N. 293 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 marzo 1989
N. 293 Ordinanza emessa il 2 marzo 1989 dal tribunale di sorveglianza di Brescia nel procedimento di sorveglianza relativo a Esposito Francesco Ordinamento penitenziario - Affidamento in prova al servizio sociale dei condannati a pena detentiva non superiore a tre anni Condizione - Stato di custodia cautelare del condannato - Rilievi - Irrazionalita' della subordinazione del beneficio allo stato di custodia cautelare, con conseguente ingiustificata disparita' di trattamento di situazioni identiche e piu' favorevole trattamento di condannati per reati piu' gravi in caso di difetto di stato di detenzione cautelare - Incidenza sul principio della inviolabilita' della liberta' personale e su quello dello scopo rieducativo della pena. (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47, terzo comma, modificato dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, art. 11). (Cost. artt. 3, 13 e 27).(GU n.25 del 21-6-1989 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento relativo ad Esposito Francesco nato a Napoli il 21 febbraio 1946 residente a Verona, piazzale Olimpia, 20, attualmente libero difeso dall'avv. Guariente Guarienti di Verona, avente per oggetto: 1) affidamento in prova al servizio sociale; 2) in subordine semiliberta', in relazione alla sentenza di condanna a sei mesi di arresto emessa il 27 aprile 1988 dal pretore di Lonato. Esposito Francesco e' stato condannato con sentenza del pretore di Lonato in data 27 aprile 1988 alla pena di mesi sei di arresto per il reato di guida senza patente ed ha ottenuto dal pretore suddetto il 3 novembre 1988 un decreto con cui veniva sospesa l'esecuzione dell'ordine di carcerazione ai sensi dell'art. 47, quarto comma, fino alla decisione di questo tribunale che, fissata l'udienza, ha sentito il 10 gennaio 1989 il condannato che ha presentato anche istanza di affidamento (oltre a ribadire quella di semiliberta'), in via pregiudiziale sollevando anche questioni di incostituzionalita'. Innanzitutto questo tribunale osserva che deve essere presa in esame per prima l'istanza di affidamento, della misura alternativa che ha un contenuto ben piu' ampio della semiliberta' e consente al condannato di conservare per intero il proprio status libertatis. Cio' risponde ad imprescindibili esigenze logico sistematiche, costituzionali e di giustizia sostanziale sulle quali non sembra il caso di insistere. Alla luce della norma attuale, cosi' come letta, interpretata ed applicata dalla giurisprudenza di tutti i tribunali di sorveglianza, non v'e' dubbio che l'istanza di affidamento dovrebbe essere dichiarata inammissibile perche' il condannato in quanto tuttora libero, non ha espiato neppure un giorno in custodia cautelare e - di conseguenza - non e' realizzato il presupposto formalmente richiesto dall'art. 47, terzo comma, (cosi' come sostituito dall'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n. 663) che esige un precedente "periodo di custodia cautelare", cui sia succeduto un "periodo di liberta'" serbando "comportamento tale da consentire il giudizio di cui al precedente comma secondo". Il tribunale ritiene che la sollevata eccezione di costituzionalita' della norma suddetta sia pregiudiziale non manifestamente infondata, e tale da giustificare la rimessione del fascicolo alla Corte costituzionale. La Corte con le sentenze n. 185 in data 13 giugno 1985, n. 321 in data 6 dicembre 1985; e n. 343 in data 29 ottobre 1947 ha gia' delineato natura e finalita' della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale. La Corte ha dichiarato che l'affidamento costituisce non una misura alternativa alla pena, ma una pena essa stessa, alternativa alla detenzione o, se si vuole, una modalita' di esecuzione della pena nel senso che al trattamento inframurale viene sostituito quello extramurale, piu' idoneo al raggiungimento delle finalita' rieducative della pena. La condotta del soggetto e' costantemente controllata dal servizio sociale e dal magistrato ed il periodo relativo e' vissuto come impegno di emenda, caratterizzato da un evidente stato di soggezione ai controlli, sia pure in un quadro di assistenza. Ne consegue, pertanto, che in caso di cessazione della prova per cause indipendenti - dalla volonta' - del soggetto (annullamento o cessazione del provvedimento; revoca dello stesso senza esito negativo della prova) o anche in caso di revoca per fatti e colpe del soggetto, il tribunale di sorveglianza deve riconoscere valido ai fini della espiazione il periodo trascorso positivamente in affidamento. Non risulta pero' che la Corte stessa (salvo che con l'ordinanza n. 944 del 28 luglio 1988 che non e' entrata nel merito) si e' mai pronunciata sulla costituzionalita' dell'art. 47, terzo comma, della cui opportunita' nessuno dubita e che e' stato introdotto nel sistema della legge