N. 533 SENTENZA 30 novembre - 11 dicembre 1989

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Trasporto - Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Lombardia Assegnazione
 dei contributi di esercizio da parte delle regioni alle imprese di
 trasporto locale - Intervento nella fase gestionale dei contributi di
 competenza regionale - Sostituzione  della procedura dell'"intesa"
 tra Ministri competenti Intervento con decreto-legge - Incompetenza
 della regione a dedurre profili riguardanti i presupposti della
 decretazione d'urgenza - Richiamo alle sentenze nn. 243/1987 e
 1044/1988 Inammissibilita' - Non fondatezza.
 
 (D.-L. 4 marzo 1989, n. 77, art. 1, secondo e terzo comma, prima  e
 ultima parte, convertito in legge 5 maggio 1989, n. 160, con
 modificazioni).
 
 (Cost., artt. 5, 77, 116, 117, 118, 119 e 125).
(GU n.51 del 20-12-1989 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore  GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Renato  DELL'ANDRO,  prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,  avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei   giudizi   di   legittimita'   costituzionale  dell'art.  1  del
 decreto-legge 4 marzo 1989, n. 77, convertito in legge 5 maggio 1989,
 n.  160,  recante: "Disposizioni urgenti in materia di trasporti e di
 concessioni  marittime",   promossi   con   ricorsi   delle   Regioni
 Emilia-Romagna,  Toscana  e  Lombardia, notificati il 31 marzo, il 27
 maggio e l'8 giugno 1989, depositati in cancelleria l'11 aprile, il 2
 giugno e il 12 giugno 1989 ed iscritti ai nn. 24, 26, 40, 44 e 48 del
 registro ricorsi 1989;
    Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 3 ottobre 1989 il Giudice relatore
 Mauro Ferri;
    Uditi  gli avvocati Alberto Predieri per le Regioni Emilia-Romagna
 e Toscana, Maurizio Steccanella per la Regione Lombardia e l'Avvocato
 dello  Stato  Giorgio  D'Amato  per  il  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.1. - Con ricorsi identici notificati il 31 marzo 1989 (reg. ric.
 nn. 24 e 26 del 1989), le  Regioni  Emilia-Romagna  e  Toscana  hanno
 sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
 secondo comma, del decreto-legge 4 marzo 1989,  n.  77  (Disposizioni
 urgenti  in  materia  di  trasporti  e di concessioni marittime), per
 violazione degli artt. 5, 77, 117, 118, 119 e 125 della Costituzione.
    Osservano  le  ricorrenti  che  con la norma impugnata le funzioni
 gia' di per se' modeste riservate alle regioni nella materia  de  qua
 sono  ormai  ridotte ad una pura interinazione di decisioni prese dai
 Ministri dei trasporti e del tesoro con decreto  di  concerto,  sulla
 base   di   criteri   generali   analitici,  sentita  la  commissione
 interregionale di cui all'art. 13 della legge 15 maggio 1970, n. 281.
    Rispetto,  infatti, all'art. 9 della legge 10 aprile 1981, n. 151,
 il nuovo testo, sostituendo la procedura dell'intesa tra  i  Ministri
 competenti  e la commissione interregionale con la semplice audizione
 della commissione predetta, degrada quest'ultima dalla  posizione  di
 organo  partecipante  alla  formazione di un atto a quella di un ente
 posto sullo stesso piano meramente  consultivo  delle  organizzazioni
 delle aziende di trasporto.
    Tale    modificazione    peggiorativa    elimina   sostanzialmente
 l'autonomia regionale, cosi' violando gli artt. 117, 118 e 119  della
 Costituzione.  A  cio'  si  aggiunge,  proseguono  le  ricorrenti, la
 violazione dell'art. 77 della Costituzione, in quanto, a loro avviso,
 non  e'  conforme  ai  principi  generali il fatto che, in materia di
 competenza regionale, in cui al legislatore statale e'  riservato  il
 livello  dei principi (che si impongono come limite alla legislazione
 regionale), possa farsi ricorso  allo  strumento  del  decreto-legge,
 immediatamente operativo, per rovesciare norme di una legge-quadro.
    Inoltre,   lo   stesso   secondo   comma   dell'art.  1  determina
 un'ulteriore compressione dell'autonomia regionale  la'  dove  impone
 alle  regioni  un  termine per la definizione dei bacini di traffico,
 cosi' sottraendo ad esse una potesta' normativa (art. 3  della  legge
 n. 151 del 1981), e prevede un controllo sostitutivo del Ministro dei
 trasporti,  violando  gli  artt.  5,  116,  117,  119  e  125   della
 Costituzione.  Si  tratta,  infatti,  concludono le ricorrenti, di un
 controllo  anomalo  non  previsto  da   norme   costituzionali,   non
 giustificato  dalla  natura  degli atti da compiere (la cui omissione
 non sarebbe tale da mettere in serio pericolo l'esercizio di funzioni
 fondamentali o il perseguimento di interessi essenziali affidati alla
 responsabilita' dello Stato), ne' strumentale rispetto all'esecuzione
 o  all'adempimento di obblighi o all'attuazione di indirizzi inerenti
 ad  interessi  idonei  a  consentire  allo   Stato   il   superamento
 eccezionale  del riparto di competenze tra esso e le regioni. Sarebbe
 anche violato il  principio  di  "leale  cooperazione",  che  implica
 un'esigenza  di  proporzionalita'  tra  i presupposti che legittimano
 l'intervento sostitutivo e il contenuto e l'estensione  del  relativo
 potere.
