N. 407 SENTENZA 6 - 18 luglio 1989

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 regionale anziche' alla regione - Illegittimita' costituzionale
 parziale.  (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, art. 5, primo comma).
 (Cost., artt. 117 e 123).  (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, art. 5,
 quarto e quinto comma).  (Cost., art. 117).  Pubblico impiego -
 Unita' sanitarie locali, enti pubblici non economici dipendenti dalle
 regioni e regioni - Personale Obbligo per le regioni di attivare le
 procedure di mobilita' Non e' violata l'autonomia regionale - Non
 fondatezza della questione.
 
 (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, art. 5, secondo e terzo comma).
 
 (Cost., artt. 115, 117 e 118).
 
 Pubblico impiego - Unita' sanitarie locali, enti pubblici non
 economici dipendenti dalle regioni e regioni - Personale in esubero
 non reimpiegato in ambito regionale - Posti degli stessi  enti
 relativi a profili professionali non coperti con i processi di
 mobilita' - Obbligo per le regioni di attivare le procedure di
 mobilita' - Non e' violata l'autonomia finanziaria delle regioni -
 Non fondatezza della questione.
 
 (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, art. 5, secondo, terzo, quarto e
 quinto comma).
 
 (Cost., artt. 3, 97, 81, 117 e 119).
 
 Pubblico impiego - Unita' sanitarie locali - Personale - Nuove
 assunzioni - Assunzioni in deroga gia' concesse dalle regioni alla
 data del 30 settembre 1988 - Subordinazione alla previa attuazione
 della mobilita' - Non e' violata l'autonomia organizzativa delle
 regioni - Non fondatezza della questione.
 
 (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, art. 1, quarto, quinto e sesto
 comma).
 
 (Cost., artt. 3, 117 e 118).
 
 Pubblico impiego - Unita' sanitarie locali - Personale - Nuove
 assunzioni - Assunzioni in deroga gia' concesse dalle regioni alla
 data del 30 settembre 1988 - Subordinazione alla previa attuazione
 della mobilita' - Mancata previsione della corresponsione alla
 regione di fondi necessari ad assicurare il trattamento economico
 spettante al personale destinato in attuazione della mobilita' - Non
 fondatezza della questione.
 
 (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, art. 1, quarto comma).  (Cost., art.
 119).
 
 Pubblico impiego - Unita' sanitarie locali ed enti pubblici non
 economici dipendenti dalla regione - Personale - Censura basata su
 errata interpretazione della normativa - Questione sollevata in via
 subordinata - Non fondatezza.
 
 (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, artt. 5, primo comma, in relazione
 al terzo comma, stesso articolo, e 2, primo comma).
 
 (Cost., artt. 117 e 118).
(GU n.30 del 26-7-1989 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo  CAIANIELLO,  avv.  Mauro  FERRI,
 prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 1, commi
 quarto, quinto e sesto, 2 e 5 della legge 29 dicembre  1988,  n.  554
 (Disposizioni  in  materia di pubblico impiego), promossi con ricorsi
 delle Regioni Liguria, Veneto, Emilia-Romagna e  Toscana,  notificati
 il 31 gennaio e il 1› febbraio 1989, depositati in cancelleria il 7 e
 l'8 febbraio 1989 ed iscritti ai nn. 5, 6, 7 e 8 del registro ricorsi
 1989;
    Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'11  aprile  1989  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Uditi  gli  avvocati  Giuseppe  Pericu  per  le  Regioni Liguria e
 Veneto, Fabio  Lorenzoni  per  la  Regione  Emilia-Romagna,  Calogero
 Narese per la Regione Toscana e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta
 per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ricorso  notificato  il  1›  febbraio 1989, la Regione
 Liguria  ha  sollevato  questione  di   legittimita'   costituzionale
 dell'art. 5, commi dal primo al quinto, della legge 29 dicembre 1988,
 n. 554, recante "Disposizioni in materia di pubblico impiego".
    Tale  legge  -  premette  la ricorrente - stabilisce, tra l'altro,
 alcune limitazioni alle assunzioni di personale presso un gran numero
 di  strutture  pubbliche,  affermando  in generale il principio della
 priorita' dell'attuazione della disciplina  della  mobilita'  sancita
 dal d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325.
    L'art.  5 della legge si occupa del personale delle regioni, delle
 unita'  sanitarie  locali  e  degli  enti  pubblici   non   economici
 dipendenti  dalle  regioni:  piu'  precisamente esso prescrive che le
 assunzioni in deroga siano disposte, per  il  personale  sanitario  e
 degli  enti  dipendenti,  con  provvedimento  della  giunta regionale
 (primo comma); che le unita' sanitarie locali e gli  enti  dipendenti
 dalle regioni abbiano l'obbligo di comunicare alle rispettive regioni
 le carenze di organico e gli esuberi  con  le  modalita'  di  cui  al
 decreto  del  Presidente  del  Consiglio dei ministri sopra ricordato
 (secondo comma); che le regioni  debbano  provvedere  ad  attivare  i
 processi  di  mobilita'  tra  il proprio personale, quello degli enti
 dipendenti e quello delle unita' sanitarie locali  sulla  base  della
 corrispondenza  di  cui  all'art.  4,  comma  3,  del gia' richiamato
 decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi del quale
 le  corrispondenze  sono  dichiarate  dal Dipartimento della funzione
 pubblica  in  sede  di  pubblicazione  delle  vacanze,   sentite   le
 confederazioni   sindacali  maggiormente  rappresentative  sul  piano
 nazionale (terzo comma); che l'elenco del  personale  esuberante  non
 reimpiegato  in  ambito regionale per carenza di posti sia comunicato
 alla Presidenza del Consiglio dei ministri per  la  ricollocazione  a
 norma  del  d.P.C.M.  n. 325 del 1988 (quarto comma); che i posti non
 coperti con  i  processi  di  mobilita'  in  ambito  regionale  siano
 comunicati   alla   Presidenza   del   Consiglio  dei  ministri,  per
 l'eventuale copertura con personale  di  provenienza  extraregionale,
 sempre ai sensi del d.P.C.M. n. 325 del 1988 (quinto comma).
    Tutto cio' premesso, la Regione ricorrente svolge, in particolare,
 le seguenti argomentazioni:
       a)  Il primo comma dell'art. 5 viola gli artt. 117 e 123 Cost.,
 in quanto, attribuendo la competenza  a  disporre  le  assunzioni  in
 deroga  nell'ambito  delle  unita'  sanitarie  locali  e  degli  enti
 pubblici dipendenti  dalle  regioni  a  "provvedimenti  della  giunta
 regionale",   esorbita   dai  limiti  propri  della  legislazione  di
 principio e invade la stessa materia statutaria, dato che non  spetta
 certamente  allo  Stato  ripartire  le  attribuzioni  tra  gli organi
 regionali.
       b)  I commi secondo, terzo, quarto e quinto dell'art. 5 violano
 gli artt. 115, 117 e 118 Cost., in  quanto  assoggettano  le  regioni
 all'obbligo   di  attivare  le  procedure  di  mobilita',  in  palese
 contrasto con  l'autonomia  spettante  alle  regioni  in  materia  di
 organizzazione dei propri uffici e di quelli degli enti dipendenti.
