N. 528 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 luglio 1989
N. 528 Ordinanza emessa il 20 luglio 1989 dal giudice conciliatore di Pisa nel procedimento civile vertente tra Mangano Enrico e Viviani Alfio Imposta comunale per l'esercizio di imprese e di arti e professioni - Capacita' contributiva desunta per classi di superficie utilizzata per le attivita' produttive anziche' dal reddito percepito Autonomia impositiva dei comuni gravante solo su alcune categorie produttive, per di piu' sottoposte a duplice imposizione sugli stessi redditi - Violazione del diritto alla protezione del lavoro. (D.-L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 1, n. 4, convertito in legge 24 aprile 1989, n. 144). (Cost., artt. 3, 35 e 53).(GU n.46 del 15-11-1989 )
IL GIUDICE CONCILIATORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa promossa dal sig. Mangano Enrico col procuratore Maurizio Scheggi contro il sig. Viviani Alfio, in proprio e quale presidente dell'Unione degli imprenditori commerciali pisani, con procuratore avv. Enrico Marroni, iscritta al n. 485/1989 ruolo generale, il giudice conciliatore di Pisa, sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza del 6 luglio 1989. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalita' proposta dal convenuto. FATTO E DIRITTO Il sig. Mangano Attilio, titolare dell'esercizio commerciale "Punto Reflex" sito in Pisa, lungarno Mediceo n. 27, ha convenuto in giudizio il sig. Viviani Alfio, in proprio e quale presidente dell'Unione degli imprenditori commerciali, con sede in Pisa, chiedendo che venisse condannato al pagamento della tassa Iciap di L. 300.000, dovuta da esso Mangano, o a dare a questi la medesima somma di L. 300.000. La singolare richiesta e' cosi' motivata dall'attore: "venuto a conoscenza di un'iniziativa Unicom (Unione degli imprenditori commerciali), la quale ha promosso una campagna di sottoscrizioni promettendo di accollarsi le imposte comunali dell'anno in corso, il sottoscritto si e' associato ed ha pagato la relativa quota di iscrizione al sindacato. Questo, quando il sottoscritto ha comunicato la suddetta estensione di mq 36 del proprio esercizio commerciale "Punto Reflex", al fine di provvedere al pagamento dell'Iciap pari a L. 300.000, ha respinto la richiesta adducendo trattasi di tassa ingiusta e, quindi, non dovuta". Di qui l'azione promossa dal sig. Mangano. Si e' costituito in giudizio il convenuto Viviani Alfio, sia in proprio che quale presidente dell'Unicom, Unione degli imprenditori commerciali pisani, contestando la domanda attrice e chiedendone il rigetto. Il convenuto osserva che e' vero che l'Unicom ha aperto la campagna di tesseramento 1989 con la iniziativa promozionale di pagare le imposte comunali legittime a chi si associa, e che il sig. Mangano si e' iscritto al Sindacato e ha diritto di usufruire dei benefici previsti dalla promozione, ma questa "non puo' essere invocata in questo caso dell'imposte Iciap, trattandosi di tassa illegittima", per cui non puo' ritenersi valido qualunque patto che preveda il pagamento di somme illegittimamente pretese o dovute. Il convenuto passa, quindi, a contestare la suddetta imposta (Iciap) per l'esercizio di arti, professioni e imprese per duplice violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione, concludendo perche' il giudice conciliatore di Pisa, a norma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ordini l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio costituzionale del d.-l. 2 marzo 1989, n. 66, convertito in legge con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144 (Gazzetta Ufficiale 26 aprile 1989, n. 96). Il convenuto conclude in via principale chiedendo che il giudice dichiari non dovuto il pagamento richiesto in citazione dal sig. Mangano. Il convenuto deduce i seguenti motivi a sostegno della sua eccezione di incostituzionalita': 1) l'imposta e' stata istituita non sulla base della capacita' contributiva dei singoli soggetti, ma "per assicurare i necessari finanziamenti agli enti locali per l'anno 1989". Tale proposito ed assunto puo' essere concepito solo in regimi autoritari in cui sono ignorati i princi'pi della nostra Costituzione. 2) poiche' per l'art. 53 della Costituzione tutti devono concorrere alla spesa pubblica in ragione della rispettiva "capacita' contributiva" la legge contestata "fa carico solo ad alcune categorie produttive", per cui viene violato il suddetto principio costituzionale e nello stesso tempo il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione; 3) con il "conferimento dell'autonomia impositiva ai comuni", di cui alla legge n. 144/1989, lo Stato ha revocato i finanziamenti agli stessi "senza rinunziare a quella quota di reddito che finora destinava agli enti locali, quota che continua a percepire" anche non trasferendone piu' il ricavato agli stessi. Lo Stato ha istituito questa imposizione sostituendo quei finanziamenti che, pur pagati da tutti i contribuenti, non giungono piu' ai comuni; ai quali, con la legge n. 144/1989, dovrebbero provvedere solo le categorie colpite dalla nuova legge. Con l'ulteriore conseguenza che queste categorie "si trovano cosi' ad essere gravate doppiamente, per lo stesso identico tributo"; 4) poiche' si verte in materia sottratta a referendum popolare (art. 75, secondo comma della Costituzione) e' necessaria un'adeguata leale motivazione (la protasi: "ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza" con cui si vuole giustificare la successiva apodosi della nuova imposizione fiscale non ha alcuna vera motivazione considerando che la legge di conversione del d.