all'art. 7, secondo comma, dello Statuto,
 ha ritenuto tali acque escluse  da  quelle  trasferite  alla  Regione
 trattandosi  di  acque  gia'  oggetto  di concessione alla data del 7
 settembre 1945.
    Senonche'  -  osserva la ricorrente - la disciplina prevista dallo
 Statuto in materia di  acque  prevede  (art.  5,  secondo  comma)  il
 trasferimento  al demanio della Regione delle "acque pubbliche in uso
 di irrigazione e potabile"; inoltre all'art. 7 si stabilisce che  "le
 acque  pubbliche  esistenti nella Regione, eccettuate quelle indicate
 nell'art. 5, sono date  alla  Regione  in  concessione  gratuita  per
 novantanove  anni",  mentre  "sono escluse dalla concessione le acque
 che alla data del 7 settembre 1945 abbiano gia'  formato  oggetto  di
 riconoscimento  di  uso  e  di  concessione", per le quali la Regione
 subentra nella concessione alla  data  della  cessazione  dell'uso  o
 della  concessione.  "Passano alla Regione", invece, le acque che non
 siano state utilizzate  alla  data  del  7  settembre  1945  (art.  8
 Statuto).  Da  cio'  si  evince  -  secondo  la  ricorrente  - che la
 disciplina prevista dall'art. 7 ha come presupposto che si tratti  di
 acque  diverse  da  quelle  indicate  dall'art. 5, secondo comma: tra
 queste ultime sono dunque da annoverare le  acque  minerali  che,  in
 quanto  acque ad uso potabile, sono state trasferite al demanio della
 Regione: il che confermerebbe la soluzione gia' prospettata  in  base
 all'applicazione  alla  ricorrente  dell'art. 11, quinto comma, della
 legge n. 281 del 1970.
    2.  -  Costituitasi  in rappresentanza e difesa del Presidente del
 Consiglio  dei  ministri,  l'Avvocatura  dello  Stato   insiste   per
 l'infondatezza  del  ricorso,  rilevando anzitutto, con richiamo alla
 sentenza di questa Corte n. 8 del 1958, che la  potesta'  legislativa
 accordata  alla  Regione Valle d'Aosta in materia di acque minerali e
 termali  e'   indipendente   da   ogni   presupposto   di   carattere
 patrimoniale. Ne', ad avviso dell'Avvocatura, la pretesa appartenenza
 alla Regione delle acque minerali e  termali  puo'  argomentarsi  dal
 disposto  trasferimento  delle  acque pubbliche al demanio regionale.
 Tale trasferimento sarebbe limitato (ex art. 5, ultimo  comma,  dello
 Statuto)  alle  acque  destinate ad uso di irrigazione o potabili la'
 dove  l'utilizzazione  giuridicamente  rilevante   delle   acque   in
 questione,   non  necessariamente  potabili  per  natura,  e'  quello
 terapeutico.
    Ne'  vale,  secondo  l'Avvocatura,  il  richiamo  da  parte  della
 ricorrente, dell'art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281;  infatti
 il  principio  enunciato  nella  sentenza  n.  1029  del 1988 e fatto
 proprio dalla ricorrente non e' applicabile quando vi ostino  precise
 norme  in contrasto, quali, nella specie, le disposizioni di cui agli
 artt. 5, 7 e 11 dello Statuto della Valle d'Aosta.
    3. - In una memoria presentata nell'approssimarsi dell'Udienza, la
 difesa   della   Regione   autonoma   Valle   d'Aosta   contesta   le
 argomentazioni     dell'Avvocatura:     in     particolare,     circa
 l'equiparazione, da quest'ultima operata, tra le  sorgenti  di  acque
 minerali  e le miniere, la difesa richiama il d.P.R. n. 1142 del 1985
 con cui, all'art. 9, si trasferiscono alla Regione Valle  d'Aosta  le
 funzioni  amministrative  in materia di disciplina dell'utilizzazione
 delle miniere situate nel  territorio  della  Regione  e  fin  allora
 esercitate  da  organi  dello  Stato  o da enti ed istituti pubblici.
 Pertanto anche se fosse applicabile alle  acque  minerali  il  regime
 delle  miniere  si  dovrebbe  riconoscere l'intervenuto trasferimento
 delle relative funzioni alla Regione.
    Qualora,   poi,   non   fosse  accolta  la  tesi  dell'intervenuto
 trasferimento delle acque in argomento in quanto beni  demaniali,  ma
 viceversa si ritenesse che le acque minerali sono soggette alle norme
 dello Statuto in materia di demanio idrico, bisognerebbe  considerare
 applicabile  alle acque minerali non l'art. 7 dello Statuto, relativo
 alle acque ad uso di grande derivazione, ma l'art. 5,  relativo  alle
 acque pubbliche in uso di irrigazione e potabile.