    Richiamate  le sentenze di questa Corte nn. 307 del 1983 e 245 del
 1984, con le  quali  fu  dichiarata  l'illegittimita'  di  norme  che
 riservavano  allo  Stato  l'adozione  di provvedimenti derogatori del
 blocco degli organici, la ricorrente rileva che  l'art.  5  in  esame
 formalmente  ostenta  di  rispettare l'insegnamento giurisprudenziale
 con il comma introduttivo,  che  (a  prescindere  dalla  precisazione
 censurata  sub  a)  riconosce  la  competenza regionale a disporre le
 assunzioni in deroga negli enti dipendenti e nelle  unita'  sanitarie
 locali. Tuttavia, nelle successive proposizioni, l'apparente ossequio
 viene annullato con l'imposizione dei processi di  mobilita'  persino
 al personale regionale.
    Ne'  ad  attenuare  la gravita' della lesione dell'autonomia cosi'
 prodotta vale il fatto che, per quanto concerne  il  personale  delle
 regioni,  sono  queste  ultime  a  determinare,  con  il riscontro di
 situazioni di esubero o  di  carenza,  la  premessa  dell'attivazione
 delle  procedure. Anche la decisione di far luogo ad un'assunzione in
 deroga e' infatti necessariamente preceduta dal riconoscimento di una
 condizione  di  carenza; ma tale riconoscimento e' solo l'antecedente
 logico di quel giudizio di comparazione con altre  esigenze  (da  cui
 scaturisce  la  decisione  in  merito  all'assunzione)  che,  secondo
 l'insegnamento di  questa  Corte,  non  puo'  essere  sottratto  alla
 regione.
    Per contro le norme impugnate pretendono di sottrarre alle regioni
 il dominio dell'organizzazione del  proprio  personale,  ricollegando
 alla  semplice  ricognizione  di situazioni obiettive di carenza o di
 esubero l'avvio di movimenti di  personale  svincolati  da  ulteriori
 valutazioni regionali.
    Le  norme censurate violano gli indicati parametri costituzionali,
 prosegue la  ricorrente,  anche  per  l'ulteriore  ragione  che,  pur
 vertendo   in   materia   di   competenza  "propria"  delle  regioni,
 disciplinano - soprattutto mediante il rinvio al  d.P.C.M.  5  agosto
 1988,  n. 325 - l'intera materia della mobilita', senza lasciar spazi
 alla competenza normativa ed amministrativa regionale.
    Per di piu', il richiamo al d.P.C.M. n. 325/88 viene costantemente
 completato con il richiamo alle "successive  eventuali  modificazioni
 dello stesso", cosi' determinando una permanente sottoposizione delle
 regioni ad un potere regolamentare del Presidente del  Consiglio  dei
 ministri,  privo  di  limiti e sfornito del benche' minimo fondamento
 giuridico;
      c)  I  commi  dal  secondo  al  quinto dell'art. 5 violano, poi,
 prosegue la Regione Liguria, anche gli artt. 81, 117 e 119 Cost., per
 lesione  dell'autonomia  regionale  sotto  il  profilo  delle  scelte
 nell'allocazione delle risorse finanziarie. E', infatti, indubbio che
 disporre  in  merito  all'entita'  delle  dotazioni  di  personale di
 strutture pubbliche equivale ad operare scelte nella destinazione  di
 mezzi  finanziari,  tant'e'  vero  che  l'art. 1, quarto comma, della
 legge in questione assicura agli enti locali destinatari di personale
 sottoposto a mobilita' i fondi relativi al corrispondente trattamento
 economico.
    Nella  fattispecie  le  norme  impugnate  si  sono  spinte  sino a
 predisporre le condizioni di un incremento dell'importo globale delle
 spese  per  personale  a carico delle regioni, senza dotare le stesse
 regioni dei mezzi finanziari conseguentemente necessari.
    2. - Con ricorso notificato il 1› febbraio 1989, la Regione Veneto
 ha sollevato, a sua volta, questione di  legittimita'  costituzionale
 degli  artt. 1, commi quarto, quinto e sesto, e 5, commi dal primo al
 quinto, della legge n. 554 del 1988.
    Dopo  aver  svolto,  quanto all'art. 5, argomentazioni identiche a
 quelle della Regione Liguria,  la  ricorrente  censura  gli  indicati
 commi  dell'art.  1 per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., anche
 in relazione all'art. 3 Cost. Le norme sono impugnate nella parte  in
 cui subordinano le assunzioni consentite alle unita' sanitarie locali
 alla previa  attuazione  della  disciplina  della  mobilita'  (quarto
 comma);  vietano  le  assunzioni  conseguenti a concorsi le cui prove
 siano iniziate dopo il 30 settembre 1988 (quinto comma); e privano di
 efficacia  le  autorizzazioni ad assunzioni in deroga rilasciate alle
 unita' sanitarie locali dopo la medesima scadenza  del  30  settembre
 1988 (sesto comma).
    Tali disposizioni, ad avviso della ricorrente, pur se destinate ad
 essere travolte dalla dichiarazione di incostituzionalita'  dell'art.
 5, sono, comunque, di per se' illegittime, in quanto l'imposizione di
 un regime di blocco delle  assunzioni  inderogabile  a  carico  delle
 unita'   sanitarie   locali,   fino   all'espletamento  di  procedure
 particolarmente complesse,  in  un  contesto  contraddistinto  da  un
 generale   riconoscimento   di  un  potere  di  deroga  per  speciali
 necessita', appare irragionevole ed  indebitamente  limitativa  delle
 competenze regionali.
    Ancor  piu'  irragionevole  e',  poi, la retroattivita' attribuita
 all'irrigidimento del blocco, sancita dai commi quinto  e  sesto,  la
 quale,  comportando l'annullamento di scelte programmatorie regionali
 che  gia'  avevano  ricevuto  esecuzione,  si  pone  in  irriducibile
 contrasto  con  l'autonomia  organizzativa  delle  regioni in materia
 sanitaria.
    3.  -  Con  ricorso  notificato  il  31  gennaio  1989, la Regione
 Emilia-Romagna  ha  anch'essa  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale  degli artt. 5, secondo, terzo, quarto e quinto comma,
 1, quarto comma e, in subordine, 5, primo comma, e 2 della  legge  n.
 554 del 1988, in riferimento agli artt. 97, 117, 118, 119 e 123 Cost.
