N. 300 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 dicembre 1988

                                 N. 300
 Ordinanza  emessa  il  14  dicembre  1988  dal consiglio di giustizia
 amministrativa per la regione siciliana, Palermo
 sul  ricorso proposto da Camma' Gaetano contro il Ministero di grazia
 e giustizia ed altri
 Ordinamento  giudiziario  -  Trattamento  economico  dei magistrati -
 Aumenti periodici dello stipendio  -  Spettanza  ai  soli  magistrati
 della   Corte   dei  conti  -  Richiamo  alla  sentenza  della  Corte
 costituzionale n. 413/1988, di infondatezza  di  identica  questione,
 ritenuta superabile dal giudice rimettente.
 (Legge  6  agosto 1984, n. 425, art. 1, secondo comma; legge 2 aprile
 1979, n. 97, art.  9,  secondo  comma,  in  relazione  al  d.P.R.  28
 dicembre 1970, n. 1080, art. 5, ultimo comma; legge 16 dicembre 1961,
 n. 1308, art. 2, lett. d); legge 20 dicembre 1961, n. 1345, art.  10,
 ultimo  comma,  come  interpretato dalla legge 6 agosto 1984, n. 425,
 art. 1, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 24, 36, 102 e 103).
(GU n.25 del 21-6-1989 )
                IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 278/1986
 proposto in grado di appello dal dott. Gaetano Camma',  rappresentato
 e  difeso  dal  prof.  avv. Sergio Agrifoglio presso il cui studio in
 Palermo, via Brunetto Latini, 34,  ha  eletto  domicilio,  contro  il
 Ministero  di grazia e giustizia, il Ministero del tesoro, in persona
 dei  Ministri  in  carica,  e  l'Ente  nazionale  di  previdenza   ed
 assistenza statali (E.N.P.A.S.), in persona del legale rappresentante
 in carica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale  dello
 Stato  di  Palermo  presso la quale sono domiciliati in via Alcide De
 Gasperi, 81, per la riforma della sentenza n. 316/1986  resa  tra  le
 parti dal tribunale amministrativo regionale per la Sicilia in data 7
 marzo 1985-18 marzo 1986;
    Visto l'atto di appello con i relativi allegati;
    Visti  l'atto  di  costituzione  in giudizio delle amministrazioni
 appellate e la memoria da  queste  prodotta  a  sostegno  delle  loro
 difese;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Relatore  il consigliere Luigi Cossu e uditi alla pubblica udienza
 del 14 dicembre 1988 l'avv. Agrifoglio per l'appellante e  l'avvocato
 dello Stato Rallo per le amministrazioni appellate;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    L'attuale  appellante,  magistrato  ordinario cessato dal servizio
 dopo l'entrata in vigore della legge 2 aprile 1979, n.  97,  e  prima
 del  1º  luglio  1983 (data di decorrenza di taluni effetti economici
 previsti dalla legge 6 agosto 1984,  n.  425),  ha  proposto  appello
 avverso  la  sentenza  indicata  in  epigrafe  con  la quale e' stata
 respinta la sua domanda tendente:
       a)  alla declaratoria che il trattamento economico, a far tempo
 dal 1º gennaio 1979, doveva essere ricalcolato  con  attribuzione  di
 sei  aumenti  periodici  figurativi,  con  il computo dell'anzianita'
 maturata   nelle   precedenti   qualifiche   agli    effetti    della
 determinazione  degli  aumenti  periodici  di stipendio relativi alle
 qualifiche successive e di un aumento periodico aggiuntivo: e cio' in
 applicazione degli artt. 9 della legge 2 aprile 1979, n. 97, 3, lett.
 d), della legge 16 dicembre  1961,  n.  1308  e  10  della  legge  20
 dicembre 1961, n. 1345;
       b)  alla  condanna  delle  amministrazioni  oggi  appellate  al
 pagamento delle differenze  retributive  dal  1º  gennaio  1979  alla
 cessazione  dal  servizio  ed alla riliquidazione della indennita' di
 buonuscita  in  base  alla  piu'  elevata  retribuzione  come   sopra
 rideterminata.
