N. 588 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 giugno 1988- 21 novembre 1989
N. 588 Ordinanza emessa il 20 giugno 1988 (pervenuta alla Corte costituzionale il 21 novembre 1989) dalla Corte dei conti sezione giurisdizionale per la Sardegna, sul ricorso proposto da Cinti Giovanna ed altra Pensioni - Indennita' integrativa speciale - Dipendenti pubblici collocati a riposo a decorrere dalla data di entrata in vigore del d.-l. n. 27/1983 - Indennita' computata non per intero, ma nella minor misura di un quarantesimo, per ogni anno di servizio utile, dell'importo spettante al dipendente collocato a riposo con la massima anzianita' di servizio - Reformatio in peius del trattamento di quiescenza dei dipendenti dello Stato in contrasto con il principio di ragionevolezza - Incidenza negativa sui principi della retribuzione (anche differita) proporzionata alla quantita' del lavoro svolto e dell'assicurazione dei mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore in caso di vecchiaia - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 531/1988 di infondatezza di analoga questione ritenuta superabile dal giudice a quo. (D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 10, convertito in legge 25 marzo 1983, n. 79). (Cost., artt. 36, 38 e 97).(GU n.49 del 6-12-1989 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi iscritti ai nn. C/270 e C/271 del registro di segreteria, proposti da Cinti Giovanna e Sanna Maria Laura, elettivamente domiciliate in Roma, via Ottorino Lazzarino n. 19, nello studio degli avvocati Carlo Rienzi e Alberto Canestrelli; Uditi alla pubblica udienza del giorno 20 giugno 1988 il relatore consigliere Mario De Biasi e, non comparsi i difensori delle ricorrenti, il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore generale Alfredo Lener; Visti i ricorsi; Visto l'atto conclusionale in data 22 gennaio 1986 del procuratore generale; Viste le memorie difensive depositate in data 8 novembre 1986; Visti gli altri atti di causa; RITENUTO IN FATTO Con domanda avanzata in data 18 aprile 1983, le ricorrenti, dipendenti del Ministero della pubblica istruzione e docenti presso la scuola media "G. Manno" di Cagliari, chiesero di essere collocate anticipatamente in pensione. La domanda veniva accolta e le interesate erano collocate in pensione per dimissioni a far tempo dal 10 settembre 1983, con trattamento provvisorio di pensione annuo di L. 9.677.500 calcolato sulla base di venticinque anni di servizio utile e valutando lo stipendio corrispondente al settimo livello, classe nona, al primo a.b., oltre l'attribuzione dell'indennita' integrativa speciale (i.i.s.) e le eventuali quote di aggiunta di famiglia. Quanto all'i.i.s., veniva fatta applicazione delle disposizioni contenute nell'art. 10, primo e secondo comma del d-l. 29 gennaio 1983, n. 17, come risultanti dalla legge di conversione 25 marzo 1983, n. 79. Con ricorsi congiunti depositati nella segreteria della terza sezione per le pensioni civili di Roma (la quale ha considerato due separati gravami attribuendo ad ognuno due diversi numeri di registro generale con la formazione di altrettanti distinti fascicoli processuali) e da questa qui trasmessi per competenza, hanno proposto gravame le interessate "per il riconoscimento del loro diritto ad essere collocate a riposo con il trattamento vigente anteriormente al d.l. n. 17/1983 e quindi alla percezione dell'intera indennita' integrativa speciale e dei singoli punti, senza alcuna decurtazione, quanto al loro ammontare, in proporzione degli anni di servizio prestati, previo, ove occorra, l'annullamento delle due circolari ministeriali esplicative del richiamato d.