N. 407 SENTENZA 6 - 18 luglio 1989
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. regionale anziche' alla regione - Illegittimita' costituzionale parziale. (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, art. 5, primo comma). (Cost., artt. 117 e 123). (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, art. 5, quarto e quinto comma). (Cost., art. 117). Pubblico impiego - Unita' sanitarie locali, enti pubblici non economici dipendenti dalle regioni e regioni - Personale Obbligo per le regioni di attivare le procedure di mobilita' Non e' violata l'autonomia regionale - Non fondatezza della questione. (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, art. 5, secondo e terzo comma). (Cost., artt. 115, 117 e 118). Pubblico impiego - Unita' sanitarie locali, enti pubblici non economici dipendenti dalle regioni e regioni - Personale in esubero non reimpiegato in ambito regionale - Posti degli stessi enti relativi a profili professionali non coperti con i processi di mobilita' - Obbligo per le regioni di attivare le procedure di mobilita' - Non e' violata l'autonomia finanziaria delle regioni - Non fondatezza della questione. (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, art. 5, secondo, terzo, quarto e quinto comma). (Cost., artt. 3, 97, 81, 117 e 119). Pubblico impiego - Unita' sanitarie locali - Personale - Nuove assunzioni - Assunzioni in deroga gia' concesse dalle regioni alla data del 30 settembre 1988 - Subordinazione alla previa attuazione della mobilita' - Non e' violata l'autonomia organizzativa delle regioni - Non fondatezza della questione. (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, art. 1, quarto, quinto e sesto comma). (Cost., artt. 3, 117 e 118). Pubblico impiego - Unita' sanitarie locali - Personale - Nuove assunzioni - Assunzioni in deroga gia' concesse dalle regioni alla data del 30 settembre 1988 - Subordinazione alla previa attuazione della mobilita' - Mancata previsione della corresponsione alla regione di fondi necessari ad assicurare il trattamento economico spettante al personale destinato in attuazione della mobilita' - Non fondatezza della questione. (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, art. 1, quarto comma). (Cost., art. 119). Pubblico impiego - Unita' sanitarie locali ed enti pubblici non economici dipendenti dalla regione - Personale - Censura basata su errata interpretazione della normativa - Questione sollevata in via subordinata - Non fondatezza. (Legge 29 dicembre 1988, n. 554, artt. 5, primo comma, in relazione al terzo comma, stesso articolo, e 2, primo comma). (Cost., artt. 117 e 118).(GU n.30 del 26-7-1989 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Francesco SAJA; Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1, commi quarto, quinto e sesto, 2 e 5 della legge 29 dicembre 1988, n. 554 (Disposizioni in materia di pubblico impiego), promossi con ricorsi delle Regioni Liguria, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, notificati il 31 gennaio e il 1 febbraio 1989, depositati in cancelleria il 7 e l'8 febbraio 1989 ed iscritti ai nn. 5, 6, 7 e 8 del registro ricorsi 1989; Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica dell'11 aprile 1989 il Giudice relatore Mauro Ferri; Uditi gli avvocati Giuseppe Pericu per le Regioni Liguria e Veneto, Fabio Lorenzoni per la Regione Emilia-Romagna, Calogero Narese per la Regione Toscana e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso notificato il 1 febbraio 1989, la Regione Liguria ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, commi dal primo al quinto, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, recante "Disposizioni in materia di pubblico impiego". Tale legge - premette la ricorrente - stabilisce, tra l'altro, alcune limitazioni alle assunzioni di personale presso un gran numero di strutture pubbliche, affermando in generale il principio della priorita' dell'attuazione della disciplina della mobilita' sancita dal d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325. L'art. 5 della legge si occupa del personale delle regioni, delle unita' sanitarie locali e degli enti pubblici non economici dipendenti dalle regioni: piu' precisamente esso prescrive che le assunzioni in deroga siano disposte, per il personale sanitario e degli enti dipendenti, con provvedimento della giunta regionale (primo comma); che le unita' sanitarie locali e gli enti dipendenti dalle regioni abbiano l'obbligo di comunicare alle rispettive regioni le carenze di organico e gli esuberi con le modalita' di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sopra ricordato (secondo comma); che le regioni debbano provvedere ad attivare i processi di mobilita' tra il proprio personale, quello degli enti dipendenti e quello delle unita' sanitarie locali sulla base della corrispondenza di cui all'art. 4, comma 3, del gia' richiamato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi del quale le corrispondenze sono dichiarate dal Dipartimento della funzione pubblica in sede di pubblicazione delle vacanze, sentite le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale (terzo comma); che l'elenco del personale esuberante non reimpiegato in ambito regionale per carenza di posti sia comunicato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per la ricollocazione a norma del d.P.C.M. n. 325 del 1988 (quarto comma); che i posti non coperti con i processi di mobilita' in ambito regionale siano comunicati alla Presidenza del Consiglio dei ministri, per l'eventuale copertura con personale di provenienza extraregionale, sempre ai sensi del d.P.C.M. n. 325 del 1988 (quinto comma). Tutto cio' premesso, la Regione ricorrente svolge, in particolare, le seguenti argomentazioni: a) Il primo comma dell'art. 5 viola gli artt. 117 e 123 Cost., in quanto, attribuendo la competenza a disporre le assunzioni in deroga