    Il   primo   giudice   ha  ritenuto,  da  un  lato,  inapplicabile
 all'appellante (perche' era cessato dal servizio anteriormente al  1º
 luglio  1983),  l'art.  10  della  legge  6  agosto  1984, n. 425 che
 imponeva - non essendo, all'epoca,  ancora  intervenuta  la  sentenza
 della  Corte  costituzionale  10 aprile 1987, n. 123, che ha statuito
 l'illegittimita' costituzionale di detta disposizione - di dichiarare
 estinti   d'ufficio   i  giudizi  pendenti  fondati  su  disposizioni
 richiamate agli artt. 8 e 9; e, dall'altro, ha  respinto  la  domanda
 osservando  che  la stessa era in contrasto con lo jus superveniens e
 cioe' la legge  6  agosto  1984,  n.  425,  la  quale,  interpretando
 autenticamente  le  disposizioni  invocate  dalla attuale appellante,
 imponeva di interderle come  inapplicabili  ai  magistrati  ordinari.
 Manifestamente  infondate,  infine, venivano ritenute le eccezioni di
 legittimita' costituzionale sollevate in riferimento  agli  artt.  3,
 36, 101 e 103 della Costituzione.
    L'appellante  ripropone  in  questa  sede  le domande formulate in
 primo grado e ne chiede l'integrale accoglimento previa -  occorrendo
 - rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
                             D I R I T T O
    Cio'  premesso,  osserva il consiglio che la prima delle questioni
 di costituzionalita' sollevate dall'appellantre - vale a dire  quella
 relativa  all'art.  10  della  legge  6 agosto 1984, n. 425 - e' oggi
 superata dalla gia' ricordata sentenza della Corte costituzionale  n.
 123/1987.  Nessun  ostacolo,  dunque,  si pone a che la domanda venga
 esaminata nel merito. E la domanda, allo stato attuale, non  potrebbe
 essere  accolta  poiche'  le disposizioni invocate a sostegno di essa
 sono state oggetto di interpretazione autentica e sono  da  intendere
 nel  senso  che  non  si  applichino  ai magistrati ordinari (art. 1,
 secondo e terzo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425).
    E  cio'  rende superflue diffuse considerazioni circa la rilevanza
 della questione di legittimita' costituzionale  che  viene  sollevata
 nei  termini  di  cui  si  dira' appresso: rilevanza non contestabile
 tutte le volte che l'eliminazione di  una  o  piu'  disposizioni  sia
 condizione  indispensabile  a  che  la  lite  abbia  un esito diverso
 rispetto a quello possibile ove tali disposizioni - in quanto vigenti
 e  non travolte dalla Corte costituzionale - debbano essere applicate
 alla risoluzione del caso concreto.
    Ritiene  dunque  il  consiglio  di  sollevare,  anche  di  ufficio
 relativamente  a  profili  distinti  rispetto   a   quelli   trattati
 dall'appellante,   la   questione   di   legittimita'  costituzionale
 dell'art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n.  425.  Cio'
 avviene  limitatamente al secondo comma, in quanto quella relativa al
 terzo comma, ancorche' rilevante, e' manifestamente  infondata.  Tale
 norma infatti interpreta l'art. 9, ultimo comma, della legge 2 aprile
 1979, n. 97, nel senso che la stessa si applichi agli appartenenti  a
 magistrature  diverse  dall'ordine  giudiziario  (ed  agli avvocati e
 procuratori  dello  Stato)  e  per   una   sola   volta:   ma   detta
 interpretazione e' del tutto conforme alle conclusioni cui era giunta
 l'adunanza plenaria del  Consiglio  di  Stato  con  la  decisione  16
 dicembre 1983, n. 27, e l'effetto sortito dal legislatore del 1984 e'
 soltanto quello di chiarire e di vincolare chiunque  debba  applicare
 tale   norma   -   ivi  compresi  altri  organi  giurisdizionali  che
 intendessero discostarsene - ad intenderla nel senso  indicato  dalla
 ricordata  decisione  dell'Adunanza  plenaria,  rispetto  alla  quale
 taluni  giudici  amministrativi  di  primo  grado  avevano   adottato
 pronunce contrastanti.
    Non  manifestamente  infondata,  invece,  e' la questione relativa
 all'art. 2, secondo comma. Rilevato che l'appellante e'  cessato  dal
 servizio  in  epoca  posteriore al 1º gennaio 1979 ed anteriore al 1º
 luglio 1983 e che, di conseguenza, non e' applicabile  la  disciplina
 degli aumenti periodici e delle classi di stipendio posta dall'art. 3
 della legge 6 agosto 1984, n. 425, occorre osservare che  la  materia
 del  contendere  non  viene  ne' eliminata ne' circoscritta, restando
 esattamente identica a quella originaria:  vale  a  dire  il  vantato
 diritto al ricalcolo dello stipendio e della indennita' di buonuscita
 (ed al conseguente pagamento della diferenza tra dovuto e  percepito)
 in  aplicazione  degli  artt. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre
 1970, n. 1080, art. 2, lett. d), della legge  16  dicembre  1961,  n.
