N. 388 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 maggio 1989
N. 388 Ordinanza emessa il 29 maggio 1989 dal pretore di Frascati nel procedimento civile vertente tra S.p.a. Telelazio e Circostel di Roma ed altri Radiotelevisione e servizi radioelettrici - Radiotelediffusione in ambito locale - Divieto di arrecare turbativa ai pubblici servizi - Sanzioni - Disattivazione degli impianti - Competenza degli organi del Ministero delle pp.tt. - Lamentata mancata garanzia del contraddittorio nel procedimento amministrativo - Assoluta genericita' della norma - Mancanza di graduazione nell'intervento della p.a. - Disparita' di trattamento rispetto alla disciplina prevista nel caso di interferenze nel servizio di volo e rispetto alle emittenti radiotelevisive private con impianti gia' in funzione alla data del 1º ottobre 1984. (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 240). (Cost., artt. 3, 21 e 41).(GU n.36 del 6-9-1989 )
IL PRETORE A scioglimento della riserva di cui sopra, esaminati gli atti di causa e le richieste delle parti, cosi' provvede: nel presente giudizio e' in questione la legittimita' della ordinanza di disattivazione emessa dal Circostel di Roma nei confronti della emittente ricorrente, sia pure sotto il profilo della carenza di potere che legittima la giurisdizione di questa autorita' giudiziaria. Orbene ritiene il giudicante che sia decisamente non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 240 del d.P.R. n. 156/1973, che costituisce il fondamento normativo della ordinanza suddetta, in rapporto agli artt. 3, 21 e 41 della Costituzione. Come e' noto l'art. 240 del c.p., inserito nel capo settimo concernente la polizia e protezione delle telecomunicazioni sancisce che "fermo restando quanto previsto dall'art. 23 del presente decreto e' vietato arrecare disturbi o causare interferenze alle telecomunicazioni ed alle opere ad esse inerenti. Nei confronti dei trasgressori provvedono in via amministrativa i direttori dei circoli delle costruzioni telegrafiche e telefoniche ed i capi degli ispettorati di zona della Azienda di Stato per i servizi telefonici competenti per territorio" (l'art. 23 richiamato nel testo concerne l'ipotesi del danneggiamento doloso rilevante dal punto di vista penale). Tale norma si inserisce in una disciplina caratterizzata dal monopolio statale nelle radiodiffusioni e quindi rappresenta una tutela di polizia a garanzia di servizi di preminente interesse nazionale. In relazione a tali poteri di polizia e a fronte degli stessi fino alla nota decisione della Corte costituzionale del 1986 non vi era alcun diritto di radiodiffondere, occorrendo comunque un provvedimento concessivo riservato alla R.A.I. Dopo la decisione suddetta almeno in ambito locale puo' sostenersi unitamente alla giurisprudenza di merito e a larga parte della dottrina che il privato e' titolare di un diritto soggettivo alla radiodiffusione che costituisce espressione e trova fondamento negli artt. 21 e 42 della Costituzione. E' evidente che la compressione di tale diritto, anche in assenza di una autorizzazione di legge che non e' configurabile nella fattispecie a causa della tanto lamentata inerzia del legislatore, puo' avvenire soltanto in presenza di un prevalente interesse pubblico leso dalla radiodiffusione privata (incompatibilita' tra attivita' privata e servizio pubblico secondo quanto e' chiaramente espresso dalla legge n. 10/1985) e il relativo procedimento amministrativo, proprio perche' incide pesantemente e in alcuni casi in modo irreversibile sul diritto del privato, spesso autore di investimenti nell'ordine di miliardi, non puo' non avvenire con precise garanzie e sulla base di accertati disturbi o interferenze che siano tali da impedire il regolare concreto funzionamento del servizio pubblico. Il legislatore in presenza di un servizio fondamentale quale e' quello della assistenza e sicurezza del volo nel 1983, e quindi dieci anni dopo l'entrata in vigore del c.p. e quel che piu' conta dopo le note sentenze della Corte costituzionale che hanno riconosciuto il diritto alla radiodiffusione in ambito locale e comunque dopo il piano di assegnazione delle frequenze vigente, ha sancito il principio della necessita' del contraddittorio (art. 3 della legge n. 110/1983: "in caso di inosservanza di cui al divieto dell'art. 1, accertata sentendo anche il titolare dell'impianto..."), ha individuato in modo ben piu' preciso di quanto faccia l'art. 240 del c.p. il significato