nell'ambito delle unita' sanitarie locali e degli enti pubblici dipendenti dalle regioni a "provvedimenti della giunta regionale", esorbita dai limiti propri della legislazione di principio e invade la stessa materia statutaria, dato che non spetta certamente allo Stato ripartire le attribuzioni tra gli organi regionali. b) I commi secondo, terzo, quarto e quinto dell'art. 5 violano gli artt. 115, 117 e 118 Cost., in quanto assoggettano le regioni all'obbligo di attivare le procedure di mobilita', in palese contrasto con l'autonomia spettante alle regioni in materia di organizzazione dei propri uffici e di quelli degli enti dipendenti. Richiamate le sentenze di questa Corte nn. 307 del 1983 e 245 del 1984, con le quali fu dichiarata l'illegittimita' di norme che riservavano allo Stato l'adozione di provvedimenti derogatori del blocco degli organici, la ricorrente rileva che l'art. 5 in esame formalmente ostenta di rispettare l'insegnamento giurisprudenziale con il comma introduttivo, che (a prescindere dalla precisazione censurata sub a) riconosce la competenza regionale a disporre le assunzioni in deroga negli enti dipendenti e nelle unita' sanitarie locali. Tuttavia, nelle successive proposizioni, l'apparente ossequio viene annullato con l'imposizione dei processi di mobilita' persino al personale regionale. Ne' ad attenuare la gravita' della lesione dell'autonomia cosi' prodotta vale il fatto che, per quanto concerne il personale delle regioni, sono queste ultime a determinare, con il riscontro di situazioni di esubero o di carenza, la premessa dell'attivazione delle procedure. Anche la decisione di far luogo ad un'assunzione in deroga e' infatti necessariamente preceduta dal riconoscimento di una condizione di carenza; ma tale riconoscimento e' solo l'antecedente logico di quel giudizio di comparazione con altre esigenze (da cui scaturisce la decisione in merito all'assunzione) che, secondo l'insegnamento di questa Corte, non puo' essere sottratto alla regione. Per contro le norme impugnate pretendono di sottrarre alle regioni il dominio dell'organizzazione del proprio personale, ricollegando alla semplice ricognizione di situazioni obiettive di carenza o di esubero l'avvio di movimenti di personale svincolati da ulteriori valutazioni regionali. Le norme censurate violano gli indicati parametri costituzionali, prosegue la ricorrente, anche per l'ulteriore ragione che, pur vertendo in materia di competenza "propria" delle regioni, disciplinano - soprattutto mediante il rinvio al d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325 - l'intera materia della mobilita', senza lasciar spazi alla competenza normativa ed amministrativa regionale. Per di piu', il richiamo al d.P.C.M. n. 325/88 viene costantemente completato con il richiamo alle "successive eventuali modificazioni dello stesso", cosi' determinando una permanente sottoposizione delle regioni ad un potere regolamentare del Presidente del Consiglio dei ministri, privo di limiti e sfornito del benche' minimo fondamento giuridico; c) I commi dal secondo al quinto dell'art. 5 violano, poi, prosegue la Regione Liguria, anche gli artt. 81, 117 e 119 Cost., per lesione dell'autonomia regionale sotto il profilo delle scelte nell'allocazione delle risorse finanziarie. E', infatti, indubbio che disporre in merito all'entita' delle dotazioni di personale di strutture pubbliche equivale ad operare scelte nella destinazione di mezzi finanziari, tant'e' vero che l'art. 1, quarto comma, della legge in questione assicura agli enti locali destinatari di personale sottoposto a mobilita' i fondi relativi al corrispondente trattamento economico. Nella fattispecie le norme impugnate si sono spinte sino a predisporre le condizioni di un incremento dell'importo globale delle spese per personale a carico delle regioni, senza dotare le stesse regioni dei mezzi finanziari conseguentemente necessari. 2. - Con ricorso notificato il 1 febbraio 1989, la Regione Veneto ha sollevato, a sua volta, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, commi quarto, quinto e sesto, e 5, commi dal primo al quinto, della legge n. 554 del 1988. Dopo aver svolto, quanto all'art. 5, argomentazioni identiche a quelle della Regione Liguria, la ricorrente censura gli indicati commi dell'art. 1 per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., anche in relazione all'art. 3 Cost. Le norme sono impugnate nella parte in cui subordinano le assunzioni consentite alle unita' sanitarie locali alla previa attuazione della disciplina della mobilita' (quarto comma); vietano le assunzioni conseguenti a concorsi le cui prove siano iniziate dopo il 30 settembre 1988 (quinto comma); e privano di efficacia le autorizzazioni ad assunzioni in deroga rilasciate alle unita' sanitarie locali dopo la medesima scadenza del 30 settembre 1988 (sesto comma). Tali disposizioni, ad avviso della ricorrente, pur se destinate ad essere travolte dalla dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 5, sono, comunque, di per se' illegittime, in quanto l'imposizione di un regime di blocco delle assunzioni inderogabile a carico delle unita' sanitarie locali, fino all'espletamento di procedure particolarmente complesse, in un contesto contraddistinto da un generale riconoscimento di un potere di deroga per speciali necessita', appare irragionevole ed indebitamente limitativa delle competenze regionali. Ancor piu' irragionevole e', poi, la retroattivita' attribuita all'irrigidimento del blocco, sancita dai commi quinto e sesto, la quale, comportando l'annullamento di scelte programmatorie regionali che gia' avevano ricevuto esecuzione, si pone in irriducibile contrasto con l'autonomia organizzativa delle regioni in materia sanitaria. 