N. 579 SENTENZA 13 - 22 dicembre 1989

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Imposta comunale per l'esercizio di imprese arti e professioni
 (I.C.I.A.P.) - Criterio di determinazione avulso dal reddito
 percepito e in violazione del principio della progressivita' -
 Eccessiva discrezionalita' - Eccezione posta nel corso di
 procedimento monitorio - Insussistenza della questione perche'
 artificiosamente formulata - Irrilevanza della questione a fini del
 procedimento cautelare presso il Tar Emilia-Romagna Richiamo alla
 giurisprudenza della Corte (sentenza n. 186/1976) - Inammissibilita'.
 
 (D.-L. 2 marzo 1989, n. 66, artt. da 1 a 6 e tabella allegata,
 convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 1989, n.  144).
 
 (Cost., artt. 3 e 53).
(GU n.1 del 3-1-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. da 1 a 6 del
 decreto legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di
 autonomia   impositiva  degli  enti  locali  e  di  finanza  Locale),
 convertito, con modificazioni, in  legge  24  aprile  1989,  n.  144,
 nonche'  della  tabella  allegata  alla stessa legge, promossi con le
 seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 26 luglio 1989 dal Pretore di Bologna nel
 procedimento civile vertente tra Berselli Filippo e  Rubini  Claudia,
 iscritta  al  n.  444  del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  39,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1989;
      2)   ordinanza   emessa   il   26   luglio  1989  dal  Tribunale
 amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna  sul  ricorso  proposto
 dal  Schiuma  Giuseppe ed altri contro il Comune di Bologna ed altri,
 iscritta al n. 501 del registro ordinanze  1989  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  42, prima serie speciale,
 dell'anno 1989;
    Visti    gli   atti   di   costituzione   di   Berselli   Filippo,
 dell'Associazione Sindacale Avvocati e Procuratori di Bologna,  della
 C.O.N.S.I.L.P.  e  del Sindacato Ragionieri Professionisti di Bologna
 nonche' gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  28  novembre  1989  il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Uditi  gli  avvocati Filippo Berselli, Giuseppe Ramadori e Valerio
 Onida per Berselli Filippo, Gilberto Gualandi e  Giovanni  Motzo  per
 l'Associazione  Sindacale  Avvocati e Procuratori di Bologna e per il
 Sindacato Ragionieri Professionisti di Bologna, Benedetto Graziosi  e
 Giovanni  Motzo per la C.O.N.S.I.L.P. e l'Avvocato dello Stato Franco
 Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.1.  -  Nel  corso di un giudizio promosso per la richiesta di un
 decreto ingiuntivo di condanna di un commercialista alla restituzione
 della somma di danaro inviatagli da un cliente - soggetto all'imposta
 comunale per l'esercizio di imprese, arti e professioni (ICIAP)  -  e
 destinata  al  pagamento  del  tributo,  il  Pretore  di Bologna, con
 ordinanza del 26 luglio 1989, ha sollevato questione di  legittimita'
 costituzionale  degli  articoli  da  1  a 6 del decreto legge 2 marzo
 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di autonomia  impositiva
 degli  enti  locali e di finanza locale), come convertito nella legge
 24 aprile 1989, n. 144, in  riferimento  agli  artt.  3  e  53  della
 Costituzione.
    Ravvisata   in  generale  la  proponibilita'  degli  incidenti  di
 legittimita' costituzionale nel corso di un giudizio monitorio  e  la
 rilevanza  della  questione  in  concreto  sollevata  ai  fini  della
 decisione del ricorso, promosso sull'esclusivo presupposto della  non
 debenza     dell'obbligazione     tributaria    per    illegittimita'
 costituzionale della legge istitutiva dalla nuova imposta, il giudice
 a  quo  denuncia  il  contrasto delle norme impugnate con i parametri
 costituzionali invocati sotto il profilo che le  prime,  commisurando
 la  capacita' contributiva del soggetto inciso alla disponibilita' di
 una  certa  superficie,  con  una  mera  operazione  presuntiva   non
 suffragata  da alcuna certezza, determinerebbero situazioni di palese
 iniquita'.
