N. 386 SENTENZA 4 - 11 luglio 1989

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.  dei tre
 anni del computo delle pene espiate - Illegittimita' costituzionale
 parziale.
 
 Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47, primo comma, come sosituito
 dalla legge 10 ottobre 1986, art. 11).
 
 Cost., artt. 3 e 27, terzo comma).
 
 Ordinamento penitenziario - Misure privative e limitative della
 liberta' - Affidamento in prova al servizio sociale Sopravvenienza di
 nuovi titoli di privazione della liberta' Estraneita' ai fatti di
 causa - Irrilevanza - Inammissibilita' della questione.
 
 Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 51-bis, introdotto dalla legge 10
 ottobre 1986, art. 15).
 
 Cost. artt. 3, 13, 27, 101 e 104).
 
 Concorso di reati - Pene concorrenti considerate come pena unica -
 Non inderogabilita' del principio della "pena unica" - Non
 infondatezza della questione.
 
 (Cod. pen., artt. 73 e 76).
 
 (Cost., artt. 3, 13, 27, 101 e 104).
(GU n.29 del 19-7-1989 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  47, comma
 primo, della legge 26 luglio 1975, n.354, come sostituito dall'art.11
 della   legge   10   ottobre   1986   n.663   (Modifiche  alla  legge
 sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e  limitative
 della  liberta'); dell'art. 51- bis della legge 26 luglio 1975 n. 354
 (Ordinamento penitenziario), cosi' come introdotto dall'art. 15 della
 legge  10  ottobre  1986,  n.  663  e  degli artt. 73 e 76 del codice
 penale,  promosso  con  l'ordinanza  emessa  l'8  novembre  1988  dal
 Tribunale   di   sorveglianza   di   Brescia,   nel  procedimento  di
 sorveglianza relativo a Fassi Mario, iscritta al n. 71  del  registro
 ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1989;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 17 maggio 1989 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Tribunale  di  Sorveglianza di Brescia, con ordinanza 8
 novembre 1988, emessa nel procedimento  di  sorveglianza  relativo  a
 Fassi  Mario,  sollevava  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 47, primo comma, dell'Ordinamento penitenziario (cosi' come
 sostituito  dall'art. 11 della legge 10 ottobre 1986 n. 633 Modifiche
 alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative  e
 limitative  della  liberta'  -)  e  dell'art.  51-  bis  dello stesso
 Ordinamento, nonche' degli artt. 73  e  76  del  codice  penale,  con
 riferimento agli artt. 3, 13, 27, 101 e 104 della Costituzione.
    Esponeva    il    Tribunale    nell'ordinanza    che   il   Fassi,
 tossicodipendente, detenuto in espiazione di pena, dopo essere  stato
 sottoposto  con  esito  favorevole all'osservazione scientifica della
 personalita', aveva chiesto di essere affidato in prova  al  Servizio
 Sociale. Era emerso, infatti, dall'esame e dalle osservazioni, che il
 soggetto, nonostante le condanne riportate, aveva poi  raggiunto  nel
 trattamento  progressi  tali  da  essere  maturo  per un'ampia misura
 alternativa, mediante affidamento ad una comunita' terapeutica,  gia'
 identificata  e  disponibile,  per  l'attuazione  di  un programma di
 recupero e di terapia.
    Secondo  il  Tribunale,  sussistono, pertanto, tutti i presupposti
 per  ritenere  che  il  Fassi  osservera'  le  prescrizioni   e   non
 commettera' piu' reati.
    Riferiva,  pero',  l'ordinanza  che,  ad  avviso  del  Procuratore
 Generale, il richiesto affidamento non sarebbe ammissibile.  Infatti,
 benche' nessuna delle condanne riportate dal Fassi fosse superiore ad
 anni tre, e nonostante lo stesso residuo di pena sia ora inferiore ad
 anni  tre  (il  fine  pena  e'  stato  fissato per il 31 maggio 1991,
 essendo stata concessa anche la liberazione anticipata), tuttavia  la
 giurisprudenza  della Corte di Cassazione ritiene che si debba tenere
 conto del cumulo  delle  pene  inflitte  con  le  varie  sentenze  di
