N. 570 SENTENZA 13 - 22 dicembre 1989

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Procedure concorsuali - Assoggettabilita' a fallimento Esclusioni -
 Piccolo imprenditore - Individuazione mediante il limite di capitale
 investito nella impresa - Misura fissata in L. 900.000 - Indice
 divenuto insignificante per effetto della svalutazione monetaria
 Illegittimita' costituzionale parziale.
 
 (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1, secondo comma, cosi' come
 modificato dall'articolo unico della legge 20 ottobre 1952, n.
 1375).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.52 del 27-12-1989 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 1, secondo
 comma, del regio decreto  16  marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del
 fallimento,    del    concordato   preventivo,   dell'amministrazione
 controllata  e  della  liquidazione  coatta   amministrativa),   come
 modificato  dall'articolo unico della legge 20 ottobre 1952, n. 1375,
 promosso con ordinanza  emessa  l'8  novembre  1988  dalla  Corte  di
 cassazione nel procedimento civile vertente tra Pagani Luigi e Caruso
 Palmina ed altro, iscritta al n. 321 del registro  ordinanze  1989  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 27, prima
 serie speciale, dell'anno 1989;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 16 novembre 1989 il Giudice
 relatore Francesco Greco.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con ordinanza dell'8 novembre 1988, la Corte di cassazione,
 sul ricorso per violazione dell'art.  1,  secondo  comma,  del  regio
 decreto  16  marzo  1942,  n.  267,  proposto  avverso la sentenza di
 secondo grado che aveva revocato  il  fallimento  di  Caruso  Palmina
 (ritenuta  "piccolo  imprenditore" in applicazione del solo art. 2083
 del  codice  civile),  ha   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale  della  predetta norma della legge fallimentare, nella
 parte in cui assoggetta alle procedure concorsuali  gli  imprenditori
 commerciali  che  investano  un  capitale  superiore  a  lire 900.000
 (novecentomila), richiedendo per la qualita' di piccolo  imprenditore
 il  mancato  superamento  di  detto limite (sulla base di un criterio
 operante   anche   dopo   la   caducazione   di   quello    correlato
 all'accertamento  del  reddito  ai  fini  della  soppressa imposta di
 ricchezza mobile).
    Secondo il giudice a quo si prospetterebbe, infatti, nella specie,
 la violazione dell'art. 3 della  Costituzione,  attesa  che  l'omesso
 adeguamento  dell'indicata  somma  al  fenomeno  inflattivo,  con  la
 conseguenziale applicabilita' delle suddette procedure anche a coloro
 che   abbiano  i  connotati  sostanziali  del  piccolo  imprenditore,
 potrebbe  rendere  arbitraria  ed  ingiustificata  una  unicita'   di
 disciplina rispetto a realta' obiettivamente diverse.
    Inoltre,  la privazione di significato del limite dimensionale tra
 piccolo imprenditore ed impresa organizzata farebbe sfumare anche  la
 distinzione tra insolvente commerciale ed insolvente civile: "per cui
 al  di  sopra  ed  al  di  sotto  della  soglia  delle  lire  900.000
 (novecentomila)  di  capitale  investito,  che  non individua piu' il
 limite inferiore di una dimensione organizzativa imprenditoriale,  e'
 individuabile  tutta  una  fascia  di  situazioni che, per condizioni
 soggettive e dimensionali, sono qualificabili come insolvenze civili,
 e  che, pur tuttavia, nella vigenza dell'art. 1, secondo comma, della
 legge   fallimentare,   sono   soggette   a   trattamento   normativo
 differenziato,  essendo  assoggettabili, o no, a fallimento a seconda
 che il capitale investito superi, o no, il limite indicato".
    E  cio'  si risolverebbe in un ulteriore profilo di violazione del
 precetto dell'uguaglianza.