    1.2.  - Si e' costituito in entrambi i giudizi, con atti identici,
 il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura  Generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza
 delle questioni sollevate.
    L'Avvocatura premette che il decreto-legge n. 77 del 1989 fa parte
 del pacchetto dei decreti collegati con  la  legge  finanziaria  1989
 (legge  24  dicembre  1988,  n.  541)  e  si iscrive nel quadro della
 manovra di carattere generale diretta  al  contenimento  della  spesa
 pubblica:  una  delle  direttrici  di  tale  manovra  e'  quella  del
 risanamento delle aziende pubbliche (o che fruiscono di finanziamenti
 pubblici)   e   di   assicurarne   la  gestione  secondo  criteri  di
 economicita'.
    Rileva,   quindi,  che  la  disposizione  impugnata  (che  non  si
 sostituisce ma si affianca all'art. 9, ottavo comma, della  legge  n.
 151/81)   non  risulta  illegittimamente  compressiva  dell'autonomia
 regionale,  in  quanto,  da  un  lato,  l'analiticita'  dei   criteri
 stabiliti dal Ministro dei trasporti, di concerto con il Ministro del
 tesoro, non compromette il loro carattere "generale", che  ne  impone
 il  riferimento  ad interessi omogenei ed unitari e ne salvaguarda la
 possibilita'  di  specificazione  in  sede  locale;  dall'altro,   la
 funzione consultiva e' tipica della commissione interregionale di cui
 all'art. 13 della legge n. 281 del 1970.
    Ne',  prosegue  l'Avvocatura,  appare  illegittima  la  previsione
 dell'intervento surrogatorio, in quanto, avuto riguardo  al  contesto
 in  cui e' disposto - stanziamenti per i contributi di esercizio alle
 aziende di trasporto nel  quadro  di  un'assegnazione  di  contributi
 speciali alle regioni per provvedere a scopi determinati l'intervento
 dello Stato si riconduce, piuttosto che all'esercizio di un indirizzo
 e   coordinamento   delle   attivita'   regionali   in   materia,  al
 coordinamento nel settore finanziario e della spesa pubblica, che  ha
 lo  specifico  addentellato nelle statuizioni contenute nell'art. 119
 della Costituzione.
    La  definizione  del piano regionale dei trasporti e dei bacini di
 traffico costituisce infatti momento preliminare per  la  definizione
 dei criteri di riparto dei contributi che di essi devono tener conto.
    In  definitiva,  il  supporto  di  esigenze  unitarie e l'indubbia
 incidenza sugli interessi nazionali della programmazione della  spesa
 in  materia,  cui  si riconnettono i piani regionali, giustificano la
 prevista possibilita' di intervento sostitutivo.
    Infine,  conclude  l'Avvocatura,  non  puo'  ritenersi  di per se'
 lesiva l'emanazione, nelle materie di  competenza  regionale,  di  un
 atto  (decreto-legge)  comunque  appartenente all'ordine legislativo,
 ove ne risultino  osservati  i  presupposti  costituzionali  e  siano
 rispettati i limiti sostanziali delle competenze regionali.
    2. - Le Regioni Emilia-Romagna e Toscana hanno altresi' sollevato,
 con ricorsi identici notificati il 27 maggio 1989 (reg. ric. nn. 40 e
 44  del 1989), questione di legittimita' costituzionale della legge 5
 maggio 1989, n. 160 (Conversione in  legge,  con  modificazioni,  del
 decreto-legge  4  marzo  1989, n. 77, recante disposizioni urgenti in
 materia di trasporti e di concessioni marittime), nella parte in  cui
 ha convertito in legge, senza modificazioni, l'art. 1, secondo comma,
 del detto decreto-legge, per violazione degli artt. 5, 77, 117,  118,
 119 e 125 della Costituzione.
    I ricorsi sono identici a quelli esaminati sub 1.1.
    Anche  nei  presenti  giudizi  si  e' costituito il Presidente del
 Consiglio dei ministri,  svolgendo,  a  sostegno  della  infondatezza
 delle questioni, argomentazioni identiche a quelle esaminate sub 1.2.
    3.1.  -  Con  ricorso notificato il 5 giugno 1989 (reg. ric. n. 48
 del 1989), la Regione Lombardia ha, a sua volta, sollevato  questione
 di  legittimita'  costituzionale della citata legge 5 maggio 1989, n.
 160, nella parte in cui ha convertito in legge, senza  modificazioni,
 l'art.  1,  secondo  comma,  primo  periodo,  e  terzo  comma, ultimo
 periodo, del decreto-legge 4 marzo 1989, n. 77.