3. - Con ricorso notificato il 31 gennaio 1989, la Regione Emilia-Romagna ha anch'essa sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5, secondo, terzo, quarto e quinto comma, 1, quarto comma e, in subordine, 5, primo comma, e 2 della legge n. 554 del 1988, in riferimento agli artt. 97, 117, 118, 119 e 123 Cost. In particolare, la ricorrente svolge, nell'ordine, le seguenti censure: a) I commi secondo e terzo dell'art. 5, in connessione con il quarto comma dell'art. 1, violano gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto, pur se la disciplina appare formalmente riconducibile alla funzione statale di indirizzo e coordinamento, il contenuto sostanziale di essa, imponendo alle regioni una serie di disposizioni rigidamente predeterminate ad opera di un organo governativo, si risolve in una invasione dell'autonomia regionale in materia di ordinamento degli uffici e disciplina del relativo personale; b) I commi quarto e quinto dell'art. 5 violano gli artt. 117, 97 e 123 Cost. Dopo aver svolto argomentazioni sostanzialmente identiche a quelle di cui ai ricorsi gia' esaminati, la ricorrente pone particolarmente in luce che la disciplina in questione offre la possibilita' a personale proveniente da Amministrazioni extra-regionali di coprire le vacanze rilevate in ambito regionale, con palese lesione del potere politico-amministrativo ed amministrativo delle regioni in materia di organizzazione dei propri uffici, e con violazione anche del principio del buon andamento degli uffici regionali; c) Il quarto comma dell'art. 1, in relazione ai commi quarto e quinto dell'art. 5, viola l'art. 119 Cost., in quanto non prevede la corresponsione alle regioni dei fondi necessari ad assicurare il trattamento economico del personale delle Amministrazioni pubbliche sottoposto a mobilita' verso le regioni stesse; d) Il primo comma dell'art. 5 viola l'art. 123 Cost., anche in relazione agli artt. 7 e 24 dello Statuto regionale, per i motivi gia' esposti nei ricorsi sopra esaminati; e) Il quarto comma dell'art. 1 e il terzo comma dell'art. 5 violano gli artt. 117 e 118 Cost., nonche' l'art. 3 della legge n. 382 del 1975 sulla funzione di indirizzo e coordinamento, in quanto, recependo integralmente le disposizioni contenute nel d.P.C.M. n. 325/88 sulla mobilita', non lasciano spazio all'ulteriore normazione regionale e violano pertanto i limiti entro cui puo' legittimamente esplicarsi la funzione di indirizzo e coordinamento. Le norme censurate sono poi illegittime anche perche' prescindono totalmente da qualsiasi collegamento con quanto stabilito dagli accordi intercompartimentali, in contrasto con i principi della legge-quadro sul pubblico impiego: f) Infine, in via subordinata, il primo comma dell'art. 5, in relazione al terzo, quarto e quinto comma dello stesso articolo, e il primo comma dell'art. 2 violano gli artt. 117 e 118 Cost., se e in quanto dalla loro interpretazione dovesse evincersi la mancata previsione in capo alle regioni del potere di deroga con riferimento al personale regionale. Il primo comma dell'art. 2, infatti, conclude la ricorrente, prevede il potere del Presidente del Consiglio dei ministri di autorizzare, ricorrendo effettive, motivate e documentate esigenze, ulteriori assunzioni in deroga, ma nulla la norma dispone esplicitamente con riferimento alle regioni: potrebbe, pertanto, ritenersi che anche per il personale regionale vi sia una generale soggezione, quanto al potere derogatorio, ai parametri stabiliti dall'organo governativo. 4. - Con ricorso notificato il 31 gennaio 1989, anche la Regione Toscana solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, commi dal primo al quinto, della legge n 554 del 1988, in riferimento agli artt. 3, 97, 117 e 123 Cost. In particolare: a) il primo comma dell'art. 5 viola l'art. 123 Cost., in relazione allo Statuto regionale, per i motivi gia' esposti nei ricorsi sopra esaminati; b) il secondo ed il terzo comma dell'art. 5 violano l'art. 117 Cost. in quanto impongono alle regioni l'obbligo di attivare la mobilita' del personale, cosi' incidendo in materia riservata alla legge regionale; ne' sussiste nella specie un interesse nazionale cosi' pressante da eliminare ogni potere delle regioni; c) il quarto e il quinto comma dell'art. 5 violano anch'essi l'art. 117 Cost., in quanto dispongono l'applicazione del d.P.C.M. n. 325/88 agli esuberi e alle carenze del personale delle regioni, ovvero degli enti da esse dipendenti, ovvero delle unita' sanitarie locali nell'ambito regionale; d) il quarto e il quinto comma dell'art. 5, infine, violano anche gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto, nell'ipotesi che fosse ritenuta legittima l'attribuzione al Presidente del Consiglio del potere di adottare i provvedimenti ivi previsti, si determinerebbe una violazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza e buon andamento, per il contrasto con quanto previsto dall'art. 1, quarto comma, della legge stessa: mentre, infatti, quest'ultima norma provvede a trasferire agli enti locali, presso i quali sia destinato personale, i fondi necessari, nulla dispongono le norme censurate quanto al personale eventualmente destinato alle regioni o agli enti da esse dipendenti. 