    In  particolare,  la  ricorrente  svolge, nell'ordine, le seguenti
 censure:
      a)  I  commi  secondo e terzo dell'art. 5, in connessione con il
 quarto comma dell'art. 1, violano gli  artt.  117  e  118  Cost.,  in
 quanto,  pur  se  la disciplina appare formalmente riconducibile alla
 funzione  statale  di  indirizzo  e   coordinamento,   il   contenuto
 sostanziale di essa, imponendo alle regioni una serie di disposizioni
 rigidamente predeterminate ad opera  di  un  organo  governativo,  si
 risolve  in  una  invasione  dell'autonomia  regionale  in materia di
 ordinamento degli uffici e disciplina del relativo personale;
      b) I commi quarto e quinto dell'art. 5 violano gli artt. 117, 97
 e 123 Cost. Dopo aver svolto argomentazioni sostanzialmente identiche
 a  quelle  di  cui  ai  ricorsi  gia'  esaminati,  la ricorrente pone
 particolarmente in luce che  la  disciplina  in  questione  offre  la
 possibilita'    a    personale    proveniente    da   Amministrazioni
 extra-regionali di coprire le vacanze rilevate in  ambito  regionale,
 con    palese   lesione   del   potere   politico-amministrativo   ed
 amministrativo delle regioni in materia di organizzazione dei  propri
 uffici, e con violazione anche del principio del buon andamento degli
 uffici regionali;
      c)  Il  quarto comma dell'art. 1, in relazione ai commi quarto e
 quinto dell'art. 5, viola l'art. 119 Cost., in quanto non prevede  la
 corresponsione  alle  regioni  dei  fondi  necessari ad assicurare il
 trattamento economico del personale delle  Amministrazioni  pubbliche
 sottoposto a mobilita' verso le regioni stesse;
      d)  Il  primo comma dell'art. 5 viola l'art. 123 Cost., anche in
 relazione agli artt. 7 e 24 dello Statuto  regionale,  per  i  motivi
 gia' esposti nei ricorsi sopra esaminati;
       e)  Il  quarto  comma  dell'art. 1 e il terzo comma dell'art. 5
 violano gli artt. 117 e 118 Cost., nonche' l'art. 3  della  legge  n.
 382  del 1975 sulla funzione di indirizzo e coordinamento, in quanto,
 recependo integralmente le disposizioni  contenute  nel  d.P.C.M.  n.
 325/88  sulla mobilita', non lasciano spazio all'ulteriore normazione
 regionale e violano pertanto i limiti entro cui  puo'  legittimamente
 esplicarsi  la  funzione  di  indirizzo  e  coordinamento.  Le  norme
 censurate sono poi illegittime anche perche'  prescindono  totalmente
 da   qualsiasi   collegamento  con  quanto  stabilito  dagli  accordi
 intercompartimentali, in contrasto con i principi della  legge-quadro
 sul pubblico impiego:
      f)  Infine,  in  via subordinata, il primo comma dell'art. 5, in
 relazione al terzo, quarto e quinto comma dello stesso articolo, e il
 primo  comma  dell'art.  2 violano gli artt. 117 e 118 Cost., se e in
 quanto  dalla  loro  interpretazione  dovesse  evincersi  la  mancata
 previsione  in capo alle regioni del potere di deroga con riferimento
 al personale regionale. Il primo comma dell'art. 2, infatti, conclude
 la  ricorrente,  prevede  il  potere del Presidente del Consiglio dei
 ministri di autorizzare, ricorrendo effettive, motivate e documentate
 esigenze,  ulteriori  assunzioni in deroga, ma nulla la norma dispone
 esplicitamente con  riferimento  alle  regioni:  potrebbe,  pertanto,
 ritenersi  che  anche  per il personale regionale vi sia una generale
 soggezione, quanto al  potere  derogatorio,  ai  parametri  stabiliti
 dall'organo governativo.
    4.  -  Con ricorso notificato il 31 gennaio 1989, anche la Regione
 Toscana solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5,
 commi dal primo al quinto, della legge n 554 del 1988, in riferimento
 agli artt. 3, 97, 117 e 123 Cost.
    In particolare:
      a)  il  primo  comma  dell'art.  5  viola  l'art.  123 Cost., in
 relazione allo Statuto regionale,  per  i  motivi  gia'  esposti  nei
 ricorsi sopra esaminati;
      b)  il  secondo ed il terzo comma dell'art. 5 violano l'art. 117
 Cost. in quanto impongono  alle  regioni  l'obbligo  di  attivare  la
 mobilita'  del  personale,  cosi' incidendo in materia riservata alla
 legge regionale; ne' sussiste nella  specie  un  interesse  nazionale
 cosi' pressante da eliminare ogni potere delle regioni;
      c)  il  quarto  e  il quinto comma dell'art. 5 violano anch'essi
 l'art. 117 Cost., in quanto dispongono l'applicazione del d.P.C.M. n.
 325/88  agli  esuberi  e  alle  carenze  del personale delle regioni,
 ovvero degli enti da esse dipendenti, ovvero delle  unita'  sanitarie
 locali nell'ambito regionale;
      d)  il  quarto  e  il  quinto comma dell'art. 5, infine, violano
 anche gli artt. 3 e 97  Cost.,  in  quanto,  nell'ipotesi  che  fosse
 ritenuta  legittima  l'attribuzione  al  Presidente del Consiglio del
 potere di adottare i provvedimenti ivi  previsti,  si  determinerebbe
 una  violazione  dei  principi  di eguaglianza, ragionevolezza e buon
 andamento, per il contrasto con quanto previsto dall'art.  1,  quarto
 comma,  della  legge  stessa:  mentre,  infatti,  quest'ultima  norma
 provvede a trasferire agli enti locali, presso i quali sia  destinato
 personale,  i  fondi  necessari,  nulla dispongono le norme censurate
 quanto al personale eventualmente destinato alle regioni o agli  enti
 da esse dipendenti.
    5.  -  Si e' costituito in tutti i giudizi, con atti in gran parte
 identici, il Presidente del Consiglio dei ministri,  concludendo  per
 l'infondatezza delle questioni sollevate.
    In particolare, l'Avvocatura dello Stato deduce quanto segue:
      a)  Quanto  alla censura concernente il primo comma dell'art. 5,
 essa, ad avviso dell'Avvocatura, si dimostra sfornita di  sostanziale
 fondamento  in quanto le assunzioni di nuovo personale "in deroga" ai
 limiti fissati (nell'art. 1) possono essere disposte solo in casi  di
 comprovate  esigenze  e  con rispetto, altresi', dei limiti derivanti
 dagli atti di indirizzo e coordinamento emanati ( ex art. 9 legge  n.
