N. 623 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 1988- 28 novembre 1989

                                 N. 623
       Ordinanza emessa il 9 dicembre 1988 (pervenuta alla Corte
       costituzionale il 28 novembre 1989) dal pretore di Cosenza
        nel procedimento penale a carico di De Stefano Salvatore
 Assegno  bancario  - Emissione di assegni a vuoto - Applicazione "nei
 casi piu' gravi"  della  reclusione  e  della  multa,  nonche'  delle
 sanzioni  accessorie  -  Indeterminatezza,  in parte qua, della norma
 incriminatrice - Richiamo alla sentenza n. 131/1970  -  Richiesta  di
 riesame.
 (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 116; legge 24 novembre 1981, n.
 689, art. 139).
 (Cost., art. 25).
(GU n.50 del 13-12-1989 )
                               IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa  penale  n.
 1097/1987 contro De Stefano Salvatore.
    Il giudicante rileva che all'imputato e' stato contestato il reato
 di cui all'art.  116  del  r.d.  n.  1736/1933,  in  relazione  anche
 all'art.  139  della legge n. 689/1981, con l'aggravante dell'importo
 rilevante, per avere emesso alcuni assegni per  molti  dei  quali  va
 applicata l'amnistia, sicche' la sua responsabilita' penale rimane da
 accertare in relazione a soli due assegni dell'importo complessivo di
 L. 11.470.000.
    Le  dianzi  citate norme dispongono che, per i delitti dalla prima
 di esse tipizzati, "nei casi piu' gravi"  la  pena  della  multa  sia
 accompagnata  anche  da  quella  della  reclusione  e  dalle sanzioni
 accessorie della pubblicazione  della  sentenza  di  condanna  e  del
 divieto di emettere assegni bancari o postali per un periodo da uno a
 tre anni. Le norme pero' omettono di specificare e tipizzare  i  casi
 piu' gravi.
    La  Corte  costituzionale  con  sentenza 3 luglio 1970, n. 131, ha
 ritenuto infondata la questione di costituzionalita'  del  solo  art.
 116  del  r.d. n. 1736/1933 (non era ancora entrata in vigore l'altra
 norma)  ritenendo  che  la  formula  "nei  casi  piu'   gravi"   vada
 interpretata  tenendosi particolarmente conto degli elementi previsti
 dall'art.  133,  primo  e  secondo  comma,  del  cod.   pen.,   cioe'
 considerandosi  se  le  modalita' del fatto, la gravita' del danno, i
 precedenti del reo, il suo comportamento antecedente, contemporaneo o
 susseguente  al  reato,  i  motivi  a  delinquere ecc., consiglino di
 infliggere sia la pena della multa sia quella della reclusione.
    Appare subito evidente che l'esame della Corte in quella occasione
 si e' incentrato esclusivamente sull'alternativa fra l'irrogazione di
 una  pena  solo  pecuniaria  e quella della doppia pena (pecuniaria e
 detentiva).
    Oggi  la  questione  assume  un  ulteriore  e  piu' grave profilo,
 giacche'  l'art.  139  della  legge  n.  689/1981  prevede  anche  la
 comminazione  delle  sanzioni  accessorie  gia'  dette, che per altro
 rimangono ferme ed indipendenti anche dall'applicazione dell'art.  69
 del codice penale.
    Non  e'  azzardato  dunque  richiedere alla Corte un riesame della
 questione,  alla  luce  della  sopravvenuta   norma   e   soprattutto
 considerando   i   rilievi   mossi   in   dottrina  alla  fattispecie
 legislativa.
    E'  oramai  opinione  concorde che le disposizioni legislative, le
 quali comminano l'applicazione di pene di specie  diversa  "nei  casi
 piu'  gravi", configurano vere e proprie circostanze aggravanti e non
 un  semplice  ampliamento  dei  poteri  discrezionali   del   giudice
 nell'applicazione della pena.
    Non  si  vede come possa richiamarsi l'art. 133 del cod. pen., che
 attiene alla valutazione della  gravita'  del  reato  ai  fini  della
 determinazione  della  pena  nei  limiti  edittali  e  quindi  ad una
 operazione che  il  giudice  deve  compiere  prima  di  applicare  le
 circostanze aggravanti (o attenuanti).
    Ma  al di la' di tale considerazione, si deve sottolineare come la
 formulazione ad opera delle c.d. aggravanti indefinite (cfr.  Bricola
 "Le  aggravanti  infefinite.  Legalita' e discrezionalita' in tema di
 circostanza del reato", in Riv. it.  dir.  proc.  pen.,  1964,  1013)
 appaia  censurabile  alla  stregua dell'art. 25, secondo comma, della
 Costituzione.  Esempi  di  circostanze  indeterminate  o  indefinite,
 infatti,  si  riscontrano  tanto nel campo delle attenuanti quanto in
 quello delle aggravanti (basti  ricordare  le  circostanze  generiche
 prevedute  dall'art. 62- bis del cod. pen.) con la differenza, pero',
 che, mentre le attenuanti indefinite risultano compatibili con l'art.
 25,  secondo  comma, nella Costituzione, lo stesso non puo' dirsi per
 le aggravanti che devono soggiacere al principio di tassativita',  il
 quale  viene  in  rilievo  ogni qualvolta si tratta di restringere la
 liberta' del reo e non anche, come nel caso delle attenuanti,  quando
 l'effetto giuridico va a suo beneficio (cfr. Fiandaca-Musco, "Diritto
 penale" parte generale, 1985, pag. 206).
    Pertanto,  il  giudicante  ritiene di dover sollevare, perche' non
 manifestamente infondata, questione di costituzionalita' degli  artt.
 116  del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736 e 139 della legge 24 novembre
 1981, n. 689, nella parte in cui prevedono circostanze aggravanti dei
 delitti   tipizzati  dalla  prima  norma,  lasciandole  indefinite  e
 rimettendole alla discrezionalita' del  giudice,  per  contrasto  con
 l'art. 25, secondo comma, della Costituzione.
    La   questione   e'   rilevante  giacche'  nel  presente  processo
 all'imputato e' stata contestata l'aggravante ed in  mancanza  di  un
 criterio fornito dalla legge per stabilire se la fattispecie concreta
 ricada nell'ipotesi semplice od in quella  aggravata  (non  potendosi
 nemmeno  utilizzare  il  criterio  di  valutazione della gravita' del
 reato di cui all'art. 133 del cod. pen. che, per come gia'  rilevato,
 attiene  alla  determinazione  della  pena  nei limiti edittali prima
 della valutazione e  dell'applicazione  delle  circostanze),  non  e'
 possibile  nemmeno procedere alla derubricazione del titolo del reato
 per come aveva richiesto il p.m.. Ne' la comminazione delle  sanzioni
 accessorie  puo'  essere  evitata  applicando  l'art.  69  del codice
 penale.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale degli artt.  116  del  r.d.  21  dicembre
 1933,  n.  1736  e  139  della  legge  24 novembre 1981, n. 689, come
 profilata nella parte motiva, in  riferimento  all'art.  25,  secondo
 comma, della Costituzione;
    Rimette la soluzione della questione alla Corte costituzionale;
    Dispone  che  la presente ordinanza venga notificata all'imputato,
 al p.m. in  sede  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e
 comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
    Sospende  il  presente procedimento e ordina trasmettersi gli atti
 alla Corte costituzionale.
      Cosenza, addi' 9 dicembre 1988
             Il vice pretore onorario: (firma illeggibile)

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