N. 588 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 giugno 1988- 21 novembre 1989

                                 N. 588
 Ordinanza   emessa   il   20   giugno   1988  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 21 novembre 1989) dalla  Corte  dei  conti  sezione
 giurisdizionale  per  la  Sardegna,  sul  ricorso  proposto  da Cinti
 Giovanna ed altra
 Pensioni  -  Indennita'  integrativa  speciale  - Dipendenti pubblici
 collocati a riposo a decorrere dalla data di entrata  in  vigore  del
 d.-l.  n.  27/1983  -  Indennita'  computata non per intero, ma nella
 minor misura di un quarantesimo, per ogni  anno  di  servizio  utile,
 dell'importo  spettante  al  dipendente  collocato  a  riposo  con la
 massima anzianita' di servizio - Reformatio in peius del  trattamento
 di  quiescenza  dei  dipendenti  dello  Stato  in  contrasto  con  il
 principio di ragionevolezza - Incidenza negativa sui  principi  della
 retribuzione  (anche  differita)  proporzionata  alla  quantita'  del
 lavoro svolto e dell'assicurazione dei mezzi adeguati  alle  esigenze
 di vita del lavoratore in caso di vecchiaia - Riferimento
    alla   sentenza   della   Corte   costituzionale  n.  531/1988  di
 infondatezza di analoga questione ritenuta superabile dal
    giudice a quo.
 (D.L.  29 gennaio 1983, n. 17, art. 10, convertito in legge 25 marzo
 1983, n. 79).
 (Cost., artt. 36, 38 e 97).
(GU n.49 del 6-12-1989 )
                           LA CORTE DEI CONTI
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza sui ricorsi iscritti ai nn.
 C/270 e C/271 del registro di segreteria, proposti da Cinti  Giovanna
 e  Sanna Maria Laura, elettivamente domiciliate in Roma, via Ottorino
 Lazzarino n. 19, nello studio degli avvocati Carlo Rienzi  e  Alberto
 Canestrelli;
    Uditi  alla pubblica udienza del giorno 20 giugno 1988 il relatore
 consigliere  Mario  De  Biasi  e,  non  comparsi  i  difensori  delle
 ricorrenti,   il  pubblico  ministero  nella  persona  del  sostituto
 procuratore generale Alfredo Lener;
    Visti i ricorsi;
    Visto l'atto conclusionale in data 22 gennaio 1986 del procuratore
 generale;
    Viste le memorie difensive depositate in data 8 novembre 1986;
    Visti gli altri atti di causa;
                           RITENUTO IN FATTO
    Con  domanda  avanzata  in  data  18  aprile  1983, le ricorrenti,
 dipendenti del Ministero della pubblica istruzione e  docenti  presso
 la  scuola media "G. Manno" di Cagliari, chiesero di essere collocate
 anticipatamente in pensione.
    La  domanda  veniva  accolta  e  le  interesate erano collocate in
 pensione per dimissioni a  far  tempo  dal  10  settembre  1983,  con
 trattamento  provvisorio  di pensione annuo di L. 9.677.500 calcolato
 sulla base di venticinque anni  di  servizio  utile  e  valutando  lo
 stipendio  corrispondente  al  settimo livello, classe nona, al primo
 a.b.,  oltre  l'attribuzione  dell'indennita'  integrativa   speciale
 (i.i.s.) e le eventuali quote di aggiunta di famiglia.
    Quanto  all'i.i.s.,  veniva  fatta applicazione delle disposizioni
 contenute nell'art. 10, primo e secondo comma  del  d-l.  29  gennaio
 1983,  n.  17,  come  risultanti  dalla legge di conversione 25 marzo
 1983, n. 79.
    Con  ricorsi  congiunti  depositati  nella  segreteria della terza
 sezione per le pensioni civili di Roma (la quale ha  considerato  due
 separati gravami attribuendo ad ognuno due diversi numeri di registro
 generale  con  la  formazione  di  altrettanti   distinti   fascicoli
 processuali) e da questa qui trasmessi per competenza, hanno proposto
 gravame le interessate "per il riconoscimento  del  loro  diritto  ad
 essere collocate a riposo con il trattamento vigente anteriormente al
 d.l. n. 17/1983  e  quindi  alla  percezione  dell'intera  indennita'
 integrativa  speciale e dei singoli punti, senza alcuna decurtazione,
 quanto al loro ammontare,  in  proporzione  degli  anni  di  servizio
 prestati,  previo,  ove  occorra,  l'annullamento delle due circolari
 ministeriali esplicative del richiamato  d.-l.  n.  17/1983  e  della
 successiva legge di conversione nonche' di tutti gli atti presupposti
 connessi e conseguenziali, anteriori e successivi ivi  compresi,  ove
 occorra,  i  provvedimenti  di  collocamento  a  riposo  e  quelli di
 liquidazione dellla pensione".