-l. n. 17/1983 e della successiva legge di conversione nonche' di tutti gli atti presupposti connessi e conseguenziali, anteriori e successivi ivi compresi, ove occorra, i provvedimenti di collocamento a riposo e quelli di liquidazione dellla pensione". A fondamento della pretesa, si sostiene da patrte attrice, con il ricorso e successiva memoria depositata in data 10 novembre 1986: 1) l'illegittimita' del provvedimento liquidativo dell'i.i.s. in maniera ridotta il quale ha vulnerato la legittima aspettativa delle ricorrenti ad un trattamento di quiescenza che tenesse conto, nel suo aspetto patrimoniale, della misura degli emolumenti consolidatisi nel rapporto di attivita' i quali, in prospettiva del collocamento a riposo dal momento del compimento del periodo minimo di servizio previsto dal testo unico 29 dicembre 1973, n. 1092, hanno acquisito la figura giuridica di "diritti quesiti immodificabili in senso peggiorativo"; 2) l'illegittimita' dei due atti generali, presupposti dell'atto amministrativo di liquidazione dell'i.i.s. in misura ridotta - circ. 35349/5.1.3 in data 2 giugno 1983 della Presidenza del Consiglio, ufficio della funzione pubblica, e circolare telegrafica datata 29 novembre 1983 del Ministero del tesoro, per violazione di legge (art. 99 del d.P.R. n. 1092/1973, art. 10 del d.-l. n. 17/1983, art. 227 del t.u. 3 marzo 1934, n. 383, arrt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione) e per eccesso di potere perche' lesiva di diritti gia' acquisiti dalle ricorrenti; 3) ove le suddette circolari fossero ritenute coerenti con le disposizioni contenute nel piu' volte richiamato art. 10 del d.-l. n. 17/1983 e relativa legge di conversione, l'illegittimita' costituzionale delle stesse norme per violazione degli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione, principi generali. In proposito argomentano le ricorrenti che esse avevano raggiunto l'anzianita' che in base al t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092, dava diritto alla i.i.s. per intero (cioe' venti anni di servizio) anteriormente al 29 gennaio 1983; esse quindi erano titolari non di una mera aspettativa ma di un vero e proprio diritto quesito. La prefessione di un termine finale, quale quello del 29 gennaio 1983 per la presentazione della domanda di dimissioni sarebbe del tutto irrazionale perche' ha introdotto sperequazioni anche fortissime, pur in presenza di identiche situazioni di fatto e di diritto, tra soggetti, che con identica anzianita' sono cessati dal servizio con la stessa decorrenza, ma sulla base di domande presentate un giorno prima o un giorno dopo il termine del 29 gennaio 1983 e, ancora, tra due soggetti cessati entrambi dopo l'entrata in vigore del d.-l. n. 17/1983, il primo per effetto di domanda avanzata dopo il termine indicato, il secondo a seguito di destituzione. Continuano le ricorrenti: "costituisce ius receptum della giurisprudenza costituzionale la concessione secondo cui il trattamento di quiescenza e' prosecuzione di quello di attivita' sicche' la particolare protezione accordata al lavoratore in costanza di servizio per assicurargli una retribuzione sufficiente a garantire a lui e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa (art. 36 della Costituzione) si estende anche al momento del collocamento a riposo e, in prosieguo, duranto lo stato di quiescenza (art. 38 della Costituzione) in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta". Ora il meccanismo approntato dal legislatore per mantenere inalterato e costante il potere di acquisto degli stipendi e delle pensioni dei pubblici dipendenti e' rappresentato da un lato dall'adeguamento dei salari, stipendi e pensioni; dall'altro e soprattutto, considerata la sua entita', dalla i.i.s. istituita per fronteggiare il costo della vita e la piu' idonea a garantire la rispondenza degli stessi ai procetti costituzionali contenuti nei piu' volte richiamati artt. 36 e 38 della Costituzione. Una norma, come quella contenuta nell'art. 10 del d.