N. 391 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 ottobre 1988- 28 luglio 1989

                                 N. 391
 Ordinanza   emessa   il   31   ottobre  1988  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 28 luglio 1989) dal giudice  istruttore  presso  il
 tribunale  di  Cagliari  nel  procedimento penale a carico di Maccio'
 Corrado
 Liberta'  personale  dell'imputato  -  Ordine  di  arresto emesso dal
 procuratore  della  Repubblica  -  Convalida  -  Necessita'  che   la
 convalida  dell'arresto  dichiarata  dal p.m. sia confermata dal g.i.
 pena la sua inefficacia - Previsione di un sindacato repressivo sugli
 atti  giurisdizionali  del  p.m. quale e' la convalida dell'arresto -
 Conseguente riduzione del p.m. ad  organo  amministrativo  assimilato
 alla polizia giudiziaria.
 (Legge 5 agosto 1988, n. 330, art. 7).
 (Cost., artt. 13, 102 e 112).
(GU n.37 del 13-9-1989 )
                         IL GIUDICE ISTRUTTORE
    Letti  gli  atti  del  procedimento penale contro Maccio' Corrado,
 nato a Cagliari il 9 agosto 1965; imputato come in rubrica.
    Con  rapporto del 10 ottobre 1988 la squadra mobile della questura
 di Cagliari denuncio' in stato  di  arresto  Maccio'  Corrado,  colto
 nella flagranza dei delitti specificati in rubrica.
    Interrogato  l'imputato,  il p.m. ne convalido' l'arresto ai sensi
 dell'art. 6 della legge 5 agosto 1988, n. 330.
    Successivamente, lo stesso p.m., nel trasmettere gli atti a questo
 g.i., propose eccezione  di  sospetta  illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 7 della legge n. 330/1988 per contrasto con le disposizioni
 degli artt. 13, secondo e terzo comma, 102, primo comma, e 112  della
 Costituzione.
    L'eccezione,   certamente   rilevante,   pare  non  manifestamente
 infondata.
    Premesso  che  l'art.  7  della  legge  n. 330/1988 dispone che la
 convalida dell'arresto dichiarata dal p.m. e' soggetta - pena la  sua
 inefficacia  - a conferma del g.i. e rilevato che la norma concorre a
 realizzare, in stretta connessione con quelle degli artt. 393,  primo
 comma,  e  251,  terzo  comma,  del  c.p.p.  un sistema di penetranti
 controlli del g.i. sugli atti di limitazione della liberta' personale
 del  p.m.  legittimato  ad  incidervi  solo in casi di "necessita' ed
 urgenza", in sostituzione del giudice effettivo titolare  del  potere
 di  "cattura"  (cio'  persino quando il p.m. ritenga di procedere con
 rito sommario), deve  domandarsi  se  una  simile  radicale  riforma,
 operata  a  livello  di  legislazione  ordinaria, sia compatibile col
 vigente sistema costituzionale.
    E'  opinione  di  chi scrive che la disposizione dell'art. 7 della
 legge n. 330/1988 (come del resto  tutto  il  sistema  dei  controlli
 sugli  atti  restrittivi  del p.m. attribuito dalla legge al giudice,
 peraltro non censurabile in questa sede) confligge con disposto degli
 artt.  13,  secondo  e  terzo  comma,  102,  primo comma, e 112 della
 Costituzione.
    A  sostegno  di tale affermata illegittimita' sembrano decisive le
 seguenti argomentazioni:
      1)  nell'attuale  assetto costituzionale il p.m. e', al pari del
 giudice, organo del potere giudiziario ed esercita peculiari funzioni
 di natura "giurisdizionali".
    In  tal senso si e' pronunziata piu' volte la Corte costituzionale
 (sentenze n. 190/1970 e n.  96/1975)  cosi'  motivando:  il  pubblico
 ministero anche se non e' investito di potere decisorio onde non puo'
 qualificarsi giudice in senso stretto - e',  comunque,  anch'egli  un
 magistrato,  come  dimostra  la  collocazione  degli  articoli  della
 Costituzione che lo riguardano (in particolare  104-107)  nel  titolo
 sesto   de   "La   Magistratura"   e   financo  nella  sezione  I  de
 "L'Ordinamento giurisdizionale".
    L'esattezza  dell'inquadramento  del  p.m.  tra  gli "Organi della
 giurisdizione" in senso lato e' ribadita nella sentenza  n.  190/1970
 che  ha  testualmente  definito  la  posizione del p.m. "come quella,
 appunto,  di  un  magistrato  appartenente   all'ordine   giudiziario
 collocato in posizione di istituzionale indipendenza rispetto ad ogni
 altro potere, che non  fa  valere  interessi  particolari  ma  agisce
 esclusivamente  a tutela dell'interesse generale all'osservanza della
 legge, perseguendo fini di giustizia".
