N. 619 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 ottobre 1989
N. 619 Ordinanza emessa il 5 ottobre 1989 dal tribunale militare di Torino nel procedimento penale a carico di Bazzano Luca Reati militari - Mancanza alla chiamata e rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza - Irragionevole equiparazione del trattamento sanzionatorio tra reati considerati di differente gravita' - Rilievi per il "contenuto legislativo" della sentenza n. 409/1989 - Applicabilita' di specifiche circostanze aggravanti e inapplicabilita' di taluni meccanismi di incentivazione alla rieducazione del condannato per il primo dei reati - Conseguente ingiustificato favor rei nel caso del reato piu' grave. (Cod. pen. mil., art. 151). (Cost., art. 3).(GU n.49 del 6-12-1989 )
IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale a carico di Bazzano Luca, nato il 19 settembre 1965 a Torino, ivi residente in corso Principe Oddone n. 24, celibe, licenza media, muratore, incensurato, d.m. di Torino, matricola n. 174371, recluta, effettivo al S.A.R.A.M. di Macerata, imputato di: "mancanza alla chiamata" (art. 151 del c.p.m.p.) perche', chiamato alle armi ai sensi della circ. 866 in Gazzetta Ufficiale 1987, resa nota mediante pubblici manifesti, senza giusto motivo ometteva di presentarsi al d.m. di Torino o ad altra a.m. nei cinque giorni successivi al 27 agosto 1988, termine ultimo prefissogli, rimanendo assente fino al 18 gennaio 1989, data di sua spontanea presentazione in Torino e successivo avvio al locale o.m., ove veniva dimesso, riformato, in data 28 gennaio 1989. O S S E R V A Con sentenza n. 409 depositata il 18 luglio 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 26 successivo la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 8, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, "nella parte in cui determina la pena edittale ivi comminata nella misura minima di due anni anziche' in quella di sei mesi e nella misura massima di quattro anni anziche' in quella di due anni". Evidente il contenuto "legislativo" della decisione, espresso chiaramente dalla Corte stessa in conclusione di motivazione: "A seguito delle precedenti considerazioni la pena edittale per il delitto di cui al secondo comma dell'art. 8 della legge n. 772/1972 va fissata tenuto conto della pena edittale comminata dall'art. 151 del c.p.m.p. nella misura di sei mesi nel minimo e di due anni nel massimo". La Corte, al fine di non essere vincolata dal divieto contenuto nell'art. 28 della legge n. 87/1953, ha affermato che essa "... nel riferire la sanzione penale di cui al secondo comma dell'art. 8 della piu' volte citata legge a quella edittalmente prevista per il delitto di cui all'art. 151 del c.p.m.p. non fa che vincolatamente attuare, anche per il fatto di cui al ricordato secondo comma dell'art. 8, la valutazione che il legislatore opera in ordine al disvalore dello stesso (od analogo) fatto di cui all'art. 151 del c.p.m.p.". La Corte in precedenza aveva affermato, in sede di comparazione del trattamento sanzionatorio, che il reato di rifiuto ex art. 8 e la mancanza alla chiamata, "pur subiettivamente diversificati, ledono, con modalita' oggettive analoghe, uno stesso interesse, quello ad una regolare incorporazione degli obbligati al servizio di leva nell'organizzazione militare (...) non puo' non sottolinearsi la lesione, con analoghe modalita' oggettive, da parte di entrambi i fatti delittuosi, d'uno stesso bene giuridico. D'altra parte, il rimprovero di colpevolezza che si muove al soggetto attivo del delitto previsto dal secondo comma dell'art. 8 della legge in esame, non potendo, certo, essere quello d'aver addotto, a giustificazione (o spiegazione) del delitto commesso, motivi di coscienza, risulta identico (od almeno analogo) a quello mosso al militare che manca alla chiamata ex art. 151 del c.p.m.p., e cioe' quello d'aver dolosamente leso l'interesse statale alla normale incorporazione nell'organizzazione militare. Va, pertanto, qui ribadito che l'adduzione di motivi di coscienza (come, del resto, di qualsiasi scelta ideologica) non puo', in nessun caso, condurre alla davvero sproporzionata (rispetto a quella ex art. 151 del c.p.m.p.) sanzione penale di cui al secondo comma dell'art. 8 della legge n. 772/1972". La sentenza poi cosi' continua "Si tenga conto che e' il legislatore che, nel codice penale militare di pace, ha liberamente e discrezionalmente scelto la disciplina sanzionatoria adeguata al disvalore del fatto di cui allo stesso articolo; disciplina applicabile a tutti i soggetti e quali che siano i moventi, i motivi dell'azione delittuosa. Non puo' lo stesso legislatore, nell'art. 8, secondo comma, della legge n. 772/1972, irrazionalmente contraddire la valutazione in precedenza operata (in generale e senza tener tipicamente conto dei motivi dell'azione criminosa) e valutare in maniera tanto