N. 520 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 gennaio 1989

                                 N. 520
      Ordinanza emessa il 24 gennaio 1989 dal tribunale di Gorizia
           nel procedimento penale a carico di Acampora Gilda
 Imposta  - Infedele dichiarazione dei redditi - Alterazione rilevante
 - Indeterminatezza,  in  parte  qua,  della  norma  incriminatrice  -
 Violazione del principio di tassativita' della fattispecie penale.
 (Legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, primo comma, n. 7).
 (Cost., artt. 3 e 25).
(GU n.46 del 15-11-1989 )
                              IL TRIBUNALE
    Con  rapporto  penale  dd. 18 novembre 1986 l'ufficio distrettuale
 delle imposte dirette di Monfalcone esponeva all'a.g. che in  seguito
 all'esame  delle  dichiarazioni  dei  redditi mod. 740, relative agli
 anni 1982-1983  presentate  da  Acampora  Gilda  esercente  in  Grado
 l'attivita'  di  bar-pizzeria,  e  di commercio al minuto di articoli
 tessili, e mercerie, in genere, era risultata una notevole differenza
 tra  il  reddito  dichiarato  dalla  contribuente  e quello accertato
 dall'ufficio. Il maggior reddito accertato derivava dalle annotazioni
 -  e  quindi  dichiarazione - di costi fiscalmente non riconoscibili,
 per il 1982, e dalla minore annotazione, e quindi  dichiarazione,  di
 plusvalenze tassabili per il 1983.
    In  particolare  era  stato  dichiarato  per  il  1982  un reddito
 imponibile a fini Irpef di L. 4.097.000, contro un reddito  accertato
 di  L. 17.253.000; un reddito imponibile Ilor di L. 267.000 contro un
 reddito   accertato   di   L.   8.892.000   (con   un'imposta   evasa
 rispettivamente  di  L.  2.048.000  e L. 1.294.000); relativamente al
 1983 era stato dichiarato un reddito imponibile a fini  Irpef  di  L.
 20.853.000  (accertato  per  L.  31.973.000); un reddito imponibile a
 fini Ilor di L. 25.148.000 (accertato per  L.  38.421.000);  con  una
 imposta evasa di oltre L. 4.000.000 complessivamente.
    Sulla  base  di  tale  rapporto  penale  e relativa documentazione
 allegata, il p.m., contestava all'imputata il delitto "frode fiscale"
 p.  e  p.  dall'art. 4, primo comma, n. 7, della legge n. 516/1982 in
 relazione alla dissimulazione di componenti positivi nelle  scritture
 contabili  e nella dichiarazione dei redditi relativi all'anno 1983 e
 di  simulazione  di  componenti  negativi  per  il  1982,   ed   alla
 conseguente  alterazione  in  misura  rilevante  del  risultato delle
 dichiarazioni stesse.
    All'esito  della espletata istruttoria sommaria il p.m. richiedeva
 la citazione a giudizio della imputata per rispondere del reato  alla
 stessa ascritto.
    All'odierna  udienza  dibattimentale,  esaurita l'istruttoria e la
 discussione tra le parti, il collegio, aderendo  alla  richiesta  del
 p.m.,  sollevava  la  questione  di  costituzionalita' per violazione
 degli artt. 25 e 3 della Costituzione, dell'art. 4, primo  comma,  n.
 7,  della legge n. 516/1982, nella parte in cui prevede come elemento
 costitutivo del reato l'alterazione in misura rilevante del risultato
 della  dichiarazione,  sospendendo  il giudizio e rimettendo gli atti
 alla Corte costituzionale, alla luce delle sottoesposte  motivazioni.
 Rilevanza della questione di costituzionalita'.
   La relativa questione e' certamente rilevante, non essendovi dubbio
 che la norma  contestata  debba  trovare  concreta  applicazione  nel
 giudizio  de  quo.  Ne' si ritiene che tale rilevanza possa essere in
 qualche modo esclusa, argomentandosi dalla presenza  di  un'imponente
 divergenza  percentuale tra il reddito imponibile dichiarato e quello
 invece accertato nel corso del procedimento penale, o  al  contrario,
 da  una  divergenza  non  consistente, se considerata solo in termini
 assoluti. Come osservato anche dalla Corte  di  cassazione  sez.  III
 nell'ordinanza dd. 12 febbraio 1988, n. 374/1 infatti "l'accertamento
 della rilevanza della questione e' pregiudiziale all'esame della  sua
 fondatezza"   e   d'altro   canto,   e'  evidente,  che  "l'eventuale
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale della  norma,  farebbe
 venir  meno  l'ipotizzabilita' del reato, per difetto di uno dei suoi
 elementi costitutivi". Ne' la documentazione prodotta  dall'imputata,
 in allegato a memoria difensiva dd. 15 novembre 1988, appare idonea e
 pertinente a dimostrare la mancanza, in fatto,  di  ogni  alterazione
 tra il reddito dichiarato e quello accertato, a prescindere dalla pur
 contestata, in giurisprudenza, ammissibilita' della deducibilita'  di
 costi non registrati, ex art. 74 del d.P.R. n. 597/1973.