    Da  cio'  deriva  che  nel  concetto  di  "Giurisdizione"  - quale
 contemplato  nell'art.  102  -  deve  intendersi  compresa  non  solo
 l'attivita'  decisoria,  che  e'  peculiare  e propria del giudice ma
 anche l'attivita' di esercizio dell'azione penale, che con  la  prima
 si  coordina  in  rapporto  di  compenetrazione  organica  ai fini di
 giustizia e che l'art. 112 della Costituzione,  appunto,  attribuisce
 al pubblico ministero;
      2)  nell'esplicazione  di tale potesta' di iniziativa rientrano,
 non solo tutte le attivita' istruttorie e d'impulso processuale,  che
 la legge ordinaria attribuisce al p.m. (atti di istruzione sommaria e
 di richiesta al giudice), ma anche  gli  atti  di  limitazione  della
 liberta'  personale,  del  domicilio  e  delle comunicazioni, nonche'
 quelli di sequestro di stampati, che gli artt. 13, 14, 15 e 21  della
 Carta fondamentale attribuiscono all'autorita' giudiziaria.
    A  parere  di  chi  scrive,  dunque,  la  titolarita'  del  potere
 "coercitivo" non e' esclusiva del giudice ma spetta  anche  al  p.m.,
 che, al pari del giudice e' autorita' giudiziaria.
    La   Costituzione,   infatti,   assegna   ai   due   organi  della
 "Giurisdizione" la funzione oggettiva e  neutrale  di  "garanti"  dei
 diritti  fondamentali  (fra  questi quelli di "liberta'"); e cio' sia
 nel momento decisorio (assegnato al giudice), ma anche nel momento di
 esercizio dell'azione penale (attribuito al p.m.).
    Il concetto merita qualche approfondimento.
    Col  dichiarare  obbligatorio  l'esercizio  dell'azione penale, il
 costituente ha mostrato di fare una significativa scelta di campo.
    La  regola  per  cui  "nessun  comportamento trasgressivo ritenuto
 penalmente rilevante dalla legge ordinaria, puo' essere sottratto  in
 via  di  principio,  alla  cognizione  del  giudice  penale, e' stata
 elevata a precetto costituzionale.
    La  scelta  si armonizza, anzitutto, con il fondamentale principio
 dell'art. 2  della  Costituzione  -  e'  evidente,  infatti,  che  la
 garanzia  delle  peculiari  posizioni  soggettive, di cui la norma fa
 riferimento, non puo' essere attuata soltanto prevedendo strumenti di
 promozione (pure doverosi); e' sembrato invece, necessario apprestare
 collaterali cautele repressive verso i comportamenti lesivi  di  quei
 fondamentali   diritti,   -   si  coordina,  poi,  col  principio  di
 eguaglianza previsto all'art.  3  della  Costituzione;  che  proclama
 "tutti  i  cittadini  uguali  di  fronte  alla  legge".  Per  rendere
 effettiva l'attuazione della legge penale si e', anzitutto,  prevista
 l'autonomia  ed  indipendenza  degli  organi del giudizio degli altri
 poteri dello Stato. Ma cio' non e' parso sufficiente.
    Infatti,  solo  attribuendo  anche  all'organo  di  impulso poteri
 giurisdizionali, poteva dirsi attuato  il  dettaglio  costituzionale,
 secondo  cui  la  legge  penale  deve  essere  applicata,  in  via di
 principio, a tutti i trasgressori.
    Ma,  l'obbligo  di  esercizio dell'azione penale (che sostanzia la
 funzione giurisdizionale propria ed  esclusiva  del  p.m.)  non  puo'
 ritenersi limitato al solo aspetto della "doverosa proposizione della
 pretesa  punitiva  verso  il  giudice",  ma  riguarda   l'altrettanto
 doveroso accertamento dei presupposti che, nel caso concreto, rendono
 attuale quell'obbligo.
    E'  questa la ragione per cui il Costituente ha voluto - lasciando
 pero' al legislatore ordinario l'individuazione dei casi  e  modi  di
 attuazione  -  conferire  al  p.m.  un  potere  autonomo  in  tema di
 "limitazione della liberta' personale"; potere strumentale rispetto a
 quello di "doveroso" esercizio dell'azione penale.
    Se  fosse  riconosciuta la correttezza delle argomentazioni svolte
 dovrebbe arguirsene che la legge ordinaria non puo'  disconoscere  al
 p.m.  l'autonomo  potere-dovere  di provvedere in materia di liberta'
 personale; potere questo, accessorio-strumentale rispetto all'obbligo
 enunciato all'art. 112 della Costituzione.