 condanna: e cio' anche se il cumulo non e' stato formalmente operato,
 essendo sufficiente che le pene vengano espiate  senza  soluzione  di
 continuita'.  Riconosce,  pero',  la  detta giurisprudenza che non si
 debba tenere conto delle pene estinte  per  amnistia  e  persino  per
 condono, ma non di quelle estinte per espiazione.
    Rileva   il   Tribunale  che  il  principio  della  "pena  unica",
 discendente ex artt. 73 e 76 codice penale,  non  puo'  risolversi  a
 danno  del  condannato,  e  qualora  -  come nella specie - determini
 intollerabili disparita' di trattamento dovrebbe  incontrare  censura
 d'illegittimita' costituzionale.
    La  stessa Corte di Cassazione, del resto, lo avrebbe riconosciuto
 - continua l'ordinanza - a piu' effetti: come quando ha  ammesso  che
 ciascuna pena riassuma la sua autonomia in ipotesi di condono, o come
 quando ha ritenuto, allorche' esisteva il  divieto  di  concedere  la
 semiliberta'  ai  condannati  per  rapina, che anche nel caso di piu'
 condanne cumulate, una volta espiata tutta  la  pena  concernente  la
 condanna  per  rapina,  il  condannato  poteva  essere  ammesso  alla
 semiliberta' in relazione alle altre condanne in espiazione per reati
 non ostativi.
    Incomprensibile,   percio',  sarebbe  -  secondo  il  Tribunale  -
 l'interpetrazione  che  discrimina  le  pene  espiate   soltanto   in
 relazione  all'istituto  dell'affidamento  in prova che - come questa
 Corte ha ritenuto (cfr. sentenze 15 ottobre 1987 n. 343; 13  novembre
 1985  n. 312; 13 giugno 1985 n. 185) - ha sostanziale natura di pena.
 Una  tale  interpretazione  viola  non  soltanto   l'art.   3   della
 Costituzione  per le ragioni gia' indicate, ma anche l'art. 27, terzo
 comma, perche' viene a frustrare la funzione rieducativa della  pena.
    2.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri, rappresentato  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  la
 quale  ha  innanzitutto  eccepito  l'inammissibilita' della sollevata
 questione, in quanto verrebbe richiesto alla Corte un dispositivo  di
 estensione  dell'applicazione di trattamento o di istituto a soggetti
 che, secondo la norma, ne sono esclusi  perche'  fruiscono  di  altro
 trattamento;  estensione  che  questa  Corte  avrebbe sempre ritenuto
 estranea ai propri poteri perche' riservata  a  quelli  discrezionali
 del legislatore.
    Nel   merito,  l'Avvocatura  chiede  declaratoria  d'infondatezza,
 negando che si possa riferire il limite di  anni  tre,  come  massimo
 oltre  il  quale  l'affidamento  non e' ammissibile, esclusivamente a
 ciascuna sentenza di condanna e non alla complessiva pena  risultante
 dal cumulo: e cio' perche' la reiterazione di fatti criminosi, che il
 cumulo presuppone, e' espressione  di  piu'  marcata  inaffidabilita'
 soggettiva  ed  indice  di  prognosi  negativa.  Su  questa premessa,
 l'Avvocatura contesta anche le altre argomentazioni dell'ordinanza.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  questione  sollevata  dal  Tribunale di Sorveglianza di
 Brescia, pur investendo sul piano argomentativo il  piu'  ampio  tema
 della  legittimita'  del principio del cumulo delle pene anche quando
 si risolva a danno del  condannato,  in  realta'  e'  limitata  nelle
 conclusioni   al   quesito   se,   agli  effetti  dell'ammissibilita'
 dell'affidamento in prova ex art. 47, primo  comma,  della  legge  26
 luglio 1975 n. 354 (Ordinamento penitenziario), si debba tenere conto
 nel cumulo anche delle pene gia' espiate.
    Sul  punto,  e'  eloquente il passo dell'ordinanza dove si afferma
 che "rioperando - come fa la Cassazione  -  un  cumulo  generale  che
 comprenda anche le condanne positivamente espiate, si viola la stessa
 giurisprudenza della Cassazione  che  ha  sempre  affermato  che  nel
 cumulo  non  possono  essere incluse le pene gia' estinte, a meno che
 cio' non sia utile al fine di recare vantaggio al condannato".