    In particolare, la ricorrente deduce:
       a)  quanto  al  secondo  comma,  esso sconvolge radicalmente il
 sistema delineato con la legge n. 151 del 1981, sostituendolo con  un
 meccanismo   accentrato,  incidente  addirittura,  con  carattere  di
 puntualita' e specificita' dispositiva, nella fase  di  gestione  dei
 contributi   (con   vanificazione  di  qualsiasi  nozione  di  "fondo
 regionale"),  e  sottraendo  alle  regioni  il  potere  -   ad   esse
 riconosciuto dalla citata legge n. 151/81 (artt. 5 e 6), contenente i
 principi  fondamentali  della  materia  -  di  esprimere  con   legge
 regionale non solo le procedure, ma anche i principi di utilizzazione
 della quota regionale del  fondo  nazionale  (col  solo  vincolo  del
 quantum minimo); il tutto e' poi aggravato dalla disposizione secondo
 cui alla elaborazione ministeriale dei criteri  di  ripartizione  dei
 contributi  concorrono  a  livello  consultivo,  in  guisa  e  chiave
 paritaria, la commissione interregionale di  cui  all'art.  13  della
 legge  n.  281/70  e  le  organizzazioni  di  categoria delle imprese
 aspiranti ai contributi di esercizio, con illogica parificazione  dei
 soggetti erogatori (le regioni) e dei soggetti percipienti;
       b)  quanto  al  terzo  comma,  esso,  in contrasto con la legge
 regionale 16 novembre  1984,  n.  57  (spec.  art.  5),  la  quale  -
 individuati   i   soggetti  abilitati  a  godere  di  agevolazioni  e
 facilitazioni di viaggio - stabiliva  di  definire  le  modalita'  di
 rimborso  dell'onere  derivante  alle imprese per mancati introiti in
 sede di determinazione  dei  costi  economici  standardizzati  e  dei
 ricavi  presunti  (cioe'  di porre tali mancati introiti a carico del
 fondo regionale relativo ai contributi di  esercizio),  pretenderebbe
 di  porre  a  carico  della regione la copertura delle minori entrate
 risultanti dalle facilitazioni tariffarie, cosi' sgravandone il fondo
 trasporti,  e  quindi  le  finanze  statali  ed aggravando la regione
 (nell'esercizio di una funzione  propria)  di  un  onere  finanziario
 predeterminato   da   un   organo   dello   Stato;  inoltre,  poiche'
 l'individuazione dei soggetti meritevoli delle agevolazioni  non  era
 stata  collegata  dalla  citata  legge  regionale all'espletamento di
 attivita' o mansioni di rilevanza regionale,  l'accollo  degli  oneri
 relativi  a carico delle risorse finanziarie proprie della regione si
 risolve nell'attribuzione a questa, con decreto ministeriale, di  una
 funzione  meramente  assistenziale generica: e cio', per di piu', con
 carattere retroattivo a far tempo dal 1› gennaio 1989.
    3.2.  -  Si  e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio
 dei ministri, concludendo per l'infondatezza delle questioni.
    L'Avvocatura dello Stato svolge, quanto al secondo comma dell'art.
 1, argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle  contenute  negli
 atti di costituzione relativi ai giudizi esaminati in precedenza.
    Per  quanto  concerne,  invece,  il  comma  terzo (ultimo periodo)
 dell'art. 1,  rileva  l'Avvocatura  che  e'  evidente  l'esigenza  di
 adottare metri uniformi e di rigore per tutto il territorio nazionale
 ed  avverso  tale  generale  previsione   non   puo'   assumersi   un
 aprioristico  diritto  della  regione di disporre senza alcun vincolo
 qualsivoglia  facilitazione  tariffaria  scaricandone  l'onere  sulla
 finanza  statuale.  E'  chiaro  poi  che  costituisce  facolta' e non
 obbligo delle regioni prevedere tali facilitazioni tariffarie.
    Infine,   quanto   alla  denunciata  retroattivita'  della  norma,
 l'Avvocatura osserva che trattasi  di  disposizione  transitoria,  in
 relazione alle previsioni dei precedenti decreti legge decaduti.
    4.   -   Nell'imminenza   dell'udienza  hanno  depositato  memoria
 aggiuntiva   le   Regioni   Emilia-Romagna   e   Toscana,    nonche',
 limitatamente   al   giudizio   promosso   dalla  Regione  Lombardia,
 l'Avvocatura Generale dello Stato.
     A)  Le  Regioni  Emilia-Romagna  e  Toscana,  con  atti identici,
 insistono   nel   chiedere   la   dichiarazione   di   illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  1,  secondo  comma,  del  decreto-legge n.
 77/89, convertito con legge n. 160/89.
    Le  ricorrenti,  dopo aver ribadito le argomentazioni gia' svolte,
 insistono, in particolare, sul fatto  che  le  denunciate  violazioni
 delle   proprie   competenze   sono   state   effettuate  tramite  un
 decreto-legge, cioe' con atto  normativo  primario  che  deve  essere
 motivato  e  la  cui  motivazione  viene  incorporata  nella legge di
 conversione: ma nel nostro caso non risulta alcuna  motivazione  (ne'
 nel  decreto-legge, ne' nella legge di conversione) del perche' fosse
 necessario o solo opportuno sostituire  il  procedimento  dell'intesa
 con  la  mera  audizione  delle  regioni, o del perche' tale modifica
 fosse connaturata alle ragioni di necessita'  e  di  urgenza  con  le
 quali si e' ritenuto di emanare le disposizioni in esame.
