N. 498 SENTENZA 26 ottobre - 10 novembre 1989

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Procedimento penale - Istruttoria - Nomina da parte del giudice di un
 consultente tecnico d'ufficio all'imputato che non abbia provveduto a
 nominarlo o ne sia rimasto privo - Facolta' della parte - Richiamo
 alla sentenza n. 345/1987 - Non fondatezza.
 
 (Cod. proc. pen. 1930, artt. 128, primo comma, e 323, primo comma).
 
 (Cost., art. 24, secondo comma).
(GU n.46 del 15-11-1989 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore  GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Renato  DELL'ANDRO,  prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,  avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale del combinato disposto
 degli artt. 128, comma primo, e  323,  comma  primo,  del  codice  di
 procedura  penale,  promosso con ordinanza emessa il 16 novembre 1988
 dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Napoli nel procedimento
 penale a carico di Guillari Raffaele, iscritta al n. 255 del registro
 ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1989;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 4 ottobre 1989 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Giudice  istruttore  presso il Tribunale di Napoli, con
 ordinanza 16  novembre  1988,  sollevava  questione  di  legittimita'
 costituzionale  degli  artt.128,  primo  comma,  e  323, primo comma,
 codice procedura penale del 1930, in riferimento all'art. 24, secondo
 comma, della Costituzione.
    Riferiva  il  Giudice  nell'ordinanza che, nel corso della formale
 istruttoria,  l'imputato,  pur  avendo  ricevuto   la   comunicazione
 giudiziaria,  non  provvedeva  a nominare un difensore di fiducia: il
 giudice gli nominava, percio', ex art. 128  codice  procedura  penale
 1930,  un  difensore  d'ufficio.   Disposta,  pero', ed espletata una
 perizia dattiloscopica, il difensore  d'ufficio  chiedeva  che  fosse
 nominato "d'ufficio" un consulente tecnico.
    L'istanza  veniva  respinta  in  quanto  la legge (art. 323 codice
 procedura penale 1930) non prevede che il giudice abbia a sostituirsi
 all'imputato anche nella nomina del consulente di parte. Il difensore
 d'ufficio presentava allora memoria, nella quale formulava  eccezione
 d'illegittimita'  costituzionale dell'art.128 codice procedura penale
 1930, nella parte in cui non prevede che il giudice nomini  anche  un
 consulente  tecnico d'ufficio all'imputato che non abbia provveduto a
 nominarlo o ne sia rimasto privo. Il Giudice istruttore, ritenendo la
 questione non manifestamente infondata, la sollevava innanzi a questa
 Corte  osservando  che  il  giudizio  non  poteva   essere   definito
 indipendentemente  dalla  soluzione  della questione che, se fondata,
 avrebbe dato diritto all'imputato a ricevere d'ufficio l'integrazione
 della  difesa  attraverso  un  consulente  tecnico di parte: e questi
 avrebbe potuto  formulare  osservazioni  e  riserve  in  ordine  alla
 perizia  d'ufficio  in  guisa  da  rendere effettiva ed efficiente la
 difesa della parte privata.
    2.  -  E'  intervenuto  nel  giudizio  innanzi  a  questa Corte il
 Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato  dall'Avvocatura
 Generale  dello  Stato,  che  ha  chiesto  dichiararsi  infondata  la
 questione.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Secondo  il  Giudice  a  quo,  il  combinato disposto degli
 artt.128  e  323  del  codice  di  procedura  penale   1930   sarebbe
 incompatibile  con l'inviolabilita' del diritto di difesa, cosi' come
 affermata nell'art. 24 della Costituzione. Resterebbe, infatti, senza
 tutela  un aspetto essenziale della difesa, in quanto non e' previsto
 che il giudice  possa  integrarla,  nominando  ex  officio  anche  un
 consulente  tecnico  di  parte,  quando  se  ne  ravvisi l'esigenza e
 l'imputato non vi abbia tuttavia provveduto.