diversa il disvalore dello stesso (od analogo) fatto sol perche' commesso adducendo uno specifico motivo: quello di coscienza". Il tribunale, alla luce delle interpretazioni della giurisprudenza in merito ai due reati posti a raffronto, deve escludere che l'interesse tutelato e la modalita' della lesione dello stesso siano nei due casi identiche. Infatti la mancanza alla chiamata, consistente nell'omessa presentazione alle armi nei cinque giorni successivi al termine assegnato, tutela la regolare incorporazione - sotto il profilo delle modalita' sia di tempo sia di luogo - dell'arruolato nel reparto militare al quale e' stato destinato. Le motivazioni del "ritardo" possono rilevare solo ai fini della quantificazione della pena ex art. 133 del c.p., salvo che il militare, cessata l'assenza arbitraria, dichiari che la stessa era determinata da motivi "di coscienza" (religiosi, filosofici, morali, di contrarieta' personale in ogni circostanza all'uso delle armi) e affermi cosi' il suo rifiuto globale e definitivo al servizio militare: in tale ultima ipotesi la giurisprudenza ha ravvisato un concorso apparente di norme e la sussistenza del solo reato di rifiuto ex art. 8 della legge n. 772/1972. E' evidente che sia l'elemento psicologico sia la condotta del reato di rifiuto sono ben diversi, investendo non una modalita' (la ttempestiva presentazione alle armi) bensi' l'obbligo del servizio militare globalmente considerato e dello stesso servizio non armato o civile sostitutivo, non richiesti o non concessi: ne consegue una ben differente gravita' della lesione e una oggettiva diversita' dell'interesse protetto, ricollegabile anche al piu' generico dovere di solidarieta' sociale violato. Il tribunale ritiene pertanto di dover sollevare d'ufficio eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 151 del c.p.m.p. in relazione all'art. 3 della Costituzione, ravvisandola rilevante nel giudizio in corso e non manifestamente infondata, sotto il profilo della irragionevole equiparazione di trattamento sanzionatorio venutosi a creare - in conseguenza dell'intervento necessariamente parziale e settoriale della Corte costituzionale tra le pene previste per la mancanza alla chiamata e per il rifiuto del servizio di leva, oggi identiche, equiparazione che contrasta con il complessivo disvalore del fatto commesso, nei due casi di ben differente gravita'. Infatti, ben differente e' la gravita' del reato ex art. 8 della legge n. 772/1972, lesivo del servizio di leva nel suo complesso stante la globalita' e definitivita' del rifiuto, ricavabili dalla mera adduzione dei motivi tipici, rispetto alla semplice mancanza alla chiamata, lesiva unicamente del regolare e tempestivo inizio del servizio di leva: tuttavia, in conseguenza della sentenza n. 409/1989, ora per entrambe le fattispecie e' irrogabile la reclusione militare da sei mesi a due anni. Per la mancanza alla chiamata sono applicabili circostanze aggravanti specifiche (artt. 152 e 154, n. 1, del c.p.m.p.) non estensibili al reato di rifiuto ex art. 8 citato. Inoltre, prima dell'intervento modificativo del solo trattamento sanzionatorio da parte della Corte costituzionale il legislatore, in una visione globale d'insieme, aveva predisposto, a fronte di una pena edittale piu' elevata, meccanismi per incentivare la rieducazione del condannato e comunque per evitare la "spirale delle condanne": tali accorgimenti non sono invece applicabili al condannato per mancanza alla chiamata. Ne consegue che ora, a parita' di pena edittale, e' piu' favorito colui che oppone un rifiuto globale del servizio di leva motivandolo - anche se falsamente - con i motivi tipici (il quale, dopo un giudizio direttissimo, un breve periodo di detenzione e l'affidamento in prova presso un ente civile - ex legge n. 167/1983 - non avra' piu' obblighi di leva, salvo che si sia pentito chiedendo di svolgere il servizio, e allora, se la domanda sara' stata accettata, il reato commesso sara' estinto e la detenzione scomputata dal servizio di leva) rispetto a colui che commetta una mancanza alla chiamata per piu' prosaici ma veri motivi familiari o di lavoro il quale, una volta espiata la pena (senza possibilita' di pentirsi con gli effetti sopraevidenziati) dovra' poi ancora compiere l'intero servizio di leva.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata l'eccezione di legittimita' costituzionale, sollevata d'ufficio, in relazione all'art. 151 del c.p.m.p. per contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione; Ritenuta la rilevanza delle questioni sul giudizio in corso dispone la sospensione del procedimento e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale mandando alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri e per la comunicazione della stessa ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Torino, addi' 5 ottobre 1989 Il presidente: COCO 89C1233