-l. n. 17/1983 cosi' come risultante dalla legge di conversione, la quale immotivatamente decurti l'entita' della i.i.s. che e' parte dello stipendio o della pensione certamente viola i precetti sopra ricordati. Vi e' violazione, altresi', dell'art. 97 della Costituzione nel riflesso che l'emanazione di norme o di atti amministrazioni a contenuto specifico che in qualche modo producono una diminuzione della retribuzione globalmente considerata o del trattamento di quiescenza in vigore, travolge quel principio della salvezza dei diritti quesiti dei pubblici dipendenti che risponde a evidenti criteri di equita' e di ragionevolezza dell'azione amministrativa. Hanno concluso per l'accoglimento dei ricorsi; in subordine per la sospensione del giudizio e remissione degli atti alla Corte costituzionale; in via ulteriormente subordinata, la cancellazione della causa del ruolo in attesa che la Corte costituzionale si pronunci nella identica questione sollevata con varie ordinanze dal t.a.r. Liguria. Il procuratore generale, dal suo canto, con atto scritto in data 22 gennaio 1986, ha prospettato, in via preliminare una ipotesi di inammissibilita' del gravame per assenza del provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 71, lett. b) del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038. Nel merito, poi, ha chiesto il rigetto del ricorso perche' il provvedimento liquidativo dell'i.i.s. in misura ridotta e' stato adottato con corretta applicazione delle disposizioni contenute nell'art. 10 del d.-l. n. 17/1983 cosi' come modificate dalla legge di conversione n. 79/1983, di cui le circolari ministeriali censurate sono puntuale esplicazione. Quanto alle dedotte eccezioni di incostituzionalita' dell'art. 10 piu' volte richiamato dal d.-l. n. 17/1983 per pretesa violazione degli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione ne ha sostenuto la manifesta infondatezza perche' il principio della retroattivita' dele legge e' stato elevato a dignita' di precetto costituzionale per le sole leggi penali; perche' non risulta violato l'art. 3 della Costituzione in quanto si e' in presenza di dimissioni volontarie per di piu' revocabili; perche' non sono i principi della retribuzione proporzionata alla quantita' e alla qualita' del lavoro (art. 36) ne' quello del diritto all'assistenza pubblica (art. 38) in quanto da un lato l'indennita' in contestazione viene erogata proprio in proporzione della qualita' e quantita' del lavoro prestato, dall'altro in quanto la misura dell'emolumento e' sufficiente al mantenimento del soggetto considerata la sua natura di complementarieta' del trattamento base e la scelta volontaria delle dimissioni; perche' non e' violato il precetto di cui allart. 97 della Costituzione in quanto, a parte la sua dubbia pertinenza, la norma contestata ha la finalita' di evitare l'esodo prematuro ed indiscriminato dei dipendenti pubblici onorando, pertanto, il principio di buona amministrazione. Ha concluso per il rigetto del gravame. In ordine alla formulata eccezione di inammissibilita', con la memoria sopra richiamata, le ricorrenti hanno opposto che nella specie vertesi in materia di diritti soggettivi patrimoniali la cui pretesa, secondo l'insegnamento del Consiglio di Stato, puo' essere azionabile nel termine di prescrizione e senza necessita' di impugnazione di atti. All'udienza, non comparsi gli avvocati Carlo Rienzi e Roberto Canestrelli per le ricorrenti, il p.m. ha confermato l'atto scritto non opponendosi, peraltro, alla sospensione del giudizio in attesa della decisione della Corte costituzionale sua analoga questione sollevata dal t.a.r. Liguria e dal pretore di Lodi. CONSIDERATO IN DIRITTO I giudizi vanno riuniti per evidenti motivi di connessione. Nel merito: l'art. 42, secondo comma, del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092, consente il collocamento a riposo a domanda, del pubblico dipendente che abbia compiuto il servizio effettivo minimo di diciannove anni, sei mesi e un giorno, riconoscendogli il diritto ad un trattamento di quiescenza pari al 44% dello stipendio e degli altri assegni utili a pensione con una ulteriore maggiorazione dell'1,80% per ogni anno di servizio utile fino a raggiungimento del massimo dell'80% degli emolumenti stessi in corrispondenza del periodo massimo di servizio di quaranta anni. A mente del successivo art. 99 spettava a tutti i pensionati una indennita' integrativa speciale pari all'80% di quella attribuita in servizio, indipendentemente dell'anzianita' raggiunta. Con novella norma, contenuta all'art. 10 del d.