5. - Si e' costituito in tutti i giudizi, con atti in gran parte identici, il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'infondatezza delle questioni sollevate. In particolare, l'Avvocatura dello Stato deduce quanto segue: a) Quanto alla censura concernente il primo comma dell'art. 5, essa, ad avviso dell'Avvocatura, si dimostra sfornita di sostanziale fondamento in quanto le assunzioni di nuovo personale "in deroga" ai limiti fissati (nell'art. 1) possono essere disposte solo in casi di comprovate esigenze e con rispetto, altresi', dei limiti derivanti dagli atti di indirizzo e coordinamento emanati ( ex art. 9 legge n. 130/1983) ovvero imposti dagli stanziamenti di bilancio. Ne segue linearmente - con il carattere, appunto, provvedimentale dell'autorizzazione in deroga e la pressocche' totale carenza d'ogni apprezzabile margine di discrezionalita' nelle inerenti valutazioni - la sicura pertinenza dell'atto alla sfera di attribuzioni tipiche che l'art. 121 Cost. conferisce alla giunta, secondo criterio che, ragionevolmente, non avrebbe potuto non essere osservato nel riparto di competenze che ciascuna regione avesse dovuto effettuare; b) In ordine alle censure relative ai commi dal secondo al quinto dell'art. 5, per violazione dell'autonomia organizzativa e finanziaria delle regioni, l'Avvocatura premette, innanzitutto, che il principio della mobilita' e' enunciato nell'art. 19 della legge-quadro sul pubblico impiego (cui e' stata riconosciuta portata di riforma economico-sociale) e che il d.P.C.M. n. 325 del 1988 costituisce atto di indirizzo e coordinamento (art. 10) per le regioni e gli enti da esse dipendenti: cio' gia' e' sufficiente ad escludere che l'assoggettamento delle regioni al dovere di attuare il principio della mobilita' possa, di per se', costituire indebita compressione dell'autonomia regionale di cui all'art. 117 Cost. Quanto alle modalita' di attuazione della mobilita', di cui al richiamato d.P.C.M. n. 325/88, non pare, ad avviso dell'Avvocatura, che possa sussistere difficolta' alcuna a riconoscere che, legittima la predeterminazione dei criteri di individuazione degli esuberi presso le unita' sanitarie locali (in ragione della peculiare posizione di tali strutture e del relativo personale, gia' altre volte sottolineata dalla Corte), nessuna interferenza puo' ravvisarsi con le competenze regionali in materia di organizzazione d'uffici e di personale dipendente, anche perche' il richiamo alle "modalita'" di comunicazione (delle situazioni di carenza e di esubero) deve intendersi circoscritto alle disposizioni dell'art. 3, comma secondo, del d.P.C.M. 325/1988, cioe' a forme di dettagliata descrizione dell'"esistente" che, obbedendo a razionali e generalizzati criteri di rappresentazione dello stato del personale, non suonano certo come arbitraria compressione di un ambito di autonomia in ipotesi suscettibile d'esplicarsi. In merito, poi, ai commi quarto e quinto dell'art. 5, l'Avvocatura rileva che ove si rifletta che, eccezione fatta per la gia' segnalata peculiarita' delle unita' sanitarie locali, la determinazione degli esuberi e' lasciata alla valutazione delle stesse regioni, cui pure e' rimesso il reimpiego della "forza" in ambito locale, non si riesce a scorgere in qual modo il collocamento del personale eccedente, attraverso atto della Presidenza del Consiglio, presso altre Amministrazioni (anche regionali, ma ovviamente diverse da quella d'origine) si risolva in invasione dell'autonomia della regione che, segnalato l'esubero, functa est munere suo senza essere tenuta ad altro. D'altro canto, il denunciato quinto comma prevede - bensi' - la copertura delle vacanze nei ruoli regionali (col personale in esubero presso altre Amministrazioni, anche regionali) ma solo "ove possibile". Tale parentetica e, tuttavia, esplicita avvertenza esclude, di per se', qualsiasi automatismo d'effetti, dovendo invero l'inciso intendersi riferito non gia' alle modalita' d'assegnazione del personale, bensi' alla copertura stessa delle riscontrate vacanze nei ruoli regionali. Ad orientare in tal senso l'interprete depone, infatti, la considerazione che se la posta limitazione - espressa con le parole "ove possibile" - fosse da riferire alla osservanza delle modalita' di assegnazione del personale indicate nell'art. 4 del d.P.C.M., risulterebbe priva di significato concreto la successiva salvezza fatta di eventuali modificazioni introdotte allo stesso d.P.C.M. Il dettato della norma e', quindi, ancora aperto ad ulteriori specificazioni e non e' esclusa la possibilita' che ai provvedimenti presidenziali di copertura si faccia luogo ad esito di previe intese con le regioni interessate. Infine, circa l'asserita indebita compressione dell'autonomia finanziaria, l'Avvocatura rileva che, poiche' ad un flusso di personale verso le regioni potra' farsi luogo solo "ove possibile" e "a copertura dei posti" rimasti vacanti, deve escludersi che da simile mobilita' possano derivare maggiori spese rispetto a quelle che nell'esercizio della propria autonomia finanziaria ciascuna regione abbia preventivato in bilancio; c) In ordine alla censura relativa all'art. 1, commi quarto, quinto e sesto, l'Avvocatura dello Stato osserva che la subordinazione di ogni nuova assunzione, nelle percentuali consentite, alla previa attuazione della disciplina della mobilita' non ha nulla di irrazionale, apparendo - piuttosto - una coerente e logica misura rispetto all'esigenza di economica utilizzazione del personale, altrove esuberante, cui si prefigge di portare soddisfazione il principio in discorso. Piu' in particolare, poi, la previsione di cui al sesto comma dell'art. 1, comportante la salvezza delle assunzioni autorizzate a tutto il 30 settembre 1988, induce a ritenere contenuta a sporadici casi la paventata insorgenza di eccezionali situazioni d'urgente necessita' di personale, pur sempre fronteggiabili con ricorso ad istituti propri del rapporto d'impiego (come il distacco) capaci di sopperire transitoriamente ad esigenze impreviste, cosi' da togliere ogni spessore di concretezza al rischio profilato ex adverso come indice di irragionevolezza della norma. Analogo ordine di considerazioni vale a dimostrare la infondatezza della denuncia mossa al quinto comma dell'art. 1, col quale sono state sottratte ad ogni condizione le assunzioni per posti oggetto di procedure di concorso per le quali le prove risultassero iniziate alla data del 30 settembre 1988. Anche qui, infatti, la disciplina di legge deve riconoscersi ubbidiente a criteri di ragionevolezza, oltre che di adeguato contemperamento di diverse esigenze; d) In merito alla doglianza prospettata in via subordinata dalla Regione Emilia-Romagna, l'Avvocatura osserva che il silenzio della legge basta a relegare nell'ambito della irrealta' la prospettata ipotesi interpretativa e a dimostrare, percio', l'infondatezza della denuncia. 