    Alla  base  della questione viene invocata anche la giurisprudenza
 di  questa  Corte,  secondo  cui  il  consulente  tecnico  appartiene
 all'Ufficio  della difesa, com'e' dimostrato anche dalle norme che lo
 equiparano al difensore nei diritti e nei doveri (artt. 341,  351  n.
 2, codice procedura penale 1930 e 380 e 381 codice penale).
    2. - La questione poteva essere piu' correttamente sollevata prima
 della decisione. Tuttavia, trattandosi di decisione assunta nel corso
 dell'istruttoria  mediante  ordinanza  sempre  revocabile, e poiche',
 d'altra parte, il difensore puo' sempre reiterare l'istanza che  allo
 stato  non  ha  trovato  accoglimento,  la  questione,  sotto  questo
 riflesso, puo' essere ammessa.
    Sarebbe   stato   altresi'   preferibile  che  l'ordinanza  avesse
 accennato alle ragioni che hanno indotto il difensore  a  sollecitare
 dal  Giudice  istruttore  la nomina del consulente tecnico, visto che
 tanto il codice del 1930 quanto il nuovo  ne  attribuiscono  facolta'
 alla  parte.  Sarebbe  stato  utile,  in  altri termini, conoscere se
 l'istanza sia stata avanzata  nell'impossibilita'  del  difensore  di
 avere  con  l'imputato  qualsiasi  contatto,  oppure  se questi abbia
 opposto un rifiuto al suggerimento del difensore.
    Nel  primo  caso,  infatti,  l'intervento ex officio sarebbe stato
 richiesto perche' il difensore avrebbe evidentemente ritenuto di  non
 avere  i  poteri  di  procedere  alla  nomina  nell'impossibilita' di
 conoscere gl'intendimenti della parte; e cio', evidentemente, per una
 troppo   letterale   interpetrazione  dell'art.  323  del  codice  di
 procedura  penale   1930,   che   sembra   costituire   la   facolta'
 esclusivamente  in capo alla "parte", sia pure a mezzo del difensore.
 Anche se non puo' escludersi  che  al  fondo  di  tale  comportamento
 s'annidi  la  preoccupazione per la responsabilita' delle conseguenze
 economiche conseguenti alla nomina del consulente:  nomina  che,  nel
 rapporto   interno,   si  traduce  in  un  vero  e  proprio  incarico
 professionale di prestazione intellettuale.
    Nel  secondo caso, invece, il difensore, valutata positivamente la
 necessita' di integrare la difesa  con  l'ausilio  di  un  consulente
 tecnico,  si  rivolgerebbe  al  giudice  per  sostituire  la volonta'
 dell'ufficio a quella riluttante della parte.
    L'ordinanza   tace  su  tutto;  probabilmente  confidando  che  la
 questione,  cosi'  come  proposta,  in   analogia   alla   situazione
 concernente  la nomina del difensore d'ufficio, possieda valenza tale
 da  coprire  ogni  ipotesi.  In  realta',  invece,  la  questione  e'
 infondata sotto ambo i possibili profili.
    3.  -  Quanto  alla  prima  ipotesi,  va rilevato che al difensore
 d'ufficio  competono  pienamente  tutti  i  poteri   che   la   legge
 processuale riconosce alla difesa. Ed e' poi pacifico per dottrina, e
 per  prassi  ultracinquantennale,   che   l'espressione   "la   parte
 privata...  puo',  a  mezzo del suo difensore, nominare un consulente
 tecnico", di cui all'art.  323,  primo  comma,  codice  di  procedura
 penale  1930,  sta a significare che e' il difensore ad effettuare la
 nomina, valutato l'interesse della parte.  Ovviamente,  tenuto  anche
 conto  che  la parte e' esposta al relativo onere finanziario, questa
 puo' sempre espressamente revocare la nomina;  ed,  a  tal  fine,  il
 difensore   deve   darne   informativa   all'imputato  nell'indirizzo
 conosciuto.  Dopodiche',  prende  vigore  il  principio  secondo  cui
 vigilantibus jura succurunt.