-l. 29 febbraio 1983, n. 17, in parte modificato con la legge di conversione 25 marzo 1983, n. 79, fu stabilito che "per il personale avente diritto all'indennita' integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1979, n. 324, e successive modificazioni che ha presentato domanda di pensionamento a partire dall'entrata in vigore del presente decreto, la misura dell'indennita' stessa da corrispondere in aggiunta alla pensione o assegno e' determinata in ragione di un quarantesimo per ogni anno di servizio utile ai fini del trattamento di quiescenza dell'importo dell'indennita' spettante al personale collocato in pensione con la massima anzianita' di servizio". Il secondo comma dello stesso art. 10 ha fatto salvo l'importo di L. 448.554 pari all'i.i.s. spettante alla data di entrata in vigore delle nuove norme ed il terzo comma dispone che la differenza tra l'importo dell'i.i.s. dovuta in proporzione all'anzianita' di servizio utile al personale cessato alla data di entrata in vigore del decreto e l'importo di cui al secondo comma (L. 448.554) e' conservata a titolo di assegno personale riassorbibile in sede di successiva variazione trimestrale dell'i.i.s. Il successivo quarto comma stabilisce, inoltre, che le variazioni dell'indennita' in questione verranno attribuite per l'intero importo dalla data di raggiungimento dell'eta' di pensionamento da parte del titolare o dalla data di decesso di questi in ipotesi di riversibilita' a favore di congiunti. Al sesto comma, infine, si dava facolta' ai soggetti che successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge avessero avanzato istanza di collocamento a riposo, di recedere da tale istanza entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione anche in ipotesi di intervenuta efficacia del provvedimento di cessazione. Per completezza, va ricordato che in sede di concreta applicazione della legge sorsero problemi di interpretazione in ordine alle fattispecie regolate dalla norma e la Corte dei conti con varie, ma costanti, determinazioni adottate nella sua funzione di controllo ritenne che essa fosse da riferire soltanto alle ipotesi di cessazione a domanda con esclusione di ogni altro motivo. Furono adottati il d.-l. n. 594/1985 e n. 785/1985 non convertiti ma dei quali furono conservati gli effetti, ed in ultimo il d.-l. 28 febbraio 1986, n. 49, convertito in legge 18 aprile 1986, n. 120, il quale ha esteso le disposizioni di cui all'art. 10 del d.-l. n. 17/1983 a tutti di casi di prepensionamento anticipato fatti salvi i casi di cessazione per morte o per infermita' tale da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro ancorche' non dipendente da causa di servizio. Va aggiunto, ancora, che con una prima circolare esplicativa, quella n. 35349/5.1.3 in data 2 giugno 1983 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, fu disposto che le nuove disposizioni andassero applicate nel senso che l'i.i.s. venisse calcolata nella prima liquidazione della pensione in misura pari a tanti quarantesimi della stessa, o diversa frazione, a seconda dell'anzianita' richiesta per la pensione massima, comunque con salvezza della somma di L. 448.554; che le future variazioni dell'indennita' sarebbero state, invece, computate per intero e in tal modo liquidate. Con successiva disposizione telegrafica, adottata anche al lume della deliberazione n. 1391 del 18 novembre 1983 della Corte dei conti, la precedente circolare e' stata modificata nel senso che l'importo delle variazioni trimestrali intervenute successivamente al pensionamento va computato in proporzione all'attivita' di servizio, anche ai fini del riassorbimento dell'eventuale differenza tra l'importo di L. 448.554 e l'importo della i.i.s. dovuta sulla base degli anni di servizio utile. Cio' posto e ritornando al caso in esame, va ricordato che le ricorrenti presentarono domanda di prepensionamento, rispettivamente, la Sanna in data 31 gennaio 1983 e la Cinti il 18 aprile 1983, entrambe, comunque, successivamente all'entrata in vigore del d.