 1308,  e  10,  ultimo  comma,  della legge 20 dicembre 1961, n. 1345,
 proprio   di   quelle   disposizioni   che   la   norma   della   cui
 costituzionalita'    si    dubita    afferma    essere    applicabili
 "esclusivamente ai magistrati della  Corte  dei  conti".  E  cio'  e'
 l'esatto  contrario  di quanto aveva ritenuto l'adunanza plenaria del
 Consiglio di Stato con decisione 16 dicembre 1983,  n.  27,  e  dalla
 quale  questo  Consiglio  non  avrebbe  motivo di discostarsi ove non
 fosse intervenuta la disposizione interpretativa in discorso: di  qui
 la   evidente   gia'   ricordata   rilevanza   della   questione   di
 costituzionalita', che viene sollevata sotto i seguenti due  profili,
 come gia' ha fatto la IV sezione del Consiglio di Stato con ordinanza
 4 febbraio 1988, n. 22.
    In primo luogo non appare conforme alla Costituzione - della quale
 sembrano non  rispettati  gli  artt.  24,  102  e  103  -  lo  stesso
 intervento  di  interpretazione  autentica  che  impone  nei  giudizi
 pendenti una soluzione delle  controversie  contrario  ai  precedenti
 giurisprudenziali  sinora  intervenuti. Tale intervento, infatti, non
 ristabilisce per il passato e per il futuro il senso e la portata  di
 una   disposizione   che   la   giurisprudenza   abbia   erroneamente
 interpretato ed applicato; l'intervento stesso risulta  temporalmente
 limitato,  con  effetto  cioe'  sulle  controversie  pendenti, o piu'
 esattamente, sulle controversie (o parti do controversie) nelle quali
 si  disputa circa la misura del trattamento economico spettante per i
 periodi anteriori alla data del 1º gennaio 1983 e 1º luglio  1983.  E
 su   tali   controversie  incide  per  sancire  l'erroneita'  di  una
 interpretazione giurisprudenziale che, ispirandosi  al  principio  di
 parita'  di  trattamento retributivo tra le varie magistrature, aveva
 ritenuto competere ai magistrati amministrativi contabili e  militari
 nonche'   agli   avvocati  e  procuratori  dello  Stato  la  speciale
 indennita' di cui all'art. 3 della legge 19  febbraio  1981,  n.  27;
 cosi'  come  aveva  ritenuto  per  quanto piu' direttamente interessa
 nella  presente  controversia,  che  spettassero  a  tutte  le  altre
 categorie  di  magistrati  ed agli avvocati e procuratori dello Stato
 gli aumenti periodici secondo il sistema previsto  per  i  magistrati
 della Corte dei conti. Tali conclusioni vengono indicate come erronee
 dalla norma interpretativa di cui all'art. 1,  secondo  comma,  della
 legge   6   agosto   1984,  n.  425:  norma  contenuta  pero'  in  un
 provvedimento legislativo che, mentre abroga le disposizioni  oggetto
 di  interpretazione  autentica, per il futuro accoglie - in termini o
 identici (per la speciale indennita') o  analoghi  (per  gli  aumenti
 periodici  di  stipendio) ma comunque pienamente equiparando le varie
 categorie - le conclusioni cui era giunta la  giurisprudenza.  Si  ha
 comunque  la seguente situazione: l'interpretazione giurisprudenziale
 sull'oggetto del contendere in questa sede viene riconosciuta erronea
 per  il  passato  e  percio' corretta con la norma interpretativa, ed
 esatta da una certa data in poi, quella, cioe', a partire dalla quale
 il  legislatore  ha  ritenuto  di  estendere (o, piu' esattamente, di
 ripristinare)  il   principio   di   parita'   retributiva   che   la
 giurisprudenza  aveva  ritenuto  di  poter  affermare  in  base  alle
 disposizioni previgenti.