    La  tesi non e', pero', condivisa dai piu'. Infatti, e' nettamente
 prevalente l'opinione di chi nega qualunque rapporto tra  "potere  di
 cattura" e "obbligatorieta' dell'azione penale".
    Certo  non  puo' disconoscersi che una simile impostazione finisce
 col restringere la portata sostanziale  (di  effettivita')  dell'art.
 112  della  Costituzione;  in  piu'  di un caso infatti (specialmente
 quando gli eventi richiedono un tempestivo intervento repressivo  per
 assicurare  la  genuinita' delle fonti di prova), quell'obbligo privo
 di qualificanti poteri strumentali si riduce a poco piu' di un flatus
 vocis.
    Tuttavia,  pur  prescindendo  da questa riserva e riconosciuta, in
 ipotesi,  la  fondatezza   dell'opinione   prevalente,   non   sembra
 costituzionalmente   ineccepibile  che  il  legislatore  ordinario  -
 attribuiti in via esclusiva al giudice i poteri di cattura - doti  il
 p.m.  di  potesta'  coercitiva  semplicemente provvisoria e meramente
 sostitutiva di quella del giudice, abilitato  a  sindacarla  mediante
 forme   di   controllo   tali   da  dar  dubitare  della  sua  natura
 giurisdizionale.
    La  legge  n.  330/1988  ha  elevato  al  sistema  un  tal tipo di
 sindacato. Non puo' sfuggire -  cio'  e'  palese  specialmente  nella
 previsione  dell'art.  7  della  legge  citata  -  che  tale forma di
 controllo e' del tutto  simile  (addirittura  speculare)  rispetto  a
 quella che il terzo comma dell'art. 13 della Costituzione prevede per
 gli atti di limitazione della  liberta'  personale  adottati  in  via
 d'urgenza, dall'autorita' di p.g.
    Poiche'  non  e'  la denominazione o l'inquadramento istituzionale
 dell'organo che lo emana ma e', invece,  la  natura  sostanziale  del
 potere   esercitato   a  qualificare  l'atto  che  lo  esprime,  deve
 convenirsi che, in materia di liberta' personale,  la  legge,  ormai,
 attribuisce  al p.m. prerogative simili (per presupposti e sistema di
 controlli) a quelle  dell'autorira'  di  p.g.;  come  tali  non  piu'
 riconducibili nell'ambito della giurisdizione.
    Peraltro,  cio'  non  si  armonizza col secondo comma dell'art. 13
 della  Costituzione,  che,  certo,  non  ha   inteso   indulgere   al
 "nominalismo   giuridico"   quando   ha   attribuito   all'"autorita'
 giudiziaria"  (di  cui  il  p.m.  e'  organo)  l'autonomo  potere  di
 "limitare la liberta' personale".
    Solo   negando  al  p.m.  natura  di  organo  della  giurisdizione
 (specialmente  in  tema  di  liberta'  personale)  e  attribuendogli,
 invece,  quella di organo amministrativo, assimilato alla p.g. potra'
 ammettersi che con legge ordinaria si preveda un sindacato repressivo
 sugli  atti  coercitivi  del  p.m.,  legittimato  ad  incidere  sulla
 liberta' personale in sostituzione del  giudice  (effettivo  titolare
 del potere) e nei soli casi di "necessita' e urgenza".
    Tuttavia,   finche'   il   p.m.   sara'   inserito  in  un  quadro
 costituzionale come quello attuale -  che  gli  impone  di  ispirarsi
 nell'esplicare le sue funzioni, a canoni di legalita', obiettivita' e
 neutralita',  che  connotano,  almeno  in  uno  stato   di   diritto,
 l'attivita'   giurisdizionale   -  dovra'  riconoscersi  che  non  e'
 consentito istituzionalizzare ipotesi di  sindacato  repressivo,  del
 tipo  previsto  nell'art.  7  della  legge  n.  330/1988,  sugli atti
 giurisdizionali del p.m.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge 5 agosto 1988, n.
 330  -  nella parte in cui prevede che il giudice istruttore confermi
 la convalida dell'arresto - per contrasto con le  disposizioni  degli
 artt.  13,  secondo  e  terzo  comma,  102,  primo comma, e 112 della
 Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti,   alla  Corte
 costituzionale;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina  che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga
 notificata all'imputato, al difensore, al p.m. e  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri, e comunicata ai Presidenti delle due Camere
 del Parlamento;
    Manda   alla  cancelleia,  perche',  previa  estrazione  di  copia
 autentica di  tutti  gli  atti  del  procedimento  (ivi  compresa  la
 presente  ordinanza), questi ultimi vengano trasmessi al p.m. in sede
 per quanto di sua competenza.
      Cagliari, addi' 31 ottobre 1988
                    Il giudice istruttore: PUGLIESE

 89C0947