 130/1983)  ovvero  imposti  dagli  stanziamenti di bilancio. Ne segue
 linearmente   -   con   il   carattere,   appunto,    provvedimentale
 dell'autorizzazione  in deroga e la pressocche' totale carenza d'ogni
 apprezzabile margine di discrezionalita' nelle inerenti valutazioni -
 la sicura pertinenza dell'atto alla sfera di attribuzioni tipiche che
 l'art. 121  Cost.  conferisce  alla  giunta,  secondo  criterio  che,
 ragionevolmente,  non avrebbe potuto non essere osservato nel riparto
 di competenze che ciascuna regione avesse dovuto effettuare;
      b)  In  ordine  alle  censure  relative  ai commi dal secondo al
 quinto dell'art. 5, per  violazione  dell'autonomia  organizzativa  e
 finanziaria  delle  regioni, l'Avvocatura premette, innanzitutto, che
 il  principio  della  mobilita'  e'  enunciato  nell'art.  19   della
 legge-quadro  sul pubblico impiego (cui e' stata riconosciuta portata
 di riforma economico-sociale) e che  il  d.P.C.M.  n.  325  del  1988
 costituisce  atto  di  indirizzo  e  coordinamento  (art.  10) per le
 regioni e gli enti da esse dipendenti: cio' gia'  e'  sufficiente  ad
 escludere che l'assoggettamento delle regioni al dovere di attuare il
 principio della mobilita' possa,  di  per  se',  costituire  indebita
 compressione dell'autonomia regionale di cui all'art. 117 Cost.
    Quanto  alle  modalita'  di  attuazione della mobilita', di cui al
 richiamato d.P.C.M. n. 325/88, non pare, ad  avviso  dell'Avvocatura,
 che  possa sussistere difficolta' alcuna a riconoscere che, legittima
 la predeterminazione dei  criteri  di  individuazione  degli  esuberi
 presso  le  unita'  sanitarie  locali  (in  ragione  della  peculiare
 posizione di tali strutture e  del  relativo  personale,  gia'  altre
 volte sottolineata dalla Corte), nessuna interferenza puo' ravvisarsi
 con le competenze regionali in materia di organizzazione  d'uffici  e
 di  personale  dipendente, anche perche' il richiamo alle "modalita'"
 di
 comunicazione  (delle  situazioni  di  carenza  e  di  esubero)  deve
 intendersi circoscritto alle disposizioni dell'art. 3, comma secondo,
 del  d.P.C.M.  325/1988,  cioe'  a  forme  di dettagliata descrizione
 dell'"esistente" che, obbedendo a razionali e  generalizzati  criteri
 di rappresentazione dello stato del personale, non suonano certo come
 arbitraria  compressione  di  un  ambito  di  autonomia  in   ipotesi
 suscettibile d'esplicarsi.
    In merito, poi, ai commi quarto e quinto dell'art. 5, l'Avvocatura
 rileva che ove si rifletta che, eccezione fatta per la gia' segnalata
 peculiarita'  delle  unita' sanitarie locali, la determinazione degli
 esuberi e' lasciata alla valutazione delle stesse regioni,  cui  pure
 e' rimesso il reimpiego della "forza" in ambito locale, non si riesce
 a scorgere in qual modo  il  collocamento  del  personale  eccedente,
 attraverso   atto   della  Presidenza  del  Consiglio,  presso  altre
 Amministrazioni (anche regionali, ma  ovviamente  diverse  da  quella
 d'origine)  si risolva in invasione dell'autonomia della regione che,
 segnalato l'esubero, functa est munere suo  senza  essere  tenuta  ad
 altro.
    D'altro  canto,  il  denunciato quinto comma prevede - bensi' - la
 copertura delle vacanze nei ruoli regionali (col personale in esubero
 presso   altre   Amministrazioni,   anche  regionali)  ma  solo  "ove
 possibile".  Tale  parentetica  e,  tuttavia,  esplicita   avvertenza
 esclude,  di per se', qualsiasi automatismo d'effetti, dovendo invero
 l'inciso intendersi riferito non gia' alle  modalita'  d'assegnazione
 del personale, bensi' alla copertura stessa delle riscontrate vacanze
 nei ruoli regionali. Ad orientare in tal senso  l'interprete  depone,
 infatti, la considerazione che se la posta limitazione - espressa con
 le parole "ove possibile" - fosse da riferire alla  osservanza  delle
 modalita'  di  assegnazione  del  personale  indicate nell'art. 4 del
 d.P.C.M., risulterebbe priva di significato  concreto  la  successiva
 salvezza  fatta  di  eventuali  modificazioni  introdotte allo stesso
 d.P.C.M.
    Il  dettato  della  norma  e',  quindi, ancora aperto ad ulteriori
 specificazioni e non e' esclusa la possibilita' che ai  provvedimenti
 presidenziali  di copertura si faccia luogo ad esito di previe intese
 con le regioni interessate.
    Infine,  circa  l'asserita  indebita  compressione  dell'autonomia
 finanziaria,  l'Avvocatura  rileva  che,  poiche'  ad  un  flusso  di
 personale  verso le regioni potra' farsi luogo solo "ove possibile" e
 "a copertura dei posti"  rimasti  vacanti,  deve  escludersi  che  da
 simile  mobilita'  possano  derivare maggiori spese rispetto a quelle
 che  nell'esercizio  della  propria  autonomia  finanziaria  ciascuna
 regione abbia preventivato in bilancio;
      c)  In  ordine  alla  censura relativa all'art. 1, commi quarto,
 quinto  e  sesto,   l'Avvocatura   dello   Stato   osserva   che   la
 subordinazione   di   ogni   nuova   assunzione,   nelle  percentuali
 consentite, alla previa attuazione della disciplina  della  mobilita'
 non  ha  nulla di irrazionale, apparendo - piuttosto - una coerente e
 logica misura rispetto all'esigenza di  economica  utilizzazione  del
 personale,   altrove   esuberante,   cui   si   prefigge  di  portare
 soddisfazione il principio in discorso.
    Piu'  in  particolare,  poi,  la  previsione di cui al sesto comma
 dell'art. 1, comportante la salvezza delle assunzioni  autorizzate  a
 tutto  il  30 settembre 1988, induce a ritenere contenuta a sporadici
 casi la paventata  insorgenza  di  eccezionali  situazioni  d'urgente
 necessita'  di  personale,  pur  sempre fronteggiabili con ricorso ad
 istituti propri del rapporto d'impiego (come il distacco)  capaci  di
 sopperire  transitoriamente ad esigenze impreviste, cosi' da togliere
 ogni spessore di concretezza al rischio  profilato  ex  adverso  come
 indice di irragionevolezza della norma.
    Analogo ordine di considerazioni vale a dimostrare la infondatezza
 della denuncia mossa al quinto comma  dell'art.  1,  col  quale  sono
 state sottratte ad ogni condizione le assunzioni per posti oggetto di
 procedure di concorso per le quali  le  prove  risultassero  iniziate
 alla data del 30 settembre 1988. Anche qui, infatti, la disciplina di
 legge deve riconoscersi ubbidiente a criteri di ragionevolezza, oltre
 che di adeguato contemperamento di diverse esigenze;
      d) In merito alla doglianza prospettata in via subordinata dalla
 Regione Emilia-Romagna, l'Avvocatura osserva che  il  silenzio  della
 legge  basta  a  relegare  nell'ambito della irrealta' la prospettata
 ipotesi interpretativa e a dimostrare, percio', l'infondatezza  della
 denuncia.
