N. 71 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 1 settembre 1989

                                 N. 71
         Ricorso depositato in cancelleria il 1 settembre 1989
                     (della regione Emilia-Romagna)
 Sanita' pubblica - Servizio sanitario nazionale - Finanziamento della
 spesa sanitaria - Attribuzione alle regioni della responsabilita'  di
 tale  spesa - Mancata attribuzione dei mezzi finanziari nonche' degli
 strumenti  di  governo  e  di  controllo   del   settore   -   Omesso
 coordinamento  tra  spesa  statale  e  spesa  regionale  -  Possibile
 disparita' di trattamento dei cittadini in materia  sanitaria  e  dei
 relativi servizi - Abuso di un mezzo normativo (d.-l.) in assenza dei
 presupposti  costituzionali  che  lo  giustifichino   -   Conseguente
 violazione  del principio di garanzia di partecipazione delle regioni
 alle decisioni politiche che le riguardano  -  Richiamo  ai  principi
 delle  sentenze nn. 245/1984, 117 e 294 del 1986, 64/1987 e 452/1989.
 Servizio  sanitario  nazionale  -  Riorganizzazione delle strutture -
 Analitica imposizione alle regioni di ristrutturare e  riorganizzare,
 entro  un  termine  determinato,  il  servizio  sanitario; nonche' di
 regolamentare le modalita' per l'esercizio della  libera  professione
 all'interno  delle  strutture  sanitarie  pubbliche  -  Previsione di
 poteri sostitutivi in caso di mancata approvazione di tale disciplina
 -  Violazione  dell'autonomia regionale - Violazione del principio di
 legalita' - Abnorme uso del potere  sostitutivo  -  Riferimento  alla
 sentenza n. 177/1988.
 (D.L. 28 luglio 1989, n. 265, artt. 1, 2 e 3).
 (Cost., artt. 3, 32, 77, 81, 117, 119, 121, 125, 126 e 127).
(GU n.39 del 27-9-1989 )
   Ricorso  della  regione  Emilia-Romagna,  in persona dell'assessore
 Giuseppe Gavioli, delegato dal presidente ad esercitare le funzioni e
 i  poteri  attribuiti dalla legge e dallo statuto al presidente della
 giunta regionale in forza del decreto  del  presidente  della  giunta
 Luciano  Guerzoni  n.  525,  prot.  n.  1112/SG  del  21 luglio 1989,
 autorizzato con deliberazione della giunta regionale 21 agosto  1989,
 n.  4043,  rappresentato  e  difeso dall'avv. prof. Valerio Onida, ed
 elettivamente domiciliato presso l'avv.  Gualtiero  Rueca,  in  Roma,
 Largo  della  Gancia, 1, come da mandato a margine del presente atto,
 contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la  dichiarazione
 della illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 del d.-l. 28
 luglio 1989, n. 265, recante "Misure urgenti per la  riorganizzazione
 del   servizio   sanitario   nazionale",  pubblicato  nella  Gazzetta
 Ufficiale, serie generale, n. 176 del 29 luglio 1989.
    Non  molto  tempo  fa,  nel  concludere  il  giudizio  sulla legge
 finanziaria 1984 relativamente alla  parte  sanitaria,  questa  Corte
 aveva   affermato   "l'esigenza   che   il   Parlamento   riconsideri
 organicamente l'ordinamento del  servizio  sanitario  nazionale.  Non
 basta, cioe' - proseguiva la Corte - che venga riformata e snellita -
 secondo  lo  schema  predisposto  dal  Ministro   della   Sanita'   -
 l'organizzazione  interna delle unita' sanitarie locali. Occorre, del
 pari,  che  si  faccia   chiarezza   nell'attuale   intreccio   delle
 competenze,  spettanti  ai  vari  tipi di apparati corresponsabili in
 materia, evitando in particolar modo l'eccessiva moltiplicazione  dei
 centri  di  autonomia,  sia  pure  attuata nel formale rispetto della
 Costituzione. Ed e' ben chiaro,  d'altronde,  che  non  servono  allo
 scopo  le leggi finanziarie, ne' gli altri provvedimenti di carattere
 urgente o comunque contingente: la' dove sono  in  gioco  funzioni  e
 diritti   costituzionalmente   previsti   e   garantiti,  e'  infatti
 indispensabile superare la prospettiva del  puro  contenimento  della
 spesa  pubblica,  per  assicurare  la certezza del diritto ed il buon
 andamento  delle  pubbliche  amministrazioni,   mediante   discipline
 coerenti e destinate a durare nel tempo (sentenza n. 245/1984)".
    Dopo  quella  sentenza,  la spesa sanitaria ha continuato pero' ad
 essere  incontrollata,  il  legislatore  ha  continuato  ad   emanare
 "riformette"   o  interventi  "tampone",  con  cui  spesso  la  Corte
 costituzionale ha dovuto cimentarsi;  il  Governo  ha  continuato  ad
 emanare decreti-legge; ed ha continuato a farlo anche dopo il recente
 monito della Corte, contenuto nella sentenza n. 302/1988  e  dopo  le
 limitazioni  apposte  all'uso  dei  decreti-legge  dell'art. 15 della
 legge n. 400/1988  (che  vieta,  tra  l'altro,  la  reiterazione  dei
 decreti-legge  bocciati  dalle Camere e la regolamentazione con d.-l.
 dei rapporti giuridici sorti sulla base di decreti non convertiti,  e
 impone che il decreto-legge contenga misure di immediata applicazione
 e abbia contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo).