6. - Nell'imminenza dell'udienza hanno depositato memorie aggiuntive le Regioni Liguria, Veneto e Toscana, contestando le argomentazioni svolte dall'Avvocatura dello Stato ed insistendo per l'accoglimento delle questioni sollevate. Considerato in diritto 1. - I quattro ricorsi indicati in epigrafe sollevano questione di legittimita' costituzionale di varie norme della legge 29 dicembre 1988, n. 554; trattandosi di questioni identiche o strettamente connesse, i relativi giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza. 2. - Tutte le ricorrenti censurano innanzitutto il primo comma dell'art. 5 della legge n. 554 del 1988, in riferimento agli artt. 123 e - limitatamente alle Regioni Liguria e Veneto - anche 117 della Costituzione: la norma, individuando nella giunta regionale l'organo competente a disporre le assunzioni in deroga per le unita' sanitarie locali e per gli enti pubblici non economici dipendenti dalle regioni, ad avviso delle ricorrenti invaderebbe una materia riservata agli statuti regionali ed esorbiterebbe dai limiti di una legislazione di principio. La questione e' fondata sotto l'assorbente profilo della violazione dell'art. 123 della Costituzione. Non vi e' dubbio, infatti, che la ripartizione delle competenze tra i vari organi regionali rientra, salvo ovviamente il rispetto dell'art. 121 della Costituzione, nella materia "organizzazione interna della regione", che la Costituzione riserva allo statuto regionale. Questa Corte, in una precedente occasione (v. sent. n. 64 del 1987), con riferimento ad una disposizione sostanzialmente identica a quella ora impugnata, ritenne la questione non fondata interpretando la norma nel senso che essa si limitava "a indicare l'organo competente alla generalita' dei provvedimenti amministrativi, secondo la maggior parte degli Statuti, senza escludere, dunque, la competenza (anche sull'oggetto) di altri organi regionali, che fosse prevista in via generale da singoli Statuti". Ma, in primo luogo, va rilevato che non era stato allora invocato l'art. 123 della Costituzione; ed inoltre la Corte ritiene che sia ora necessario pervenire alla dichiarazione di illegittimita' della norma in esame, anche ad evitare che in futuro si riproducano disposizioni analoghe, le quali certamente non rispondono a criteri di rigorosa conformita' al dettato costituzionale, dando cosi' luogo ad occasioni di contenzioso tra lo Stato e le regioni. Va, pertanto, dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, primo comma, della legge n. 554 del 1988, nella parte in cui prevede che le assunzioni in deroga per le unita' sanitarie locali e per gli enti pubblici non economici dipendenti dalle regioni sono disposte con provvedimenti "della giunta regionale", anziche' "della regione". 3. - Il secondo e il terzo comma dell'art. 5 della legge in esame sono anch'essi impugnati da tutte le ricorrenti, in riferimento agli artt. 115, 117 e 118 della Costituzione. Secondo le ricorrenti le norme indicate, nell'assoggettare le regioni all'obbligo di attivare le procedure di mobilita' tra il personale delle regioni stesse, degli enti pubblici non economici da esse dipendenti e delle unita' sanitarie locali (salvo, per queste ultime, il personale di cui al decreto legge 8 febbraio 1988, n. 27, convertito con modificazioni in legge 8 aprile 1988, n. 109), e nel fare riferimento al d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325 e alle successive eventuali modificazioni dello stesso, ledono l'autonomia regionale in materia di organizzazione dei propri uffici e di quelli degli enti dipendenti e superano i limiti imposti alla funzione statale di indirizzo e coordinamento, non lasciando alcuno spazio alla competenza regionale. La questione non e' fondata. Il principio della mobilita' del personale del pubblico impiego fu introdotto con l'art. 19 della legge quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, n. 93, le cui disposizioni costituiscono per le regioni a statuto ordinario principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione (art. 1) e la cui natura di grande riforma economico-sociale fu riconosciuta da questa Corte, con la sentenza n. 219 del 1984, proprio considerando i principi da essa desumibili, fra i quali, appunto, quello della mobilita'. Successivamente, l'attuazione concreta del principio e' stata avviata disponendo che le pubbliche amministrazioni individuassero e definissero previamente i carichi funzionali di lavoro al fine di determinare le dotazioni organiche a livello territoriale: art. 6 del d.P.R. 1 febbraio 1986, n. 13 e art. 12 del d.P.R. 23 agosto 1988, n. 395. L'art. 13 di quest'ultimo decreto prevede che le disposizioni di cui al precedente art. 12 costituiscono linee di indirizzo e coordinamento per le regioni a statuto ordinario e per le autonomie territoriali. Con il d.P.C.M. 5 agosto 1988, n. 325, poi, si e' inteso - sulla base della previsione legislativa di cui all'art. 24, commi 2, 17, 18 e 19, della legge 11 marzo 1988, n. 67 (legge finanziaria 1988) - in attesa della determinazione delle dotazioni organiche previste dal citato art. 12 del d.P.R. n. 395/88, iniziare ad attuare processi di mobilita' anche in via sperimentale nell'ambito delle pubbliche amministrazioni. Anche in questo caso si e' stabilito che le disposizioni del decreto costituiscono linee di indirizzo e coordinamento per le regioni e gli enti da esse dipendenti (art. 10). Si e' giunti, infine, alla legge 29 dicembre 1988, n. 554, dettata anch'essa al fine essenziale di promuovere e perfezionare i processi di mobilita'. Dai lavori preparatori della legge emerge con chiarezza la intenzione del