    La   motivazione   addotta   nel  decreto-legge  e'  infatti  pura
 tautologia e ne risulta anche violato il  canone  di  ragionevolezza,
 dal  momento  che  non  appare  ragionevole il mutamento di un modulo
 procedimentale correttamente  individuato  nella  legge-quadro  senza
 alcuna giustificazione o motivazione.
     B)  L'Avvocatura  dello Stato, premesso che le disposizioni della
 legge-quadro n. 151 del 1981 hanno comportato, in  sede  applicativa,
 una   estrema   diversificazione   delle   normative   regionali  (in
 particolare  per  la  non  omogeneita'  dei  criteri  adottati  nella
 metodologia  di  calcolo  dei  costi  standardizzati)  e  un continuo
 aumento del divario tra costi e ricavi di esercizio, rileva  che  con
 la normativa censurata si e' inteso creare strumenti idonei a ridurre
 il costante incremento del deficit e dare una  certa  uniformita'  ai
 provvedimenti adottati in sede regionale, con particolare riferimento
 alla determinazione dei costi standard. La disposizione censurata  va
 pertanto  considerata come norma di indirizzo e coordinamento volta a
 delineare, in chiave organica, le direttrici entro cui ricondurre gli
 interventi finanziari destinati al trasporto locale e a recuperare la
 necessaria  omogeneita'  delle  normative  regionali,  in  vista  del
 fondamentale  obiettivo del risanamento delle gestioni dei servizi di
 trasporto pubblico.
    Quanto,  infine,  al  terzo  comma  dell'art.  1,  in  materia  di
 facilitazioni tariffarie, l'Avvocatura  osserva  che  il  legislatore
 statale   ha   voluto   assicurare  il  rispetto  della  disposizione
 costituzionale che impone l'indicazione dei mezzi  di  copertura  per
 ogni  nuova  o  maggiore spesa (qual e' appunto quella conseguente al
 riconoscimento di  facilitazioni  tariffarie),  sul  presupposto  che
 l'esercizio  di  un  potere discrezionale in materia - da parte dello
 Stato, della regione o dell'ente locale - e' legittimo solo se  e  in
 quanto  le  minori  entrate siano direttamente finanziate con mezzi a
 carico  del  bilancio  dello  stesso  ente   che   ha   disposto   le
 agevolazioni;  altrimenti  il  fondo trasporti potrebbe costituire un
 improprio canale di finanziamento di  tutte  le  decisioni  di  spesa
 estranee  alla gestione del trasporto pubblico, con pregiudizio delle
 primarie finalita' inerenti all'istituzione del fondo stesso.
                         Considerato in diritto
    1.  - I cinque ricorsi indicati in epigrafe sollevano questione di
 legittimita', in riferimento agli artt. 5, 77, 116, 117, 118,  119  e
 125  della  Costituzione,  di  alcune norme contenute nell'art. 1 del
 decreto-legge 4 marzo 1989, n. 77, convertito -  senza  modificazioni
 nelle parti censurate - nella legge 5 maggio 1989, n. 160. Essendo le
 proposte   questioni   identiche   (in   particolare,   le    Regioni
 Emilia-Romagna  e  Toscana  hanno impugnato, ciascuna con due ricorsi
 dal contenuto perfettamente uguale, prima il decreto-legge e  poi  la
 legge  di  conversione),  o strettamente connesse, i relativi giudizi
 vanno riuniti e decisi con unica sentenza.
    2.  -  Tra  le  varie  censure prospettate dalle ricorrenti, va in
 ordine logico  per  prima  esaminata  quella  sollevata,  avverso  il
 secondo  comma dell'art. 1, dalle Regioni Emilia-Romagna e Toscana in
 riferimento all'art. 77 della Costituzione.
    Esse  sostengono  l'illegittimita'  dell'uso  dello  strumento del
 decreto-legge, con la sua tipica immediatezza di effetti, in  materie
 di competenza regionale concorrente, per di piu' per modificare norme
 gia'  poste   da   una   legge-quadro.   Nelle   memorie   depositate
 nell'imminenza   dell'udienza,   le   ricorrenti  aggiungono  che  un
 ulteriore  vizio  andrebbe  rinvenuto  nell'assenza  di  qualsivoglia
 motivazione   circa  la  necessita'  ed  urgenza  di  apportare  tali
 modificazioni.
    La questione e' inammissibile.
    Secondo  la  consolidata  giurisprudenza di questa Corte (cfr., da
 ultimo, sentt. nn. 302 e 610 del 1988, 407 del 1989), nei giudizi  di
 costituzionalita' sollevati in via principale, le regioni possono, in
 linea  di  principio,  denunciare  la  violazione  anche   di   norme
 costituzionali   poste   al   di   fuori   del  titolo  quinto  della
 Costituzione, purche', tuttavia, tale violazione comporti, di per se'
 (anche  tenuto  conto  delle  prospettazioni  delle  ricorrenti), una
 diretta  incisione  delle  competenze  ad   esse   costituzionalmente
 garantite.