-l. n. 17/1983, vale a dire al 28 gennaio 1983. Non risula che, nei termini prescritti, manifestarono la volonta' di recedere dall'istanza. Il provveditore agli studi di Cagliari, con provvedimento n. 419 del 23 marzo 1983, nel comunicare la cessazione dal servizio della predetta a decorrere dal 10 settembre 1983 per dimissione disponeva per la corresponsione della pensione provvisoria nonche' per l'attribuzione dell'i.i.s. spettante oltre le eventuali aggiunte di famiglia. Della misura di detta indennita' liquidata in applicazione delle richiamate norme, si dolgono le interessate per i motivi esposti in premessa. Questa Corte, superata l'eccezione di inammissibilita' formulata dal procuratore generale - il quale, peraltro, nel contesto del proprio atto conclusionale riconosce che l'indennita' di che trattasi e' stata liquidata in misura ridotta sulla base delle nuove norme - vertendosi in materia di diritti soggettivi a contenuto patrimoniale la cui lesione e' direttamente impugnabile dinanzi al magistrato competente, dovrebbe respingere il ricorso. Cio' in quanto l'amministrazione ha fatto corretta applicazione delle disposizioni contenute nel primo, secondo e terzo comma del piu' volte richiamato art. 10 del d.-l. n. 17/1983 nella formulazione contenuta nella successiva legge di conversione. D'altro canto, il tenore letterale della norma e la sua ratio che ha inteso evidentemente ricondurre al principio della proporzionalita' in relazione agli anni di servizio utile a pensione, vigente per la determinazione dell'ammontare dell'assegno di quiescenza, anche quello relativo all'attribuzione dell'indennita' integrativa speciale, non lasciano dubbi sulla corretta interpretazione della disposizione di legge di cui soprattutto la seconda circolare, quella telegrafica del 29 novembre 1983, e' mera esplicitazione ai fini della sua uniforme attuazione in sede di concreta applicazione. Ne' potrebbe avere ingresso la lamentela formulata in ordine a una violazione di pretesi diritti acquisiti dalle ricorrenti alla liquidazione della i.i.s. nella misura prevista dall'art. 99 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, da parte dell'amministrazione, la quale avrebbe dovuto applicare la norma vigente all'atto del compimento da parte delle interessate del periodo minimo di servizio, nel semplice rilievo, conforme anche alla costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, che in materia di quiescenza non puo' parlarsi di diritti quesiti se non quando la pensione sia stata gia' liquidata o quanto meno si sia verificato il presupposto di fatto richiesto per il collocamento a pensione (presentazione della domanda di prepensionamento, raggiungimento del limite di eta', ecc.), non potendo vantare in precedenza il pubblico dipendente altro che una mera aspettativa al trattamento di quiescenza. Sicche' soltanto in quel momento sorge il diritto soggettivo al trattamento di riposo il quale prende vita sulla base delle norme di legge in vigore in detto momento, e non puo' dirsi che la novella del 1983 abbia portato lesione ad eventuali diritti quesiti ove appena si consideri che essa si e' resa applicabile soltanto alle ipotesi di collocamento in pensione a seguito di domanda presentata successivamente alla sua entrata in vigore. Stando cosi' le cose, vengono in rilievo le eccezioni di costituzionalita' sollvate da parte attrice per pretesa violazione dei principi contenuti negli artt. 36, 38 e 97 della Costituzione da parte delle norme di esame. La questione e' certamente rilevante ai fini della decisione perche' all'eventuale venir meno della norma di legge censurata conseguirebbe la caducazione del provvedimento impugnato liquidativo della i.i.s. in misura ridotta. L'indennita' integrativa speciale, giova ricordarlo, fu istituita con legge 27 maggio 1979, n. 324. Le successive modifiche ed integrazioni non hanno alterato la sua funzione essenziale che fu quella, del resto riconosciuta alla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 45 del 20 aprile 1978), di essere destinata "per definizione a fronteggiare il costo della vita in una maniera equivalente per tutti i lavoratori, indipendentemente dalla retribuzione da ciascuno percepita". Ed, infatti, il potere di acquisto delle retribuzioni dei pubblici dipendenti viene tutt'ora mantenuto costante non tanto attraverso l'adeguamento delle tabelle stipendiali, quanto, soprattutto, mediante il particolare strumento retributivo rappresentato dall'i.i.s. la quale e' costante e uguale per tutti i lavori dipendenti, entro una determinata fascia di reddito e solo in minima parte variabile in relazione a fasce salariali o stipendiali superiore, sicche' si puo' affermare che vi e' una sua sostanziale uguaglianza per tutti i lavoratori dipendenti. La sua misura, e' appena il caso di rilevarlo, e' di tale entita' che la voce stipendio e' rappresentata, soprattutto per le categorie di livello retributivo piu' basso, in ragione percentuale assorbente proprio dall'indennita' di che trattasi. Ed e', in fondo, proprio attraverso l'indicato congegno che viene fatto ossequio al dettato dell'art. 36 della Costituzione. Percio' ogni norma che alterasse l'anzidetto rapporto tra retribuzione e suo potere d'acquisto, agendo sul meccanismo dell'indennita' integrativa speciale, verrebbe a collidere con l'anzidetto principio costituzionale. Non diverso discorso va fatto per il trattamento di quiescenza il cui carattere di retribuzione differita e' stato piu' volte riconosciuto dal giudice delle leggi il quale ha costantemente affermato che "il trattamento di quiescenza deve essere proporzionato alla qualita'-durata del lavoro prestato" e tale "da assicurare al pensionato e alla sua famiglia, come all'impiegato in servizio, una esistenza libera e dignitosa" (sentenze n. 124/1968, n. 501/1988); che la "proporzionalita' e adeguatezza non devono sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo, ma vanno costantemente assicurate anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta" (sentenze n. 26/1970, n. 173/1986 e n. 501/1988); che, dato il suo carattere di retribuzione differita "ne consegue l'esigenza di una costante adeguazione del trattamento di quiescenza alle retribuzioni del servizio attivo" (sentenza n. 501/1988). Le disposizioni contenute nel richiamato art. 99 del testo unico n. 1092/1973 in uno a quelle riportate nel precedente articolo certamente assicuravano tale adeguatezza, sia all'atto della costituzione del rapporto pensionistico sia in prosieguo di tempo ed apparivano coerenti ai precetti contenuti negli artt. 36 e 38 della Costituzione cosi' come piu' volte affermati e integrati dal giudice costituzionale. L'equilibrio risultante dal richiamato complesso normativo appare, oggi, senz'altro alterato in conseguenza dell'emanazione delle nuove disposizioni contenute nella novella del 1983. E tale alterazione e' dato rilevare sia al momento del collocamento a riposo sia in sostanza del rapproto di quiescenza posto che l'i.i.s. subisce una riduzione, in relazione agli anni di servizio utile, non solo all'atto della costituzione del rapporto pensionistico ma anche successivamente ogni qualvolta, per il mutare del potere d'acquisto della moneta, si innesca il sistema automatico di variazione della misura dell'i.i.s. Sicche' ne risultano completamente travolti sia all'originaria funzione di siffatta indennita', la cui natura fu ben definita dalla Corte costituzionale, sia quei principi di proporzionalita' e di adeguatezza alle necessita' di vita del pensionato e della sua famiglia che quello della necessita' di un costante adeguamento di essa al mutato potere di acquisto della moneta e alle retribuzioni del servizio attivo. E' appena il caso di porre l'accento, in proposito, sulla circostanza che superando, in molti casi, l'i.i.s. l'ammontare della pensione base, il quantum pensionistico, per effetto delle denunciate disposizioni, appare non solo inadeguato, all'inizio alle esigenze di vita di pensionato ma e' destinato a ridursi sempre piu' nel tempo, in relazione ai mutamenti del costo della vita, sino a raggiungere i limiti della sopravvivenza. Ne' sembra possa farsi validamente, nella specie, richiamo a principi di discrezionalita' legislativa. E' ben vero, come affermato piu' volte dalla stessa Corte costituzionale che rientra nella discrezionalita' del legislatore ordinario disporre i mezzi di attuazione dei principi di tutela previdenziale affermati agli artt. 36 e 38 della Costituzione, ma nel caso considerato - quello cioe' del piu' volte richiamato art. 10 del d.