 Non manifesta infondatezza della questione.
    Il  collegio  ritiene  che  non  sia  manifestamente  infondata la
 questione di costituzionalita'  della  norma  prevista  dall'art.  4,
 primo  comma,  n.  7,  della  legge  n.  516/1982,  in  quanto  norma
 incriminatrice priva di quei requisiti di  tipicita'  e  tassativita'
 della  fattispecie  penale imposta dall'art. 25, secondo comma, della
 Costituzione.
    Nella  costituzione  degli  elementi costitutivi del reato di c.d.
 frode fiscale p. e p.  dall'art.  4,  primo  comma,  n.  7  cit.,  il
 collegio  ritiene  di  dover  seguire l'orientamento ormai prevalente
 nella giurisprudenza di merito, che ha ricevuto  autorevole  conferma
 anche  dalla  Corte di cassazione nella sent. sez. III 11 marzo 1987:
 la condotta consiste in un'attivita'  di  simulazione  di  componenti
 negativi  del  reddito  o  di  dissimulazione  di componenti positivi
 (individuabile  quest'ultima  anche  nella  omessa   esposizione   di
 corrispettivi,  non  annotati  nelle  scritture  contabili)  compiuta
 redigendo  le  scritture  contabili  obbligatorie,  la  dichiarazione
 annuale  dei  redditi, il bilancio od il rendiconto ad essa allegato;
 l'evento del reato consiste nella alterazione in misura rilevante del
 risultato   della   dichiarazione;   il  dolo  e'  quello  specifico,
 consistente nel fine di realizzare  o  favorire  un'evasione  fiscale
 propria o di terzi.
    Tale  fattispecie  incriminatrice  individua  l'evento  del reato,
 valendosi di un'"elemento valutativo": ossia, il  fatto  incriminato,
 conseguenza  della  condotta, che come tale deve essere investito dal
 dolo  del  soggetto  agente,   non   risulta   immediatamente   dalla
 descrizione legislativa (come avviene nella fattispecie costruita con
 elementi "descrittivi"), ma emerge solo a seguito di  una  operazione
 di  valutazione  da  compiersi  alla luce di un determinato parametro
 valutativo.
    La  dottrina,  che specificatamente si e' occupata di tale tecnica
 normativa, ha chiarito che tali  fattispecie  risultano  conformi  al
 principio  di determinatezza posto dall'art. 25, secondo comma, della
 Costituzione  ad  una  duplice  condizione:  che  la  legge   indichi
 chiaramente  il  parametro valutativo alla luce del quale deve essere
 formulato il giudizio; che il suddetto parametro  faccia  riferimento
 ad   un   valore  sul  quale  i  consociati  esprimano  apprezzamenti
 sufficientemente omogenei.
    Piu'  in  generale,  la  stessa  Corte costituzionale, ha ritenuto
 esente da tale vizio di  costituzionalita'  la  norma  incriminatrice
 penale  (nel  caso  quella  di  cui  all'art. 323 del c.p.) quando la
 stessa sia "determinata in modo da non lasciare alla discrezionalita'
 dell'interprete  la  configurazione del reato"; ha precisato che tale
 norma (art. 323) darebbe quindi "sufficiente garanzia che il pubblico
 ufficiale  sia  al coperto da possibilita' di arbitrarie applicazioni
 della legge penale" (Corte costituzionale 4 febbraio 1965, n. 7).
    Analogamente,  la  Corte  ha considerato legittimi gli artt. 707 e
 708 del c.p., che puniscono  il  possesso  ingiustificato  di  chiavi
 ovvero  di  valori,  sul  rilievo  che  tali  norme  forniscono  "una
 indicazione precisa del fatto punibile,  ponendo  il  soggetto  nella
 condizione   di   conoscere   il  divieto  che  forma  oggetto  della
 disposizione incriminatrice" (Corte costituzionale 2 luglio 1968,  n.
 110).
    Nella  sent.  8  giugno  1981,  n.  96,  la  Corte  costituzionale
 dichiarando l'illegittimita' dell'art. 603 del  c.p.  per  violazione
 dell'art.  25,  secondo  comma, della Costituzione, ha precisato che,
 per effetto del principio di tassativita' della  fattispecie  penale,
 "onere  della  legge penale (e') quello di determinare la fattispecie
 criminosa con  connotati  precisi,  in  modo  che  l'interprete,  nel
 ricondurre  un'ipotesi  concreta alla norma di legge, possa esprimere
 un giudizio di corrispondenza sorretto da fondamento  controllabile".