    Quanto  infine alla tesi dell'Avvocatura, secondo cui la spettanza
 ad una Regione  ad  autonomia  differenziata  di  funzioni  e  poteri
 attribuiti  alle Regioni a statuto ordinario "non riguarda il diverso
 tema della ripartizione dei beni", sarebbe errata pure  in  linea  di
 principio,  dal  momento  che la "ripartizione di beni" di proprieta'
 pubblica appare essenzialmente  come  ripartizione  di  funzione,  di
 poteri   e   di  doveri.  In  ogni  caso  -  osserva  l'Avvocatura  -
 l'attribuzione di poteri e funzioni, certamente operata dall'art.  34
 del  d.P.R.  n.  182 del 1982, coincide con il trasferimento del bene
 (sorgenti di acque minerali e  termali)  in  base  alle  norme  dello
 Statuto.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La Regione autonoma Valle d'Aosta ha sollevato conflitto di
 attribuzione in riferimento alle note dell'Intendenza di  Finanza  di
 Aosta n. 23659 del 5 gennaio 1989, n. 14711 e n. 14712 del 30 gennaio
 1989 con  cui  e'  stato  sollecitato,  in  favore  dell'Ufficio  del
 Registro  di  Aosta,  il versamento dei canoni relativi a tre diverse
 concessioni di acque minerali.
    A  parere  della  ricorrente le acque minerali e termali farebbero
 tutte  indistintamente  parte  del  patrimonio  indisponibile   della
 Regione,  sia  per  effetto  delle  disposizioni statutarie, sia alla
 stregua della  sopravvenuta  normativa  cui  si  e'  fatto  cenno  in
 narrativa.
    L'Amministrazione  finanziaria  muove dall'opposta premessa, fatta
 propria dall'Avvocatura dello Stato, dell'appartenenza a quest'ultimo
 dei  beni  in  argomento e del conseguente diritto ai canoni, sul non
 contestato presupposto che si tratti di concessioni  anteriori  al  7
 settembre  1945  e  come  tali  escluse,  per  riserva espressa dello
 Statuto, dal novero di quelle previste come gratuite in favore  della
 Regione per la durata di novantanove anni.
    2.  -  L'esame  della  normativa  statutaria, e della legislazione
 successiva porta ad escludere che le acque minerali e  termali  siano
 state trasferite alla Regione.
    L'art. 2, lettera i), sancisce la potesta' legislativa primaria in
 tema di acque minerali  e  termali,  mentre  l'art.  3,  lettera  e),
 riconosce  alla  Regione  una  potesta' integrativa per la disciplina
 della utilizzazione delle miniere. Entrambe le  norme  accordano  gli
 anzidetti  poteri "indipendentemente da ogni presupposto di carattere
 patrimoniale" come ha affermato questa Corte nella sentenza n. 8  del
 1958.
    D'altronde,  come meglio si precisera', l'attribuzione di potesta'
 differenziate non consente affatto di  scindere  ad  altri  fini  due
 elementi  tradizionalmente  soggetti ad una disciplina unitaria quali
 le miniere e le acque minerali e termali.
    Sotto  il  titolo Finanze, Demanio e Patrimonio lo Statuto dispone
 nel modo  seguente:  con  l'art.  5  vengono  trasferiti  al  demanio
 regionale  i  beni  del  demanio  dello  Stato, eccettuati quelli che
 interessano la difesa dello Stato o servizi di  carattere  nazionale,
 subito  dopo precisandosi: "Sono altresi' trasferite al demanio della
 Regione le acque pubbliche in uso  di  irrigazione  e  potabile".  Il
 successivo  art.  6  sancisce  il  trasferimento  dei  beni  immobili
 patrimoniali dello Stato al  patrimonio  della  Regione,  aggiungendo
 immediatamente che del patrimonio indisponibile di questa fanno parte
 le foreste, le cave, gli edifici destinati ad uffici e servizi.
    L'art.  7  dispone  che le acque pubbliche, ad eccezione di quelle
 indicate sub art.  5,  formano  oggetto  di  concessione  gratuita  e
 rinnovabile  per  novantanove  anni  alla  Regione,  salvo quelle che
 avessero  gia'  formato  oggetto  di  concessione  alla  data  del  7
 settembre  1945.  Una  previsione del tutto analoga e' contenuta, per
 quanto riguarda le miniere, nell'art.  11.  In  entrambi  i  casi  si
 prevede  la  possibilita'  per  la  Regione  di  promuovere a proprio
 beneficio la decadenza  dalla  concessione  nell'ipotesi  di  mancata
 utilizzazione o sfruttamento.
    Cio'  posto, e' opportuno ricordare come nel nostro ordinamento le
 acque pubbliche da una parte e quelle minerali e  termali  dall'altra
 siano  oggetto  di ben distinte discipline, risultando individuate le
 une in ragione dell'attitudine ad usi  di  pubblico  interesse  e  le
 altre  sulla  base  delle  loro  intrinseche  qualita' che le rendano
 adatte all'utilizzazione terapeutica. Infatti  l'art.  92  del  regio
 decreto  11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di
 legge sulle acque e impianti  elettrici)  esclude  dal  regime  delle
 acque  pubbliche  le  acque termo-minerali e radioattive, che debbono
 viceversa ritenersi assoggettate al regime delle miniere  (della  cui
 nozione  giuridica  rappresentano una sottospecie) ai sensi del regio
 decreto 29 luglio 1927, n. 1443.