legislatore di dare concreto avvio alla mobilita', ricollegandosi a quanto gia' disposto nel citato decreto n. 325/88, soprattutto attraverso una disciplina del reclutamento ispirata al criterio della residualita' delle assunzioni rispetto alle operazioni di mobilita'. L'obiettivo della legge e' quello di conseguire l'impiego ottimale delle risorse umane, di modernizzare la pubblica Amministrazione attraverso una gestione piu' elastica ed efficiente del personale al fine di renderla piu' rispondente alla domanda di servizio: in definitiva, di compiere un passo importante, nell'organizzazione dei pubblici uffici, sulla strada del raggiungimento e della piena attuazione di quel principio del buon andamento della pubblica Amministrazione costituzionalmente sancito nell'art. 97 della Carta fondamentale. Non puo', quindi, non riconoscersi che la legge in esame sia complessivamente sorretta dall'interesse nazionale, quale limite costituzionalmente posto all'autonomia regionale, e che sussistano nel caso di specie quei requisiti (non arbitrarieta' dell'apprezzamento del legislatore; infrazionabilita' territoriale dell'interesse), che giustificano in linea di principio, secondo il costante orientamento di questa Corte, l'intervento del legislatore statale, in materie di competenza regionale, anche in via dettagliata e concreta (v. sentt. nn. 177, 217 e 633 del 1988). Passando all'esame delle singole disposizioni censurate, va rilevato che il secondo e il terzo comma dell'art. 5 contengono norme che senza dubbio non esorbitano dall'esigenza di soddisfare l'interesse nazionale posto a loro fondamento. Appare infatti pienamente coerente, ed anzi logicamente necessario, rispetto ai fini da perseguire, che i processi di mobilita' debbano coinvolgere tutto il personale della pubblica amministrazione, ivi comprese quindi le regioni e gli enti territoriali minori. L'obbligo imposto di attivare tali processi non comprime quindi illegittimamente alcuna competenza regionale; e il richiamo al d.P.C.M. n. 325/88 (quanto alle modalita' con cui le unita' sanitarie locali e gli enti dipendenti devono comunicare le carenze e gli esuberi di organico alle regioni e ai profili professionali cui le regioni devono attenersi nell'attuare la mobilita') e' giustificato da evidenti ragioni di uniformita' delle procedure su tutto il territorio nazionale. Infine, anche il rinvio alle "eventuale successive modificazioni" di detto decreto, disposte ai sensi dell'art. 1, quarto comma, della legge stessa, non presenta di per se', per gli stessi motivi, vizi di legittimita', salva ovviamente restando la competenza di questa Corte in ordine alle disposizioni che dovessero essere in futuro concretamente dettate. Va detto poi, per concludere su questo punto, che l'autonomia regionale e' comunque sufficientemente salvaguardata dal potere, che resta intatto, di determinare le piante organiche del personale. 4. - Per motivi sostanzialmente analoghi a quelli relativi alle censure concernenti il secondo e terzo comma dell'art. 5, sono impugnati da tutte le ricorrenti anche i commi quarto e quinto dello stesso articolo, in riferimento agli artt. 117, 118 e, quanto all'Emilia-Romagna, anche 97 e 123 della Costituzione. I due commi in discussione dispongono che debbano essere comunicati alla Presidenza del Consiglio da un lato (quarto comma) l'elenco del personale delle unita' sanitarie locali, degli enti dipendenti dalle regioni o delle stesse regioni risultato in esubero e non reimpiegato in ambito regionale per carenza di posti, e, dall'altro (quinto comma), i posti degli stessi enti relativi a profili professionali non coperti con i processi di mobilita': nel primo caso la Presidenza del Consiglio provvedera' alla "collocazione" del personale (secondo le norme del d.P.C.M. n. 325/88), nel secondo provvedera' a disporre "ove possibile" la copertura dei posti (sempre secondo le modalita' di cui al richiamato decreto n. 325/88). Le ricorrenti lamentano, in particolare, la lesione della propria competenza in materia di organizzazione degli uffici, soprattutto per la possibilita' che personale di provenienza extra-regionale possa coprire le vacanze risultate in ambito regionale all'esito della mobilita'. La questione e' fondata nei limiti di cui appresso. Va innanzitutto ribadito, come ampiamente detto al numero precedente, che sussiste un evidente interesse nazionale che presiede a tutta la procedura della mobilita'. Non puo', quindi, negarsi che sia pienamente coerente con il completo soddisfacimento del detto interesse la previsione che, all'esito della mobilita' infraregionale, si dia luogo, ove occorra, ad una mobilita' anche interregionale, ovvero tra amministrazioni regionali e amministrazione statale. Tuttavia, le norme censurate, cosi' come concretamente formulate, non appaiono rispettare i limiti di una stretta correlazione con l'esigenza posta a loro fondamento: costituiscono, cioe', secondo una valutazione che questa Corte si e' sempre riservata di effettuare in casi analoghi (v. sentenze precedentemente citate), strumenti che, in presenza delle competenze regionali su cui incidono, non possono considerarsi pienamente congrui al raggiungimento dello scopo. Non vi e' dubbio, infatti, che le norme in esame, escludendo qualsiasi intervento regionale in ordine alle decisioni circa i movimenti di personale da o verso le regioni, determinino una penetrante interferenza nell'autonomia regionale, senza che, d'altra parte, esse possano ritenersi strettamente necessarie al fine di soddisfare l'interesse nazionale che le sorregge. Ad avviso di questa Corte, detto fine e' ugualmente e pienamente raggiungibile se, considerate le competenze delle regioni in materia, sia a queste assicurato, nelle procedure in esame, un momento partecipativo, quanto meno nella forma della consultazione, in attuazione di quel principio di "leale cooperazione" cui varie volte questa Corte ha avuto occasione di fare riferimento (v. sentt. nn. 175 del 1976, 151 del 1986, 344 del 1987, 747, 1029 e 1031 del 1988, 242 del 1989). Pertanto, va dichiarata l'illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, dei commi quarto e quinto dell'art. 5 nella parte in cui non prevedono che la collocazione presso altre amministrazioni del personale risultato in esubero e non reimpiegato in ambito regionale (quarto comma) e la copertura dei posti non coperti con i processi di mobilita' (quinto comma) avvengano sentite le regioni interessate. Restano assorbiti i profili di censura relativi agli altri parametri invocati. 