    Analoga  esigenza  di assicurare all'interprete della norma penale
 una discrezionalita' controllata e  verificabile  alla  luce  di  una
 descrizione  precisa della fattispecie in modo che non venga lasciato
 all'operatore  "uno  spazio  di   incontrollabile   discrezionalita'"
 (melius  arbitrio)  e'  presente  nella sentenza 16 dicembre 1980, n.
 177, che ha dichiarato l'illegittimita'  per  indeterminatezza  della
 fattispecie,  dall'art. 1, n. 3, della legge n. 1423/1956 (in materia
 di misure di prevenzione).
    Alla   luce  dei  principi  evidenziati  dalla  dottrina  e  dalla
 giurisprudenza della  Corte  costituzionale,  piu'  sopra  brevemente
 riassunti,  ritiene  il  collegio che sia ben fondato il dubbio sulla
 legittimita' costituzionale dell'art. 4, primo  comma,  n.  7,  della
 legge   n.   516/1982,   per  indeterminatezza  nella  individuazione
 dell'evento del reato.
    Nella   norma  denunciata  non  e'  dato  all'interprete,  ne'  e'
 ricavabile  in  via  di  interpretazione  logico-sistematica,  alcuna
 indicazione  sul parametro valutativo sulla base del quale "misurare"
 la rilevanza dell'alterazione del risultato della dichiarazione.
    La    norma    sembra   adottare   sostanzialmente   un   criterio
 percentualistico assolutamente indeterminato (rapporto tra il reddito
 imponibile  dichiarato  e  quello  accertato), che appare scarsamente
 appagante  e  tale  da  fondare,  a  sua   volta,   seri   dubbi   di
 costituzionalita'    anche   per   violazione   dell'art.   3   della
 Costituzione, "potendo dare luogo alla discrasia della punibilita' di
 evasione  percentualmente  cospicue,  tuttavia limitate in termini di
 valore per la limitata capacita' contributiva di un soggetto, e  non,
 invece,  di  evasioni  percentualmente  contenute,  ma oggettivamente
 ingenti, e viceversa" (cosi' ord. Cass. sez. III 12 febbraio 1988, n.
 374/1).
    Ne'  appare  lecito  o  giustificato  ancorare  la rilevanza della
 alterazione  alle  soglie   di   punibilita'   fissate   in   materia
 contravvenzionale  dall'art.  1 della legge n. 516 cit., "non essendo
 ammissibile l'estensione analogica della norma al diverso  piano  del
 delitto  che  interessa" senza contare poi che ritenendo la rilevanza
 anche quando detta soglia risulti rispettata, si renderebbe  punibile
 come   delitto   quello   che   e'   irrilevante   sul   piano  della
 contravvenzione (cosi' Cass. cit.).
    I  vari  criteri  asseritamente  "interpretativi"  proposto  dalla
 giurisprudenza e da alcuni autori per realizzare, anche a mezzo della
 loro  combinazione  reciproca, una trama di referenti che consenta di
 superare l'indeterminatezza della norma  (1º:  rilevanza  secondo  un
 criterio  percentuale:  rapporto  tra  reddito  dichiarato  e  quello
 accertato; 2º: rilevanza secondo un criterio assoluto; 3º:  rilevanza
 secondo  un  criterio  proporzionale,  che  tenga  conto dell'imposta
 evasa)  appaiono,  in  realta'  tentativi  diretti  a  "salvare"   la
 costituzionalita'  della  norma,  creandone  il contenuto, in realta'
 indeterminato e generico,  che  si  risolvono  in  una  non  permessa
 creazione  normativa  di  origine  giurisprudenziale.  Del  resto, le
 stesse contrastanti e  tra  loro  incompatibili  decisioni  dei  vari
 giudici  di  merito che si sono succeduti in suddetta materia, - gia'
 segnalata  ad  es.  un'altra  ordinanza  di  rimessione  alla   Corte
 costituzionale di tale questione - ord. Corte appello Milano, sez. II
 15   marzo   1988   -   sono   chiaro   sintomo   dell'incertezza   e
 indeterminatezza dell'espressione normativa di cui si discute. Ne' si
 ritiene che la formulazione legislativa  utilizzata  possa  ritenersi
 conforme  all'art.  25  della  Costituzione,  richiamandosi  a quella
 giurisprudenza della Corte costituzionale che, in piu' occasioni,  ha
 ribadito  la  legittimita'  di  fattispecie "che richiamano locuzioni
 generiche, ma di ovvia comprensione, concetti di comune esperienza  o
 valori   etico-sociali  oggettivamente  accertabili  dall'interprete"
 (cosi' fra le varie Corte costituzionale 27 giugno 1975, n. 88).