    Ne  deriva,  come  accennato, il possibile contrasto con l'art. 24
 della Costituzione poiche' il diritto  di  difesa  viene  sminuito  o
 annullato  quando  una  disposizione  interpretativa non appare avere
 scopo diverso da quello di influire sui giudizi pendenti, imponendo a
 questi  una  obbligata  conclusione  negativa  in  danno  di  uno dei
 litiganti. Danno - si  deve  aggiungere  -  tanto  piu'  grave  nella
 presente  controversia  dal momento che l'appellante, proprio perche'
 cesso' dal servizio prima del 1º gennaio 1983, non risentira'  nessun
 effetto  favorevole  della  nuova  normativa  e  non  viene quindi in
 qualche modo "compensato" il sacrificio che la  norma  interpretativa
 gli  addossa.  Possibile  violazione sussiste anche degli artt. 102 e
 103 della  Costituzione,  risultando  compromesso  l'esercizio  della
 funzione  giurisdizionale:  e  cio' in quanto il legislatore, proprio
 attraverso la norma di interpretazione autentica riferita soltanto al
 passato,  viene  a risolvere esso stesso, in luogo del giudice, una o
 piu' controversie determinate. Con cio' evidentemente non si pone  in
 dubbio  che  il  giudice  soggiaccia  alle leggi, ivi comprese quelle
 interpretative: si vuol pero' osservare, come ha fatto la IV  sezione
 del  Consiglio  di  Stato  con la gia' ricordata ordinanza 4 febbraio
 1988, n. 22, che l'interpretazione  autentica  non  invade  il  campo
 della giurisdizione quando il legislatore stabilisce (o ristabilisce)
 una norma valevole per il fututo  e  solo  in  via  derivata  per  le
 controversie  pendenti;  non altrettanto puo' dirsi quando si vincoli
 il giudice ad una  determinata  interpretazione  contraria  a  quella
 giurisprudenziale precedente, indicando, per giunta, come erroneo per
 il passato cio' che invece si ritiene esatto e si  statuisce  per  il
 futuro.
    Se  dunque  e'  da  dubitare,  per  quanto  gia'  detto,  circa la
 costituzionalita'  dello   stesso   intervento   di   interpretazione
 autentica  in  quanto  tale,  egualmente  e'  da  dubitare  circa  la
 costituzionalita' delle disposizioni sostanziali  (oggi  abrogate  ma
 alla  stregua  delle  quali  deve decidersi la presente controversia)
 come autenticamente interpretate dall'art. 1,  secondo  comma,  della
 legge 6 agosto 1984, n. 425.
    La  piu'  volte  ricordata  decisione  dell'adunanza  plenaria  16
 dicembre 1983, n. 27, aveva ritenuto - per quanto qui interessa - che
 almeno  a  partire  dal  1º  gennaio  1979  la  materia degli aumenti
 periodici di stipendio per il personale di tutte  le  magistrature  e
 per  gli  avvocati  e  procuratori  dello  Stato  fosse  regolata  da
 disposizioni dettate per i magistrati della Corte dei conti:  e  cio'
 perche'  la  legge  2  aprile  1979,  n.  97  (art. 9, secondo comma)
 stabiliva che il personale di Magistratura  e  dell'Avvocatura  dello
 Stato  ha diritto agli aumenti periodici senza pero' stabilire misure
 e modalita' di calcolo da ricavarsi quindi dalle disposizioni  recate
 per  i  magistrati  della  Corte dei conti e non piu' mediante rinvio
 alla disciplina dettata per i dirigenti statali, con i quali  proprio
 la  legge n. 97/1979 faceva venir meno il preesistente collegamento a
 fini retributivi.
    Tale  soluzione, del resto, era l'unica che permetteva di superare
 i dubbi  di  costituzionalita'  cui  avrebbe  dato  luogo  un  regime
 differenziato  piu' favorevole per una categoria rispetto alle altre.
    E  proprio  a  tale  risultato  conduce  la disposizione della cui
 costituzionalita'  si  dubita,  che  interpreta  autenticamente   gli
 articoli  5,  ultimo  comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, 2,
 lett. d), della legge 16 dicembre 1961, n. 1308, e 10, ultimo  comma,
 della  legge  20  dicembre  1961, n. 1345 (e, deve aggiungersi, anche
 l'art. 9, secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97) nel  senso
 che  per i magistrati non appartenenti alla Corte dei conti e per gli
 avvocati e procuratori dello Stato il regime degli aumenti  periodici
 di  stipendio  deve  essere  diverso  e  meno  favorevole  di  quello
 spettante ai magistrati della Corte stessa.
    Ma a tale differente trattamento invano si cercherebbe una qualche
 giustificazione: e cio' e' ancor meno  possibile  quando  proprio  lo
 stesso legislatore, con il medesimo atto legislativo, stabilisce pari
 trattamento a decorrere dal 1º luglio 1983, conservando la disparita'
 per il periodo anteriore.