    A  fondamento della pretesa, si sostiene da patrte attrice, con il
 ricorso e successiva memoria depositata in data
 10 novembre 1986:
      1) l'illegittimita' del provvedimento liquidativo dell'i.i.s. in
 maniera ridotta il quale ha vulnerato la legittima aspettativa  delle
 ricorrenti ad un trattamento di quiescenza che tenesse conto, nel suo
 aspetto patrimoniale, della misura degli emolumenti consolidatisi nel
 rapporto  di  attivita'  i  quali,  in prospettiva del collocamento a
 riposo dal momento del compimento  del  periodo  minimo  di  servizio
 previsto  dal  testo unico 29 dicembre 1973, n. 1092, hanno acquisito
 la figura giuridica  di  "diritti  quesiti  immodificabili  in  senso
 peggiorativo";
      2) l'illegittimita' dei due atti generali, presupposti dell'atto
 amministrativo di liquidazione dell'i.i.s. in misura ridotta -  circ.
 35349/5.1.3  in  data  2  giugno 1983 della Presidenza del Consiglio,
 ufficio della funzione pubblica, e circolare  telegrafica  datata  29
 novembre 1983 del Ministero del tesoro, per violazione di legge (art.
 99 del d.P.R.  n. 1092/1973, art. 10 del d.-l. n. 17/1983,  art.  227
 del  t.u.  3  marzo  1934,  n.  383,  arrt.  3,  36,  38  e  97 della
 Costituzione) e per eccesso di potere perche' lesiva di diritti  gia'
 acquisiti dalle ricorrenti;
      3)  ove  le  suddette circolari fossero ritenute coerenti con le
 disposizioni contenute nel piu' volte richiamato art. 10 del d.-l. n.
 17/1983   e   relativa   legge   di   conversione,   l'illegittimita'
 costituzionale delle stesse norme per violazione degli artt.  3,  36,
 38 e 97 della Costituzione, principi generali.
    In  proposito argomentano le ricorrenti che esse avevano raggiunto
 l'anzianita' che in base al t.u. 29  dicembre  1973,  n.  1092,  dava
 diritto  alla  i.i.s.  per  intero  (cioe'  venti  anni  di servizio)
 anteriormente al 29 gennaio 1983; esse quindi erano titolari  non  di
 una  mera  aspettativa  ma  di  un vero e proprio diritto quesito. La
 prefessione di un termine finale, quale quello del  29  gennaio  1983
 per  la  presentazione  della domanda di dimissioni sarebbe del tutto
 irrazionale perche' ha introdotto sperequazioni anche fortissime, pur
 in  presenza  di  identiche  situazioni  di  fatto  e di diritto, tra
 soggetti, che con identica anzianita' sono cessati dal  servizio  con
 la  stessa  decorrenza, ma sulla base di domande presentate un giorno
 prima o un giorno dopo il termine del 29 gennaio 1983 e, ancora,  tra
 due  soggetti  cessati entrambi dopo l'entrata in vigore del d.-l. n.
 17/1983, il primo per effetto di domanda  avanzata  dopo  il  termine
 indicato, il secondo a seguito di destituzione.