    Certo,  rimane  il  problema delle spese. Ma, se l'imputato non e'
 abbiente, provvede il giudice penale, o lo stesso pubblico ministero,
 ad  ammetterlo,  ricorrendone gli estremi, al gratuito patrocinio, a'
 sensi  dell'art.  3  del  regio  decreto  28  maggio  1931   n.   602
 (Disposizioni di attuazione del codice di procedura penale).
    Se,  invece,  e'  abbiente,  il difensore puo' recuperare spese ed
 onorari del consulente, esponendoli in parcella, ed eventualmente nel
 ricorso per decreto ingiuntivo, quali spese da lui anticipate.
    Se, poi, infine, si facesse questione di anticipazione di spese ed
 onorari, allora e' problema che spetta risolvere al  legislatore.  Si
 tratterebbe,   infatti,   di   predisporre   l'articolazione  di  una
 disciplina per un'eventuale prenotazione a debito mediante iscrizione
 a  campione  penale,  o  di  dare altra soluzione che non rientra nei
 poteri di questa Corte.
    Ma e' questo un profilo che non e' stato sollevato.
    4.  -  Piu' delicata puo' sembrare, invece, la seconda ipotesi per
 la  quale,  considerata  la  qualita'  del  consulente   tecnico   di
 integratore  della  difesa, si ritiene che l'ufficio, ricorrendone le
 condizioni, debba provvedere a nominarlo anche contro  la  riluttante
 volonta' della parte.
   Se  il  principio  fosse  vero,  si dovrebbe, anzi, ritenere che la
 nomina possa avvenire ex officio anche contro la stessa volonta'  del
 difensore,  dato  che  sempre  di  nominare  un  difensore tecnico si
 tratterebbe, cosi' come, del  resto,  si  propone  che  essa  avvenga
 malgrado la volonta' dell'autodifesa.
    Ma anche questa ipotesi non ha fondamento.
    Non  devono far velo i principi che si riferiscono alla nomina del
 difensore d'ufficio,  che  non  possono  trovare  applicazione  nella
 nomina del consulente tecnico di parte. Pur avendo questi, infatti, a
 sua volta, veste di difensore, in quanto integra  la  difesa  tecnica
 mediante  l'apporto  delle  sue conoscenze scientifiche in discipline
 diverse da quelle giuridiche, tuttavia la tutela di cui all'art.  24,
 secondo comma, della Costituzione si esplica, nei suoi confronti, nel
 senso di rendere illegittimo qualunque ostacolo venga frapposto  alla
 sua  introduzione nel processo, ma non fino al punto di prescindere o
 addirittura di superare la volonta' della parte.
    E    cio'    perche'    diversa   e'   la   ratio   che   presiede
 all'imprescindibile esigenza del difensore principale  nel  processo.
 Questa  e'  esigenza  assoluta  ed  inderogabile perche' introduce un
 protagonista senza il quale, specie e tanto piu' nel nuovo  processo,
 esso  non  puo',  da  un certo momento in poi, nemmeno proseguire. In
 realta', l'imposizione all'imputato  di  un  difensore,  persino  suo
 malgrado,  mira ad assicurargli quelle cognizioni tecnico-giuridiche,
 quell'esperienza processuale e quella distaccata serenita',  che  gli
 consentono di valutare adeguatamente le situazioni di causa, in guisa
 da tutelare la sua piu' ampia liberta' di determinazione nella scelta
 delle iniziative e dei comportamenti processuali.
    In  altri  termini,  il  difensore  e'  garante  dell'autonomia  e
 dell'indipendenza  dell'imputato  nella  condotta  di  causa  ed   e'
 consigliere  della  sua  autodifesa,  tanto  che  la trasgressione di
 qualunque norma concernente questa ratio e' configurata dall'art. 185
 n. 3 codice procedura penale 1930 come nullita' assoluta.
    Ma proprio perche' imposizione del difensore e nullita' insanabili
 non  hanno  altro  intento  se  non  quello  illustrato,  una   volta
 instaurata   la  detta  garenzia  non  e'  ammissibile  alcuna  altra
 intromissione dell'ufficio pubblico, nemmeno se il fine fosse  quello
 di avvantaggiare l'imputato.