    1.2.  -  Si  e' costituito in giudizio l'originario ricorrente con
 una memoria nella quale ha diffusamente illustrato ragioni identiche,
 analoghe o ulteriori rispetto a quelle poste a base dell'ordinanza di
 rimessione, ribadendo la irrazionalita' della scelta  effettuata  dal
 legislatore  in  ordine ai presupposti di fatto della nuova imposta e
 la non conformita'  di  essa  con  i  principi  costituzionali  della
 capacita' contributiva e dell'eguaglianza in materia tributaria.
    1.3. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, eccependo in  via  preliminare  la  inammissibilita'  della
 questione  sotto  il  triplice  profilo  del  difetto  temporaneo  di
 giurisdizione del giudice a quo (art. 20 del d.P.R. 26 ottobre  1972,
 n.  638, richiamato dall'art. 4, comma ottavo, del D.L. 2 marzo 1989,
 n. 66, come convertito in legge), dell'incompetenza per  materia  del
 Pretore  adito  (art.  9,  comma secondo, c.p.c.) e del difetto delle
 condizioni di ammissibilita' del procedimento di  ingiunzione  (artt.
 633 e segg. c.p.c.), sottolineando in particolare l'ininfluenza della
 questione e facendo riferimento all'ipotesi di una lite fittiziamente
 creata.
    Nel  merito  ha contestato il denunciato contrasto con i parametri
 costituzionali invocati, concludendo per  la  manifesta  infondatezza
 della  questione,  posto  che  le  norme  impugnate  non  commisurano
 l'imposta  alla  superficie  utilizzata,  cosi'  come  sostenuto  dal
 giudice    della    rimessione,    ma    pongono   come   presupposto
 dell'imposizione l'"esercizio" di un'attivita' economica  e  indicano
 l'elemento  della  superficie  come parametro correttivo ed ulteriore
 rispetto al presupposto principale del tributo.
    1.4. - In prossimita' dell'udienza di discussione la parte privata
 e l'Avvocatura generale dello Stato hanno  depositato  memorie  nelle
 quali controdeducono alle tesi avversarie.
    2.1. - Il TAR per l'Emilia Romagna, nel corso della fase cautelare
 di un giudizio diretto all'annullamento delle delibere con  le  quali
 il  Comune  di  Bologna  ha  determinato,  per  l'anno 1989 la misura
 dell'imposta comunale per l'esercizio di imprese, arti e  professioni
 (ICIAP),  con ordinanza del 26 luglio 1989, ha sollevato questione di
 legittimita' costituzionale, sempre in riferimento agli artt. 3 e  53
 della  Costituzione,  degli  articoli  da 1 a 6 della legge 24 aprile
 1989, n. 144, che ha convertito in legge, con modificazioni, il  D.L.
 2  marzo  1989,  n.  66 (Disposizioni urgenti in materia di autonomia
 impositiva degli enti locali  e  di  finanza  locale)  nonche'  della
 tabella allegata, ritenendo la rilevanza della questione medesima, ai
 fini del merito del ricorso, in quanto  riferita  a  norme  di  legge
 istitutive  del  tributo, applicabili nella fattispecie poiche' su di
 esse si fondano i provvedimenti amministrativi impugnati.
    Il  giudice  rimettente  dubita  della legittimita' costituzionale
 delle norme denunciate, che  assumono  quale  indice  di  rivelazione
 dell'esercizio  di  una  professione,  arte  o  impresa, e quindi del
 reddito da esso derivante, la superficie dei locali utilizzati ovvero
 la  loro  ubicazione,  giacche'  tali  indici  sarebbero  di  per se'
 inidonei  sia  alla  individuazione  di   una   effettiva   capacita'
 contributiva  del  soggetto obbligato all'imposta, sia all'osservanza
 del principio costituzionale di pari trattamento.
    2.2.  - Si sono costituite in giudizio le parti private, ribadendo
 la irragionevolezza della  normativa  impugnata  che  al  presupposto
 impositivo  (l'esercizio  appunto  di  impresa,  arte  o professione)
 attribuirebbe,  con  presunzione  assoluta,  la  qualita'  di  indice
 rivelatore di una capacita' contributiva commisurabile in ragione del
 settore di attivita' e  dell'entita'  e  della  localizzazione  degli
 immobili utilizzati, cosi' determinando una disparita' di trattamento
 tra contribuenti non collegata ad una effettiva e specifica idoneita'
 del soggetto all'obbligazione tributaria.