    Nonostante  la  sentenza  n.  245/1984  e  nonostante  la legge n.
 400/1988, ancora una volta, col provvedimento impugnato, con  cui  si
 e' reiterato il decaduto d.-l. n. 199/1989 (che a sua volta reiterava
 il d.-l. n. 111/1989), si e' fatto ricorso al cattivo strumento della
 decretazione  d'urgenza  per  imporre una disordinata, poco pensata e
 comunque  lesiva  dell'autonomia  regionale,   serie   di   modifiche
 all'ordinamento   del  servizio  sanitario  nazionale.  Non  solo  le
 conseguenze di questo decreto-legge sono gravi  nell'impatto  con  la
 corretta   organizzazione   del   servizio   sanitario  nazionale,  e
 discutibili per quanto riguarda la tutela del diritto alla salute dei
 cittadini,    ma    le    disposizioni   in   esso   contenute   sono
 costituzionalmente  illegittime  per  il  modo  in  cui  i   rapporti
 Stato-regioni sono regolati dagli artt. 1, 2 e 3 del decreto, sia per
 quanto riguarda la trasformazione dei meccanismi di finanziamento del
 servizio  sanitario,  sia per quanto riguarda la procedura di riforma
 che gli artt. 2 e 3 vorrebbero attivare.
    1. - Sul finanziamento della spesa sanitaria.
    L'art.  1  del  decreto-legge e' incostituzionale, in primo luogo,
 per violazione degli artt. 3,  32,  77,  81,  97,  117  e  119  della
 Costituzione.
    L'art.  1  pone  chiaramente  a  carico  delle  regioni  la  spesa
 sanitaria, senza  garantire  risorse  adeguate  e  soprattutto  senza
 attribuire  alcuno strumento per il controllo dei fattori della spesa
 medesima.
    Il   primo   comma   trasforma   il   fondo   sanitario  nazionale
 (esplicitamente soppresso dal diciottesimo comma) in fondo  sanitario
 interregionale.  Il  fondo  e' alimentato, per la parte corrente, dal
 gettito dei contributi di malattia al lordo delle quote eventualmente
 fiscalizzate; da stanziamenti integrativi a carico del bilancio dello
 Stato determinati per ciascun  triennio  dalla  legge  finanziaria  e
 successive  modificazioni  anche  per  assicurare  l'assistenza  agli
 indigenti, le funzioni di igiene pubblica, prevenzione  collettiva  e
 sanita'  pubblica  veterinaria,  e  gli obiettivi del piano sanitario
 nazionale, nonche' da ogni altra entrata ad esso  destinata;  per  la
 parte  in  conto  capitale,  da  stanziamenti  annuali  a  carico del
 bilancio dello Stato.
    La  ripartizione  del  fondo  e'  effettuata  da  una  commissione
 (prevista dal primo comma) composta  da  sette  rappresentanti  delle
 regioni  e  province  autonome e da cinque rappresentanti dello Stato
 (due ciascuno in rappresentanza dei  Ministri  della  sanita'  e  del
 tesoro, e uno per il Ministro del bilancio), sulla base di un sistema
 di coefficienti parametrici determinati dalla commissione su proposta
 del  Ministro  della  sanita',  tendenti  ad un graduale riequilibrio
 nazionale nell'impiego  delle  risorse  (i  coefficienti  parametrici
 devono tener conto di una serie di elementi indicati alle lettere a )
 ed f) del terzo comma).
    Si  precisa  infine  all'ottavo  comma  che  "le  quote  del fondo
 sanitario interregionale di parte corrente assegnate alle  regioni  a
 statuto  ordinario  confluiscono nel fondo comune regionale con parte
 indistinta e concorrono a comporre il bilancio regionale di cui fanno
 parte  integrante; ma non concorrono ai fini della determinazione del
 tetto massimo di indebitamento".
    Questo meccanismo dovrebbe sostituire quello previsto dall'art. 51
 della legge n. 833/1978, come modificato dall'art. 1, della legge  23
 ottobre 1985, n. 595.
    In  questo  modo,  facendo  confluire le quote regionali nel fondo
 comune,  che  rappresenta  la  quota  di  risorse   genericamente   a
 disposizione  della  regione  per  far  fronte alle proprie spese (il
 d.l.  n.  111/1989  definiva  tali   quote,   riduttivamente,   come
 "l'apporto  finanziario  centrale  alla spesa sanitaria": pur se tale
 formulazione manca nel decreto-legge impugnato, si e' sostanzialmente
 di  fronte  alla  stessa  situazione),  il decreto-legge impugnato fa
 gravare sulle regioni l'onere  della  spesa  sanitaria  eccedente  le
 quote  del  fondo  assegnato  anno per anno (v. art. 1, nono e decimo
 comma): sulle regioni ricade in definitiva la  responsabilita'  della
 spesa  sanitaria,  cui  esse  dovrebbero  far  fronte riducendo altri
 interventi regionali  (come  poi  possa  cio'  avvenire,  essendo  la
 finanza  regionale quasi esclusivamente finanza derivata, non e' dato
 sapere),  senza  pero'   che   le   regioni   medesime   abbiano   la
 disponibilita'  dei  necessari  strumenti  di  governo e di controllo
 della spesa sanitaria.