    Continuano   le   ricorrenti:   "costituisce  ius  receptum  della
 giurisprudenza  costituzionale  la   concessione   secondo   cui   il
 trattamento  di  quiescenza  e'  prosecuzione  di quello di attivita'
 sicche' la particolare protezione accordata al lavoratore in costanza
 di servizio per assicurargli una retribuzione sufficiente a garantire
 a lui e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa  (art.  36
 della  Costituzione)  si  estende anche al momento del collocamento a
 riposo e, in prosieguo, duranto lo stato di quiescenza (art. 38 della
 Costituzione)  in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della
 moneta". Ora il meccanismo approntato dal legislatore  per  mantenere
 inalterato  e  costante  il potere di acquisto degli stipendi e delle
 pensioni  dei  pubblici  dipendenti  e'  rappresentato  da  un   lato
 dall'adeguamento  dei  salari,  stipendi  e  pensioni;  dall'altro  e
 soprattutto, considerata la sua entita', dalla i.i.s.  istituita  per
 fronteggiare  il  costo  della  vita  e la piu' idonea a garantire la
 rispondenza degli stessi ai  procetti  costituzionali  contenuti  nei
 piu' volte richiamati artt. 36 e 38 della Costituzione.
    Una norma, come quella contenuta nell'art. 10 del d.-l. n. 17/1983
 cosi'  come  risultante  dalla  legge  di   conversione,   la   quale
 immotivatamente  decurti  l'entita'  della  i.i.s. che e' parte dello
 stipendio  o  della  pensione  certamente  viola  i  precetti   sopra
 ricordati.
    Vi  e'  violazione,  altresi', dell'art. 97 della Costituzione nel
 riflesso che l'emanazione  di  norme  o  di  atti  amministrazioni  a
 contenuto  specifico  che  in  qualche modo producono una diminuzione
 della retribuzione  globalmente  considerata  o  del  trattamento  di
 quiescenza  in  vigore,  travolge  quel  principio della salvezza dei
 diritti quesiti dei  pubblici  dipendenti  che  risponde  a  evidenti
 criteri di equita' e di ragionevolezza dell'azione amministrativa.
    Hanno concluso per l'accoglimento dei ricorsi; in subordine per la
 sospensione  del  giudizio  e  remissione  degli  atti   alla   Corte
 costituzionale;  in  via  ulteriormente subordinata, la cancellazione
 della causa del ruolo  in  attesa  che  la  Corte  costituzionale  si
 pronunci  nella  identica questione sollevata con varie ordinanze dal
 t.a.r. Liguria.
    Il  procuratore  generale, dal suo canto, con atto scritto in data
 22 gennaio 1986, ha prospettato, in via preliminare  una  ipotesi  di
 inammissibilita' del gravame per assenza del provvedimento impugnato,
 ai sensi dell'art. 71, lett. b) del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038. Nel
 merito,   poi,   ha   chiesto  il  rigetto  del  ricorso  perche'  il
 provvedimento liquidativo dell'i.i.s.  in  misura  ridotta  e'  stato
 adottato  con  corretta  applicazione  delle  disposizioni  contenute
 nell'art. 10 del d.-l. n. 17/1983 cosi' come modificate  dalla  legge
 di conversione n. 79/1983, di cui le circolari ministeriali censurate
 sono puntuale esplicazione.
    Quanto  alle dedotte eccezioni di incostituzionalita' dell'art. 10
 piu' volte richiamato dal d.-l. n.  17/1983  per  pretesa  violazione
 degli  artt.  3,  36,  38  e 97 della Costituzione ne ha sostenuto la
 manifesta infondatezza perche' il principio della retroattivita' dele
 legge  e'  stato elevato a dignita' di precetto costituzionale per le
 sole leggi  penali;  perche'  non  risulta  violato  l'art.  3  della
 Costituzione in quanto si e' in presenza di dimissioni volontarie per
 di piu' revocabili; perche' non sono i  principi  della  retribuzione
 proporzionata alla quantita' e alla qualita' del lavoro (art. 36) ne'
 quello del diritto all'assistenza pubblica (art. 38) in quanto da  un
 lato   l'indennita'   in   contestazione  viene  erogata  proprio  in
 proporzione  della  qualita'  e  quantita'   del   lavoro   prestato,
 dall'altro  in  quanto  la  misura  dell'emolumento e' sufficiente al
 mantenimento   del   soggetto   considerata   la   sua   natura    di
 complementarieta'  del  trattamento base e la scelta volontaria delle
 dimissioni; perche' non e' violato il  precetto  di  cui  allart.  97
 della  Costituzione  in  quanto, a parte la sua dubbia pertinenza, la
 norma contestata ha la finalita'  di  evitare  l'esodo  prematuro  ed
 indiscriminato   dei   dipendenti  pubblici  onorando,  pertanto,  il
 principio di buona amministrazione.