    2.3.  -  E'  altresi'  intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri, il quale ha  innanzi  tutto  eccepito  la  inammissibilita'
 della  questione per nullita' assoluta della ordinanza di rimessione,
 emessa nel corso della  fase  cautelare  in  violazione  delle  norme
 processuali  a  tutela  della regolarita' del contradditorio ed anche
 per temporaneo difetto della competenza funzionale del Collegio.
    Sotto  altro  profilo  la  difesa dello Stato ha, poi, eccepito la
 irrilevanza della proposta questione, in quanto estranea alla materia
 del  contendere,  quale delineata dall'oggetto del giudizio; poiche',
 infatti, questo e' costituito esclusivamente dalle delibere  comunali
 impugnate,   che   hanno   in   concreto   determinato   la  "misura"
 dell'imposta, dall'eventuale accoglimento del ricorso  puo'  derivare
 soltanto  l'annullamento di quegli atti, con conseguente applicazione
 - in assenza di rinnovazione dei provvedimenti -  dell'imposta  nella
 misura  minima  legale, ma non puo' invece discendere la soppressione
 del tributo in sede locale. La questione pertanto, coinvolgendo,  non
 il quantum debeatur, ma l'an debeatur, non si pone come pregiudiziale
 rispetto alla decisione del ricorso principale.
    Nel  merito  la difesa erariale sostiene la inconsistenza di tutte
 le doglianze.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Sono state sollevate dal Pretore di Bologna e dal Tribunale
 amministrativo  regionale   per   l'Emilia   Romagna   questioni   di
 legittimita'  costituzionale degli artt. da 1 a 6 del decreto legge 2
 marzo 1989, n. 66, convertito dalla legge 24  aprile  1989,  n.  144,
 nonche'  della  tabella  allegata,  con  i quali e' stata istituita e
 disciplinata l'imposta comunale per l'esercizio delle imprese, arti e
 professioni.
    Ad  avviso  dei giudici rimettenti le norme impugnate sarebbero in
 contrasto con  gli  artt.  3  e  53  della  Costituzione,  in  quanto
 commisurano  la  capacita'  contributiva  del  soggetto  inciso  alla
 disponibilita' di una certa superficie e in  quanto  sarebbe  colpita
 dall'imposta   solo   una   categoria   di  cittadini  rispetto  alla
 generalita'; inoltre,  nello  stesso  contesto  di  coloro  che  sono
 assoggettati    al    tributo,    si    opererebbero   ingiustificate
 differenziazioni  e  cio'  anche  in  considerazione  della  facolta'
 riconosciuta  ai comuni di applicare "l'aliquota con un alto tasso di
 discrezionalita'".  In  particolare   il   Tribunale   amministrativo
 regionale  dell'Emilia Romagna si duole che la legge affidi al comune
 di determinare la  misura  dell'imposta  entro  i  livelli  minimi  e
 massimi  della  tabella,  con criteri sempre riferiti alla superficie
 pretendendo di ravvisarvi un riferimento al reddito ricavabile, cosi'
 creandosi   disparita'  di  trattamento  nell'ambito  del  territorio
 nazionale  fra  contribuenti  appartenenti  a   diversi   comuni   e,
 nell'ambito  di  ciascuno  di  questi,  tra  coloro  la cui attivita'
 produttiva e' localizzata nelle c.d. zone speciali.
    2.  -  Poiche'  le  ordinanze  prospettano  medesime  questioni, i
 giudizi possono essere riuniti.
    3.1 - Entrambe le questioni sono inammissibili.
    Come  risulta  dalla  narrativa in fatto, il Pretore di Bologna ha
 sollevato la questione nel corso di un giudizio monitorio promosso da
 un  soggetto  tenuto all'imposta, nei confronti di un commercialista,
 per ottenere la restituzione di una somma, che il primo aveva inviato
 al secondo allo scopo di fargli effettuare il versamento del tributo,
 se questo fosse risultato dovuto.