    Da  quel momento ogni scelta ulteriore, ogni possibile valutazione
 in  ordine  alle  iniziative  e  ai  comportamenti  non  possono  che
 competere  alla  difesa  nell'ambito  della  disciplina dettata dalla
 legge: intendendo per difesa quella  costituita  dal  binomio  difesa
 tecnica-autodifesa, nella quale alla fine e' sempre la volonta' della
 parte a prevalere su quella del difensore,  con  la  sola  esclusione
 della  imprescindibile presenza di un difensore che l'assista. E, del
 resto, la consulenza tecnica serve appunto per  consentire  una  piu'
 adeguata valutazione di un mezzo di prova, qual'e' la perizia.
    Pretendere che il giudice o, peggio, il pubblico ministero, che e'
 controparte,  s'intromettano  -  sia  pure  a   richiesta   -   nelle
 discrezionali    valutazioni   difensive   per   nominare   d'ufficio
 all'imputato che non lo voglia un consulente tecnico, significherebbe
 trasgredire  la  regola  di  autodifesa  che riconosce alla parte "la
 facolta'" di quella nomina,  e  quindi,  in  definitiva,  violare  il
 libero  esercizio  di  quella difesa che l'art. 24 della Costituzione
 tutela. Come si e' visto, infatti, l'unica  imposizione  all'imputato
 e'  quella  del  difensore,  ma e' mirata proprio a liberarlo da ogni
 soggezione,   consentendogli   di   assumere   liberamente   le   sue
 determinazioni   con   perfetta  consapevolezza.  Per  il  resto,  il
 comportamento processuale  dell'imputato  non  e'  mai  doveroso  ne'
 obbligatorio,  se  non nei limiti del rispetto, da lui dovuto come da
 tutti, alle regole di polizia del  processo.  Cio'  che  conta,  agli
 effetti  dell'art.  24,  secondo  comma,  della  Costituzione, e' che
 all'imputato sia assicurata la "facolta'" di espletare liberamente  i
 diritti  di difesa che la legge gli riconosce: se lo si obbligasse ad
 esercitarli, l'art. 24 verrebbe violato per altro verso.
    Affidare  al  giudice  o  al pubblico ministero la possibilita' di
 assegnare  d'ufficio  all'imputato  nolente  un  consulente  tecnico,
 significa  trasformare  una  "facolta'"  della  parte  in  un  potere
 discrezionale del magistrato.
    Al  contrario,  una  volta  che sia stata realizzata, di fiducia o
 d'ufficio, la difesa principale, spetta soltanto all'imputato  stesso
 decidere  sulla  nomina  di un consulente ad integrazione, cosi' come
 sicuramente a lui soltanto spetta di nominare, se crede,  un  secondo
 difensore principale.
    La  giurisprudenza  di  questa  Corte,  e  particolarmente  quella
 espressamente   richiamata   dall'ordinanza,    e'    sempre    stata
 perfettamente coerente su questa linea. Riconoscendo, infatti, che il
 beneficio del gratuito patrocinio  doveva  estendersi  all'assistenza
 del  consulente  tecnico di parte anche nel processo civile, la Corte
 ha chiaramente parlato  di  "facolta'"  delle  parti  di  darsi  tale
 assistenza  (sentenza  2  giugno 1983 n. 149): e cosi' pure quando al
 giudice  rimettente  si  e'   suggerito   d'interpretare   le   norme
 concernenti  la  nomina  eventuale di piu' periti rispettando la piu'
 ampia possibile tutela della  "facolta'"  che  in  materia  la  legge
 riconosce all'imputato (sentenza 15 ottobre 1987 n. 345).
    Come  si  era  premesso,  appare dunque evidente che la questione,
 cosi' come proposta, non e'  fondata,  sotto  ogni  suo  ipotizzabile
 profilo.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 128, primo comma, e 323, primo comma, codice di procedura
 penale  1930,  in  riferimento  all'art.  24,  secondo  comma,  della
 Costituzione, sollevata dal Giudice istruttore presso il Tribunale di
 Napoli con ordinanza 16 novembre 1988.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 ottobre 1989.
                          Il presidente: CONSO
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 10 novembre 1989.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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