N. 622 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 1988- 28 novembre 1989

                                 N. 622
       Ordinanza emessa il 9 dicembre 1988 (pervenuta alla Corte
       costituzionale il 28 novembre 1989) dal pretore di Cosenza
           nel procedimento penale a carico di Lenti Antonio
 Assegno  bancario  - Emissione di assegni a vuoto - Applicazione "nei
 casi piu' gravi"  della  reclusione  e  della  multa,  nonche'  delle
 sanzioni  accessorie  -  Indeterminatezza,  in parte qua, della norma
 incriminatrice - Richiamo alla sentenza n. 131/1970  -  Richiesta  di
 riesame.
 (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 116; legge 24 novembre 1981, n.
 689, art. 139).
 (Cost., art. 25).
(GU n.50 del 13-12-1989 )
                               IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa  penale  n.
 936/1987 contro Lenti Antonio.
    Il giudicante rileva che all'imputato e' stato contestato il reato
 di cui all'art. 116 del  regio-decreto  n.  1736/1933,  in  relazione
 anche   all'art.  139  della  legge  n.  689/1981,  con  l'aggravante
 dell'importo rilevante, per avere emesso cinque assegni  dell'importo
 complessivo di L. 67.104.355.
    Detto   importo   a  questo  giudicante  appare  "soggettivamente"
 rilevante, ma la necessita' di pervenire alla  determinazione  di  un
 criterio  "oggettivo"  impone  la  rimessione  degli  atti alla Corte
 costituzionale allo stesso  modo  in  cui  si  e'  operato  in  altri
 processi  per  le  aggravanti  contestate in relazione ad importi che
 "soggettivamente" apparivano invece non rilevanti.
    Le  dianzi  citate norme dispongono che, per i delitti dalla prima
 di esse tipizzati, "nei casi piu' gravi"  la  pena  della  multa  sia
 accompagnata  anche  da  quella  della  reclusione  e  dalle sanzioni
 accessorie della pubblicazione  della  sentenza  di  condanna  e  del
 divieto di emettere assegni bancari o postali per un periodo da uno a
 tre anni. Le norme pero' omettono di specificare e tipizzare  i  casi
 piu' gravi.
    La  Corte  costituzionale  con  sentenza 3 luglio 1970, n. 131, ha
 ritenuto infondata la questione di costituzionalita'  del  solo  art.
 116  del regio-decreto n. 1736/1933 (non era ancora entrata in vigore
 l'altra norma) ritenendo che la formula "nei casi  piu'  gravi"  vada
 interpretata  tenendosi particolarmente conto degli elementi previsti
 dall'art. 133, primo  e  secondo  comma,  del  codice  penale,  cioe'
 considerandosi  se  le  modalita' del fatto, la gravita' del danno, i
 precedenti del reo, il suo comportamento antecedente, contemporaneo o
 susseguente  al  reato,  i  motivi  a  delinquere ecc., consiglino di
 infliggere sia la pena della multa sia quella della reclusione.
    Appare subito evidente che l'esame della Corte in quella occasione
 si e' incentrato esclusivamente sull'alternativa fra l'irrogazione di
 una  pena  solo  pecuniaria  e quella della doppia pena (pecuniaria e
 detentiva).
    Oggi  la  questione  assume  un  ulteriore  e  piu' grave profilo,
 giacche'  l'art.  139  della  legge  n.  689/1981  prevede  anche  la
 comminazione  delle  sanzioni  accessorie  gia  dette,  che per altro
 rimangono ferme ed indipendenti anche dall'applicazione dell'art.  69
 del codice penale.
    Non  e'  azzardato  dunque  richiedere alla Corte un riesame della
 questione,  alla  luce  della  sopravvenuta   norma   e   soprattutto
 considerando   i   rilievi   mossi   in   dottrina  alla  fattispecie
 legislativa.
    E'  oramai  opinione  concorde che le disposizioni legislative, le
 quali comminano l'applicazione di pene di specie  diversa  "nei  casi
 piu'  gravi", configurano vere e proprie circostanze aggravanti e non
 un  semplice  ampliamento  dei  poteri  discrezionali   del   giudice
 nell'applicazione della pena.