    Ha concluso per il rigetto del gravame.
    In  ordine  alla  formulata  eccezione di inammissibilita', con la
 memoria sopra richiamata,  le  ricorrenti  hanno  opposto  che  nella
 specie  vertesi  in materia di diritti soggettivi patrimoniali la cui
 pretesa, secondo l'insegnamento del Consiglio di Stato,  puo'  essere
 azionabile   nel  termine  di  prescrizione  e  senza  necessita'  di
 impugnazione di atti.
    All'udienza,  non  comparsi  gli  avvocati  Carlo Rienzi e Roberto
 Canestrelli per le ricorrenti, il p.m. ha confermato  l'atto  scritto
 non  opponendosi,  peraltro,  alla sospensione del giudizio in attesa
 della decisione della  Corte  costituzionale  sua  analoga  questione
 sollevata dal t.a.r. Liguria e dal pretore di Lodi.
                         CONSIDERATO IN DIRITTO
    I giudizi vanno riuniti per evidenti motivi di connessione.
    Nel  merito:  l'art. 42, secondo comma, del t.u. 29 dicembre 1973,
 n. 1092, consente il collocamento a riposo a  domanda,  del  pubblico
 dipendente  che  abbia  compiuto  il  servizio  effettivo  minimo  di
 diciannove anni, sei mesi e un giorno, riconoscendogli il diritto  ad
 un  trattamento  di  quiescenza  pari  al 44% dello stipendio e degli
 altri assegni  utili  a  pensione  con  una  ulteriore  maggiorazione
 dell'1,80%  per ogni anno di servizio utile fino a raggiungimento del
 massimo  dell'80%  degli  emolumenti  stessi  in  corrispondenza  del
 periodo massimo di servizio di quaranta anni.
    A  mente  del successivo art. 99 spettava a tutti i pensionati una
 indennita' integrativa speciale pari all'80% di quella attribuita  in
 servizio, indipendentemente dell'anzianita' raggiunta.
    Con  novella  norma,  contenuta  all'art. 10 del d.-l. 29 febbraio
 1983, n. 17, in parte modificato con la legge di conversione 25 marzo
 1983,  n.  79,  fu  stabilito  che  "per  il personale avente diritto
 all'indennita' integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1979,
 n.  324,  e  successive  modificazioni  che  ha presentato domanda di
 pensionamento a partire dall'entrata in vigore del presente  decreto,
 la  misura  dell'indennita'  stessa da corrispondere in aggiunta alla
 pensione o assegno e' determinata in ragione di un  quarantesimo  per
 ogni  anno  di  servizio  utile ai fini del trattamento di quiescenza
 dell'importo dell'indennita'  spettante  al  personale  collocato  in
 pensione con la massima anzianita' di servizio".
    Il  secondo comma dello stesso art. 10 ha fatto salvo l'importo di
 L. 448.554 pari all'i.i.s. spettante alla data di entrata  in  vigore
 delle  nuove  norme  ed  il terzo comma dispone che la differenza tra
 l'importo  dell'i.i.s.  dovuta  in  proporzione   all'anzianita'   di
 servizio  utile  al  personale cessato alla data di entrata in vigore
 del decreto e l'importo di cui  al  secondo  comma  (L.  448.554)  e'
 conservata  a  titolo  di  assegno personale riassorbibile in sede di
 successiva variazione trimestrale dell'i.i.s.
    Il  successivo quarto comma stabilisce, inoltre, che le variazioni
 dell'indennita' in questione verranno attribuite per l'intero importo
 dalla  data di raggiungimento dell'eta' di pensionamento da parte del
 titolare  o  dalla  data  di  decesso  di  questi   in   ipotesi   di
 riversibilita' a favore di congiunti.
    Al   sesto  comma,  infine,  si  dava  facolta'  ai  soggetti  che
 successivamente all'entrata  in  vigore  del  decreto-legge  avessero
 avanzato  istanza  di  collocamento  a  riposo,  di  recedere da tale
 istanza entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della  legge  di
 conversione   anche   in   ipotesi   di   intervenuta  efficacia  del
 provvedimento di cessazione.