5. - I commi secondo, terzo, quarto e quinto dell'art. 5 della legge n. 554 del 1988 sono poi censurati dalle Regioni Liguria e Veneto sotto l'aspetto della lesione della loro autonomia finanziaria, in riferimento agli artt. 81, 117 e 119 della Costituzione. Si sostiene, in particolare, che dette norme incidono sulle decisioni in ordine alla distribuzione delle risorse finanziarie regionali, determinando - nel caso in cui prevedono la destinazione alle regioni di personale di provenienza extraregionale - un incremento dell'importo globale delle spese a carico delle regioni stesse, senza dotarle dei mezzi finanziari necessari. A sua volta la Regione Toscana impugna i soli commi quarto e quinto dell'art. 5 in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, rilevando che il mancato trasferimento alle regioni dei fondi occorrenti al trattamento economico del personale ad esse destinato viola il principio di uguaglianza - in relazione a quanto viceversa e' previsto nell'art. 1, quarto comma, della stessa legge per gli enti locali - e quello di buon andamento degli uffici regionali. Va premesso, in primo luogo, che anche le censure riferite agli artt. 3, 81 e 97 della Costituzione, pur attinendo a precetti costituzionali collocati al di fuori del titolo quinto della Costituzione stessa, possono, cosi' come prospettate dalle ricorrenti, ritenersi ammissibili, in quanto finalizzate al ripristino dell'integrita' delle proprie competenze, che si assumono illegittimamente lese (cfr. sentt. nn. 64 del 1987 e 302 del 1988). Va, inoltre, precisato, in ordine a tutte le esposte censure, che queste, cosi' come sono motivate, sono chiaramente riferite - e vanno quindi circoscritte - al solo quinto comma dell'art. 5, rispetto al quale soltanto, d'altra parte, appare in astratto configurabile la lesione di competenza lamentata dalle ricorrenti. Cio' posto, le questioni non sono fondate. In primo luogo, va rilevato che la necessaria partecipazione della regione alle procedure in discussione (introdotta dalla presente pronuncia), sia pure nella forma della consultazione, costituisce gia' di per se' uno strumento di tutela anche della propria autonomia finanziaria. E' poi decisivo osservare che la destinazione di personale di provenienza extraregionale a copertura dei posti rimasti non coperti all'esito della mobilita' infraregionale, senza che sia prevista la corresponsione da parte dello Stato dei mezzi finanziari occorrenti al trattamento economico di detto personale, non lede alcuna delle invocate disposizioni costituzionali in tema di autonomia finanziaria regionale, in quanto si tratta di posti previsti negli organici e di cui la regione ha comunicato la avvenuta non copertura (fermo rimanendo, come gia' detto, il potere regionale di modificare le piante organiche) e, quindi, di posti per i quali deve ritenersi che la regione avrebbe dovuto procedere in ogni caso all'assunzione di personale: deve, pertanto, concludersi che le spese in discussione costituiscono spese proprie della regione. Ne', infine, e' invocabile il principio di eguaglianza rispetto a quanto e' previsto nel quarto comma dell'art. 1 con riferimento agli enti locali, non essendo evidentemente paragonabile, quanto ai rapporti con lo Stato, anche in materia finanziaria, la posizione delle regioni a quella degli enti locali (province, comuni ecc.). 6.1. - Formano oggetto di impugnazione da parte delle Regioni Veneto ed Emilia-Romagna anche alcune disposizioni dell'art. 1 della legge in esame, in via autonoma o in connessione con disposizioni dell'art. 5, gia' esaminate. In primo luogo, la Regione Veneto censura i commi quarto, quinto e sesto dell'art. 1: essi, nella parte in cui subordinano le nuove assunzioni presso le unita' sanitarie locali (nella percentuale consentita) alla previa attuazione della mobilita' facendo salvi i concorsi le cui prove siano gia' iniziate alla data del 30 settembre 1988 e le assunzioni in deroga gia' concesse dalle regioni alla medesima data, violano, ad avviso della ricorrente, gli artt. 117 e 118 della Costituzione (anche in relazione all'art. 3 della Costituzione stessa), in quanto ledono l'autonomia organizzativa regionale in materia sanitaria e vanificano irrazionalmente con effetto retroattivo scelte programmatiche gia' effettuate. La questione non e' fondata. Ribadito anche in questo caso quanto sopra detto (v. punto 3) in ordine all'interesse nazionale che deve ritenersi posto legittimamente a base della legge n. 554 del 1988, non puo' esservi dubbio che il criterio della residualita' delle assunzioni rispetto alle operazioni di mobilita', contenuto nel quarto comma dell'art. 1, rivesta una particolare importanza e costituisca una misura (peraltro, sia pure con modalita' diverse, gia' prevista nell'art. 24 della legge finanziaria 1988, le cui disposizioni in gran parte cessano di avere applicazione dal 1 gennaio 1989, ai sensi dell'art. 2, comma quinto, della legge n. 554) perfettamente logica e coerente con le finalita' che la legge in esame intende perseguire. In merito alla "retroattivita'" al 30 settembre 1988 del blocco delle assunzioni, va in primo luogo rilevato che le disposizioni di cui ai commi quinto e sesto