    La regione infatti non ha poteri sul personale, che e' regolato da
 accordi stipulati in sede centrale; non poteri  sugli  organici,  che
 sono  definiti e vincolati da provvedimenti statali; non poteri sugli
 standards dei servizi  sanitari,  che  sono  fissati  al  centro.  Il
 processo  di  centralizzazione  del  governo  della  spesa sanitaria,
 sviluppato ed esasperato dalla farraginosa legislazione degli  ultimi
 anni,    e'    estremizzato   dal   decreto-legge   impugnato,   che,
 contraddittoriamente,    affida     a     determinazioni     centrali
 l'individuazione  di criteri e principi piu' o meno vincolanti su una
 serie estremamente ampia di  oggetti  (persino  sulle  procedure  del
 controllo di gestione: art. 1, diciassettesimo comma).
    Attribuire  alle  regioni  la  responsabilita'  della spesa, senza
 fornire ad esse i mezzi finanziari, e  soprattutto  senza  attribuire
 loro  alcuno  strumento  di  governo  e  di  controllo  del  settore,
 significa pero' evidentemente violare il principio  di  cui  all'art.
 81, quarto comma, della Costituzione.
    Proprio  su  questo  necessario raccordo tra governo del settore e
 responsabilita'  della  spesa   la   Corte   si   e'   esplicitamente
 pronunziata,  dichiarando  l'illegittimita'  costituzionale dell'art.
 29, secondo comma, n. 1, della legge n. 730/1983, nella parte in  cui
 prevedeva  che,  per  ripianare  il  disavanzo delle unita' sanitarie
 locali, le  regioni  fossero  tenute  -  anziche'  facoltizzate  -  a
 prelevare  i  fondi  necessari  dalla  quota  del fondo comune di cui
 all'art. 8 della legge n. 281/1970, quanto  alle  regioni  a  statuto
 ordinario,  e dalle corrispondenti entrate di parte corrente previste
 dai rispettivi ordinamenti, quanto alle regioni a statuto speciale ed
 alle province autonome (sentenza n. 245/1984).
    L'illegittimita'   rilevata   dalla   Corte   in   quell'occasione
 riguardava dunque lo stesso meccanismo che si vorrebbe ora nuovamente
 e  in  forma piu' radicale introdurre col decreto-legge impugnato: un
 meccanismo che obbliga le regioni a coprire i disavanzi  di  gestione
 del servizio sanitario ricorrendo al fondo comune, cioe' alla propria
 finanza ordinaria (v. di nuovo il nono e decimo comma dell'art. 1).
    Per  giungere  alla  dichiarazione  di illegittimita' dell'art. 29
 della  legge  n.  730/1983,  la  Corte  affermo'  che  le  competenze
 regionali in materia sanitaria non bastano "a far concludere. . . che
 le amministrazioni regionali portino. . . l'effettiva responsabilita'
 degli eventuali disavanzi delle uu.ss.ll.".
    "Assunti  del  genere  -  continuo'  la  Corte  -  sono oltretutto
 smentiti dalla considerazione che la  parte  essenziale  della  spesa
 sanitaria  ed  ospedaliera  non puo' non gravare sullo Stato. . . per
 l'evidente ragione che il diritto alla  salute  spetta  egualmente  a
 tutti   i   cittadini   e  va  salvaguardato  sull'intero  territorio
 nazionale. Non e' pertanto casuale che  la  spesa  in  questione  sia
 prevalentemente rigida e non si presti a venire manovrata, in qualche
 misura,  se  non  dagli  organi  centrali  di  governo.  E'   appunto
 l'esigenza di pari trattamento, sottesa all'intera riforma sanitaria,
 che spiega per quali motivi le singole regioni non possano  -  almeno
 di  regola  -  incidere  sulla spesa farmaceutica e sugli altri oneri
 derivanti dalle prescrizioni mediche, sui ricoveri ospedalieri, sullo
 stato  giuridico  ed  economico del personale dipendente dalle unita'
 sanitarie locali, sul regime del personale a rapporto  convenzionale,
 sugli  stessi  acquisti  dei beni e dei servizi indispensabili per il
 funzionamento delle unita' sanitarie locali".
    Gia' allora - a proposito della finanziaria 1984 - si discuteva di
 tickets: e la Corte ricordo' che soltanto  lo  Stato  dispone  "della
 potesta'   di   circoscrivere  in  tal  senso  la  spesa,  per  mezzo
 dell'introduzione di tickets o  con  il  ricorso  ad  altre  analoghe
 misure di contenimento".
    La  Corte  costituzionale riconobbe esplicitamente che "gran parte
 della  spesa  sanitaria  si  forma  indipendentemente  dalle   scelte
 regionali  (e  dalle  stesse  deliberazioni  degli organi di gestione
 delle unita' sanitarie  locali)":  l'incostituzionalita'  dell'allora
 impugnato  art. 29 dipese proprio dal fatto che esso "di questo dato.
 . . non tiene il minimo conto, imponendo  comunque  alla  regione  il
 ripiano  del  disavanzo,  quali  che  siano  i fattori che lo abbiano
 prodotto".