    Appunto   a   tale   proposito,   l'ordinanza  aveva  invocato  la
 giurisprudenza della Corte di Cassazione quando vigeva il divieto  di
 concessione    della   semiliberta'   ai   condannati   per   rapina:
 giurisprudenza che effettivamente ammetteva che, una volta espiata la
 pena  concernente  la rapina, non se ne dovesse tenere piu' conto nel
 cumulo, e si potesse percio' concedere la semiliberta'  in  relazione
 alle altre condanne per reati non ostativi.
    Cio'    precisato,    va   respinta   la   preliminare   eccezione
 d'inammissibilita' dell'Avvocatura, dato che  non  si  chiede  alcuna
 estensione  di  trattamento  o  di  istituti  a  situazioni  diverse,
 disciplinate sotto altri principi.
    La   questione   proposta,  infatti,  si  limita  a  chiedere,  in
 definitiva, il riconoscimento d'illegittimita', per violazione  degli
 artt.  3  e  27,  terzo comma, della Costituzione, dell'art.47, primo
 comma, dell'Ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede
 -  almeno  nell'attuale  lettura  della giurisprudenza - che, ai fini
 dell'ammissibilita' del condannato all'affidamento in prova,  non  si
 debba tenere conto, in ipotesi di cumulo, delle pene gia' espiate.
    Ogni altra questione dedotta ed ogni altro parametro invocato sono
 effettivamente ultronei, e di cio' sara' detto fra poco.
    2. - Nel merito la questione e' fondata.
    Come  ha  rilevato anche l'Avvocatura Generale, il principio della
 "pena unica", cosi' come risultante in sede di esecuzione ex art. 76,
 primo  comma,  codice  penale,  sulla  base  del  cumulo  delle pene,
 inflitte con una o piu' sentenze di condanna, non ha di per se' nulla
 d'irrazionale   o   di   discriminatorio.   Tanto  piu'  che  e'  ivi
 espressamente fatta salva "ogni diversa disposizione di legge".
    Cio'  comporta  che, semmai, eventuali violazioni del principio di
 eguaglianza (art. 3 della Costituzione), o di quello  concernente  la
 funzione  risocializzante  della pena ( art. 27, secondo comma, della
 Costituzione),  vanno  riferite  caso  per  caso,  per  ogni  singola
 situazione   applicativa,   all'eventuale  omissione  di  particolari
 disposizioni che, in coerenza al sistema, avrebbero potuto  evitarle.
    Nella   specie,   l'art.   47,   primo   comma,   dell'Ordinamento
 penitenziario, denunziato con l'ordinanza in esame, stabilisce che il
 condannato puo' essere affidato al servizio sociale per un periodo di
 prova pari alla residua  pena  detentiva  da  scontare,  se  la  pena
 inflitta non supera i tre anni. Il problema sorge allorquando, avendo
 il condannato riportato piu'  pene  concorrenti  a  seguito  di  piu'
 sentenze   di   condanna,  ne  sia  stato  disposto  il  cumulo,  con
 conseguente pena unica ex art. 76, primo comma, codice penale; oppure
 anche  quando,  pur  senza l'esistenza di un provvedimento formale di
 cumulo, il condannato si trovi in corso d'espiazione delle varie pene
 inflitte senza soluzione di continuita'.
    In  tali  ipotesi, la giurisprudenza ormai consolidata della Corte
 di Cassazione ritiene che  si  debba  sempre  fare  riferimento,  per
 stabilire  l'ammissibilita' all'affidamento in prova, al cumulo delle
 pene inflitte, o comunque in corso di ininterrotta espiazione  se  un
 formale  cumulo  non  e'  stato disposto: e se il cumulo supera i tre
 anni di pena detentiva, l'affidamento non e' ammissibile anche se  la
 residua pena da scontare sia inferiore al detto limite.
    Ammette, tuttavia, la detta giurisprudenza che le pene condonate o
 comunque estinte debbano essere escluse dal computo, ma non  le  pene
 espiate.
    Orbene,  sul  piano  della  logica  giuridica,  se  si ha riguardo
 all'entita' della pena  complessiva  riportata,  sia  pure  con  piu'
 condanne,  per  dedurne sfavorevoli illazioni in ordine alla prognosi
 di cui al secondo comma dell'art. 47 dell'Ordinamento  penitenziario,