    6.   -   Nell'imminenza   dell'udienza  hanno  depositato  memorie
 aggiuntive le Regioni  Liguria,  Veneto  e  Toscana,  contestando  le
 argomentazioni  svolte  dall'Avvocatura dello Stato ed insistendo per
 l'accoglimento delle questioni sollevate.
                         Considerato in diritto
    1. - I quattro ricorsi indicati in epigrafe sollevano questione di
 legittimita' costituzionale di varie norme della  legge  29  dicembre
 1988,  n.  554;  trattandosi  di  questioni  identiche o strettamente
 connesse, i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  e  decisi  con  unica
 sentenza.
    2.  -  Tutte  le  ricorrenti censurano innanzitutto il primo comma
 dell'art. 5 della legge n. 554 del 1988, in  riferimento  agli  artt.
 123 e - limitatamente alle Regioni Liguria e Veneto - anche 117 della
 Costituzione: la norma, individuando nella giunta regionale  l'organo
 competente a disporre le assunzioni in deroga per le unita' sanitarie
 locali e  per  gli  enti  pubblici  non  economici  dipendenti  dalle
 regioni, ad avviso delle ricorrenti invaderebbe una materia riservata
 agli  statuti  regionali  ed  esorbiterebbe   dai   limiti   di   una
 legislazione di principio.
    La   questione   e'   fondata  sotto  l'assorbente  profilo  della
 violazione dell'art. 123 della Costituzione.
    Non  vi  e'  dubbio, infatti, che la ripartizione delle competenze
 tra i vari organi regionali rientra,  salvo  ovviamente  il  rispetto
 dell'art.  121  della  Costituzione,  nella  materia  "organizzazione
 interna della regione", che  la  Costituzione  riserva  allo  statuto
 regionale.
    Questa  Corte,  in  una  precedente  occasione (v. sent. n. 64 del
 1987), con riferimento ad una disposizione sostanzialmente identica a
 quella  ora impugnata, ritenne la questione non fondata interpretando
 la norma  nel  senso  che  essa  si  limitava  "a  indicare  l'organo
 competente alla generalita' dei provvedimenti amministrativi, secondo
 la  maggior  parte  degli  Statuti,  senza  escludere,   dunque,   la
 competenza  (anche sull'oggetto) di altri organi regionali, che fosse
 prevista in via generale da singoli Statuti".
    Ma,  in primo luogo, va rilevato che non era stato allora invocato
 l'art. 123 della Costituzione; ed inoltre la Corte  ritiene  che  sia
 ora  necessario  pervenire alla dichiarazione di illegittimita' della
 norma in esame,  anche  ad  evitare  che  in  futuro  si  riproducano
 disposizioni  analoghe,  le quali certamente non rispondono a criteri
 di rigorosa conformita' al dettato costituzionale, dando cosi'  luogo
 ad occasioni di contenzioso tra lo Stato e le regioni.
    Va, pertanto, dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art.
 5, primo comma, della legge n. 554  del  1988,  nella  parte  in  cui
 prevede  che le assunzioni in deroga per le unita' sanitarie locali e
 per gli enti pubblici non economici  dipendenti  dalle  regioni  sono
 disposte  con provvedimenti "della giunta regionale", anziche' "della
 regione".
    3.  - Il secondo e il terzo comma dell'art. 5 della legge in esame
 sono anch'essi impugnati da tutte le ricorrenti, in riferimento  agli
 artt. 115, 117 e 118 della Costituzione.
    Secondo  le  ricorrenti  le  norme  indicate, nell'assoggettare le
 regioni all'obbligo di attivare le  procedure  di  mobilita'  tra  il
 personale  delle regioni stesse, degli enti pubblici non economici da
 esse dipendenti e delle unita' sanitarie locali  (salvo,  per  queste
 ultime,  il personale di cui al decreto legge 8 febbraio 1988, n. 27,
 convertito con modificazioni in legge 8 aprile 1988, n. 109),  e  nel
 fare  riferimento al d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325 e alle successive
 eventuali modificazioni dello stesso, ledono l'autonomia regionale in
 materia  di  organizzazione  dei propri uffici e di quelli degli enti
 dipendenti e superano i  limiti  imposti  alla  funzione  statale  di
 indirizzo   e   coordinamento,   non  lasciando  alcuno  spazio  alla
 competenza regionale.
    La questione non e' fondata.
    Il principio della mobilita' del personale del pubblico impiego fu
 introdotto con l'art. 19 della legge quadro sul pubblico  impiego  29
 marzo 1983, n. 93, le cui disposizioni costituiscono per le regioni a
 statuto ordinario principi fondamentali ai sensi dell'art. 117  della
 Costituzione   (art.   1)   e   la   cui  natura  di  grande  riforma
 economico-sociale fu riconosciuta da questa Corte, con la sentenza n.
 219 del 1984, proprio considerando i principi da essa desumibili, fra
 i quali, appunto, quello della mobilita'.
    Successivamente,  l'attuazione  concreta  del  principio  e' stata
 avviata disponendo che le pubbliche amministrazioni individuassero  e
 definissero  previamente  i  carichi  funzionali di lavoro al fine di
 determinare le dotazioni organiche a livello territoriale: art. 6 del
 d.P.R.  1›  febbraio 1986, n. 13 e art. 12 del d.P.R. 23 agosto 1988,
 n. 395. L'art. 13 di quest'ultimo decreto prevede che le disposizioni
 di  cui  al  precedente  art.  12  costituiscono linee di indirizzo e
 coordinamento per le regioni a statuto ordinario e per  le  autonomie
 territoriali.
    Con  il  d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325, poi, si e' inteso - sulla
 base della previsione legislativa di cui all'art. 24, commi 2, 17, 18
 e  19, della legge 11 marzo 1988, n. 67 (legge finanziaria 1988) - in
 attesa della determinazione delle dotazioni  organiche  previste  dal
 citato  art. 12 del d.P.R. n. 395/88, iniziare ad attuare processi di
 mobilita' anche  in  via  sperimentale  nell'ambito  delle  pubbliche
 amministrazioni.  Anche  in  questo  caso  si  e'  stabilito  che  le
 disposizioni  del  decreto  costituiscono  linee   di   indirizzo   e
 coordinamento per le regioni e gli enti da esse dipendenti (art. 10).
    Si e' giunti, infine, alla legge 29 dicembre 1988, n. 554, dettata
 anch'essa al fine essenziale di promuovere e perfezionare i  processi
 di mobilita'.