    Di qui la possibile violazione dell'art. 3 della Costituzione, non
 vedendosi ragione giustificativa di meno favorevole  trattamento  per
 talune  categorie  di magistrati e degli avvocati e procuratori dello
 Stato rispetto ai magistrati della Corte  dei  conti  in  un  sistema
 costantemente   ispirato   da  oltre  trenta  anni  alla  parita'  di
 trattamento tra le varie magistrature ed avvocati e procuratori dello
 Stato.  Di  qui  anche  la  possibile  violazione  dell'art. 36 della
 Costituzione,  non  potendosi  negare  ad  appartenenti  a  categorie
 equiparate il compenso attribuito (e quindi ritenuto "giusto") ad una
 di esse soltanto.
    Non ignora infine questo consiglio di giustizia amministrativa che
 con sentenza 7 aprile  1988,  n.  413,  la  Corte  costituzionale  ha
 ritenuto   la   infondatezza,   tra   l'altro,   della  questione  di
 costituzionalita' dell'art. 1, secondo comma, della  legge  6  agosto
 1984,  n.  425, e cioe' proprio di quella ora in esame. Cio' tuttavia
 pacificamente non impedisce di sollevare nuovamente la questione  che
 del   resto   la   Corte   dovra'   comunque   affrontare  a  seguito
 dell'ordinanza della IV sezione del Consiglio  di  Stato  4  febbraio
 1988,  n.  22:  questione  in ogni caso meritevole di riesame perche'
 proprio la ratio legis individuata dalla  Corte,  mirante  a  sancire
 l'equilibrio  retributivo  tra le varie categorie di magistrati e gli
 avvocati dello Stato, ha  prodotto  per  il  futuro  una  parita'  di
 trattamento  che  invece  viene  denegata per il passato. Ne' si vede
 come l'art. 1, secondo comma, della legge n. 425/1984, delimitando la
 disciplina degli aumenti periodici ai soli magistrati della Corte dei
 conti, possa costituire il presupposto per  la  ristrutturazione  del
 trattamento economico per tutte le categorie di magistrati: quasi che
 il riaffermare (sia pure al fine di chiarire ed eliminare  incertezze
 interpretative)    per    il    passato    una   diseguaglianza   che
 l'interpretazione giurisprudenziale aveva  superato,  costituisca  la
 necessaria  premessa  per  stabilire  in  futuro  una  disciplina del
 tratamento  economico  ispirata   a   principi   di   eguaglianza   e
 ragionevolezza.
    Nella   presente   fattispecie   infine   sussiste   un   elemento
 differenziale rispetto a quelli gia' sottoposti al vaglio della Corte
 costituzionale:  e  precisamente  la gia' evidenziata circostanza che
 l'appellante (o il suo dante causa) e' cessato dal servizio in  epoca
 tale  da  subire - come ebbe gia' a ricordare anche la IV sezione del
 Consiglio di Stato nella ordinanza 4 febbraio 1988, n. 22 -  soltanto
 gli effetti sfavorevoli, e non anche quelli favorevoli, della legge 6
 agosto 1984, n. 425.
                                P. Q. M.
    Solleva,  perche'  rilevanti  e  non  manifestamente infondate, le
 seguenti questioni di legittimita' costituzionale:
      1)  dell'art.  1,  secondo  comma, della legge 6 agosto 1984, n.
 425, in riferimento agli artt. 24, 102 e 103 della Costituzione;
      2) dell'art. 9, secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97,
 in relazione all'art. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28  dicembre  1970,
 n. 1080, all'art. 2, lett. d), della legge 16 dicembre 1961, n. 1308,
 ed all'art. 10, ultimo comma, della legge 20 dicembre 1961, n.  1345,
 cosi'  come  interpretati  dall'art. 1', secondo comma, della legge 6
 agosto 1984, n. 425, nonche', per quanto  di  ragione,  dello  stesso
 art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, nella parte
 in cui dette disposizioni escludono  l'applicabilita'  ai  magistrati
 ordinari  del regime degli aumenti periodici di stipendio vigente per
 i magistrati della Corte dei conti, con riferimento agli artt. 3 e 36
 della Costituzione;
    Ordina  la sospensione del presente giudizio e la remissione degli
 atti alla Corte costituzionale;
    Manda  alla  segreteria  di  notificare la presente ordinanza alle
 parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e di comunicarla ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento;
    Cosi'  deciso in Palermo dal consiglio di giustizia amministrativa
 per la regione siciliana in sede giurisdizionale, riunito  in  camera
 di consiglio addi' 14 dicembre 1988.
                           (Seguono le firme)

 89C0685