 allora  non  ha  senso  l'esclusione dal computo di pene che, pur non
 essendo  piu'  eseguibili  perche'  estinte,  esprimono  pur  sempre,
 tuttavia,  un  presupposto notevole della pericolosita': e cio' tanto
 piu' che il detto art. 47 fa riferimento alla pena "inflitta" e non a
 quella da espiare.
    Ma  se,  al  contrario,  si  ritiene  che  e' proprio alla pena in
 concreto espianda che il legislatore abbia inteso riferirsi con  quel
 limite  di anni tre, resta allora senza razionale giustificazione che
 non si debba escludere dal computo proprio  la  causa  principale  di
 consunzione   della  pena,  quella  che  ne  rappresenta  la  ragione
 fondamentale della sua stessa essenza: l'espiazione.
    Ed,  in  realta',  essendo  l'affidamento in prova uno dei modi di
 esecuzione della pena, in quanto la sua  alternativita'  e'  riferita
 alla  "detenzione"  e non all'istituto stesso della pena (rispetto al
 quale altre sono le misure alternative), e' sembrato correttamente al
 legislatore  che  l'adozione  di  una  siffatta  forma alternativa di
 esecuzione  dovesse  essere  contenuta  entro  limiti  di  una  certa
 relativa   brevita'  della  detenzione  effettivamente  da  scontare:
 altrimenti, ne sarebbe rimasta indebolita la funzione di  prevenzione
 generale  della pena. D'altra parte, proprio in presenza di una lunga
 pena  da  espiare,  un'adeguata  prognosi   relativa   agli   effetti
 rieducativi  del provvedimento di affidamento, e alla prevenzione del
 pericolo di ricadute, non potrebbe essere  espressa  con  sufficiente
 tranquillita' senza l'osservazione anche del comportamento tenuto nel
 corso dell'espiazione detentiva della parte di pena che supera i  tre
 anni.
   3.  -  Orbene,  tutto cio' corrisponde in definitiva alla ratio che
 ispira le linee della tendenza giurisprudenziale,  per  la  quale  si
 rinunzia a tenere conto di pene che, per non essere piu' eseguibili a
 causa della loro estinzione, non  potrebbero  mai  consentire  alcuna
 osservazione.  Ma se cosi' e', a maggior ragione, allora, non si deve
 tenere conto, agli effetti dell'affidamento,  di  pene  che,  essendo
 state  espiate,  hanno  consentito  una  piu'  lunga osservazione del
 comportamento e hanno potuto anche conseguire, sia pure parzialmente,
 oltre  agli  effetti  necessariamente  retributivi, quegli effetti di
 rieducazione e di recupero sociale che  attengono  alla  funzione  di
 prevenzione speciale (terzo comma dell'art. 27 della Costituzione).
    La  stessa  Corte  di  Cassazione,  del  resto,  sia pure ad altro
 proposito, in tema di semiliberta' (altra forma di  esecuzione  dalla
 pena),   si   e'   attenuta   alla   filosofia   di   questo   valore
 dell'espiazione. E' accaduto allorquando ha ritenuto che il  divieto,
 allora  vigente,  di  concedere  la  semiliberta'  ai  condannati per
 rapina, non avesse piu' effetto quando la pena inflitta per la rapina
 fosse  stata  interamente espiata; ammettendo altresi' che si tenesse
 conto dell'eventuale liberazione  anticipata  ottenuta  in  relazione
 alla detta pena.
    Vero  e', dunque, che le difficolta' interpretative del denunziato
 art. 47, primo comma, dipendono dalla formulazione della  norma  che,
 nella  sua  laconicita', consente soluzioni non sempre rispettose dei
 principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 27, terzo comma,  della
 Costituzione.
    Tanto piu' poi quando - come nella specie - l'affidamento in prova
 si riferisce ai casi particolari contemplati dall'art. 47- bis  della
 legge  in  parola,  cosi' come sostituito dall'art. 12 della legge 10
 ottobre  1986  n.  663   (Modifiche   alla   legge   sull'ordinamento
 penitenziario  e sulle misure privative o limitative della liberta').
 In tali  casi,  infatti,  la  persona  tossicodipendente  (e'  questa
 l'ipotesi   di  specie)  consegue  con  l'affidamento  una  forma  di
 esecuzione ancora piu' limitativa di quanto non sia  quella  generica