    Dai  lavori  preparatori  della  legge  emerge  con  chiarezza  la
 intenzione del legislatore di dare  concreto  avvio  alla  mobilita',
 ricollegandosi  a  quanto gia' disposto nel citato decreto n. 325/88,
 soprattutto attraverso una disciplina del  reclutamento  ispirata  al
 criterio della residualita' delle assunzioni rispetto alle operazioni
 di  mobilita'.  L'obiettivo  della  legge  e'  quello  di  conseguire
 l'impiego  ottimale  delle risorse umane, di modernizzare la pubblica
 Amministrazione attraverso una gestione piu' elastica  ed  efficiente
 del  personale  al  fine di renderla piu' rispondente alla domanda di
 servizio:  in  definitiva,   di   compiere   un   passo   importante,
 nell'organizzazione   dei   pubblici   uffici,   sulla   strada   del
 raggiungimento e della piena attuazione di quel  principio  del  buon
 andamento  della  pubblica Amministrazione costituzionalmente sancito
 nell'art. 97 della Carta fondamentale.
    Non  puo',  quindi,  non  riconoscersi  che  la legge in esame sia
 complessivamente  sorretta  dall'interesse  nazionale,  quale  limite
 costituzionalmente  posto  all'autonomia  regionale, e che sussistano
 nel   caso   di   specie   quei    requisiti    (non    arbitrarieta'
 dell'apprezzamento  del  legislatore;  infrazionabilita' territoriale
 dell'interesse), che giustificano in linea di principio,  secondo  il
 costante  orientamento  di questa Corte, l'intervento del legislatore
 statale, in materie di competenza regionale, anche in via dettagliata
 e concreta (v. sentt. nn. 177, 217 e 633 del 1988).
    Passando   all'esame  delle  singole  disposizioni  censurate,  va
 rilevato che il secondo e il terzo comma dell'art. 5 contengono norme
 che   senza   dubbio   non  esorbitano  dall'esigenza  di  soddisfare
 l'interesse  nazionale  posto  a  loro  fondamento.  Appare   infatti
 pienamente coerente, ed anzi logicamente necessario, rispetto ai fini
 da perseguire, che i processi di mobilita' debbano coinvolgere  tutto
 il  personale  della pubblica amministrazione, ivi comprese quindi le
 regioni e gli enti territoriali minori. L'obbligo imposto di attivare
 tali  processi non comprime quindi illegittimamente alcuna competenza
 regionale; e il richiamo al d.P.C.M. n. 325/88 (quanto alle modalita'
 con  cui  le  unita'  sanitarie  locali  e gli enti dipendenti devono
 comunicare le carenze e gli esuberi di organico  alle  regioni  e  ai
 profili professionali cui le regioni devono attenersi nell'attuare la
 mobilita') e' giustificato da evidenti ragioni di  uniformita'  delle
 procedure  su  tutto il territorio nazionale. Infine, anche il rinvio
 alle "eventuale successive modificazioni" di detto decreto,  disposte
 ai  sensi dell'art. 1, quarto comma, della legge stessa, non presenta
 di per se', per  gli  stessi  motivi,  vizi  di  legittimita',  salva
 ovviamente  restando  la  competenza  di  questa Corte in ordine alle
 disposizioni che dovessero essere in futuro concretamente dettate.
    Va  detto  poi,  per  concludere  su questo punto, che l'autonomia
 regionale e' comunque sufficientemente salvaguardata dal potere,  che
 resta intatto, di determinare le piante organiche del personale.
    4.  -  Per  motivi sostanzialmente analoghi a quelli relativi alle
 censure concernenti il  secondo  e  terzo  comma  dell'art.  5,  sono
 impugnati  da tutte le ricorrenti anche i commi quarto e quinto dello
 stesso articolo,  in  riferimento  agli  artt.  117,  118  e,  quanto
 all'Emilia-Romagna, anche 97 e 123 della Costituzione.
    I   due   commi  in  discussione  dispongono  che  debbano  essere
 comunicati alla Presidenza del Consiglio da un  lato  (quarto  comma)
 l'elenco  del  personale  delle  unita'  sanitarie locali, degli enti
 dipendenti dalle regioni o delle stesse regioni risultato in  esubero
 e  non  reimpiegato  in  ambito  regionale  per  carenza di posti, e,
 dall'altro (quinto comma), i  posti  degli  stessi  enti  relativi  a
 profili  professionali  non  coperti con i processi di mobilita': nel
 primo   caso   la   Presidenza   del   Consiglio   provvedera'   alla
 "collocazione"  del  personale  (secondo  le  norme  del  d.P.C.M. n.
 325/88), nel  secondo  provvedera'  a  disporre  "ove  possibile"  la
 copertura dei posti (sempre secondo le modalita' di cui al richiamato
 decreto n. 325/88).
    Le  ricorrenti lamentano, in particolare, la lesione della propria
 competenza in materia di organizzazione degli uffici, soprattutto per
 la  possibilita'  che  personale di provenienza extra-regionale possa
 coprire le vacanze risultate  in  ambito  regionale  all'esito  della
 mobilita'.
    La questione e' fondata nei limiti di cui appresso.
    Va   innanzitutto   ribadito,  come  ampiamente  detto  al  numero
 precedente, che sussiste un evidente interesse nazionale che presiede
 a  tutta  la procedura della mobilita'. Non puo', quindi, negarsi che
 sia pienamente coerente con il  completo  soddisfacimento  del  detto
 interesse    la    previsione    che,   all'esito   della   mobilita'
 infraregionale, si dia luogo, ove occorra,  ad  una  mobilita'  anche
 interregionale,    ovvero    tra    amministrazioni    regionali    e
 amministrazione statale.
    Tuttavia,  le norme censurate, cosi' come concretamente formulate,
 non appaiono rispettare i limiti  di  una  stretta  correlazione  con
 l'esigenza posta a loro fondamento: costituiscono, cioe', secondo una
 valutazione che questa Corte si e' sempre riservata di effettuare  in
 casi analoghi (v. sentenze precedentemente citate), strumenti che, in
 presenza delle competenze regionali  su  cui  incidono,  non  possono
 considerarsi pienamente congrui al raggiungimento dello scopo. Non vi
 e' dubbio, infatti, che  le  norme  in  esame,  escludendo  qualsiasi
 intervento  regionale  in  ordine alle decisioni circa i movimenti di
 personale  da  o  verso  le  regioni,  determinino   una   penetrante
 interferenza nell'autonomia regionale, senza che, d'altra parte, esse
 possano ritenersi  strettamente  necessarie  al  fine  di  soddisfare
 l'interesse nazionale che le sorregge.
    Ad  avviso  di questa Corte, detto fine e' ugualmente e pienamente
 raggiungibile se, considerate le competenze delle regioni in materia,
 sia  a  queste  assicurato,  nelle  procedure  in  esame,  un momento
 partecipativo,  quanto  meno  nella  forma  della  consultazione,  in
 attuazione  di quel principio di "leale cooperazione" cui varie volte
 questa Corte ha avuto occasione di fare riferimento  (v.  sentt.  nn.