    Per completezza, va ricordato che in sede di concreta applicazione
 della legge  sorsero  problemi  di  interpretazione  in  ordine  alle
 fattispecie  regolate  dalla norma e la Corte dei conti con varie, ma
 costanti, determinazioni adottate nella  sua  funzione  di  controllo
 ritenne   che  essa  fosse  da  riferire  soltanto  alle  ipotesi  di
 cessazione a domanda con esclusione di ogni altro motivo.
    Furono  adottati il d.-l. n. 594/1985 e n. 785/1985 non convertiti
 ma dei quali furono conservati gli effetti, ed in ultimo il d.-l.  28
 febbraio  1986, n. 49, convertito in legge 18 aprile 1986, n. 120, il
 quale ha esteso le disposizioni di  cui  all'art.  10  del  d.-l.  n.
 17/1983  a tutti di casi di prepensionamento anticipato fatti salvi i
 casi di cessazione per morte o per infermita'  tale  da  impedire  la
 prosecuzione del rapporto di lavoro ancorche' non dipendente da causa
 di servizio.
    Va  aggiunto,  ancora,  che  con  una prima circolare esplicativa,
 quella n. 35349/5.1.3 in data 2  giugno  1983  della  Presidenza  del
 Consiglio  dei  Ministri,  fu  disposto  che  le  nuove  disposizioni
 andassero applicate nel senso che l'i.i.s.  venisse  calcolata  nella
 prima liquidazione della pensione in misura pari a tanti quarantesimi
 della stessa, o diversa frazione, a seconda dell'anzianita' richiesta
 per  la  pensione  massima,  comunque  con salvezza della somma di L.
 448.554; che le future variazioni  dell'indennita'  sarebbero  state,
 invece, computate per intero e in tal modo liquidate.
    Con  successiva  disposizione  telegrafica, adottata anche al lume
 della deliberazione n. 1391 del 18  novembre  1983  della  Corte  dei
 conti,  la  precedente  circolare  e'  stata modificata nel senso che
 l'importo delle variazioni trimestrali intervenute successivamente al
 pensionamento  va computato in proporzione all'attivita' di servizio,
 anche  ai  fini  del  riassorbimento  dell'eventuale  differenza  tra
 l'importo  di  L.  448.554 e l'importo della i.i.s. dovuta sulla base
 degli anni di servizio utile.
    Cio'  posto  e  ritornando  al  caso in esame, va ricordato che le
 ricorrenti presentarono domanda di prepensionamento, rispettivamente,
 la  Sanna  in  data  31  gennaio  1983  e la Cinti il 18 aprile 1983,
 entrambe, comunque, successivamente all'entrata in vigore  del  d.-l.
 n.  17/1983,  vale  a  dire  al  28 gennaio 1983. Non risula che, nei
 termini   prescritti,   manifestarono   la   volonta'   di   recedere
 dall'istanza.
    Il  provveditore  agli studi di Cagliari, con provvedimento n. 419
 del 23 marzo 1983, nel comunicare la cessazione  dal  servizio  della
 predetta  a  decorrere dal 10 settembre 1983 per dimissione disponeva
 per  la  corresponsione  della  pensione  provvisoria   nonche'   per
 l'attribuzione  dell'i.i.s.  spettante oltre le eventuali aggiunte di
 famiglia.
    Della  misura  di detta indennita' liquidata in applicazione delle
 richiamate norme, si dolgono le interessate per i motivi  esposti  in
 premessa.
    Questa  Corte,  superata l'eccezione di inammissibilita' formulata
 dal procuratore generale -  il  quale,  peraltro,  nel  contesto  del
 proprio atto conclusionale riconosce che l'indennita' di che trattasi
 e' stata liquidata in misura ridotta sulla base delle nuove  norme  -
 vertendosi  in materia di diritti soggettivi a contenuto patrimoniale
 la cui lesione e'  direttamente  impugnabile  dinanzi  al  magistrato
 competente, dovrebbe respingere il ricorso.
    Cio'  in  quanto  l'amministrazione ha fatto corretta applicazione
 delle disposizioni contenute nel primo, secondo  e  terzo  comma  del
 piu' volte richiamato art. 10 del d.-l. n. 17/1983 nella formulazione
 contenuta nella successiva legge di conversione.