-l. n. 66/1989 ha apportato molte e rilevanti modifiche). Considerando, inoltre, che questa imposta va a colpire solo una parte dei contribuenti gia' gravati da imposta destinata alle spese degli enti locali, Ilor, e sugli stessi loro redditi e per gli stessi fini con "inaccettabile duplicazione e, in questo caso, anche discriminazione"; 5) la violazione dell'art. 3 e 53 della Costituzione avviene anche "all'interno delle stesse categorie colpite, in quanto si prescinde dalle capacita' contributive, ma si fa riferimento alle sole supefici utilizzate". Premessi brevemente i motivi di incostituzionalita' della legge n. 144/1989 va rilevato che i motivi si accentrano sull'art. 1 della detta legge. La questione di costituzionalita' prospettata in causa dal convenuto e' rilevante ai fini della decisione, sul riflesso che il suo rapporto alle norme che vengono in considerazione per la decisione della controversia e' risolutivo della controversia insorta tra le parti. La eccezione di incostituzionalita' proposta dal convenuto non e' manifestamente infondata. Intanto il principio di eguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione, comporta, una disciplina paritaria di fattispecie eguali "per cui a situazioni eguali devono corrispondere uguali regimi impositivi" attuando cosi' "l'esigenza che ogni prelievo tributario abbia causa giustificatrice in indici concretamente rilevatori di ricchezza" (Corte costituzionale sentenza n. 120/1972 richiamata nella sentenza n. 12/1980). Orbene, per quanto riguarda i settori di attivita' e i relativi livelli di imposta va osservato che si tratta di un sistema rigido e generalizzato per cui anche a parita' di attivita' e superficie utilizzata, la capacita' contributiva sara' senz'altro diversa se esercitata in una metropoli rispetto a quella esercitata in un comune di provincia o dell'Appennino. Va poi contestato l'altro criterio c.d. della "classe di superficie" e cioe' la superficie dei "locali comunque utilizzati per l'esercizio delle attivita'". Con questo presupposto la discriminazione qualitativa dei redditi, che si evidenzia dalla tabella dei settori di attivita', degrada a discriminazione quantitativa. Ma la "classe di superficie" e' una presunzione di reddito. Come la Corte costituzionale ha piu' volte chiarito, insegnato e richiamato (sentenze nn. 103 e 109 del 1967; 99/1968; 200/1980) le presunzioni tributarie non sono di per se' illegittime ma debbono fondarsi su indici concretamente rivelatori di ricchezza ovvero su fatti reali "affinche' l'imposizione non abbia una base fittizia". In questo caso siamo addirittura in presenza di una presunzione (superficie utilizzata) base per un'altra presunzione (redditivita'). Ma la superficie utilizzata per lo svolgimento dell'attivita' non e' proporzionale alla capacita' contributiva. Si possono fare infiniti esempi: un piccolo locale adibito a gioielleria e orologeria a fronte di locali piu' vasti necessari alla vendita di mobilia. Nel primo la vendita di un Rolex o di un diamante rende quanto la vendita di una camera matrimoniale. Ma nel caso, a pari capacita' non corrisponderebbe eguale regime impositivo con netta violazione dei princi'pi di eguaglianza e del pari concorso alla spesa pubblica (art. 3 e 53 della Costituzione). I mezzi utilizzati nello svolgimento dell'attivita' sono certamente indici a cui fare riferimento per deteminare la capacita' contributiva di un professionista o di un imprenditore, ma appare ingiusto e vagamente approssimativo utilizzare un solo elemento, come e' per l'Iciap. Ed e' tutto da dimostrare che un professionista con un ufficio grande abbia maggiore capacita' contributiva di un collega con un ufficio piu' piccolo o piccolo comunque. A questo punto si potrebbe anche sostenere che l'Iciap vi'ola anche l'art. 35 della Costituzione dove dichiara che "la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni", perche' penalizza ingiustamente quelle attivita' lavorative che necessitano di un certo spazio per il loro svolgimento, anche se non producono redditi vistosi. Torna a mente l'ammonizione e denunzia del Tommaseo: "chi, operando, s'arroga piu' di quello che a lui si deve o conviene, e tragredisce quei limiti che sono assegnati a ciascuno nel comune procedere, fa dei soprusi" (Nuovo diz. sinon. n. 2430). Per quanto dedotto e contestato dal convenuto e per quanto si e' sin qui esposto, deve essere sollevata questione di legittimita' costituzionale in riferimento agli artt. 3, 35, 53 della Costituzione dell'art. 1, n. 4 del d.-l. 2 marzo 1989, n. 66 nel testo di cui alla legge di conversione 24 aprile 1989, n. 144, nella parte in cui dispone una discriminazione tra le attivita' lavorative ai fini del concorso nelle spese pubbliche e determina l'ammontare dell'imposta in base alla superficie dei locali utilizzati per l'esercizio dell'attivita' lavorativa invece e non in base alla capacita' contributiva, per cui - in conseguenza dei suddetti presupposti di imposta - viene anche violata la protezione del lavoro poiche' la persona che lo esegue non solo non e' difesa da violazioni dei suoi diritti costituzionali, ma dovrebbe subire il sopruso degli stessi.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, n. 4, del d.-l. 2 marzo 1989, n. 66, nel testo di cui alla legge di conversione 24 aprile 1989, n. 144, in riferimento agli artt. 3, 35, 53 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancelleria, al Presidente del Consiglio dei Ministri; alle parti costituite in causa e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Pisa, addi' 20 luglio 1989 Il giudice conciliatore: VILLA 89C1113