 175  del 1976, 151 del 1986, 344 del 1987, 747, 1029 e 1031 del 1988,
 242 del 1989).
    Pertanto,   va  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale,  per
 violazione dell'art. 117  della  Costituzione,  dei  commi  quarto  e
 quinto   dell'art.  5  nella  parte  in  cui  non  prevedono  che  la
 collocazione presso altre amministrazioni del personale risultato  in
 esubero  e  non  reimpiegato  in ambito regionale (quarto comma) e la
 copertura dei posti non coperti con i processi di  mobilita'  (quinto
 comma) avvengano sentite le regioni interessate.
    Restano  assorbiti  i  profili  di  censura  relativi  agli  altri
 parametri invocati.
    5.  -  I  commi  secondo, terzo, quarto e quinto dell'art. 5 della
 legge n. 554 del 1988 sono poi  censurati  dalle  Regioni  Liguria  e
 Veneto   sotto   l'aspetto   della   lesione   della  loro  autonomia
 finanziaria,  in  riferimento  agli  artt.  81,  117  e   119   della
 Costituzione.  Si  sostiene, in particolare, che dette norme incidono
 sulle  decisioni  in  ordine   alla   distribuzione   delle   risorse
 finanziarie  regionali,  determinando  - nel caso in cui prevedono la
 destinazione alle regioni di personale di provenienza  extraregionale
 -  un  incremento  dell'importo  globale  delle  spese a carico delle
 regioni stesse, senza dotarle dei mezzi finanziari necessari.
    A  sua  volta  la  Regione  Toscana  impugna i soli commi quarto e
 quinto  dell'art.  5  in  riferimento  agli  artt.  3  e   97   della
 Costituzione, rilevando che il mancato trasferimento alle regioni dei
 fondi occorrenti al  trattamento  economico  del  personale  ad  esse
 destinato  viola  il principio di uguaglianza - in relazione a quanto
 viceversa e' previsto nell'art. 1, quarto comma, della  stessa  legge
 per  gli  enti  locali  -  e  quello  di  buon andamento degli uffici
 regionali.
    Va  premesso,  in  primo luogo, che anche le censure riferite agli
 artt. 3, 81  e  97  della  Costituzione,  pur  attinendo  a  precetti
 costituzionali   collocati  al  di  fuori  del  titolo  quinto  della
 Costituzione  stessa,   possono,   cosi'   come   prospettate   dalle
 ricorrenti,   ritenersi   ammissibili,   in   quanto  finalizzate  al
 ripristino dell'integrita' delle proprie competenze, che si  assumono
 illegittimamente lese (cfr. sentt. nn. 64 del 1987 e 302 del 1988).
    Va,  inoltre, precisato, in ordine a tutte le esposte censure, che
 queste, cosi' come sono motivate, sono chiaramente riferite - e vanno
 quindi  circoscritte  - al solo quinto comma dell'art. 5, rispetto al
 quale soltanto, d'altra parte, appare in  astratto  configurabile  la
 lesione di competenza lamentata dalle ricorrenti.
    Cio' posto, le questioni non sono fondate.
    In primo luogo, va rilevato che la necessaria partecipazione della
 regione alle procedure  in  discussione  (introdotta  dalla  presente
 pronuncia),  sia  pure  nella  forma della consultazione, costituisce
 gia' di per se' uno strumento di tutela anche della propria autonomia
 finanziaria.
    E'  poi  decisivo  osservare  che  la destinazione di personale di
 provenienza extraregionale a copertura dei posti rimasti non  coperti
 all'esito  della  mobilita' infraregionale, senza che sia prevista la
 corresponsione da parte dello Stato dei mezzi  finanziari  occorrenti
 al  trattamento  economico  di detto personale, non lede alcuna delle
 invocate disposizioni costituzionali in tema di autonomia finanziaria
 regionale,  in quanto si tratta di posti previsti negli organici e di
 cui la  regione  ha  comunicato  la  avvenuta  non  copertura  (fermo
 rimanendo,  come  gia'  detto,  il  potere regionale di modificare le
 piante organiche) e, quindi, di posti per i quali deve ritenersi  che
 la  regione  avrebbe  dovuto procedere in ogni caso all'assunzione di
 personale: deve, pertanto, concludersi che le  spese  in  discussione
 costituiscono spese proprie della regione.
    Ne',  infine, e' invocabile il principio di eguaglianza rispetto a
 quanto e' previsto nel quarto comma dell'art. 1 con riferimento  agli
 enti  locali,  non  essendo  evidentemente  paragonabile,  quanto  ai
 rapporti con lo Stato, anche in  materia  finanziaria,  la  posizione
 delle regioni a quella degli enti locali (province, comuni ecc.).
    6.1.  -  Formano  oggetto  di  impugnazione da parte delle Regioni
 Veneto ed Emilia-Romagna anche alcune disposizioni dell'art. 1  della
 legge  in  esame,  in  via autonoma o in connessione con disposizioni
 dell'art. 5, gia' esaminate.
    In primo luogo, la Regione Veneto censura i commi quarto, quinto e
 sesto dell'art. 1: essi, nella parte  in  cui  subordinano  le  nuove
 assunzioni  presso  le  unita'  sanitarie  locali  (nella percentuale
 consentita) alla previa attuazione della mobilita'  facendo  salvi  i
 concorsi  le cui prove siano gia' iniziate alla data del 30 settembre
 1988 e le assunzioni in  deroga  gia'  concesse  dalle  regioni  alla
 medesima  data,  violano, ad avviso della ricorrente, gli artt. 117 e
 118  della  Costituzione  (anche  in  relazione  all'art.   3   della
 Costituzione  stessa),  in  quanto  ledono  l'autonomia organizzativa
 regionale in  materia  sanitaria  e  vanificano  irrazionalmente  con
 effetto retroattivo scelte programmatiche gia' effettuate.
    La questione non e' fondata.
    Ribadito  anche  in questo caso quanto sopra detto (v. punto 3) in
 ordine   all'interesse   nazionale   che   deve    ritenersi    posto
 legittimamente  a  base della legge n. 554 del 1988, non puo' esservi
 dubbio che il criterio della residualita' delle  assunzioni  rispetto
 alle operazioni di mobilita', contenuto nel quarto comma dell'art. 1,
 rivesta  una  particolare  importanza  e   costituisca   una   misura
 (peraltro, sia pure con modalita' diverse, gia' prevista nell'art. 24
 della legge finanziaria 1988,  le  cui  disposizioni  in  gran  parte
 cessano di avere applicazione dal 1› gennaio 1989, ai sensi dell'art.
 2, comma quinto, della legge n. 554) perfettamente logica e  coerente
 con le finalita' che la legge in esame intende perseguire.