    D'altro  canto, il tenore letterale della norma e la sua ratio che
 ha   inteso   evidentemente    ricondurre    al    principio    della
 proporzionalita' in relazione agli anni di servizio utile a pensione,
 vigente  per  la  determinazione   dell'ammontare   dell'assegno   di
 quiescenza,  anche  quello  relativo all'attribuzione dell'indennita'
 integrativa   speciale,   non   lasciano   dubbi    sulla    corretta
 interpretazione  della  disposizione  di  legge di cui soprattutto la
 seconda circolare, quella telegrafica del 29 novembre 1983,  e'  mera
 esplicitazione  ai  fini  della  sua  uniforme  attuazione in sede di
 concreta applicazione.
    Ne' potrebbe avere ingresso la lamentela formulata in ordine a una
 violazione  di  pretesi  diritti  acquisiti  dalle  ricorrenti   alla
 liquidazione  della  i.i.s.  nella  misura  prevista dall'art. 99 del
 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, da parte  dell'amministrazione,  la
 quale   avrebbe  dovuto  applicare  la  norma  vigente  all'atto  del
 compimento da parte delle interessate del periodo minimo di servizio,
 nel semplice rilievo, conforme anche alla costante giurisprudenza del
 Consiglio di Stato, che in materia di quiescenza non puo' parlarsi di
 diritti  quesiti se non quando la pensione sia stata gia' liquidata o
 quanto meno si sia verificato il presupposto di fatto  richiesto  per
 il   collocamento   a   pensione   (presentazione  della  domanda  di
 prepensionamento, raggiungimento  del  limite  di  eta',  ecc.),  non
 potendo  vantare  in  precedenza il pubblico dipendente altro che una
 mera aspettativa al trattamento di quiescenza.  Sicche'  soltanto  in
 quel  momento sorge il diritto soggettivo al trattamento di riposo il
 quale prende vita sulla base delle norme di legge in vigore in  detto
 momento,  e  non  puo'  dirsi  che  la novella del 1983 abbia portato
 lesione ad eventuali diritti quesiti ove appena si consideri che essa
 si  e'  resa  applicabile  soltanto  alle  ipotesi di collocamento in
 pensione a seguito di domanda  presentata  successivamente  alla  sua
 entrata in vigore.
    Stando   cosi'  le  cose,  vengono  in  rilievo  le  eccezioni  di
 costituzionalita' sollvate da parte attrice  per  pretesa  violazione
 dei  principi contenuti negli artt. 36, 38 e 97 della Costituzione da
 parte delle norme di esame.
    La  questione  e'  certamente  rilevante  ai  fini della decisione
 perche' all'eventuale venir  meno  della  norma  di  legge  censurata
 conseguirebbe  la caducazione del provvedimento impugnato liquidativo
 della i.i.s. in misura ridotta.
    L'indennita'  integrativa speciale, giova ricordarlo, fu istituita
 con legge  27  maggio  1979,  n.  324.  Le  successive  modifiche  ed
 integrazioni  non  hanno  alterato  la sua funzione essenziale che fu
 quella, del  resto  riconosciuta  alla  stessa  Corte  costituzionale
 (sentenza  n.  45  del  20  aprile  1978),  di  essere destinata "per
 definizione a  fronteggiare  il  costo  della  vita  in  una  maniera
 equivalente   per   tutti   i   lavoratori,  indipendentemente  dalla
 retribuzione da ciascuno percepita".
    Ed, infatti, il potere di acquisto delle retribuzioni dei pubblici
 dipendenti viene tutt'ora mantenuto  costante  non  tanto  attraverso
 l'adeguamento   delle   tabelle   stipendiali,  quanto,  soprattutto,
 mediante   il   particolare   strumento   retributivo   rappresentato
 dall'i.i.s.  la  quale  e'  costante  e  uguale  per  tutti  i lavori
 dipendenti, entro una determinata fascia di reddito e solo in  minima
 parte   variabile  in  relazione  a  fasce  salariali  o  stipendiali
 superiore, sicche' si puo' affermare che vi e'  una  sua  sostanziale
 uguaglianza per tutti i lavoratori dipendenti.
    La  sua misura, e' appena il caso di rilevarlo, e' di tale entita'
 che la voce stipendio e' rappresentata, soprattutto per le  categorie
 di  livello retributivo piu' basso, in ragione percentuale assorbente
 proprio dall'indennita' di che trattasi.