    Infatti  attesa  la  specificita'  della materia tributaria, nella
 mancanza di ogni parametro valutativo specificatamente enunciato -  o
 in  termini concettuali o numerici, assoluti e/o percentuali - sembra
 operazione estremamente difficile, al limite di una  vera  e  propria
 acrobazia  giuridica,  quella  di  voler  ricondurre  il  concetto di
 rilevanza dell'alterazione in argomento tra i dati che  costituiscono
 patrimonio della generalita', per essere di comune esperienza, e come
 tali oggetto di apprezzamenti sufficientemente omogenei.
    Ne'  calzanti  appaiono  i  riferimenti,  pur  presentati  da vari
 interpreti, ad altre fattispecie penali contenenti analoghi  elementi
 valutativi.  Si  e' fatto riferimento alle espressioni utilizzate dal
 legislatore nelle norme di cui all'art. 61, n. 7; 62, n. 4;  al  caso
 "piu'  grave"  in  materia di emissione indebita di assegni; all'art.
 219  della  legge  fall.;  alla  normativa  sugli  stupefacenti   con
 riferimento  al concetto di "modica quantita'" che funge da selettore
 per la concreta applicabilita' delle varie  ipotesi  criminose  (art.
 71, art. 72 e art. 80).
    Al  riguardo deve osservarsi, aderendo ad autorevole dottrina, che
 una certa genericita' dell'espressione  ed  il  ricorso  ad  elementi
 elastici di tipo quantitativo nella definizione delle circostanze del
 reato non sia incompatibile con il principio  di  tassativita'  della
 fattispecie  penale,  di per se', invece, specificatamente delineata.
 Ben  diverso  e'  il  discorso  quando  trattasi  di  individuare  il
 "dicrimen"  tra cio' che e' punibile e cio' che e' lecito, differenza
 che deve essere ben chiara, conosciuta  o  conoscibile  dal  soggetto
 agente,  che deve essere posto in grado di aderire con consapevolezza
 e volonta' alla condotta incriminata.
    A proposito della situazione vigente nella normativa in materia di
 sostanze stupefacenti, se ne rileva la diversita' rispetto alla norma
 di  cui  qui  si  discute.  Il  legislatore,  infatti, ha chiaramente
 criminalizzato ogni forma di  detenzione  di  stupefacente,  salvo  a
 rinunciare,   poi,   alla   punibilita'  in  presenza  della  duplice
 condizione della modica quantita', e della destinazione  della  droga
 all'uso    personale    del    detentore.   L'elemento   quantitativo
 indeterminato trova una sua precisazione nella  direzione  soggettiva
 della  condotta;  per  cui  al  giudice  la norma offre uno specifico
 criterio per misurare  la  quantita'  detenuta  e  ritenerla  modica:
 quantita'   sufficiente  al  consumo  personale  dell'agente  per  un
 brevissimo periodo. Analogamente, per la individuazione della  modica
 quantita'  detenuta  per  uso  non  terapeutico  di  terzi, (art. 72)
 l'interprete  puo'  facilmente  far  ricorso  alla  figura  del  c.d.
 consumatore medio della specifica sostanza stupefacente.
    Diversamente  invece accade con riferimento alla figura delittuosa
 di cui all'art. 4  cit.:  in  questo  caso  e'  lasciato  al  giudice
 distinguere   ed  individuare  proprio  la  condotta  punibile  dalla
 condotta lecita in assenza di  criteri  orientativi  di  tale  potere
 discrezionale  che  allora  scade a mero arbitrio giudiziario; e' del
 tutto evidente, infatti, che non si possa al  riguardo  delineare  il
 tipo  dell'"evasore medio", magari distinto per settore merceologico,
 costituendo poi su tale archetipo la figura dell'evasore "rilevante",
 da  punire  ex  art.  4,  primo  comma,  n.  7  cit.  Alla luce delle
 considerazioni  teste'  svolte,  ritiene  pertanto  il  Collegio  non
 manifestamente  infondata la questione di costituzionalita' dell'art.
 4, primo comma, n. 7 cit. come sopra delineata, sicche' della  stessa
 deve essere investita la Corte costituzionale.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 4,  primo  comma,  n.  7  della
 legge  7  agosto  1982,  n.  516, in riferimento all'art. 25, secondo
 comma, e all'art. 3 della Costituzione, nella parte  in  cui  prevede
 come elemento costitutivo del reato l'alterazione in misura rilevante
 del risultato della dichiarazione;
    Dispone la sospensione del presente giudizio;
    Ordina  che gli atti vengano trasmessi alla Corte costituzionale e
 che la presente ordinanza, a cura della cancelleria venga  notificata
 al  Presidente  del Consiglio dei Ministri, al p.m. ed all'imputata e
 comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Gorizia, addi' 24 gennaio 1989
                           (Seguono le firme)

 89C1097