n. 663/1986, con il dichiarato intento di non danneggiare un processo di risocializzazione gia' in atto, seguito ad una vicenda giudiziaria risalente a tempi anteriori, il che frequentemente accade a causa della persistente, ingravescente crisi della giustizia penale; della lentezza esasperante delle procedure che richiedono di norma l'espletamento di tre gradi di giurisdizione; della giusta riduzione dei termini massimi della custodia cautelare, entro i quali raramente e' possibile pervenire alla sentenza irrevocabile. Con la conferma dell'art. 47- bis, ad opera della legge n. 663/1986, il legislatore - inoltre - ha chiaramente inciso in modo pesante sul sistema accolto dalla riforma penitenziaria del 1975 che aveva optato (sia pure fra molti contrasti e perplessita'), per un affidamento al servizio sociale inteso esclusivamente quale probation strettamente penitenziaria, possibile soltanto dopo un assaggio di pena (allora di tre mesi, oggi di un mese), durante il quale era necessario effettuare una osservazione scientifica della personalita' del condannato ed emettere un giudizio sulla sua recuperabilita' sociale mediante un anticipato ritorno all'ambiente libero, sia pure in modo controllato ed assistito. Con l'affidamento "particolare", invece, (oltre che con l'affidamento di cui all'art. 47, terzo comma), il legislatore ha radicalmente mutato la propria politica nel settore, consentendo anche una probation che, sia pure affidata ancora alla magistratura di sorveglianza, nulla ha piu' di penitenziario perche' gli elementi di giudizio e prognostici vengono tratti: 1) dall'esame del soggetto nell'ambiente libero, a mezzo dell'inchiesta socio-familiare (attuata dai centri di servizio sociale); 2) dalle informazioni che la magistratura di sorveglianza richiede ed ottiene dai servizi socio-psico-sanitari delle u.s.s.l. (cui e' demandata l'opera di prevenzione, terapia e recupero dei tossico e degli alcool dipendenti; 3) dalle informazioni delle forze dell'ordine; 4) dai precedenti e dalle pendenze penali; 5) dalle notizie provenienti dai sindaci; 6) dalle eventuali perizie disposte ed effettuate sempre in ambiente libero. Siamo, pertanto, di fronte ad una nuova probation che si affianca a quella originaria e che, se non e' ancora "giudiziaria" nel senso anglosassone, non e' pero' piu' "penitenziaria". A questo punto occorre anche precisare che in particolare, quanto all'art. 47, terzo comma: a) la norma richiede un periodo minimo di custodia cautelare, neppure rapportato alla gravita' del reato commesso e per il quale vi e' stata condanna; onde basta anche un solo giorno di custodia cautelare; b) la norma stessa inoltre non fissa alcun periodo minimo di tempo tra il tempo della custodia e quello dell'affidamento, (onde un condannato a tre anni di reclusione che abbia espiato soltanto un giorno di custodia cautelare, puo' avere interesse a far passare in giudicato la condanna al piu' presto, avendo serbato sia pure per breve periodo un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al secondo comma dell'art. 47); c) non e' assolutamente richiesto, un giudizio positivo sulla qualita' della condotta durante la custodia. Il giudizio per l'affidamento a ben riflettere, e' del tutto sganciato sia dalla durata della custodia cautelare sia dalla durata del periodo di liberta'. Infatti deve essere volto esclusivamente, come risulta dal primo comma ad accertare: 1) che attraverso le prescrizioni si possa contribuire a che il condannato venga rieducato; 2) che venga assicurata la prevenzione del pericolo che il soggetto commetta altri reati. Ma, allora, se cosi' stanno le cose, il legislatore ha creato una grave ed evidente disparita' di trattamento a danno di molti condannati che, pur avendo commesso reati meno gravi, pur essendo gia' reinseriti socialmente, pur essendo certo che non commetteranno piu' reati, tassativamente non possono aspirare all'affidamento, per la sola ragione che non hanno subito almeno un giorno di custodia cautelare (che oggi puo' anche essere attuata a domicilio). E cosi', per esempio, il condannato a tre anni di reclusione che ha subito un giorno di custodia cautelare, puo' aspirare all'affidamento; il condannato a due mesi di arresto per guida senza patente, deve subire l'onta del carcere, almeno per un mese, il tempo minimo teoricamente necessario per subire l'osservazione inframurale. Ne si dica che l'art. 50, sesto comma, dell'ordinanza penitenziaria ovvia alla suddetta iniquita', perche' consente al condannato soltanto di chiedere preventivamente la semiliberta', istituto del tutto diverso da quello dell'affidamento. La semiliberta' che non e' una misura alternativa, ma soltanto una modalita' di espiazione della pena detentiva a tempo parziale mediante trattamento intra murale intervallato da momenti di liberta', strettamente pilotata e controllata, come documenta il