    Ed  e', in fondo, proprio attraverso l'indicato congegno che viene
 fatto ossequio al dettato dell'art. 36  della  Costituzione.  Percio'
 ogni  norma che alterasse l'anzidetto rapporto tra retribuzione e suo
 potere d'acquisto, agendo sul meccanismo dell'indennita'  integrativa
 speciale,    verrebbe   a   collidere   con   l'anzidetto   principio
 costituzionale.
    Non  diverso discorso va fatto per il trattamento di quiescenza il
 cui  carattere  di  retribuzione  differita  e'  stato   piu'   volte
 riconosciuto  dal  giudice  delle  leggi  il  quale  ha costantemente
 affermato che "il trattamento di quiescenza deve essere proporzionato
 alla  qualita'-durata  del  lavoro prestato" e tale "da assicurare al
 pensionato e alla sua famiglia, come all'impiegato in  servizio,  una
 esistenza  libera  e  dignitosa" (sentenze n. 124/1968, n. 501/1988);
 che la "proporzionalita' e adeguatezza non devono sussistere soltanto
 al   momento  del  collocamento  a  riposo,  ma  vanno  costantemente
 assicurate anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del  potere
 di  acquisto  della  moneta"  (sentenze  n. 26/1970, n. 173/1986 e n.
 501/1988); che, dato il suo carattere di retribuzione  differita  "ne
 consegue  l'esigenza  di  una costante adeguazione del trattamento di
 quiescenza  alle  retribuzioni  del  servizio  attivo"  (sentenza  n.
 501/1988).
    Le  disposizioni  contenute nel richiamato art. 99 del testo unico
 n. 1092/1973 in  uno  a  quelle  riportate  nel  precedente  articolo
 certamente   assicuravano   tale   adeguatezza,  sia  all'atto  della
 costituzione del rapporto pensionistico sia in prosieguo di tempo  ed
 apparivano  coerenti  ai precetti contenuti negli artt. 36 e 38 della
 Costituzione cosi' come piu' volte affermati e integrati dal  giudice
 costituzionale.
    L'equilibrio risultante dal richiamato complesso normativo appare,
 oggi, senz'altro alterato in conseguenza dell'emanazione delle  nuove
 disposizioni  contenute nella novella del 1983. E tale alterazione e'
 dato rilevare sia  al  momento  del  collocamento  a  riposo  sia  in
 sostanza  del  rapproto  di quiescenza posto che l'i.i.s. subisce una
 riduzione, in  relazione  agli  anni  di  servizio  utile,  non  solo
 all'atto  della  costituzione  del  rapporto  pensionistico  ma anche
 successivamente ogni qualvolta, per il mutare del  potere  d'acquisto
 della  moneta,  si  innesca il sistema automatico di variazione della
 misura dell'i.i.s. Sicche' ne risultano  completamente  travolti  sia
 all'originaria  funzione di siffatta indennita', la cui natura fu ben
 definita  dalla  Corte   costituzionale,   sia   quei   principi   di
 proporzionalita'  e  di  adeguatezza  alle  necessita'  di  vita  del
 pensionato e della sua famiglia che quello  della  necessita'  di  un
 costante  adeguamento  di  essa  al  mutato  potere di acquisto della
 moneta e alle retribuzioni del servizio attivo.
   E'   appena  il  caso  di  porre  l'accento,  in  proposito,  sulla
 circostanza che superando, in molti casi, l'i.i.s. l'ammontare  della
 pensione base, il quantum pensionistico, per effetto delle denunciate
 disposizioni, appare non solo inadeguato, all'inizio alle esigenze di
 vita  di  pensionato ma e' destinato a ridursi sempre piu' nel tempo,
 in relazione ai mutamenti del costo della vita, sino a raggiungere  i
 limiti della sopravvivenza.
    Ne'  sembra  possa  farsi  validamente,  nella  specie, richiamo a
 principi di discrezionalita' legislativa.
    E'  ben  vero,  come  affermato  piu'  volte  dalla  stessa  Corte
 costituzionale che rientra  nella  discrezionalita'  del  legislatore
 ordinario  disporre  i  mezzi  di  attuazione  dei principi di tutela
 previdenziale affermati agli artt. 36 e 38 della Costituzione, ma nel
 caso considerato - quello cioe' del piu' volte richiamato art. 10 del
 d.-l. n. 17/1983 - tale potere sembra aver travolto proprio i cardini
 base  sui  quali  si  fondano  quei  concetti  di  proporzionalita' e
 adeguatezza che le norme costituzionali hanno inteso tutelare.