    La  stessa  censura  non  puo'  non colpire l'impugnato art. 1 del
 d.-l. n. 265/1989.
    Dalle  posizioni  ricordate  la Corte non si e' discostata nemmeno
 nella propria successiva giurisprudenza, in tutte le occasioni in cui
 le  si  sono posti problemi variamente attinenti al finanziamento del
 servizio sanitario.
    Nella   decisione   sul   contestatissimo  criterio  della  "spesa
 storica", la Corte ha ribadito  "il  carattere  peculiare  del  fondo
 sanitario ( ex art. 51, secondo comma, della legge n. 833/1978), che.
 . . e' stato  istituito  al  fine  di  garantire  livelli  minimi  di
 prestazioni  in  modo  uniforme  su  tutto  il territorio nazionale "
 (sentenza n. 212/1988).
    Nella  decisione  sulla  legge  finanziaria 1986, ancora, la Corte
 salvo' alcuni strumenti  di  centralizzazione  del  controllo  e  del
 governo  della  spesa  sanitaria,  affermando che "tanto le finalita'
 quanto le esigenze sopra descritte sono correlate  strettamente  allo
 scopo  essenziale del servizio sanitario, cioe' a quello che consiste
 nella tutela della salute umana. . . e nel rendimento, anche mediante
 il riequilibrio di situazioni strutturali locali, di servizi sanitari
 uniformi a tutti i cittadini secondo i predetti standards  nazionali"
 (sentenza n. 64/1987).
    Eguali  argomenti,  infine,  si ritrovano anche nelle sentenze nn.
 177 e 294 del 1986.
    E  ancora,  nella  recentissima  sentenza  n.  452/1989  la  Corte
 costituzionale, nel dichiarare incostituzionale la disposizione della
 legge n. 37/1989 che escludeva di porre a carico dello Stato le spese
 eventualmente eccedenti il tetto fissato dalla  stessa  disposizione,
 ha  sottolineato  che  la  garanzia  dell'autonomia finanziaria delle
 regioni e delle province autonome "comporta che  non  possano  essere
 addossati  al  bilancio regionale (o provinciale) gli oneri derivanti
 da decisioni non imputabili alla regione  stessa  (o  alla  provincia
 autonoma)  o  che,  comunque,  dipendono  dall'esigenza  di  tutelare
 interessi pubblici o diritti costituzionali  dei  cittadini,  la  cui
 cura  e'  affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e non certo
 quella essenziale - alla regione".
    Ha ricordato infatti la Corte in questa recentissima sentenza come
 la disciplina legislativa intervenuta successivamente alle  norme  di
 legge giudicate con la piu' volte richiamata sentenza n. 245/1984 non
 abbia  in  alcun  modo  "spostato   a   favore   delle   regioni   la
 responsabilita' della spesa sanitaria".
    La  garanzia  di  servizi sanitari adeguati e uniformi per tutti i
 cittadini rende rigida e largamente vincolata la spesa sanitaria e ne
 permette  un  governo  centralizzato: ma, se cosi' e', non si possono
 accollare alle regioni i disavanzi della gestione sanitaria.
    Il  decreto-legge  impugnato,  che  vorrebbe  invece scaricare sul
 fondo comune tutta la spesa sanitaria non coperta dal fondo sanitario
 (nazionale    o    interregionale)   e'   dunque   costituzionalmente
 illegittimo:
       a)   per   violazione   dell'art.   81,   quarto  comma,  della
 Costituzione, e dell'art. 27  della  legge  n.  478/1978,  in  quanto
 impone  alle  regioni  nuove  spese senza fornire ad esse i mezzi per
 farvi fronte;
       b)  per violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione, in
 quanto non tiene minimamente conto delle  esigenze  di  coordinamento
 della  spesa  statale con la spesa regionale, e scarica sulla finanza
 regionale spese che non possono essere sostenute  alle  regioni,  con
 evidenti ripercussioni negative anche sulle capacita' operative delle
 regioni nelle altre materie di loro competenza;
       c)  per  violazione  degli  artt.  3  e  32 della Costituzione,
 poiche' - in contrasto con l'esigenza di parita' di  trattamento  dei
 cittadini  in  materia  sanitaria  -  forma  le  condizioni  per  una
 ingiustificata  differenziazione,   anche   profonda,   dei   servizi
 garantiti;
       d)   per   violazione,  ancora,  degli  artt.  77  e  97  della
 Costituzione.
    Per  quest'ultimo  profilo di violazione, ci si puo' richiamare al
 passo ricordato in apertura del presente ricorso  della  gia'  citata
 sentenza n. 245/1984.
    A  cinque  anni  di  distanza  da  quella  sentenza, il ricorso al
 decreto-legge  assume  il  sapore  di  una  beffa,  o  forse  e'   la
 testimonianza  di  una  palese  incapacita'  di  governare il settore
 sanitario.
    La regione ricorrente, comunque, non puo' non sottolineare come il
 ricorso  alla  decretazione  di  urgenza  in  materia  di  competenza
 regionale,   da   un   lato,   sia   lesivo   della   sua   posizione
 costituzionalmente garantita, impedendo  ad  essa,  cosi'  come  alle
 altre  regioni,  di  attivare  quei  canali  di  partecipazione  alla
 decisione politica che il procedimento legislativo,  pur  in  materia
 imperfetta,  prevede  e garantisce; dall'altro, sia continua fonte di
 difficolta'  amministrative,  che  si  riverberano  nella  violazione
 dell'art. 97 della Costituzione.