piano di trattamento che tutti i semiliberi devono rispettare. E' vero che le due situazioni sopra esaminate e poste a confronto non sono identiche: infatti nel primo caso vi e' stata una custodia cautelare sia pure menima, nel secondo no. Ma e' fermo convincimento di questo collegio che l'art. 3 della Costituzione non si limita ad assicurare la parita' di trattamento tra situazioni identiche; esige anche che in situazioni pur non identiche vengano favorite situazioni piu' gravi, rispetto ad altre meno gravi invece penalizzate. In altri termini, la previsione normativa deve consentire la differenziazione di condotte diverse e la parita' di trattamento di condotte analoghe sotto il profilo sopra indicato (quello della condotta post delictum). La diversita' e' legata esclusivamente alla sussistenza o meno di una custodia cautelare, che non gioca, si noti, alcun rilievo ai fini che qui interessano. Risulta anche, con questo sistema, violato il principio di cui all'art. 27 della Costituzione perche' elude in pratica la finalita' rieducativa delle pene detentive, specialmente di quelle meno gravi, sanzionate pesantemente con il carcere, che - invece - puo' essere abbuonato ad altri soggetti che il carcere hanno conosciuto ma soltanto per breve tempo e come imputati, come tali non obbligatoriamente assoggettati al trattamento rieducativo, come risulta dal confronto tra gli articoli 1, ultimo comma, 13, ultimo comma, e 15, ultimo comma, dell'ordinamento penitenziario. La sanzione penale deve tendere ad esplicare il massimo potenziale rieducativo possibile, salvo che il soggetto si opponga o non lo meriti. D'altra parte, nessuna finalita' rieducativa puo' essere riconosciuta alla custodia cautelare, come risulta in modo inoppugnabile dal testo attuale dell'art. 253, ultimo comma, dell'art. 246, terzo comma, dell'art. 254- bis e dell'art. 277 del codice di procedura penale. L'aver invece caricato di significati e funzioni improprie la custodia cautelare, portandola nello stesso piano di quella espiativa, costituisce certo una operazione giusta e possibile per il legislatore, ma cio' deve essere attuato tenendo conto di tutto il contesto in cui e' racchiusa. Risulta anche qui eluso l'art. 13 della Costituzione, perche' la liberta' personale e' inviolabile e puo' offrire (come ha gia' osservato la Corte nella sentenza n. 343/1987) che nella specie non ricorrono se e' vero, come e' vero, che la liberta' personale del condannato dipende innanzitutto dall'aver o non aver subito almeno un giorno di custodia cautelare, non risultando piu' influente il positivo comportamento tenuto dopo la commissione del reato e dopo la condanna. Infine, nel trattamento sanzionatorio, anche in fase di esecuzione, devono valere i principi di proporzionalita' e di individualizzazione della pena, applicati secondo criteri non formali ma sostanziali. Occorre, cioe', che il giudice possa tenere conto dei comportamenti registrati successivamente alla fase di cognizione, successivamente cioe' alla (eventuale) custodia cautelare. Nel caso che qui interessa, invece, al tribunale di sorveglianza e' espressamente vietato valutare il comportamento positivo, successivo alla condanna, qualora manchi il presupposto, del tutto eventuale, estraneo ed indipendente della volonta' del soggetto, della custodia cautelare. La conseguenza e' che, pur in presenza di pari condizioni di rieducazione e di gia' avvenuto reinserimento sociale e pur in mancanza di ulteriori condotte violatrici di legge, il soggetto che ha subi'to la custodia cautelare evita il carcere e non viiene piu' gravato da sanzione detentiva mentre a quello che non ha subi'to custodia cautelare evita il carcere e non viene piu' gravato da sanzione detentiva mentre a quello che non ha subito custodia cautelare viene inflitto il carcere, quale sanzione chiaramente aggiuntiva e priva di concreta giustificazione.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara pregiudiziale e non manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' dell'art. 47, terzo comma, dell'ordinamento penitenziario (cosi' come modificato dall'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n. 663) per contrasto con gli articoli 3, primo comma; 13, secondo comma; 27, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui prevede che il tribunale di sorveglianza possa emettere il giudizio di cui all'articolo 47, secondo comma, esclusivamente qualora il condannato abbia goduto di liberta' dopo un "periodo di custodia cautelare"; Dispone: 1) la sospensione del presente procedimento; 2) la trasmissione del fascicolo alla Corte costituzionale; 3) la notifica della presente ordinanza al procuratore generale, al condannato, al suo difensore, al Presidente del Consiglio dei Ministri; 4) la comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato. Brescia, addi' 2 marzo 1989 Il presidente est.: ZAPPA 89C0672