    In  merito  alla  "retroattivita'" al 30 settembre 1988 del blocco
 delle assunzioni, va in primo luogo rilevato che le  disposizioni  di
 cui  ai  commi  quinto e sesto in esame sono frutto di emendamenti al
 testo originario (approvati in commissione  alla  Camera),  il  quale
 prevedeva  che  potessero  effettuarsi  assunzioni  per posti messi a
 concorso per i quali fosse stata formata  la  graduatoria  di  merito
 entro  il  31 dicembre 1988, e nulla disponeva, d'altra parte, quanto
 alle unita' sanitarie locali. Cio' posto, deve ritenersi  che  l'aver
 fissato  l'inizio  del  periodo  di  moratoria  ad  una  data di poco
 anteriore  all'entrata  in  vigore  della   legge   rientrava   nella
 discrezionalita'  del  legislatore  al  fine di contemperare esigenze
 diverse, tanto piu' che tale data volutamente e' fatta coincidere con
 quella  di presentazione del disegno di legge alla Camera, e non puo'
 di  per  se'  costituire  una  illegittima  lesione   di   competenze
 regionali.
    Quanto,  poi,  alla impossibilita', lamentata dalla ricorrente, di
 far fronte ad eventuali urgenti necessita'  di  personale  presso  le
 unita'  sanitarie  locali,  va  osservato, come sostiene l'Avvocatura
 dello Stato, che le regioni possono sempre far ricorso agli  istituti
 previsti  in via generale nel rapporto di pubblico impiego proprio al
 fine di sopperire ad esigenze impreviste e transitorie.
    6.2. - La Regione Emilia-Romagna impugna il quarto comma dell'art.
 1, in relazione ai commi quarto e quinto dell'art. 5, per  violazione
 dell'art.   119   della   Costituzione,  in  quanto  non  prevede  la
 corresponsione alle regioni dei  fondi  necessari  ad  assicurare  il
 trattamento  economico  del personale ad esse eventualmente destinato
 in attuazione della mobilita'.
    La  questione  e'  infondata per gli stessi motivi gia' illustrati
 nel punto 5,  in  ordine  alle  censure,  sostanzialmente  identiche,
 prospettate dalle altre ricorrenti avverso i predetti commi dell'art.
 5.
    6.3.  -  Parimenti  non fondata e' l'ulteriore questione sollevata
 dalla Regione Emilia-Romagna avverso il combinato disposto del quarto
 comma  dell'art. 1 e del terzo comma dell'art. 5, in riferimento agli
 artt. 117 e 118 della Costituzione, per violazione dei  limiti  entro
 cui puo' legittimamente esplicarsi la funzione statale di indirizzo e
 coordinamento.
    La censura non presenta un'autonomia sostanziale rispetto ad altre
 gia' esaminate e dichiarate non fondate (v. punti 3 e 6.1).
    7.  -  Da  ultimo,  la  Regione  Emilia-Romagna  prospetta  in via
 subordinata questione di legittimita' costituzionale del primo  comma
 dell'art.  5 (in relazione ai successivi commi dello stesso articolo)
 e del primo comma dell'art. 2 della legge n. 554, in riferimento agli
 artt.  117  e  118 della Costituzione, qualora siano da interpretarsi
 nel senso della mancata previsione in capo alle regioni del potere di
 deroga relativamente al personale regionale.
    La  questione  non  e' fondata in quanto, come riconosce la stessa
 Avvocatura dello Stato,  il  silenzio  della  legge  non  puo'  certo
 interpretarsi  nel  senso  sia  pur dubitativamente prospettato dalla
 ricorrente.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
      a)  dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, primo
 comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554 (Disposizioni in  materia
 di pubblico impiego), nella parte in cui prevede che le assunzioni in
 deroga per le unita' sanitarie locali e per  gli  enti  pubblici  non
 economici  dipendenti  dalle  regioni sono disposte con provvedimenti
 "della giunta regionale", anziche' "della regione";
      b)  dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, quarto
 e quinto comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, nella parte  in
 cui  rispettivamente  non prevedono che la collocazione del personale
 dipendente dagli enti di cui al comma primo  ed  eventualmente  dalle
 stesse  regioni,  risultato  in  esubero  e non reimpiegato in ambito
 regionale per carenza dei relativi posti, e la  copertura  dei  posti
 degli  enti  medesimi  e  delle  stesse  regioni,  relativi a profili
 professionali non coperti con  i  processi  di  mobilita',  avvengano
 sentite le regioni interessate;
      c)   dichiara   non   fondata   la   questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 5, secondo e terzo  comma,  della  legge  29
 dicembre  1988, n. 554, sollevata, in riferimento agli artt. 115, 117
 e  118   della   Costituzione,   dalle   Regioni   Liguria,   Veneto,
 Emilia-Romagna e Toscana con i ricorsi indicati in epigrafe;
       d)   dichiara   non   fondata   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 5, secondo, terzo, quarto  e  quinto  comma,
 della  legge 29 dicembre 1988, n. 554, sollevata, in riferimento agli
 artt. 81, 117 e 119  della  Costituzione,  dalle  Regioni  Liguria  e
 Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe;
      e)   dichiara   non   fondata   la   questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 5, quarto e quinto  comma,  della  legge  29
 dicembre  1988,  n.  554, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97
 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato  in
 epigrafe;
      f)   dichiara   non   fondata   la   questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, quarto, quinto e sesto comma, della legge
 29  dicembre 1988, n. 554, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e
 118  della  Costituzione,  anche  in  relazione  all'art.   3   della
 Costituzione,  dalla  Regione  Veneto  con  il  ricorso  indicato  in
 epigrafe;
      g)   dichiara   non   fondata   la   questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, quarto comma,  della  legge  29  dicembre
 1988,  n.  554, in relazione all'art. 5, quarto e quinto comma, della
 stessa  legge,  sollevata,  in   riferimento   all'art.   119   della
 Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in
 epigrafe;
      h)   dichiara   non   fondata   la   questione  di  legittimita'
 costituzionale degli artt. 1, quarto comma, e 5, terzo  comma,  della
 legge  29 dicembre 1988, n. 544, sollevata, in riferimento agli artt.
 117 e 118 della Costituzione, dalla  Regione  Emilia-Romagna  con  il
 ricorso indicato in epigrafe;
      i)   dichiara   non   fondata   la   questione  di  legittimita'
 costituzionale degli artt. 5, primo comma,  in  relazione  al  terzo,
 quarto  e quinto comma dello stesso articolo, e 2, primo comma, della
 legge 29 dicembre 1988, n. 554, sollevata,  in  via  subordinata,  in
 riferimento  agli  artt.  117 e 118 della Costituzione, dalla Regione
 Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  Sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 6 luglio 1989.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: FERRI
                        Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 18 luglio 1989.
                        Il cancelliere: DI PAOLA
 89C0835