    Nel caso di specie tale ipotesi non sussiste. Da un lato, infatti,
 questa Corte ha costantemente ritenuto (v. sentt. nn. 243 del 1987  e
 1044  del  1988) che tutto cio' che attiene alla esistenza o meno dei
 presupposti per la decretazione d'urgenza non riguarda la sfera delle
 competenze  regionali, in quanto tali questioni concernono i rapporti
 tra Governo e Parlamento (e sarebbero comunque irrilevanti di  fronte
 all'intervenuta  conversione dei decreti-legge): ed e' ovvio che cio'
 non puo' non valere anche per il profilo, qui specificamente dedotto,
 dell'assenza di motivazione sulla sussistenza di detti presupposti.
    D'altro  lato, non si comprende, ne' e' chiarito nei ricorsi, come
 la immediatezza di effetti del decreto-legge  possa  di  per  se',  a
 prescindere  dal contenuto delle norme da esso introdotte, costituire
 un autonomo e concreto pregiudizio delle competenze regionali.
    3.1.  -  Il  secondo comma dell'art. 1, e precisamente i primi due
 periodi dello stesso, sono poi censurati da tutte  le  ricorrenti  in
 riferimento  agli  artt.  117, 118 e 119 della Costituzione, ma sotto
 profili non del tutto coincidenti.
    La   Regione   Lombardia,  innanzitutto,  sostiene  in  radice  la
 illegittimita' della nuova disciplina di assegnazione dei  contributi
 di esercizio da parte delle regioni alle imprese di trasporto locale,
 secondo la quale tale assegnazione deve avvenire "sulla base  di  una
 metodologia  e  di  criteri  generali  stabiliti  analiticamente  con
 decreto del Ministro dei trasporti, di concerto con il  Ministro  del
 tesoro,  sentite  la  commissione  consultiva  interregionale  di cui
 all'art. 13 della legge 16 maggio 1970, n. 281, e  le  organizzazioni
 rappresentative  delle  aziende  di  trasporto  pubblico  locale". Ad
 avviso della ricorrente, la  nuova  normativa  sconvolge  il  sistema
 delineato  nella  legge-quadro  n.  151  del  1981,  introducendo  un
 meccanismo accentrato, tramite il quale lo Stato viene  ad  incidere,
 con  un intervento puntuale e dettagliato (per di piu' attuato con un
 mero atto amministrativo), nella fase di gestione dei contributi,  la
 quale,  secondo  gli  artt.  5  e  6  della  citata legge-quadro, era
 viceversa di competenza regionale.
    La questione non e' fondata.
    Ai  sensi  dell'art.  6  della  legge  10  aprile  1981, n. 151, i
 contributi di esercizio per i servizi di  trasporto  pubblico  locale
 sono  erogati  dalle  regioni  "sulla  base  di  principi e procedure
 stabiliti  con  legge  regionale,  con  l'obiettivo   di   conseguire
 l'equilibrio  economico  dei  bilanci  dei  servizi di trasporto"; lo
 stesso articolo  stabilisce  poi  alcuni  criteri  di  determinazione
 dell'ammontare di detti contributi.
    Esattamente   osserva   la  Regione  Lombardia  che  la  normativa
 introdotta con il decreto-legge n. 77 del 1989 incide su tale fase di
 erogazione  dei  contributi  alle  imprese  da  parte  delle regioni,
 inserendo nell'iter  procedurale  un  intervento  statale  prima  non
 previsto.  Cio',  tuttavia,  non  puo'  considerarsi lesivo di alcuna
 competenza  regionale,  tenuto  conto  sia  degli  obiettivi  che  il
 legislatore  statale  ha  inteso  perseguire, sia, soprattutto, delle
 caratteristiche con  cui  detto  intervento  e'  stato  concretamente
 configurato,   caratteristiche   che   devono  considerarsi,  con  le
 precisazioni che seguono, rispettose delle autonomie regionali.
    Quanto  al  primo  punto,  va  rilevato  che,  come  ha  osservato
 l'Avvocatura  Generale  dello  Stato  e  risulta  anche  dai   lavori
 preparatori   della  legge  n.  160  del  1989,  di  conversione  del
 decreto-legge in esame, quest'ultimo (come il precedente n.  547  del
 30  dicembre  1988, non convertito) fa parte del c.d. "pacchetto" dei
 decreti collegati con la legge finanziaria 1989  (legge  24  dicembre
 1988, n. 541), e si inserisce nel quadro della manovra finanziaria di
 contenimento della spesa pubblica; in  tale  contesto,  la  normativa
 impugnata  mira,  piu'  in  particolare, a fronte di una legislazione
 regionale in materia estremamente diversificata  (quanto  soprattutto
 ai  criteri di determinazione dei costi standard), a razionalizzare e
 ricondurre il sistema ad una maggiore omogeneita' di  disciplina,  al
 fine  di risanare il settore - che versa in una grave crisi economica
 ed organizzativa - tentando di ridurre gli  sperperi  e  il  costante
 aumento  del  divario tra costi e ricavi. Che lo scopo della norma in
 discussione sia quello del contenimento della  spesa  nel  campo  dei
 trasporti  locali  e' poi reso palese dal primo comma dell'art. 1 del
 decreto-legge n. 77, il quale appunto  prevede  che  lo  stanziamento
 annuale  del  Fondo  nazionale trasporti, parte esercizio - istituito
 con l'art. 9 della legge n. 151 del 1981 - a decorrere dal 1990 sara'
 gradualmente   ridotto   "sulla   base  dei  risultati  acquisiti  in
 applicazione dei  principi  e  dei  criteri  di  cui  al  comma  2  e
 parallelamente al risanamento delle gestioni di cui allo stesso comma
 2". Del resto, e per concludere su questo punto, che la legge n.  151
 del  1981  abbia  dato luogo ai segnalati inconvenienti e' dimostrato
 anche dai tre disegni di legge di riforma, d'iniziativa  parlamentare
 (nn.  1119,  1397 e 1539), tuttora all'esame del Senato, dei quali la
 normativa ora censurata costituisce una coerente anticipazione.