    Poiche'   nello   Statuto  regionale  non  vi  e'  una  norma  che
 espressamente   trasferisca   alla   Regione   autonoma   tali   beni
 patrimoniali   indisponibili,   ed  escluso  che  possa  farsi  utile
 riferimento al regime delle acque pubbliche, deve  ritenersi  che  il
 diritto  di proprieta' sulle acque in argomento permanga in capo allo
 Stato, risultando applicabile la disciplina dettata per le miniere.
    3.  - Del resto e' la stessa legge regionale 8 febbraio 1958, n. 1
 - come anche  esplicitamente  riconosce  la  ricorrente  -  che,  nel
 regolare  la ricerca, coltivazione ed utilizzazione delle miniere, vi
 ricomprende le acque minerali e termali con il richiamo  all'art.  2,
 lettera i), dello Statuto.
    Le  norme  di attuazione di quest'ultimo, poi, dettate in subiecta
 materia dall'art. 34 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182, si limitano
 ad attribuire le funzioni amministrative e di vigilanza alle quali si
 collega logicamente la  facolta'  di  pronunciare  la  decadenza  del
 concessionario. Analoghe attivita' di gestione vengono trasferite per
 quanto riguarda le miniere dagli artt. 9 e 10 del d.P.R. 27  dicembre
 1985, n. 1142.
    Il  dato  storico  rappresentato  dal  decreto  luogotenenziale  7
 settembre 1945, n. 546, che per primo attribui' alla Valle d'Aosta la
 concessione  di  acque  pubbliche  e  miniere resta nella sua essenza
 immutato se si analizza la legislazione successiva: la Regione  gode,
 piu'  che  di  una  concessione, di un complesso di poteri perche' li
 eserciti in luogo dello Stato (come sostanzialmente  riconosciuto  da
 questa Corte con la citata sentenza n. 8 del 1958), ma la gamma delle
 facolta' di utilizzazione, per quanto ampia e via via dilatatasi, non
 e'  comprensiva  del diritto di percepire il canone, inscindibilmente
 connesso con il diritto dominicale sulle acque.
    La  necessita'  che  il  trasferimento  di  diritti demaniali alla
 Regione a statuto speciale risulti espressamente da una disposizione,
 nonche'  l'anzidetto,  necessario  collegamento tra tale diritto e la
 devoluzione del canone rappresentano due princip/' gia' affermati  da
 questa  Corte  nelle  sentenze  n.  133 del 1986 e n. 152 del 1971, e
 sulla base di essi va parimenti respinta la tesi della ricorrente nel
 caso in esame.
    4. - Per completezza devesi ancora escludere che l'art. 11, quinto
 comma, della legge 16 maggio 1970, n. 281, il quale trasferisce  alle
 Regioni  a  statuto  ordinario  le  acque  minerali  e termali, possa
 trovare applicazione nei confronti della Valle d'Aosta.
    Anche  a prescindere dalla inidoneita' della fonte ad integrare lo
 Statuto, tale norma e' volta a costituire, secondo  l'indicazione  di
 cui  all'art.  119, ultimo comma, della Costituzione, quel patrimonio
 indisponibile in ordine al quale i singoli  statuti  hanno  viceversa
 disposto per le Regioni autonome, peraltro con differenze sensibili e
 specificita' diverse; pertanto e' pure accaduto che  alcune  Regioni,
 come  il  Friuli-Venezia  Giulia  ed il Trentino-Alto Adige non siano
 state dotate di demanio  idrico,  mentre  l'esclusione  di  cui  alla
 presente  controversia  puo'  ragionevolmente  ricondursi  da un lato
 all'interesse industriale sotteso allo  sfruttamento  delle  acque  e
 dall'altro  al  permanere di una esclusiva titolarita' dello Stato in
 ordine  alla   competenza   del   riconoscimento   delle   proprieta'
 terapeutiche.
    Ne'  in  materia di trasferimento di beni puo' invocarsi utilmente
 la sentenza n. 1029 del 1988, con la quale questa Corte  ha  rilevato
 come  sia  inaccettabile  che  le  Regioni a statuto speciale restino
 private di attribuzioni riconosciute a quelle  a  statuto  ordinario,
 riferendosi   l'affermazione   alle   "attribuzioni"   e   non   alla
 appartenenza dei beni.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   dichiara   che   spettano   allo  Stato  i  canoni  attinenti  alle
 concessioni delle sorgenti di acque minerali e termali denominate "La
 Saxe", "La Vittoria" e "La Regina" site nel Comune di Courmayeur.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 18 maggio 1989.
                          Il Presidente: SAJA
                         Il redattore: CASAVOLA
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 6 giugno 1989.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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