-l. n. 17/1983 - tale potere sembra aver travolto proprio i cardini base sui quali si fondano quei concetti di proporzionalita' e adeguatezza che le norme costituzionali hanno inteso tutelare. In definitiva e' avviso del collegio che, avuto riguardo alla piu' volte affermata natura dell'i.i.s. e la necessita', per i fini che con essa vogliono realizzarsi, della sua omogeneita' per tutti i dipendenti pubblici e per tutti i pensionati, le limitazioni introdotte dalla norma censurata siano talmente gravose da annullare sostanzialmente il diritto alla sua percezione. Ugualmente violato appare, ad avviso del collegio, il disposto dell'art. 97 della Corte - inteso nel senso di aderenza con i principi di equita' e di ragionevolezza - sull'imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione ove appena si consideri l'illogicita' e contradditorieta' della attuale disciplina in materia di cessazione anticipata dal servizio. A fronte, infatti, di precise norme che facultizzano il dipendente statale alla cessazione anticipata purche' sia stato compiuto un periodo minimo di servizio utile di vent'anni (rectius: diciannove anni, sei mesi ed un giorno) si collocano le disposizioni qui denunciate le quali con carattere punitivo - basti in proposito considerare il sistema di liquidazione dell'i.i.s. come previsto al quarto comma dell'art. 10 gia' richiamato dal d.-l. n. 17/1983 al raggiungimento dell'eta' pensionabile o prima in caso di decesso del dante causa - riducono, annullandone gli effetti antinflazionistici, la misura di detta indennita' sulla quale, peraltro, sono state effettuate in costanza di servizio le ritenute previdenziali anche ai fini pensionistici. Non si rinvengono, per altro verso, elementi che possano dare ingresso a ipotesi di incostituzionalita' per violazione del principio di uguaglianza affermato all'art. 3 della Costituzione, cosi' come prospettate da parte attrice, considerato che rientra nel potere discrezionale del legislatore la regolamentazione differenziata del trattamento pensionistico in relazione alla data di collocamento a riposo. Ne' apparre rilevante, ai fini che interessano, l'altra questione sottoposta - quella relativa all'applicabilita' della normativa contenuta nell'art. 10 del d.-l. n. 17/1983, almeno in prima stesura, ai soli dipendenti cessati a domanda - nella considerazione che una eventuale pronuncia di illegittimita' costituzionale non potrebbe avere che contenuto additivo nel senso dell'estensione della norma anche ad altre ipotesi di cessazione e quindi nessun effetto sostanziale in ordine alla vertenza in esame. In definitiva, per le esposte considerazioni, la sezione giuridica oltrecche' rilevante per i motivi gia' espressi non manifestamente infondata la sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 del d.-l. 29 gennaio 1983, n. 17, come convertito in legge 25 marzo 1983, n. 79, con riferimento agli artt. 36, 38 e 97 della Costituzione.
P. Q. M. Visto l'art. 134 della Costituzione; Visti gli artt. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 del d.-l. 29 gennaio 1983, n. 17, come convertito con la legge 25 marzo 1983, n. 79, nella parte di cui in motivazione con riferimento agli artt. 36, 38 e 97 della Costituzione, sospende il giudizio in corso e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata alla parte in causa, al procuratore generale rappresentante presso questa sezione il p.m., al Presidente del Consiglio dei Ministri nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' disposto in Cagliari, nella camera di consiglio del 20 giugno 1988. Il presidente: GARRI 89C1202