    Passando  ad  esaminare  come in concreto il denunciato intervento
 statale e' stato delineato, deve ritenersi che l'aver  demandato  nel
 caso  di  specie  ad  un  decreto ministeriale l'ulteriore disciplina
 della materia non viola le competenze regionali  (conformemente  alla
 giurisprudenza di questa Corte: v., ad es., sentt. nn. 294 del 1986 e
 64 del 1987), tenuto conto  delle  esigenze  di  coordinamento  e  di
 uniformita'  prima  evidenziate  e  considerato  che  l'uso  di  tale
 strumento normativo e' previsto dalla legge; che il contenuto di esso
 non e' del tutto libero, in quanto la legge stessa detta - sempre nel
 secondo comma dell'art. 1 - delle direttive e dei principi cui a  sua
 volta  il decreto dovra' uniformarsi; che i criteri ad esso demandati
 hanno indubbiamente natura prevalentemente tecnica; che, infine,  non
 mancano   delle  garanzie  procedimentali  (quale  l'audizione  della
 commissione interregionale di cui all'art. 13 della legge n. 281  del
 1970, su cui si tornera' in seguito).
    Per quanto concerne, poi, la denunciata "analiticita'" dei criteri
 che dovra' dettare il decreto ministeriale, effettivamente potrebbero
 sorgere  seri  dubbi  di  legittimita'  se con tale atto normativo il
 Ministro dei  trasporti  fosse  stato  abilitato  ad  introdurre  una
 disciplina  di  dettaglio  della  materia;  ma  cosi' non e'. Infatti
 l'espressione (indubbiamente poco felice) "criteri generali stabiliti
 analiticamente",    adoperata   dalla   legge,   puo'   correttamente
 interpretarsi  (anche  in  ossequio  al  principio  della  prevalenza
 dell'interpretazione  conforme  alla  Costituzione)  nel  senso che i
 ripetuti criteri,  fatto  salvo  il  loro  ineludibile  carattere  di
 "generalita'",  dovranno  essere  dettati prendendo in considerazione
 ciascuna  delle  varie  possibili  voci  e  componenti   che   devono
 concorrere a determinare una razionale e non dispendiosa ripartizione
 dei contributi.
    Cosi'  intesa,  la  norma  impugnata  non preclude alle regioni un
 proprio spazio d'intervento; ed e' ovvio che resta salvo il sindacato
 di  questa Corte, in sede di eventuale conflitto di attribuzione, sul
 rispetto  delle  indicate  modalita'  nella  concreta  adozione   del
 provvedimento de quo.
    3.2.  -  Le  Regioni  Emilia-Romagna  e Toscana lamentano, piu' in
 particolare, che la norma impugnata avrebbe sostituito  la  procedura
 dell'"intesa"  tra Ministri competenti e commissione interregionale -
 prevista nell'art. 9 della legge n. 151 del  1981  e  che,  in  linea
 generale,  costituisce  un tipico strumento di composizione a livello
 paritario di interessi eterogenei  in  attuazione  del  principio  di
 cooperazione  -  con  la  semplice  formulazione di un avviso o di un
 parere da parte di detta commissione, cosi'  degradando  quest'ultima
 ad organo meramente consultivo.
    La questione non e' fondata.
    Si  e'  gia' accennato, infatti, che la norma censurata incide (in
 parte modificandola) sulla fase di  erogazione  dei  contributi  alle
 imprese  da  parte  delle  regioni,  regolata dagli artt. 5 e 6 della
 legge n. 151 del  1981.  Viceversa,  l'art.  9  della  legge  stessa,
 richiamato dalle ricorrenti, e in particolare il suo comma ottavo che
 qui interessa, prevede si' un'intesa tra  Ministro  dei  trasporti  e
 commissione   interregionale,   ma   per   stabilire  i  "criteri  di
 ripartizione del  fondo  tra  le  regioni":  attiene,  cioe',  com'e'
 evidente,  alla  diversa e preliminare fase in cui il fondo nazionale
 per il ripiano dei disavanzi di  esercizio  viene  suddiviso  tra  le
 regioni,  prima  che  queste  ultime provvedano alla erogazione della
 propria quota alle imprese locali. E', pertanto, altrettanto evidente
 che  la  indicata procedura d'intesa resta pienamente in vigore e che
 la questione  proposta  viene  con  cio'  a  perdere  il  suo  stesso
 presupposto argomentativo.
