N. 412 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 giugno 1989
N. 412 Ordinanza emessa il 20 giugno 1989 dal tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di De Felip Fabio Reato militare - Chiamata alle armi - Non ottemperanza - Doveri inerenti allo stato di militare - Irrilevanza dell'errore o dell'ignoranza su ogni elemento di fatto o di diritto che si risolva nel dovere militare - Previsione di una deroga al principio di cui all'art. 47 del codice penale, che, invece, attribuisce rilevanza all'errore sul fatto che costituisce reato Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 364/1988. (Cod. pen. mil., art. 39 in relazione al cod. pen. art. 5). (Cost., artt. 2, 3, 13, 25, 27 e 52).(GU n.37 del 13-9-1989 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro De Felip Fabio, nato il 28 febbraio 1963 a Olten (Svizzera), residente a Vazzola (Treviso) in piazza Vittorio Emanuele n. 74, celibe, licenza media, in attesa occupazione, impossidente, incensurato, recluta nel distretto militare principale in Treviso, libero, imputato di mancanza alla chiamata aggravata (artt. 151, primo comma, e 154, n. 1, del c.p.m.p.) perche', rientrato definivamente in patria il 5 febbraio 1983 e tenuto a rispondere alla prima chiamata alle armi successiva al suo rientro disposta con pubblico manifesto avente valore di precetto personale, ai sensi della circ. 844 in c.u. del 1982, n. 3069, ometteva senza giusto motivo di presentarsi al distretto militare di appartenenza il giorno 12 settembre 1983, rimanendo assente arbitrariamente nei cinque giorni successivi e fino al giorno 12 settembre 1988, data in cui si presentava al distretto militare di Treviso. FATTO E DIRITTO Il giovane De Felip Fabio, confermando discolpe gia' rese nel corso dell'interrogatorio dinanzi al pubblico ministero, nell'odierno dibattimento ha dichiarato che la sua non ottemperanza alla chiamata alle armi del secondo contingente 1983, e la conseguente sua assenza dal servizio, erano state determinate da ignoranza della normativa in tema di presentazione alle armi per lo svolgimento del servizio militare di ferma. Piu' particolarmente, egli, trasferitosi nel 1979 con il padre a Berlino ovest per svolgervi l'attivita' di gelataio, era rimasto nella detta citta' (salvo qualche temporaneo rientro in Italia) sino al febbraio 1983, quando, a causa del non favorevole andamento della piccola azienda, assieme al padre aveva programmato di rientrare definitivamente in Italia. Per istruzioni sull'obbligo militare, dal quale era dispensato sin quando non fosse cessata la sua residenza all'estero, si erano rivolti al consolato d'Italia in Berlino ovest, autorita' in precedenza adita anche per altre pratiche militari, quale la concessione, in occasione del periodo annuale di ferie, del permesso di temporaneo rimpatrio (art. 104, del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237). Il funzionario preposto alle informazioni di questo tipo gli aveva detto che, al suo definitivo rientro in Italia, l'autorita' militare, cui questo cambiamento di residenza sarebbe stato comunicato, avrebbe provveduto a convocarlo individualmente per la presentazione del servizio militare. A seguito di questo suo contatto con il consolato d'Italia, aveva ritenuto di non essere tenuto al servizio militare sin quando non fosse intervenuta la precettazione individuale, ed ignorato che, al contrario, sarebbe stato suo dovere rispondere alla chiamata cui era interessato sulla base del relativo pubblico manifesto. Avendo da sempre ignorato addirittura l'esistenza dei pubblici manifesti di chiamata alle armi, sulla base delle informazioni avute non si era di certo attivato per sapere se esistessero atti generali del genere e, tanto meno, per prendere visione del loro concreto contenuto precettivo. Questa situazione di ignoranza del De Felip riguarda, ancor prima che la concreta disposizione (di presentarsi entro un determinato termine ad una determinato reparto militare) promanante dall'atto amministrativo di chiamata alle armi, la norma, contenuta nell'art. 543 del reg. es. r.d. 24 febbraio 1938, n. 329, secodo cui "Le reclute che non ricevessero la cartolina precetto... devono ugualmente presentarsi nei giorni stabiliti dal manifesto, la cui pubblicazione vale per essi come precetto personale". E' l'ignoranza di tale norma che ha generato nel De Felip la successiva non conoscenza del precetto derivante dall'atto amministrativo di chiamata del secondo contingente 1983. In ordine alla relazione tra la citata disposizione regolamentare ed il precetto penale dell'art. 151 del c.p.m.p., comunemente si ritiene che essa valga ad integrarlo. Pertanto, all'ignoranza in discorso dovrebbe essere riconosciuto, o negato, rilievo scusante alla stregua dei criteri posti dall'art. 5 del c.p., come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 364/1988. Tuttavia, quest'applicabilita' dei principi comuni e' preclusa dalla disposizione speciale dell'art. 39 del c.p.m.p., secondo cui "Il militare non puo' invocare a propria scusa l'ignoranza dei doveri inerenti al suo stato militare". Si tratta, come ha affermato la stessa Corte costituzionale, si' di "doveri in astratto", ma non per cio' cosi' generici da prescindere dalle norme legislative e regolamentari che in astratto li configurano in un certo modo, piuttosto che in un altro. Per cui, prendendo ad esempio la normativa qui in esame, costituisce inescusabile ignoranza dei doveri dello stato militare la non conoscenza della disposizione del citato art. 543, che impone la presentazione alle armi sulla base del manifesto, anche in mancanza del precetto personale (v. per tutte t.s.m. 9 marzo 1965, Cavalieri, in giust. pen. 1965, II, 702, 73). E di conseguenza l'art. 39, che sino alla sentenza costituzionale n. 364/1988 era in linea con l'art. 