    2.   -   Sulla   riorganizzazione  delle  strutture  del  servizio
 sanitario.
    Il  decreto-legge  impugnato  vi'ola  l'autonomia  regionale anche
 sotto altri profili.
    Con  il  primo  comma dell'art. 2 si impone alla legge regionale o
 provinciale di disciplinare, entro sei mesi dalla data di entrata  in
 vigore  della  legge di conversione del decreto, una serie di oggetti
 relativi all'organizzazione del servizio sanitario, e in particolare:
       a)  "l'istituzione  di  un apposito organismo con il compito di
 provvedere  alla  ripartizione  delle  risorse  alle  aziende  unita'
 sanitarie   locali  e  ospedaliere  (...),  esercitando  funzioni  di
 impulso, di  direzione  tecnica,  di  vigilanza  e  di  controllo  di
 gestione e con il compito altresi' di consolidare i bilanci a livello
 regionale";
       b)   la   delimitazione   delle  uu.ss.ll.  secondo  ambiti  di
 popolazione o territoriali;
       c)  l'attribuzione  alle  uu.ss.ll.  della natura di azienda di
 servizi con personalita' giuridica  e  con  autonomia  organizzativa,
 amministrativa, patrimoniale e contabile;
       d)  l'individuazione degli organi delle unita' sanitarie locali
 (consiglio  di  amministrazione,  presidente,   direttore   generale,
 collegio dei revisori);
       e) norme sull'amministrazione straordinaria delle uu.ss.ll.;
       f)  norme transitorie sul trasferimento dei rapporti alle nuove
 uu.ss.ll.
    A   differenza   del   d.-l.  n.  111/1989  che,  con  scarsissima
 sensibilita'  istituzionale,  affidava  addirittura  ad  un  atto  di
 indirizzo  e  coordinamento  l'individuazione  delle linee di riforma
 organizzative e finanziarie delle uu.ss.ll., l'art. 2  del  d.-l.  n.
 265 detta direttamente alcuni criteri relativi agli organi di governo
 delle uu.ss.ll. e in particolare al direttore  generale,  di  cui  al
 terzo  comma  prevede  le  modalita'  di  nomina  e il quarto comma i
 poteri.
    La  stessa  legge  regionale  o provinciale, prevista dall'art. 2,
 primo comma, dovra', ai sensi dell'art. 3 del decreto-legge  altresi'
 prevedere  la  trasformazione  degli  istituti  di  ricovero e cura a
 carattere scientifico di diritto pubblico, degli ospedali pubblici di
 alta  specializzazione,  di  quelli  di  grandi dimensioni con almeno
 seicento posti letto e  dotati  di  un  complesso  di  almeno  sedici
 divisioni  e  servizi  a  direzione apicale alla data del 28 febbraio
 1989, nonche' degli ospedali clinicizzati, in aziende ospedaliere con
 struttura amministrativa ed organizzativa autonoma, con al vertice un
 direttore generale, sempre secondo  i  criteri  dettati  dal  secondo
 comma dell'art. 2.
    Ad   un  atto  di  indirizzo  e  coordinamento  rinvia  l'art.  1,
 sedicesimo comma, per  l'indicazione  del  "quadro  dei  criteri  per
 adottare    norme    di    contabilita'   atte   ad   individuare   e
 responsabilizzare i centri di spesa delle aziende sanitarie locali  e
 ospedaliere".
    La  mancata  approvazione  della legge regionale o provinciale nei
 termini previsti autorizza il Governo a provvedere in via sostitutiva
 (art.   2,   quinto   comma,  e  3,  quarto  comma:  in  quest'ultima
 disposizione si usa una formula leggermente diversa, per  cui  e'  lo
 "Stato",  e  non  il  "Governo",  a  provvedere  in  via sostitutiva,
 "sentita la regione").
    Al  potere sostitutivo si ricorre altresi' qualora la regioni e le
 province autonome non provvedano, nel termine di quattro  mesi  dalla
 data  di  entrata  in  vigore  del  decreto,  alla  emanazione  di un
 regolamento concernente le modalita'  per  l'esercizio  della  libera
 professione    all'interno   degli   ospedali   e   delle   strutture
 ambulatoriali (art. 3, sesto comma).
    Non  si  sa  bene  per  quale ragione, in questo caso non si parla
 specificatamente di potere sostitutivo dello Stato,  ma  si  richiama
 l'art.  6,  secondo  comma,  della legge 23 ottobre 1985, n. 595, che
 recita:
    "In   caso  di  persistente  inattivita'  degli  organi  regionali
 nell'esercizio delle funzioni in materie sanitarie, qualora si tratti
 di adempimenti da svolgersi entro termini perentori previsti da leggi
 o  risultanti  dalla  natura  degli  interventi  da  realizzare,   il
 Consiglio  dei  Ministri,  su  proposta  del  Ministro della Sanita',
 dispone  il  compimento   degli   atti   relativi   in   sostituzione
 dell'amministrazione regionale".