 prevista   nell'articolo   precedente,   dato  che  deve  dichiararsi
 disponibile  ad  un  programma   di   recupero,   ed   effettivamente
 intraprendere  poi  attivita' terapeutica, sulla base di un programma
 concordato con l'U.S.L. o con gli Enti  che  a  tali  finalita'  sono
 predisposti.
    Ancora  piu'  imperativa, pertanto, e' la necessita' che, per tali
 casi, la norma offra all'interpetre una  formulazione  esplicitamente
 ossequiente alla funzione costituzionale della pena e al principio di
 eguaglianza. In tali ipotesi, infatti, quasi sempre i reati  commessi
 sono  determinati  dalla  necessita' di procacciarsi quella droga che
 incatena alla tossicodipendenza: sicche', ancor piu' della detenzione
 carceraria,  e'  proprio il programma di recupero, mediante attivita'
 terapeutica  in  idonee  comunita',  ad  espletare  la  funzione   di
 prevenzione speciale della pena.
    4.  -  Ma,  contrariamente all'avviso dell'Avvocatura Generale, e'
 sempre, comunque, all'art. 47, primo comma, della legge,  che  andava
 rivolta   la   censura,   come  correttamente  ha  fatto  il  giudice
 rimettente, e non all'art. 47-bis. Questo si limita, infatti, a  dare
 particolari  indicazioni,  richiamando espressamente il limite di cui
 al comma primo dell'articolo precedente.  In  guisa  che,  una  volta
 precisato   il   senso   di   quel  limite,  l'intervento  correttivo
 automaticamente si riverbera sull'articolo evocante.
    Del   tutto  fuori  luogo,  invece,  e'  il  coinvolgimento  nella
 questione da parte dell'ordinanza  dell'art.  51-  bis,  sia  perche'
 estraneo  al  fatto  di  causa,  sia  perche',  comunque,  anche  qui
 l'intervento   sull'art.   47,    primo    comma,    si    estendera'
 automaticamente,  per  quanto del caso, all'art. 51- bis in forza del
 richiamo  pure  in  esso  contenuto.  L'irrilevanza  della   denunzia
 comporta l'inammissibilita'.
    Mentre,  poi,  e'  infondata  la critica del principio della "pena
 unica" dipendente dal concorso di pene della stessa specie, una volta
 che,   come   si   e'  rilevato  piu'  sopra,  il  principio  non  e'
 inderogabile, sia per l'espressa riserva  di  legge  contenuta  nella
 disposizione,  sia per l'implicita osservanza che ovviamente va data,
 comunque, ai principi costituzionali.
    Quanto,   infine,  ai  parametri  invocati,  l'accoglimento  della
 questione in riferimento agli  artt.  3  e  27,  terzo  comma,  della
 Costituzione, e' assorbente di ogni altro.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
     1)  dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 47, primo
 comma, della legge 26 luglio 1975,  n.  354  (cosi'  come  sostituito
 dall'art.  11  della  legge  10  ottobre 1986 n. 663 - Modifiche alla
 legge sull'ordinamento  penitenziario  e  sulle  misure  privative  e
 limitative  della liberta' -), nella parte in cui non prevede che nel
 computo delle pene, ai fini della determinazione del limite  dei  tre
 anni, non si debba tener conto anche delle pene espiate;
      2)   dichiara   inammissibile   la   questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 51- bis della legge 26 luglio 1975, n.  354,
 cosi'  come  introdotto  dall'art. 15, legge 10 ottobre 1986, n. 663,
 con riferimento agli artt. 3, 13, 27, 101 e 104  della  Costituzione,
 sollevate  dal  Tribunale  di Sorveglianza di Brescia con ordinanza 8
 novembre 1988;
      3)   dichiara   non   fondata   la   questione  di  legittimita'
 costituzionale  degli  articoli  73  e  76  del  codice  penale,  con
 riferimento  agli  artt.  3,  13,  27,  101 e 104 della Costituzione,
 sollevata dallo stesso Tribunale con la medesima ordinanza.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 4 luglio 1989.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria l'11 luglio 1989.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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