delle turbative atte a mettere in modo i provvedimenti di polizia ("emissioni, radiazioni o induzioni tali da compromettere sia il funzionamento dei servizi di radionavigazioni sia la sicurezza dei voli": art. 1) e quel che piu' conta ben consapevole dei valori in gioco ha previsto la disattivazione degli impianti quale extrema ratio conseguente alla inottemperanza da parte del privato di uno specifico ordine di eliminazione a livello tecnico delle cause delle interferenze, sancendo quale sanzione per la turbativa realizzata soltanto l'applicazione di una pena pecuniaria. Tale disciplina che riguarda un servizio fondamentale perche' attiene anzitutto alla sicurezza della vita dei passeggeri degli aereomobili ove non venga ritenuto applicabile nei confronti di qualsiasi altro pubblico servizio, genera sicuramente una ingiustificata disparita' di trattamento ai danni del privato titolare del diritto di radiodiffondere in sede locale in quanto senza alcuna garanzia di contraddittorio, con una nozione di disturbo o di interferenza unilateralmente accertata dalla p.a. e unilateralmente interpretata data la genericita' della norma, senza alcuna graduazione degli interventi e senza alcun obbligo di specifica motivazione della necessita' dello specifico provvedimento adottato, si trova a dover interrompere autoritativamente la propria attivita' imprenditoriale alla merce' dell'uso e dell'abuso del potere di polizia attribuito agli organi del Ministero pp.tt. senza alcun controllo da parte di chicchessia. Tale disparita' di trattamento incide profondamente sulla liberta' di manifestazione del pensiero e sulla liberta' di impresa oggi riconosciuta dalla Corte costituzionale e da tutti i disegni di legge che si occupano della riforma del sistema radio televisivo e non trova alcuna corrispondenza con poteri di polizia esistenti in altri settori e nei confronti di altre autorita' amministrative. Pertanto si solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 240 del c.p. in relazione agli artt. 3, 21 e 41, nonche' in relazione agli artt. 1 e 3 della legge 8 aprile 1983, n. 110, sulla protezione delle radio comunicazioni relative all'assistenza e alla sicurezza del volo sotto il triplice profilo della omessa garanzia del contraddittorio nell'accertamento dei disturbi o delle interferenze, della assoluta genericita' della nozione di disturbo od interferenza in grado di mettere in moto il potere di polizia previsto a favore degli organi del Ministero pp.tt. quantomeno nei confronti delle imprese di radiodiffusione, della assoluta genericita' e mancanza di graduazione nell'intervento di natura amministrativa che la p.a. puo' adottare per eliminare la turbativa al servizio di telecomunicazione, ed infine in relazione alla ben minore sanzione prevista per le interferenze in materia di volo. L'art. 240 del c.p. risulta peraltro di assai dubbia costituzionalita' anche sotto altro profilo. Come e' noto la legge n. 10/1985, dopo aver ribadito la diffusione sonora e televisiva sull'intero territorio nazionale a carattere di preminente interesse generale ed e' riservata allo Stato mediante societa' concessionaria, ha sancito che "nell'ordinare il sistema radiotelevisivo lo Stato si informa ai principi di liberta' di manifestazione del pensiero e di pluralismo dettati dalla Costituzione per realizzare un sistema misto di emittenza pubblica e privata" sulla base di apposito piano nazionale di assegnazione delle frequenze, con il compito di individuare i bacini di utenza idonei a consentire la presenza e l'economica gestione entro i bacini stessi di un numero di emittenti private tale da evitare situazioni di monopolio ed oligopolio. La medesima legge con l'art. 3 ha previsto la prosecuzione in via temporanea dell'attivita' delle singole emittenti radiotelevisive private con gli impianti di radiodiffusione gia' in funzione alla data del 1º ottobre 1984 "fermo restando il divieto di determinare situazioni di incompatibilita' con i pubblici servizi". Tale incompatibilita' non e' concetto diverso dal: "arrecare disturbi o causare interferenze alle telecomunicazioni ed alle opere ad esse inerenti" di cui all'art. 240, primo comma, del c.p. Si e' autorevolmente sostenuto (t.a.r. Lombardia, sezione prima, 19 settembre 1986, n. 646, in causa Radio radicale contro Circostel di Milano) che le emittenti private radiofoniche e televisive che abbiano effettuato la comunicazione ex art. 4 della legge n. 10/1985, in caso di