N. 444 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 luglio 1989

                                 N. 444
     Ordinanza emessa il 26 luglio 1989 dal pretore di Bologna nel
   procedimento civile vertente tra Berselli Filippo e Rubini Claudia
 Imposta  comunale  per l'esercizio di imprese e di arti e professioni
 (i.c.i.a.p.)  -  Capacita'  contributiva  desunta  dalla   superficie
 utilizzata per le attivita' produttive anziche' dal reddito percepito
 - Omessa  previsione  di  progressivita'  dell'imposta  Identita'  di
 prelievo  a  parita' di superficie anche per settori diversi, nonche'
 per superficie ed attivita' eguali ma esercitate in luoghi diversi  -
 Imposizione  anche per coloro che non dispongono di alcuna superficie
 - Eccessiva discrezionalita' per i comuni nella scelta  dell'aliquota
 -  Macroscopica  discriminazione  per coloro che esercitano un'arte o
 una professione rispetto agli altri cittadini.
 (D.-L. 2 marzo 1989, n. 66, artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, coordinato con la
 legge di conversione 24 aprile 1989, n. 144).
 (Cost., artt. 3 e 53).
(GU n.39 del 27-9-1989 )
                               IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento civile
 promosso  dall'avv.  Filippo  Berselli,  in  proprio,  contro  Rubini
 Claudia.
    Oggetto: "Ricorso per decreto ingiuntivo".
                               F A T T O
    L'avv.  Filippo  Berselli,  premesso  di  aver  inviato in data 20
 giugno  1989  alla  dott.ssa   Claudia   Rubini   di   Bologna,   sua
 commercialista,  l'importo  di  L.  1.060.000 affinche' provvedesse a
 versarlo  entro  il  31  luglio  1989  quale  pagamento  dell'imposta
 denominata  I.C.I.A.P. per il proprio studio di via Garibaldi n. 1 di
 Bologna, sottolineando pero' che  la  medesima  dott.ssa  Rubini  gli
 avrebbe dovuto restituire la suddetta somma qualora non fosse dovuta;
      che,  in  data  26  giugno  1989  la  dott.ssa Rubini aveva dato
 ricevuta dell'anzidetto importo assicurandogli che esso sarebbe stato
 restituito,   a   semplice   richiesta,   qualora   non  dovuto;  che
 successivamente, essendosi egli  convinto  che  la  legge  istitutiva
 della I.C.I.A.P. fosse costituzionalmente illegittima, aveva invitato
 la dott.ssa Rubini a restituirgli il suddetto importo;
      che in data 6 luglio 1989 la dott.ssa Rubini aveva respinto tale
 richiesta sul presupposto che la legge istituzionale  dell'I.C.I.A.P.
 non  era  stata  dichiarata incostituzionale, tutto quanto come sopra
 premesso, nel richiedere nel merito decreto  ingiuntivo  di  condanna
 della dott.ssa Claudia Rubini al versamento in suo favore della somma
 di L. 1.060.000,  con  vittoria  di  spese,  competenze  ed  onorario
 richiedeva,  altresi'  in  via  preliminare, che venisse ritenuta non
 manifestatamente   infondata    la    questione    di    legittimita'
 costituzionale degli artt. dall'1 al 6 del d.-l. 2 marzo 1989, n. 66,
 coordinato dalla legge di conversione n. 144 del 24  aprile  1989  in
 riferimento,  tra gli altri, agli artt. 3 e 53 della Costituzione con
 conseguente sospensione della decisione nel merito e rimessione degli
 atti alla Corte costituzionale.
    Dopo  aver  premesso  che  il  diritto  da parte sua di esigere il
 credito dipendeva strettamente dalla  soluzione  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale  della  citata legge e che nessun dubbio
 poteva sussistere inoltre circa l'ammissibilita' di  un'eccezione  di
 incostituzionalita'   nel   contesto   di   un  ricorso  per  decreto
 ingiuntivo, essendosi in tal senso gia' pronunciata la  stessa  Corte
 costituzionale  con  sentenza  n.  497  del 21 aprile-27 aprile 1988,
 sottolineava il ricorrente come, a suo avviso, la I.C.I.A.P. fosse in
 effetti incostituzionale.