   2.  - Innanzi alla Corte e' intervenuta l'Avvocatura Generale dello
 Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio  dei  ministri,
 che  ha  concluso  per  il  rigetto  della  questione  in base ad una
 possibile interpretazione adeguatrice della  norma  denunciata  quale
 condivisa,  anche  di  recente,  della  giurisprudenza  di merito. Le
 "disposizioni di cui agli artt. 2083 del codice civile e 1 del  regio
 decreto  16 marzo 1942, n. 267, non sarebbero tra loro incompatibili,
 nel senso che la seconda ha carattere  interpretativo  rispetto  alla
 prima  e  pone  una  presunzione  iuris  et de iure di esclusione dal
 fallimento  quando  il  capitale  investito  nell'impresa   non   sia
 superiore  a  900.000  lire,  mentre  l'altra  identifica  il piccolo
 imprenditore  in  base  all'elemento  lavoro   ed   al   modo   della
 organizzazione;  pertanto,  ove  non ricorra la presunzione di cui al
 citato art. 1, l'indagine che il Tribunale e' chiamato a compiere, ai
 fini  dell'assoggettabilita'  al  fallimento  dell'impresa debitrice,
 deve essere diretta solo ad accertare se, malgrado il superamento del
 limite  del  capitale  investito,  sussistano  le  condizioni  di cui
 all'art. 2083 del codice civile  per  l'identificazione  del  piccolo
 imprenditore".
                         Considerato in diritto
    1.   -   La   Corte   di   cassazione  dubita  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, secondo comma, del regio decreto 16 marzo
 1942,   n.   267,   nella   parte   in  cui  fissa  in  lire  900.000
 (novecentomila) il limite di capitale investito per la individuazione
 del   piccolo   imprenditore,   in   riferimento   all'art.  3  della
 Costituzione in quanto, per  effetto  della  svalutazione  monetaria,
 detta  somma  e'  divenuta  un  indice  insignificante  della realta'
 operativa ed organizzativa, ed ha fatto venir meno  la  soglia  della
 distinzione  tra  l'imprenditore  soggetto  a  fallimento, il piccolo
 imprenditore e l'insolvente civile, che non sono ad esso  sottoposti.
    Conseguentemente, due realta' diverse, secondo la previsione degli
 artt. 2083 e 2221  del  codice  civile,  sono  disciplinate  in  modo
 identico,   venendo   cosi'   meno   quella  distinzione  soggettiva,
 organizzativa e dimensionale  nella  quale  era  stata  ravvisata  la
 legittimita'   del   diverso   trattamento  mentre  sono  soggette  a
 fallimento anche quelle attivita' che, per  condizioni  soggettive  e
 dimensionali, sono qualificabili insolvenze civili.
    2.1. - La questione e' fondata.
    L'art.  1,  secondo  comma, della legge fallimentare statuisce che
 sono piccoli imprenditori gli esercenti un'attivita' commerciale che,
 in  sede  di  accertamento  ai fini dell'imposta di ricchezza mobile,
 sono stati riconosciuti titolari di un reddito  inferiore  al  minimo
 imponibile.  E aggiunge che, quando e' mancato l'accertamento ai fini
 della suddetta imposta, sono  considerati  piccoli  imprenditori  gli
 esercenti  un'attivita'  commerciale nella cui azienda risulta essere
 stato investito un capitale non superiore a lire 30.000  (trentamila)
 elevato, poi, a lire 900.000 dalla legge n. 1375 del 1952.
    D'altro  canto,  l'art. 2083 del codice civile stabilisce che sono
 piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli  artigiani,
 i   piccoli   commercianti   e  coloro  che  esercitano  un'attivita'
 professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei
 componenti della famiglia.