sopravvenuta incompatibilita' tra la loro attivita' ed il pubblico servizio gestito dalla R.A.I. (ma il principio riguarda tutti i pubblici servizi) non possono non ritenersi passivamente assoggettate al generale potere ripristinatorio spettante all'amministrazione postale ai sensi dell'art. 240 del d.P.R. n. 156/1973. Peraltro "l'esercizio di questo potere non da' tuttavia, luogo (come si e' detto sopra) all'adozione di provvedimenti di un unico tipo, quale disattivazione dell'impianto che abbia determinato la situazione di incompatibilita', bensi' all'adozione di uno (quello piu' opportuno) tra i provvedimenti atti ad ovviare ad una siffatta situazione: ad esempio, l'indicazione di prescrizioni idonee allo scopo con l'invito al privato di attuarle entro un congruo termine; l'eliminazione d'ufficio degli inconvenienti prodotti dall'emittente privata; lo spostamento dell'impianto privato con assegnazione di altra frequenza; il suggellamento o la rimozione del medesimo; il sequestro dei relativi apparecchi; ecc.". Da tali affermazioni il t.a.r. della Lombardia ne ha tratto la conclusione che il potere di cui sopra e' chiaramente un potere discrezionale volto a restringere la sfera giuridica del privato e come tale richiedente una specifica motivazione che dia conto della valutazione che della insorta situazione di incompatibilita' abbia effettuato l'amministrazione; della possibilita' ovvero della impossibilita' di ovviare a tale situazione attraverso particolari situazioni tecniche la cui attuazione possa permettere al privato l'esercizio della consentita attivita' di radiodiffusione; della conseguente necessita' o convenienza di adottare una piuttosto che un'altra delle possibili misure dirette ad eliminare la turbativa di che trattasi. Dunque secondo tale decisione una corretta interpretazione delle norme vigenti gia' richiederebbe un obbligo di motivazione circa la congruita' dell'intervento amministrativo effettuato rispetto alla turbativa arrecata che nella fattispecie non solo non e' presente, ma che semmai trova una particolare conferma in relazione alla possibilita' tecnica di risolvere il preteso stato di incompatibilita', in realta' insussistente, con tutta una serie di soluzioni tecniche idonee. Ma la decisione in questione assume particolare rilevanza per altro profilo: gli artt. 3, primo comma, e 4, terzo comma, della legge n. 10/1985 non prevedono affatto la disattivazione degli impianti radiotelevisivi privati producenti interferenze con il pubblico servizio di radio diffusione. Infatti il primo comma dell'art. 3 contiene il solo divieto per le emittenti private in questa norma contemplate di arrecare turbative al detto pubblico servizio, mentre il terzo comma dell'art. 4 stabilisce l'irrogabilita' della suindicata misura repressiva per ipotesi diverse da quella in discorso (per mancanza o per non tempestivita' della comunicazione di cui al primo comma, ovvero per il caso di diffusione da parte delle emittenti private di trasmissioni meramente ripetitive o consistenti in immagini fisse). Si deve dunque ritenere che la legge del 1985 non abbia preso in esame la misura piu' repressiva, piu' radicale per la ipotesi della interferenza, rinviando a quei diversi poteri di intervento che l'art. 240 del c.p. correttamente interpretato rimette al Circostel a livello tecnico. Se cio' e' vero non c'e' dubbio che gravissima sarebbe la disparita' di trattamento tra gli utenti che hanno effettuato o, come nel caso sono accusati ingiustamente di aver effettuato disturbi o interferenze ai danni di servizi pubblici ed emittenti della stessa natura che abbiano potuto beneficiare del trattamento ben piu' favorevole di cui alla legge n. 10/1985. Pertanto non puo' ritenersi manifestamente infondata neppure la questione di costituzionalita' dell'art. 240 del c.p. in rapporto agli artt. 3, 21 e 41 della Costituzione e con riferimento al sistema sanzionatorio che si deduce dagli artt. 3 e 4 della legge n. 10/1985.
P. Q. M. Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 240 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, in relazione agli artt. 3, 21 e 41 della Costituzione; Ordina la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone il mantenimento della sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato; Ordina che la presente ordinanza sia notificata a cura della cancelleria al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Frascati, addi' 29 maggio 1989 (Seguono le firme) 89C0936