    Ravvisava,  in  particolare,  la  violazione  da parte della legge
 citata degli artt. 3 e 53 della Costituzione "in primo luogo  perche'
 si  commisura  un'imposta  non  gia'  alla  capacita' contributiva e,
 quindi, alla redditivita' delle arti, professioni e mestieri, ma alla
 superficie  occupata  secondo  il  settore  di attivita'. In seccondo
 luogo,  perche'  si  viola  il  principio   generale   della   doppia
 tassazione,  nel  senso  che vengono tassati due volte i contribuenti
 interessati  una  prima  volta  con  la  gia'  esistente   tassa   di
 concessione  comunale per la maggior parte di attivita' previste, una
 seconda volta  con  l'I.R.P.E.F.  ed  una  terza  volta  appunto  con
 l'I.C.I.A.P.,  violandosi  cosi'  il principio del ne bis in idem che
 non consente la doppia tassazione sullo stesso imponibile.  in  terzo
 luogo  e'  del  tutto  illegittimo  commisurare l'effettiva capacita'
 contributiva alle superfici utilizzate dalle attivita' produttive. In
 quarto luogo l'imposta e' dovuta anche per attivita' che non occupano
 alcuna superficie. In quinto luogo la specificazione dei vari settori
 di  attivita' risulta cosi' generica da costituire fonte di ulteriori
 e arbitrarie tassazioni  tra  i  soggetti  passivi,  nell'ambito  dei
 settori  stesso.  Infine:  la legge n. 144/1989 determina un identico
 prelievo a parita' di superficie e settore, sia che l'attivita' venga
 esercitata  in  una  metropoli sia che la stessa venga esercitata, ad
 esempio, in un piccolo comune di montagna".
    Concludeva, pertanto, il ricorrente specificando che la violazione
 dell'art.  53  della  Costituzione  consisteva  nel  fatto   che   la
 I.C.I.A.P. non prendeva in considerazione il reddito ma la superficie
 occupata e alle volte nemmeno quella,  come  risultava  dall'art.  1,
 settimo   comma,   ed,   inoltre,  al  fatto  che  nella  specie,  la
 progressivita'   prevista   dalla   norma   citata    non    esisteva
 assolutamente;   quanto,  poi,  alla  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione    essa    doveva    ravvisarsi    nella    macroscopica
 discriminazione  tra quanti esercitano arti e professioni e tutti gli
 altri cittadini e nella discriminazione attuata anche nel contesto di
 chi  esercita arti e professioni in riferimento anche al fatto che si
 lasciava ai comuni la facolta' (o l'arbitrio) di applicare l'aliquota
 con alto tasso di discrezionalita'".
                             D I R I T T O
    Preliminarmente  si  osserva  che  non  puo' sussistere difetto di
 giurisdizione   essendo   stata   la   questione   di    legittimita'
 costituzionale   proposta   in   via   incidentale  in  un  ordinario
 procedimento civile davanti al giudice naturale.
    Nessun  dubbio  puo'  sussistere altresi' circa l'esperibilita' di
 un'eccezione di incostituzionalita' nel contesto di  un  procedimento
 monitorio  essendosi  in  tal  senso  -  come  sopra ricordato - gia'
 pronunciata la stessa Corte costituzionale con sentenza n. 497 del 21
 aprile-27 aprile 1988.
    Evidente,    e',    poi    la   rilevanza   della   eccezione   di
 incostituzionalita' sollevata, dipendendo dalla decisione della Corte
 costituzionale  l'esito  del giudizio civile promosso dal ricorrente;
 la richiesta di restituzione della somma versata, e'  stata  avanzata
 infatti  dal  ricorrente  esclusivamente sul presupposto che la legge
 istitutiva  dello  I.C.I.A.P.  sia  da  ritenersi  costituzionalmente
 illegittima.
    Cio'  premesso,  si  ritiene  che  le  argomentazioni proposte dal
 ricorrente che devono qui ritenersi integralmente  richiamate,  siano
 meritevoli,  quantomeno,  di  essere sottoposte al vaglio della Corte
 costituzionale  dovendosi  ritenere,  pertanto,  non   manifestamente
 infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata
 relativamente  alla  legge  di  cui  trattasi  con   riferimento   in
 particolare agli artt. 53 e 3 della Costituzione.