    Non  puo',  peraltro,  non  rilevarsi  -  come esattamente osserva
 l'Avvocatura dello Stato - che la  funzione  originaria  e  peculiare
 della commissione de qua e' tipicamente consultiva, secondo quanto e'
 previsto nella norma che  la  istituisce  (art.  13  della  legge  n.
 281/70);  del  resto,  la  stessa  struttura di essa (la compongono i
 Presidenti delle giunte di tutte le regioni  a  statuto  ordinario  e
 speciale) ne rivela la natura di organo idoneo piuttosto a rendere un
 parere anziche' ad esercitare un potere di codecisione.
    Il  fatto che a volte - e segnatamente nella legge n. 151 del 1981
 - il legislatore statale abbia ritenuto di prescrivere forme d'intesa
 con  l'organo  in  esame  non puo' pertanto fornire valido fondamento
 alla pretesa dell'adozione costante di tale procedura,  in  luogo  di
 quella  della  consultazione,  maggiormente  aderente - ripetesi - al
 carattere dell'organo.
    4.  -  Gli  ultimi  due periodi del secondo comma dell'art. 1 sono
 censurati - in riferimento agli artt. 5, 116, 117, 119  e  125  della
 Costituzione  -  dalle  Regioni  Emilia-Romagna  e Toscana, in quanto
 impongono alle regioni un termine per la definizione  dei  bacini  di
 traffico,  cosi'  sottraendo ad esse una potesta' normativa (prevista
 nell'art. 3 della legge n. 151 del 1981), e  prevedono,  in  caso  di
 inadempienza,  un  controllo sostitutivo del Ministro dei trasporti a
 loro avviso anomalo e non giustificato dalla  natura  degli  atti  da
 compiere,  con  conseguente  violazione  anche del principio di leale
 cooperazione.
    La questione non e' fondata.
    Sul  primo  punto  basta  osservare  che la norma censurata, nello
 stabilire un termine (sette mesi dalla data di entrata in vigore  del
 decreto-legge)  entro  cui le regioni devono provvedere ad emanare la
 disciplina di propria competenza, evidentemente non sottrae  ad  esse
 alcuna potesta' normativa, bensi' si limita a sollecitare l'esercizio
 di tale potesta', e cio' in  relazione  alle  esigenze  di  carattere
 generale   sopra   evidenziate.   Va,   infatti,   osservato  che  la
 predisposizione dei piani regionali dei  trasporti  e  la  successiva
 definizione  dei  bacini di traffico (provvedimenti che, peraltro, le
 regioni avevano l'obbligo di  adottare  sin  dall'entrata  in  vigore
 della  legge  n.  151  del 1981), costituiscono attivita' preliminari
 alla determinazione, da parte del Ministro dei trasporti, dei criteri
 generali  per  la erogazione dei contributi di esercizio alle imprese
 locali, in quanto, come  espressamente  risulta  dallo  stesso  comma
 secondo dell'art. 1, tali criteri generali devono, fra l'altro, tener
 conto proprio dei bacini di traffico. Del resto, l'apposizione di  un
 termine  perentorio  e',  di regola, un presupposto necessario per il
 successivo intervento surrogatorio da parte dello Stato (che  appunto
 si ricollega alla infruttuosa scadenza del termine), per cui tutto in
 definitiva si incentra sulla  questione  della  legittimita'  o  meno
 della  previsione  di  tale  potere sostitutivo; nella fattispecie la
 risposta deve essere affermativa.
    Invero,  il  previsto  intervento  surrogatorio  del  Ministro dei
 trasporti nella definizione dei piani regionali dei trasporti  e  dei
 relativi  bacini  di  traffico  appare  rispondente  ai requisiti che
 questa Corte ha  costantemente  indicato  come  propri  del  corretto
 esercizio  di tale potere da parte dello Stato (v., da ultimo, sentt.
 nn. 177 e 1000 del 1988, 101, 324 e 460 del 1989): esso, infatti,  e'
 conseguente  all'inadempienza  regionale  in  ordine  ad un'attivita'
 sottoposta ad un termine perentorio; e' esercitato da un'autorita' di
 Governo;   e'   strumentale   -   data,   come   gia'  osservato,  la
 preliminarita' della definizione dei piani di trasporto e dei  bacini
 di   traffico  rispetto  alla  previsione  dei  criteri  generali  di
 ripartizione dei  contributi  -  al  perseguimento  di  un  interesse
 unitario  e primario dello Stato, quale quello, come detto sopra, del
 risanamento del settore e  del  contenimento  della  spesa  pubblica;
 appare,  infine,  proporzionato,  nel  contenuto  e  nell'estensione,
 all'esigenza di salvaguardare il detto  interesse  dello  Stato.  Per
 quanto,   poi,   in  particolare,  riguarda  il  principio  di  leale
 cooperazione, va rilevato che la sua osservanza attiene anche, e piu'
 propriamente,   alla   fase   del   concreto   esercizio  del  potere
 sostitutivo, il quale (salvo, ovviamente,  l'eventuale  sindacato  di
 questa  Corte  in  sede di conflitto di attibuzione) dovra', appunto,
 essere  improntato  -  ove  occorra  mediante  l'adozione  di  misure
 collaborative,  quali  richieste  di  chiarimenti, diffide, ecc. - al
 rispetto di detto principio (cfr., al  riguardo,  sent.  n.  294  del
 1986).