    La  formulazione  e' sicuramente piu' meditata di quella contenuta
 nel decreto-legge di cui  trattasi,  ma  la  sostanza  e'  sempre  la
 previsione  del  potere  sostitutivo:  non  si  capisce  allora se il
 richiamo all'art. 6 della legge  n.  595/1985  serva  ad  evitare  di
 ricorrere  ancora  una  volta  alla  formula  "in via sostitutiva", o
 nasconda una qualche intenzione di differenziare i primi due casi  di
 intervento sostitutivo da quest'ultimo³
    Il decreto-legge impugnato si prefigge dunque di riorganizzare una
 parte fondamentale del servizio sanitario, cosi' come previsto  dalla
 legge  n.  833/1978,  per  il  tramite  di una procedura, a dir poco,
 peculiare, a causa della abnorme previsione di poteri sostitutivi nel
 caso di mancata approvazione della legge regionale o provinciale.
    L'impugnazione  del  precedente  decreto  n.  111 ha fatto si' che
 venissero eliminati alcuni profili di palese  incostituzionalita'  (a
 dir poco aberrante era la previsione per cui i criteri che le regioni
 avrebbero dovuto rispettare nell'emanazione delle  leggi  di  riforma
 sarebbero  stati  posti  con  un  atto di indirizzo e coordinamento):
 rimangono   purtuttavia   alcune   previsioni    gravemente    lesive
 dell'autonomia regionale.
    Infatti,  oltre all'eccessivo dettaglio di alcune disposizioni (v.
 ad esempio art. 2, quarto comma, il decreto-legge continua ad  essere
 viziato  a causa di una abnorme utilizzazione del potere sostitutivo.
    Con disposizione davvero sconcertante, l'art. 2, quinto comma, del
 decreto-legge  impugnato  prevede  che  "qualora  la  regione  o   la
 provincia non provvedano all'approvazione della legge di cui al primo
 comma,  nel  termine  ivi  previsto,  il  Governo  provvede  in   vis
 sostitutiva".
    Una  previsione  simile  e'  contenuta  anche  nell'art. 3, quarto
 comma; e l'esercizio di un potere sostitutivo  e'  previsto  altresi'
 dall'art. 3, sesto comma.
    Ora,  di  poteri  sostitutivi,  com'e' noto, si e' negli anni piu'
 recenti  parlato   frequentemente,   e   la   stessa   giurisprudenza
 costituzionale e' stata piu' volte chiamata ad esprimersi in proposto
 (v. sentenze nn. 151, 177 e 294 del 1986).
    Una  recente  sentenza  ha  infine  tentato  di  precisare in modo
 sistematico i limiti cui questa forma  di  intervento  extra  ordinem
 deve essere sottoposta (sentenza n. 177/1988).
    Ha  precisato  anzitutto  la  Corte  che  "quando  e' previsto nei
 rapporti tra Stato e regioni in relazione  alle  materie  proprie  di
 queste,  il  controllo  sostitutivo, pur conservando i suoi caratteri
 essenziali, assume connotazioni particolari, legate al fatto che, nel
 caso,  tale  potere  ha  di  fronte  a  se'  un'autonomia  politica e
 amministrativa costituzionalmente definita e garantita".
    Tali caratteri sono stati cosi' precisati dalla Corte:
    "Innanzitutto,  si  tratta  di  un potere collegato a posizioni di
 controllo o di vigilanza, ovviamente esulanti da  relazioni  di  tipo
 gerarchico,  che  puo'  essere  esercitato  dallo  Stato  soltanto in
 relazione   ad   attivita'   regionali   sostanzialmente   prive   di
 discrezionalita'  nell'  an  (anche se non necessariamente nel quid o
 nel quomodo), ora perche' sottoposte per legge (o norme equiparate) a
 termini  perentori,  ora  per  la  natura degli atti da compiere, nel
 senso che la loro omissione risulterebbe tale  da  mettere  in  serio
 pericolo l'esercizio di funzioni fondamentali ovvero il perseguimento
 di interessi essenziali che sono affidati alla responsabilita' finale
 dello Stato.
    In  secondo  luogo,  il  controllo  sostitutivo  nei  confronti di
 attivita' proprie delle regioni puo' essere legislativamente previsto
 a  favore  dello  Stato  soltanto  come  potere  strumentale rispetto
 all'esecuzione  o  all'adempimento  di   obblighi   ovvero   rispetto
 all'attuazione  di  indirizzi  o  di criteri operativi, i quali siano
 basati  su  interessi   tutelati   costituzionalmente   come   limiti
 all'autonomia regionale (v. sentenze nn. 177 e 294 del 1986, 64 e 304
 del 1987).  Solo  in  tali  ipotesi,  infatti,  possono  riscontrarsi
 interessi  in  grado  di  permettere  allo Stato, quando ricorrano le
 necessarie condizioni di  forma  e  di  sostanza  per  un  intervento
 sostitutivo, di superare eccezionalmente la separazione di competenza
 tra lo Stato stesso e le  regioni  stabilita  dalla  Costituzione  (o
 dagli   statuti  speciali)  nelle  materie  attribuite  all'autonomia
 regionale (o provinciale).