    In definitiva e' avviso del collegio che, avuto riguardo alla piu'
 volte affermata natura dell'i.i.s. e la necessita', per  i  fini  che
 con  essa  vogliono  realizzarsi,  della  sua omogeneita' per tutti i
 dipendenti  pubblici  e  per  tutti  i  pensionati,  le   limitazioni
 introdotte  dalla norma censurata siano talmente gravose da annullare
 sostanzialmente il diritto alla sua percezione.
    Ugualmente  violato  appare,  ad  avviso del collegio, il disposto
 dell'art. 97 della Corte  -  inteso  nel  senso  di  aderenza  con  i
 principi  di  equita' e di ragionevolezza - sull'imparzialita' e buon
 andamento della pubblica  amministrazione  ove  appena  si  consideri
 l'illogicita' e contradditorieta' della attuale disciplina in materia
 di cessazione anticipata dal servizio.
    A fronte, infatti, di precise norme che facultizzano il dipendente
 statale alla cessazione anticipata  purche'  sia  stato  compiuto  un
 periodo  minimo  di  servizio utile di vent'anni (rectius: diciannove
 anni, sei mesi  ed  un  giorno)  si  collocano  le  disposizioni  qui
 denunciate  le  quali  con  carattere  punitivo  - basti in proposito
 considerare il sistema di liquidazione dell'i.i.s. come  previsto  al
 quarto  comma  dell'art.  10  gia' richiamato dal d.-l. n. 17/1983 al
 raggiungimento dell'eta' pensionabile o prima in caso di decesso  del
 dante  causa - riducono, annullandone gli effetti antinflazionistici,
 la misura di detta  indennita'  sulla  quale,  peraltro,  sono  state
 effettuate in costanza di servizio le ritenute previdenziali anche ai
 fini pensionistici.
    Non  si  rinvengono,  per  altro  verso, elementi che possano dare
 ingresso  a  ipotesi  di  incostituzionalita'  per   violazione   del
 principio  di  uguaglianza  affermato  all'art. 3 della Costituzione,
 cosi' come prospettate da parte attrice, considerato che rientra  nel
 potere    discrezionale    del    legislatore   la   regolamentazione
 differenziata del trattamento pensionistico in relazione alla data di
 collocamento   a   riposo.   Ne'   apparre  rilevante,  ai  fini  che
 interessano,  l'altra  questione   sottoposta   -   quella   relativa
 all'applicabilita'  della  normativa contenuta nell'art. 10 del d.-l.
 n. 17/1983, almeno in prima stesura, ai  soli  dipendenti  cessati  a
 domanda  -  nella  considerazione  che  una  eventuale  pronuncia  di
 illegittimita'  costituzionale  non  potrebbe  avere  che   contenuto
 additivo nel senso dell'estensione della norma anche ad altre ipotesi
 di cessazione e quindi nessun  effetto  sostanziale  in  ordine  alla
 vertenza in esame.
    In definitiva, per le esposte considerazioni, la sezione giuridica
 oltrecche' rilevante per i motivi gia'  espressi  non  manifestamente
 infondata  la  sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 10 del d.-l. 29 gennaio 1983, n.  17,  come  convertito  in
 legge  25  marzo  1983, n. 79, con riferimento agli artt. 36, 38 e 97
 della Costituzione.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 134 della Costituzione;
    Visti gli artt. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 10 del d.-l.  29 gennaio  1983,
 n. 17, come convertito con la legge 25 marzo 1983, n. 79, nella parte
 di cui in motivazione con riferimento agli artt.  36, 38 e  97  della
 Costituzione,  sospende il giudizio in corso e ordina la trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che  a  cura  della  segreteria la presente ordinanza sia
 notificata   alla   parte   in   causa,   al   procuratore   generale
 rappresentante  presso  questa  sezione  il  p.m.,  al Presidente del
 Consiglio dei Ministri nonche' comunicata  ai  Presidenti  delle  due
 Camere del Parlamento.
    Cosi'  disposto  in  Cagliari,  nella  camera  di consiglio del 20
 giugno 1988.
                          Il presidente: GARRI

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