in esame sono frutto di emendamenti al testo originario (approvati in commissione alla Camera), il quale prevedeva che potessero effettuarsi assunzioni per posti messi a concorso per i quali fosse stata formata la graduatoria di merito entro il 31 dicembre 1988, e nulla disponeva, d'altra parte, quanto alle unita' sanitarie locali. Cio' posto, deve ritenersi che l'aver fissato l'inizio del periodo di moratoria ad una data di poco anteriore all'entrata in vigore della legge rientrava nella discrezionalita' del legislatore al fine di contemperare esigenze diverse, tanto piu' che tale data volutamente e' fatta coincidere con quella di presentazione del disegno di legge alla Camera, e non puo' di per se' costituire una illegittima lesione di competenze regionali. Quanto, poi, alla impossibilita', lamentata dalla ricorrente, di far fronte ad eventuali urgenti necessita' di personale presso le unita' sanitarie locali, va osservato, come sostiene l'Avvocatura dello Stato, che le regioni possono sempre far ricorso agli istituti previsti in via generale nel rapporto di pubblico impiego proprio al fine di sopperire ad esigenze impreviste e transitorie. 6.2. - La Regione Emilia-Romagna impugna il quarto comma dell'art. 1, in relazione ai commi quarto e quinto dell'art. 5, per violazione dell'art. 119 della Costituzione, in quanto non prevede la corresponsione alle regioni dei fondi necessari ad assicurare il trattamento economico del personale ad esse eventualmente destinato in attuazione della mobilita'. La questione e' infondata per gli stessi motivi gia' illustrati nel punto 5, in ordine alle censure, sostanzialmente identiche, prospettate dalle altre ricorrenti avverso i predetti commi dell'art. 5. 6.3. - Parimenti non fondata e' l'ulteriore questione sollevata dalla Regione Emilia-Romagna avverso il combinato disposto del quarto comma dell'art. 1 e del terzo comma dell'art. 5, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, per violazione dei limiti entro cui puo' legittimamente esplicarsi la funzione statale di indirizzo e coordinamento. La censura non presenta un'autonomia sostanziale rispetto ad altre gia' esaminate e dichiarate non fondate (v. punti 3 e 6.1). 7. - Da ultimo, la Regione Emilia-Romagna prospetta in via subordinata questione di legittimita' costituzionale del primo comma dell'art. 5 (in relazione ai successivi commi dello stesso articolo) e del primo comma dell'art. 2 della legge n. 554, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, qualora siano da interpretarsi nel senso della mancata previsione in capo alle regioni del potere di deroga relativamente al personale regionale. La questione non e' fondata in quanto, come riconosce la stessa Avvocatura dello Stato, il silenzio della legge non puo' certo interpretarsi nel senso sia pur dubitativamente prospettato dalla ricorrente.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Riuniti i giudizi: a) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, primo comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554 (Disposizioni in materia di pubblico impiego), nella parte in cui prevede che le assunzioni in deroga per le unita' sanitarie locali e per gli enti pubblici non economici dipendenti dalle regioni sono disposte con provvedimenti "della giunta regionale", anziche' "della regione"; b) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, quarto e quinto comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, nella parte in cui rispettivamente non prevedono che la collocazione del personale dipendente dagli enti di cui al comma primo ed eventualmente dalle stesse regioni, risultato in esubero e non reimpiegato in ambito regionale per carenza dei relativi posti, e la copertura dei posti degli enti medesimi e delle stesse regioni, relativi a profili professionali non coperti con i processi di mobilita', avvengano sentite le regioni interessate; c) dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, secondo e terzo comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, sollevata, in riferimento agli artt. 115, 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni Liguria, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana con i ricorsi indicati in epigrafe; d) dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, secondo, terzo, quarto e quinto comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, sollevata, in riferimento agli artt. 81, 117 e 119 della Costituzione, dalle Regioni Liguria e Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe; e) dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, quarto e quinto comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe; f) dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, quarto, quinto e sesto comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, anche in relazione all'art. 3 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe; g) dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, quarto comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, in relazione all'art. 5, quarto e quinto comma, della stessa legge, sollevata, in riferimento all'art. 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe; h) dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, quarto comma, e 5, terzo comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 544, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe; i) dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5, primo comma, in relazione al terzo, quarto e quinto comma dello stesso articolo, e 2, primo comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 554, sollevata, in via subordinata, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella Sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 1989. Il Presidente: SAJA Il redattore: FERRI Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 18 luglio 1989. Il cancelliere: DI PAOLA 89C0835