    In  terzo  luogo, il potere sostitutivo puo' essere esercitato nei
 confronti delle regioni  (o  delle  province  autonome)  soltanto  da
 un'autorita'  di  Governo,  nello  specifico senso di cui all'art. 92
 della Costituzione.....
    Infine,  l'esercizio  del  controllo  sostitutivo nei rapporti tra
 Stato  e  regioni  (o  province  autonome)  dev'essere  assistito  da
 garanzie,   sostanziali   e   procedurali,   rispondenti   ai  valori
 fondamentali cui la  Costituzione  informa  i  predetti  rapporti  e,
 specialmente,  al  principio  della  'leale  cooperazione'.  .  . (v.
 sentenze nn. 153  e  294  del  1986).  E  fra  queste  garanzie  deve
 considerarsi  inclusa  l'esigenza  del  rispetto  di  una  regola  di
 proporzionalita' tra i  presupposti  che,  nello  specifico  caso  in
 considerazione, legittimano l'intervento sostitutivo e il contenuto e
 l'estenzione  del  relativo   potere,   in   mancanza   della   quale
 quest'ultimo   potrebbe   ridondare   in   un'ingiusta   compressione
 dell'autonomia regionale (v. sentenze nn. 177 e 294  del  1986)"  (v.
 ancora recentemente in questo senso sentenza n. 101/1989).
    Nella specie, non si tratta di sostituire un adempimento regionale
 la cui omissione potrebbe mettere in  pericolo  il  perseguimento  di
 interessi  essenziali  affidati  allo  Stato,  ma  di  sostituire  il
 legislatore regionale nella  realizzazione  di  una  vera  e  propria
 riforma istituzionale delle uu.ss.ll.
    Ne' si potrebbe invocare l'interesse dello Stato a che i principi'
 fondamentali da  esso  stabiliti  non  rimangano  lettera  morta  per
 l'inerzia  dei  legislatori  regionali, posto che a questo fine altri
 sono  gli  strumenti  giuridici  previsti  dal  nostro   ordinamento,
 dall'effetto  abrogativo della nuova legge statale di principi' sulle
 leggi regionali preesistenti in contrasto con  i  principi'  medesimi
 (art.  10  della legge n. 62/1953), alla facolta', per il legislatore
 statale, di dettare normative di dettaglio "cedevoli" da valere  fino
 all'entrata  in  vigore  delle  norme  regionali  conformi  ai  nuovi
 principi' (sentenza n. 214/1985).
    Per  la  stessa  ragione  non puo' qui invocarsi il fondamento del
 potere sostitutivo consistente nella necessita' di tutelare interessi
 che si configurino come limiti all'autonomia regionale.
    Non  e'  nemmeno  possibile,  poi,  discorrere  del  rispetto  del
 principio di "leale cooperazione",  rivolgendosi  il  potere  statale
 addirittura  a  sostituire  l'esercizio  della  potesta'  legislativa
 regionale.
    In  realta', peraltro, non e' neanche il caso di porsi il problema
 se  i  requisiti  indicati  dalla  Corte  siano  stati  nella  specie
 rispettati.   E'   sufficiente   sottolineare   appunto  che  con  il
 decreto-legge impugnato si pretende che il Governo eserciti il potere
 sostitutivo nei confronti della legge regionale.
    La  gravita'  e l'incongruita' di tale previsione appaiono palesi.
 Anche chi fosse poco sensibile agli aspetti teorici del rapporto  tra
 autonomie  regionali  e  potere  esecutivo,  e  poco  attento ai dati
 sistematici da cui emerge che il controllo sulla legge regionale deve
 avvenire nelle sole forme dell'art. 127 della Costituzione, mentre la
 sanzione  estrema  nei  confronti  dell'autonomia  regionale  e'   lo
 scioglimento  del  consiglio regionale; anche chi volesse ignorare la
 stessa giurisprudenza costituzionale in tema di funzione  legislativa
 regionale  (v.  la sentenza n. 70/1985, secondo cui il giudice penale
 non puo' "giudicare l'omesso o intempestivo esercizio della  funzione
 legislativa  dato  che  essa costituisce estrinsecazione delle scelte
 politiche - e percio'  libere  -  della  regione,  con  le  quali  si
 determina,  nella materia medesima, l'indirizzo politico regionale" e
 di autonomia regionale in genere  (v.  la  recente  dichiarazione  di
 incostituzionalita'    del   potere   governativo   di   annullamento
 straordinario di atti  della  regione:  sentenza  n.  229/1989),  non
 potrebbe non arrestarsi di fronte al problema: con quali strumenti il
 Governo  provvederebbe  in  via  sostitutiva  nel  caso  di   mancata
 approvazione della legge regionale?
    In  realta',  strumenti  di tal fatta in mano al Governo non ve ne
 sono e non potrebbero esserci, per la decisiva ragione  che  in  atto
 non legislativo del Governo non puo' mai, per definizione, sostituire
 la legge regionale.
    La ipotetica "sostituzione" del legislatore regionale inadempiente
 potrebbe avvenire solo ad opera del legislatore statale (che a questo
 fine  potrebbe  dettare  norme  "cedevoli", secondo il modello di cui
 alla sentenza n. 214/1985 di questa Corte).  Ma  le  disposizioni  in
 esame  non  possono  certo  essere  lette come se prescrivessero (con
 efficacia giuridica  del  tutto  inesistente)  un  futuro  intervento
 legislativo dello Stato.