    Rifiutandosi  la coscienza di accettare il principio che una legge
 sia da ritenersi conforme alla Costituzione anche  allorquando  essa,
 pur  discostandosi  dal  dettato costituzionale, realizzi comunque un
 fine socialmente e politicamente "utile" e, cio' tanto piu' come  nel
 caso   di   specie,  allorquando  detto  fine  "utile"  possa  essere
 realizzato ugualmente facendo ricorso a criteri di  maggiore  equita'
 fiscale  e  nel  rigoroso rispetto della Carta costituzionale, sembra
 evidente  come  la  legge  che  qui  si   impugna   contenga   palesi
 incongruenze, contraddizioni e discriminazioni.
    Il   commissurare  ad  esempio,  la  capacita'  contributiva  alla
 disponibilita' di una certa superficie e' una  mera  presunzione  del
 legislatore non confortata da alcuna certezza. Se, infatti, sul piano
 logico ed astratto, la disponibilita' di una maggiore superficie puo'
 denotare  una  maggiore  capacita' contributiva, nella realta' spesso
 avviene  il  contrario.  Se  cio'  risponde  a  verita',   non   puo'
 consentirsi  che  l'apprezzamento discrezionale del legislatore possa
 giungere al punto tale da provocare situazioni  di  palese  iniquita'
 sol perche' vi e' un "risultato" da raggiungere a qualunque costo.
    Senza  voler  contare  poi  la circostanza che il legislatore, sul
 punto, sembra anche contraddirsi allorquando, dimentico del  criterio
 seguito  "maggiore  superficie  =  maggiore  capacita' contributiva =
 maggiore  imposta",  assoggetta  ad  imposta  anche  coloro  che  non
 dispongono  di  alcuna  superficie  ed  assoggetta  altresi'  le aree
 eccedenti i 10.000 mq per ogni 10.000 mq, ad una  misura  di  imposta
 del   tutto   insufficiente   rispetto   alla  presumibile  capacita'
 contributiva  che  dovrebbe  desumersi  -  secondo  il  criterio  dal
 medesimo   seguito  -  dalla  disponibilita'  di  aree  di  rilevante
 estensione.
    Analogamente  appare incongruente sotto il profilo della capacita'
 contributiva anche il fatto che la  legge  n.  114/1989  consenta  la
 possibilita'  di  un  identico  prelievo,  a  parita'  di  settore  e
 superficie, sia che l'attivita' venga esercitata  in  una  metropoli,
 sia che la stessa venga esercitata in un piccolo comune.
    Non  meno  importanti  sono  le  censure che possono muoversi alla
 legge sopra considerata sotto il profilo della violazione del diritto
 di uguaglianza.
    La  considerazione  che  le  categorie interessate dall'I.C.I.A.P.
 siano notoriamente quelle  a  maggior  reddito  e  quindi  a  maggior
 capacita'  contributiva o che tra di esse si annidi o possa annidarsi
 la maggior fascia di evasione, non giustifica l'applicazione di nuove
 imposte  solo  a  carico  delle  medesime e la discriminazione tra le
 stesse e tutti gli altri cittadini ma semmai deve indurre lo Stato ad
 una piu' rigorosa lotta all'evasione fiscale.
    Va  da  ultimo  rilevato come l'anzidetta normativa oltre ad altre
 incongruenze  attui  anche  una  palese  e  talvolta   ingiustificata
 discriminazione nello stesso contesto di coloro che esercitino arti e
 professioni, lasciando, inoltre, ai comuni la facolta'  di  applicare
 l'aliquota con alto tasso di discrezionalita'.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953;
    Dichiara  non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3 e
 53 della Costituzione la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 degli  artt.  dall'1  al  6 del d.-l. 2 marzo 1989, n. 66, coordinato
 dalla legge di conversione n. 144 del 24 aprile 1989;
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Sospende il giudizio in corso;
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione dell'ordinanza al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e la comunicazione di  essa  ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Bologna, addi' 26 luglio 1989
                           (Seguono le firme)

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