5 del c.p., ora per i reati dei militari stabilisce una disciplina ad esso derogatoria. Il De Felip, dopo un periodo di assenza dall'Italia e prima di rientrarvi definitivamente, si e' con diligenza dato cura di assumere sui suoi doveri militari le necessarie informazioni presso l'autorita' a cio' abilitata, il consolato d'Italia. Era, questa, l'autorita' cui piu' volte in precedenza si era affidato, e proprio per quei permessi di temporaneo rimpatrio, che non aveva mancato di fargli conseguire il legittimo risultato di mantenere la sua esenzione dal servizio militare. Di conseguenza, dal momento che si tratta - alla stregua delle discolpe dell'imputato -, di ignoranza determinata da erronee informazioni fornite dall'autorita', l'indagine di questo tribunale viene a riguardare una concreta fattispecie in cui l'ignoranza medesima potrebbe effettivamente presentarsi con i tratti della non evitabilita' e dell'incolpevolezza, secondo i parametri costituzionali individuati con la gia' citata sentenza n. 364/1988. Pur senza anticipare il giuudizio di merito, in ragione delle descritte discolpe dell'imputato, che non si presentano con il carattere dell'inverosimiglianza, per l'indagine affidata a questo giudice di certo non e' indifferente che l'ignoranza dei doveri militari sia comunque inescusabile, o che pittosto eccezionalmente sia scusabile analogamente a quanto ora previsto nell'art. 5 del c.p. Pertanto, questo tribunale ritiene di dover ancora sollevare questione di legittimita' dell'art. 39 del c.p.m.p. in riferimento all'art. 5 del c.p., considerandola non manifestamente infondata in relazione a plurime disposizioni della Costituzione. Con la recente sentenza, interpretativa di rigetto, n. 325/1989 la Corte ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalita' dell'art. 39 in riferimento all'art. 47 del c.p., in tal modo definitivamente negando legittimita' all'interpretazione, pure corrispondente alla mens legislatoris e seguita da notevole parte della giurisprudenza militare, secondo cui inescusabile doveva considerarsi, appunto in deroga all'art. 47 del c.p., anche l'ignoranza dei "fatti" che rendono operanti i doveri in astratto disciplinati dalla norma giuridica, e particolarmente del manifesto di chiamata alle armi. Ma la Corte non e' ancora entrata nel merito della questione di legittimita' dell'art. 39 in riferimento all'art. 5 del c.p., rilevante nel presente giudizio. Non si vede, innanzitutto, quali valide giustificazioni possano prospettarsi a sostegno dell'attuale disciplina, che, mentre ormai prevede l'acennata eccezione al principio dell'inescusabilita' nel caso di ignoranza della legge penale e della legge extrapenale in genere che ad essa dia integrazione, ancora contempla un'inderogabile ed intransigente inescusabilita' quando si tratti di legge fondante i doveri militari, e che nel contempo, come nella specie, alla legge penale dia integrazione. La diversita' di trattamento, che opera a danno del militare, di certo non potrebbe trovare giustificazione nella considerazione che con l'art. 39 il principio dell'inescusabilita' viene a riguardare una normativa che, per essere quella del proprio status comunque non puo' essere ignorata incolpevolmente. Questa considerazione puo' forse applicarsi a status personali e professionali acquisiti per libera scelta e il piu' volte dopo lunga e specifica preparazione, ma non alla situazione del militare che tale qualita' assume automaticamente per il sol fatto di essere chiamato alle armi, e senza che sia necessaria una preventiva istruzione e nemmeno, come e' avvenuto per il De Felip, l'effettiva presentazione alle armi (art. 3, primo comma, n. 2, del c.p.m.p.). Si tratta, dunque, di una violazione del principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 della Costituzione). Ma e' altrettanto evidente che, come a suo tempo l'art. 5 del c.p., cosi' l'art. 39 del c.p.m.p., che consente l'affermazione di penale responsabilita' sulla base di un dolo in parte fittiziamente determinato ed anche quando non sia stato trasgredito il dovere strumentale di prendere conoscenza dei doveri dello stato militare, non puo' non apparire in contraddizione con l'art. 27, primo comma, e, come taluno mette in rilievo, con lo stesso art. 25, secondo comma, della Costituzione, in ragione di un particolare corollario del principio di legalita', che riafferma quella stessa esigenza che sta alla base del principio dell'art. 27, primo comma. Il militare, per lintensita' dei suoi doveri politici (artt. 52, primo e secondo comma, e 54, secondo comma, della Costituzione), appare strettamente collegato all'ordinamento giuridico ed alle istituzioni, piu' di quanto non avvenga per il cittadino qualsiasi. Ma cio', evidentemente, non puo' legittimare una responsabilita' penale sui generis, quale ora si configura per la vigenza dell'art. 39 del c.p.m.p. Anzi, non vi e' dubbio che sotto questo profilo non possano subire particolari deroghe i suoi fondamentali diritti di liberta' (artt. 2 e 13 della Costituzione), del resto posti alla base dello stesso ordinamento militare (art. 52, terzo comma, della Costituzione). In definitiva, questo tribunale solleva questione di legittimita' dell'art. 39 del c.p.m.p. in riferimento all'art. 5 del c.p., in relazione agli artt. 2, 3, 13, 25, secondo comma, 27, primo comma, e 52, terzo comma, della Costituzione.
P. Q. M. Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale degli art. 39 del c.p.m.p., in riferimento all'art. 5 del c.p., in relazione agli artt.2, 3, 13, 25, secondo comma, 27 primo comma, e 52, terzo comma, della Costituzione; Dispone la sospensione del procedimento in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che l'ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Padova, addi' 20 giugno 1989 (Seguono le firme) 89C0974