    Non  si  vede  dunque come possa richiamarsi l'art. 133 del codice
 penale, che attiene alla valutazione della gravita' del reato ai fini
 della determinazione della pena entro limiti edittali e quindi ad una
 operazione logica che il giudice deve compiere prima di applicare  le
 circostanze aggravanti (o attenuanti).
    Ma  al di la' di tale considerazione, si deve sottolineare come la
 formulazione  ad  opera  del  legislatore   delle   c.d.   aggravanti
 indefinite  (cfr.  Bricola  "Le  aggravanti  indefinite.  Legalita' e
 discrezionalita' in tema di circostanza del reato", in Riv. it.  dir.
 proc. pen., 1964, 1013) appaia censurabile alla stregua dell'art. 25,
 secondo   comma,   della   Costituzione.   Esempi   di    circostanze
 indeterminate  o  indefinite, infatti, si riscontrano tanto nel campo
 delle attenuanti quanto in quello delle aggravanti  (basti  ricordare
 le  circostanze  generiche  prevedute  dall'art.  62-  bis del codice
 penale)  con  la  differenza,  pero',  che,  mentre   le   attenuanti
 indefinite  risultano compatibili con l'art. 25, secondo comma, della
 Costituzione, lo stesso non puo' dirsi per le aggravanti  che  devono
 soggiacere  al  principio  di tassativita', il quale viene in rilievo
 ogni qualvolta si tratta di restringere la liberta'  del  reo  e  non
 anche,  come nel caso delle attenuanti, quando l'effetto giuridico va
 a  suo  beneficio  (cfr.  Fiandaca-Musco,  "Diritto   penale"   parte
 generale, 1985, pag. 206).
    Pertanto,  il  giudicante  ritiene di dover sollevare, perche' non
 manifestamente infondata, questione di costituzionalita' degli  artt.
 116  del regio-decreto 21 dicembre 1933, n. 1736 e 139 della legge 24
 novembre 1981, n. 689,  nella  parte  in  cui  prevedono  circostanze
 aggravanti  dei  delitti  tipizzati  dalla  prima  norma,  lascindole
 indefinite e rimettondole  alla  discrezionalita'  del  giudice,  per
 contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione.
    La   questione   e'   rilevante  giacche'  nel  presente  processo
 all'imputato e' stata conestata l'aggravante ed  in  mancanza  di  un
 criterio fornito dalla legge per stabilire se la fattispecie concreta
 ricada nell'ipotesi semplice o in  quella  aggravata  (non  potendosi
 nemmeno  utilizzare  il  criterio  di  valutazione della gravita' del
 reato di cui all'art. 133 codice penale che, per come gia'  rilevato,
 attiene  alla  determinazione  della  pena  nei limiti edittali prima
 della valutazione  e  dell'applicazione  delle  circostanze)  non  e'
 possibile nemmeno procedere alla derubricazione del titolo del reato.
 Ne' la comminazione delle sanzioni  accessorie  puo'  essere  evitata
 applicando l'art. 69 del codice penale.
    La  circostanza  che, a differenza di quanto ha formato oggetto di
 altre simili ordinanze di questo giudicante, l'importo degli  assegni
 nella  fattispecie  non  sia  di  lieve entita', non sposta i termini
 della questione giacche' e' in discussione il potere del  giudice  di
 dare corpo all'aggravante prevista dalla legge.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale degli  artt.  116  del  regio-decreto  21
 dicembre  1933,  n.  1736 e 139 della legge 24 novembre 1981, n. 689,
 come profilata  nella  parte  motiva,  in  riferimento  all'art.  25,
 secondo comma, della Costituzione;
    Rimette la soluzione della questione alla Corte costituzionale;
    Dispone  che  la presente ordinanza venga notificata all'imputato,
 al pubblico ministero in sede  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
    Sospende  il  presente procedimento e ordina trasmettersi gli atti
 alla Corte costituzionale.
      Cosenza, addi' 9 dicembre 1988
             Il vice pretore onorario: (firma illeggibile)

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