    2.2.  -  Per  effetto  della  riforma  fiscale di cui al d.P.R. 29
 settembre 1973, n. 397, la  prima  parte  del  suddetto  articolo  ha
 cessato  di  avere vigore in quanto l'imposta di ricchezza mobile non
 e' stata piu' prevista dall'ordinamento tributario. Ma il  prevalente
 indirizzo  giurisprudenziale,  seguito  anche dalla Corte remittente,
 ritiene che sia rimasto in vigore, e quindi sia  ancora  applicabile,
 la  seconda  parte  del  detto  articolo  secondo  cui,  quando manca
 l'accertamento ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, e'  criterio
 di   qualificazione   del   piccolo   imprenditore,  non  soggetto  a
 fallimento, l'investimento nell'azienda di un capitale non  superiore
 a  lire  900.000.  Detto  criterio  e'  integrativo di quello portato
 dall'art.  2083  del  codice  civile.   Il   legislatore   dell'epoca
 (relazione  ministeriale  alla  legge  sul  fallimento),  infatti, ha
 avvertito che la nozione di piccolo imprenditore  e'  data  dall'art.
 2083  del  codice  civile  ma che si era ritenuto opportuno porre una
 norma integrativa idonea a facilitare l'opera del giudice nei singoli
 casi.
    2.3.  -  Ora,  e'  accaduto  che,  per  effetto della svalutazione
 monetaria  verificatasi,  i  valori  monetari  si   sono   gravemente
 alterati;  il limite delle 900.000 mila lire non e' stato adeguato ai
 suddetti, mentre la nozione di artigiano si e'  man  mano  modificata
 (da  ultimo  la  legge  8  agosto  1985, n. 443) cosi' come quella di
 coltivatore  diretto.  E  lo  stesso  legislatore,  in  varie  leggi,
 prevedendo  incentivi  per  risolvere la crisi economica ed agevolare
 l'occupazione specie  giovanile,  ha  considerato  piccole  industrie
 quelle che investono capitali di gran lunga superiori a lire 900.000.
    Comunque,   essa  non  realizza  piu'  le  finalita'  che  l'hanno
 determinata  e  la  sua  applicazione  sul  piano   pratico   produce
 disparita'   di  trattamenti  ed  appare  affetta  da  illogicita'  e
 irrazionalita'.
    Le   categorie   di  piccolo,  medio  e  grande  imprenditore,  ed
 insolvente  civile,  nell'ordinamento  economico  e  giuridico  hanno
 posizioni  nettamente differenziate. A fondare la distinzione, specie
 ai fini dell'assoggettabilita' o meno  alla  procedura  fallimentare,
 occorre  un  criterio  assolutamente idoneo e sicuro. I limiti devono
 essere    stabiliti    in     relazione     all'attivita'     svolta,
 all'organizzazione  dei mezzi impiegati, alla entita' dell'impresa ed
 alle ripercussioni che il dissesto produce nell'economia generale. La
 insussistenza  di  validi  presupposti  per la diversificazione delle
 situazioni soggettive che si volevano  diversamente  e  distintamente
 disciplinate,  crea  anche disparita' di trattamento, tanto piu' che,
 altre norme (artt. 2083 e 2221 del codice civile) pongono piu' validi
 criteri di distinzione.
    3.  - Imprese molto modeste incorrono nelle procedure fallimentari
 e vengono meno le finalita' del fallimento.
    L'esiguo  patrimonio  attivo  del  fallito puo' rimanere assorbito
 interamente dalle spese della complessa procedura e a  volte  risulta
 persino  insufficiente  a coprire le spese anticipate dall'erario. Il
 fallimento finisce con l'essere  un  rimedio  processuale  impeditivo
 della tutela dei creditori e un mezzo di difesa insufficiente.
    E'  evidente,  pertanto,  la  illegittimita'  costituzionale della
 disposizione censurata e va, quindi, emessa la relativa declaratoria.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1, secondo
 comma, del regio decreto  16  marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del
 fallimento,    del    concordato   preventivo,   dell'amministrazione
 controllata  e  della  liquidazione  coatta   amministrativa),   come
 modificato  dall'articolo unico della legge 20 ottobre 1952, n. 1375,
 nella parte in cui prevede che "quando e' mancato  l'accertamento  ai
 fini  dell'imposta  di  ricchezza  mobile,  sono  considerati piccoli
 imprenditori  gli  imprenditori  esercenti  un'attivita'  commerciale
 nella  cui azienda risulta investito un capitale non superiore a lire
 novecentomila".
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1989.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GRECO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 22 dicembre 1989.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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