    Resta,   allora,   la   previsione   di   un   potere  sostitutivo
 "impossibile" ad esercitarsi, a meno  che  davvero  i  redattori  del
 decreto-legge  impugnato non abbiano immaginato di poter conferire al
 Governo il potere di emanare atti amministrativi  che  tengano  luogo
 della  legge  regionale nel disciplinare la struttura delle uu.ss.ll.
 in una singola regione ipoteticamente inadempiente. Ma in questo caso
 l'enormita'  della  rottura  del sistema costituzionale delle fonti e
 delle competenze, nonche' della lesione ai  principi'  di  autonomia,
 appare  davvero  tale,  da non richiedere ulteriori parole per essere
 dimostrata.
    Ne'  meno  palese e' l'illegittimita' della disposizione del sesto
 comma dell'art.  3,  in  cui  si  configura  l'esercizio  del  potere
 sostitutivo  del  Governo,  previsto in generale dall'art. 6, secondo
 comma,  della  legge  n.  595/1985,  nei  riguardi  di  una  potesta'
 regolamentare  delle  regioni,  e  cioe'  nel  caso in cui queste non
 stabiliscano entro il  "termine  perentorio"  di  quattro  mesi,  con
 "proprio  regolamento",  le  modalita'  per  l'esercizio della libera
 professione all'interno delle strutture sanitarie pubbliche.
    Il  riferimento all'art. 6, secondo comma, della legge n. 595/1985
 e'  palesemente  improprio,  poiche'  tale  disposizione  prevede  il
 compimento   da   parte   del   Governo   di  atti  "in  sostituzione
 dell'amministrazione  regionale",  mentre  qui  si   tratterebbe   si
 sostituire   la   regione  non  gia'  nell'esplicazione  di  funzioni
 dell'amministrazione,   bensi'   nell'esplicazione   della   potesta'
 normativa regolamentare, spettante fra l'altro al consiglio regionale
 ai sensi dell'art. 121 della Costituzione.
    Anche  la  potesta'  regolamentare,  come  quella  legislativa, e'
 esplicazione di autonomia normativa e pertanto  non  potrebbe  essere
 supplita  se non attraverso l'esplicazione di una potesta' egualmente
 normativa dello Stato. Ma nella specie non  e'  nemmeno  ipotizzabile
 che   sia  un  regolamento  statale  a  sostituire  quello  regionale
 mancante, sia perche', nel vigente sistema delle fonti, nelle materie
 di  competenza  regionale non sussiste una potesta' regolamentare del
 Governo (cfr. infatti l'art. 17, primo comma, lett. b),  della  legge
 n.  400/1988, che esclude l'esercizio della potesta' regolamentare di
 attuazione e integrazione delle  leggi  recanti  norme  di  principio
 nelle  "materie  riservate  alla  competenza regionale"); sia perche'
 comunque gli atti previsti dall'art. 6, secondo comma, della legge n.
 595/1985,  cui  rinvia  l'art.  3,  quinto  comma,  del decreto-legge
 impugnato, non  sono  e  non  possono  essere  in  nessun  caso  atti
 normativi regolamentari, non essendo, oltre tutto, formati secondo le
 procedure proprie di questi ultimi, disciplinate dall'art.  17  della
 legge  n.  400/1988  (parere  del  Consiglio  di  Stato, delibera del
 Consiglio dei Ministri e decreto  del  Presidente  della  Repubblica,
 ovvero  determinazione  di  uno  o  piu'  ministri, previo parere del
 Consiglio   di   Stato,   per   i    regolamenti    ministeriali    o
 interministeriali).
    Anche  in  questo  caso  ci si trova dunque di fronte ad un potere
 sostitutivo  improprio,  "impossibile"  e  lesivo   di   fondamentali
 principi'  costituzionali  sul  sistema  delle fonti e sull'autonomia
 regionale.
    La  verita'  e'  che  "riforme  cosi'  importanti  come quella del
 settore sanitario non si avviano con atti poco  pensati,  emanati  da
 Governi   perennemente   sull'orlo   della  crisi  o  appena  entrati
 nell'esercizio delle loro  funzioni,  senza  una  seria  preparazione
 politica  e istituzionale: nella seconda reiterazione si sono evitati
 gli aspetti piu' rozzi, del primo  decreto-legge,  si  e'  modificato
 qualche  aspetto  della  imposizione  dei tickets; ma certo rimane la
 sensazione di trovarsi ancora una volta ad un atto che mai  sara'  in
 grado  nemmeno  di avviare una seria riforma; e che i primi articoli,
 che  proclamano  riforme,  minacciando  le  regioni  inadempienti  di
 interventi  sostitutivi,  servano  solo  a fornire una copertura alla
 volonta' di "trovar soldi" da qualche parte per finanziare un settore
 sanitario e perennemente in crisi.
                                P. Q. M.
   Chiede  che  l'ecc.ma  Corte  costituzionale  voglia  dichiarare la
 illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 2  e  3  del  d.-l.   28
 luglio  1989,  n. 265, in riferimento degli artt. 3. 32, 77, 81, 117,
 119, 121, 125, 126 e 127 della Costituzione.
                        Avv. prof. Valerio ONIDA

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