    5.  -  Egualmente  non  fondata e', infine, la questione sollevata
 dalla Regione Lombardia in  ordine  al  terzo  comma  (ultima  parte)
 dell'art.  1  del  d.l.  n. 77 del 1989, secondo cui "Il Ministro dei
 trasporti, con proprio decreto, stabilisce entro il 30  giugno  1989,
 per  l'anno  1990, le facilitazioni tariffarie per le quali lo Stato,
 le  regioni  ed  i  comuni  devono  contestualmente  provvedere,  con
 finanziamenti propri, alla copertura della minore entrata che risulta
 per le aziende interessate".
    Ad  avviso della ricorrente, la norma censurata - in contrasto con
 la legge regionale  16  novembre  1984  n.  57,  la  quale  viceversa
 stabilisce,  in  sostanza  (art.  5),  di  porre il minore introito a
 carico della quota regionale del fondo nazionale per i contributi  di
 esercizio  -  impone alla regione un onere finanziario predeterminato
 da un  organo  dello  Stato  ed  attribuisce  ad  essa  una  funzione
 meramente assistenziale, dato che la citata legge regionale individua
 i soggetti  meritevoli  delle  agevolazioni  indipendentemente  dallo
 svolgimento di attivita' di rilevanza regionale; il tutto, infine, e'
 aggravato dalla retroattivita' della norma al 1› gennaio 1989.
    Premesso   che   il   fatto   che   una  norma  statale  si  ponga
 obiettivamente in contrasto con quanto  disposto  da  una  previgente
 legge   regionale  non  determina,  per  cio'  solo,  alcuna  lesione
 dell'autonomia regionale, va osservato che il  criterio  secondo  cui
 alla  copertura  delle  minori  entrate  derivanti, per le imprese di
 trasporto, dalle agevolazioni tariffarie debba provvedere  lo  stesso
 ente  che  ha deliberato tali agevolazioni non viola la competenza di
 detto  ente,  tenuto  anche  conto,  da  un  lato,  che  il   decreto
 ministeriale si limita ad indicare le facilitazioni per le quali deve
 valere tale criterio, fermo restando, ovviamente, che la introduzione
 delle  facilitazioni  resta  una  facolta'  e  non  un obbligo per la
 regione; e, dall'altro, che, come  esattamente  osserva  l'Avvocatura
 dello  Stato,  attingere  i  rimborsi dalla quota regionale del fondo
 nazionale di cui alla legge n.  151/81  significa  trasformare  detto
 fondo  in  un  improprio  canale di finanziamento per spese del tutto
 estranee allo scopo per cui esso e' stato istituito, snaturandone  le
 peculiari  finalita'.  Del  resto,  la  norma  denunciata  non fa che
 ribadire un criterio gia' previsto, piu' in  generale,  nello  stesso
 comma  terzo  dell'art.  1  (nella  parte immediatamente precedente a
 quella impugnata) e, ancor prima, nell'art.  31,  quinto  comma,  del
 d.l.  28 febbraio 1983, n. 55, convertito con modificazioni con legge
 26 aprile 1983, n. 131, sulla finanza locale.
    Quanto,  infine,  alla  denunciata  retroattivita'  della norma in
 esame al  1›  gennaio  1989,  essa  discende  dal  sopra  evidenziato
 collegamento  del decreto-legge in questione con la legge finanziaria
 per il 1989 e non puo' di per se' (come questa Corte ha gia' ritenuto
 in   un   caso   analogo:  v.  sent.  n.  407  del  1989)  costituire
 un'illegittima invasione delle competenze regionali.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
       a)   dichiara   inammissibile   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1,  secondo  comma,   prima   parte,   del
 decreto-legge 4 marzo 1989, n. 77 (Disposizioni urgenti in materia di
 trasporti e di concessioni marittime), convertito  con  modificazioni
 nella legge 5 maggio 1989, n. 160, sollevata, in riferimento all'art.
 77 della Costituzione, dalle Regioni Emilia-Romagna e Toscana  con  i
 ricorsi indicati in epigrafe;
       b)   dichiara   non   fondata   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, secondo comma, prima parte, del  predetto
 decreto-legge 4 marzo 1989, n. 77, convertito con modificazioni nella
 legge 5 maggio 1989, n. 160, sollevata,  in  riferimento  agli  artt.
 117,  118  e  119  della  Costituzione, dalle Regioni Emilia-Romagna,
 Toscana e Lombardia con i ricorsi di cui in epigrafe;
       c)   dichiara   non   fondata   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, secondo comma, ultima parte, del predetto
 decreto-legge n. 77 del 1989, convertito nella legge n. 160 del 1989,
 sollevata, in riferimento agli artt. 5, 116, 117,  119  e  125  della
 Costituzione, dalle Regioni Emilia-Romagna e Toscana con i ricorsi di
 cui in epigrafe;
       d)   dichiara   non   fondata   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, terzo comma, del  predetto  decreto-legge
 n.  77  del  1989,  convertito nella legge n. 160 del 1989, sollevata
 dalla Regione Lombardia con il ricorso di cui in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 30 novembre 1989.
                          Il Presidente: CONSO
                          Il redattore: FERRI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria l'11 dicembre 1989.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 89C1290