    L'incarico  era  stato pero' successivamente revocato in relazione
 ad una asserita "incostituzionalita'"  dell'imposta,  ma  la  persona
 incaricata  aveva  dichiarato  che  avrebbe  ugualmente effettuato il
 versamento  ritenendo,  invece,   costituzionalmente   legittimo   il
 tributo.
    Cio'    premesso,    deve    essere   condivisa   l'eccezione   di
 inammissibilita' formulata dalla  Avvocatura  generale  dello  Stato,
 perche'  -  ai fini della emanazione del decreto ingiuntivo richiesto
 sulla base dei documenti  scritti,  costituiti  dalla  corrispondenza
 intercorsa fra le parti in ordine alla vicenda predetta - risulta che
 il giudice adito non debba fare applicazione delle norme  denunciate.
    Difatti  viene  in  discussione  la  disciplina  del mandato e, in
 particolare, si tratta di una causa da decidersi esclusivamente sulla
 base  degli  artt.  1711  (obbligo  del  mandatario  di  osservare le
 istruzioni del mandante) e 1723 (potere del mandante di  revocare  il
 mandato):  quindi  chiaramente di una controversia che intercorre tra
 due privati e che va risolta in base  alle  disposizioni  del  codice
 civile.
    In realta' non sussiste affatto la questione proposta, la quale e'
 artificiosamente  formulata,  sicche'  si  impone  la  pronuncia   di
 inammissibilita'.
    3.2.  - Per quel che concerne la questione sollevata dal Tribunale
 amministrativo  regionale  per  l'Emilia-Romagna,   essa   non   puo'
 naturalmente  riguardare gli artt. 1, 3, 4, 5 e 6 del decreto legge 2
 marzo 1989, n. 66, come convertito nella legge  24  aprile  1989,  n.
 144,  di  cui  il  Tribunale  amministrativo  regionale non deve fare
 applicazione, in quanto attengono alla  istituzione  dell'imposta  ed
 alle  modalita'  di  liquidazione  e riscossione e cioe' agli aspetti
 propri della pretesa tributaria. Il giudizio a quo concerne invece la
 impugnativa  delle  deliberazioni  -  peraltro non necessarie ai fini
 della applicazione del tributo (art.  2,  comma  quarto,  del  citato
 decreto  legge)  -  adottate  dal  Comune in base alla norma a questo
 attributiva del potere di determinazione della  misura  dell'imposta,
 nell'ambito  dei  livelli  minimi  e  massimi  indicati nella tabella
 allegata al provvedimento legislativo, cioe' in base all'art.  2  del
 decreto legge stesso che, costituendo l'antecedente logico necessario
 rispetto agli atti impugnati, e' quello che riguarda  il  giudizio  a
 quo.
    Ma,  pur  cosi'  precisato  l'ambito della questione, questa e' in
 ogni caso inammissibile perche' il Tribunale amministrativo regionale
 dell'Emilia  Romagna l'ha sollevata nella Camera di consiglio fissata
 per la sospensiva delle deliberazioni impugnate, ma dopo aver accolto
 l'istanza  cautelare.  La questione percio' non era piu' rilevante ai
 fini del giudizio cautelare perche' il  giudice,  ormai,  secondo  il
 principio  avente  portata  generale  affermato da questa Corte nella
 sentenza n. 186 del 1976, "aveva esaurito ogni sua potesta' in quella
 sede"   e  non  aveva  ancora,  come  invece  asserito,  potesta'  di
 provvedere in ordine alla successiva  fase  di  merito  del  giudizio
 pendente.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara  inammissibili  le  questioni  di
 legittimita' costituzionale degli artt. da 1  a  6  e  della  tabella
 allegata  al  decreto legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti
 in materia di autonomia impositiva degli enti  locali  e  di  finanza
 locale) convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 1989, n.
 144, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 della  Costituzione,
 dal  Pretore  di Bologna e dal Tribunale amministrativo regionale per
 l'Emilia Romagna con le ordinanze indicate in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, il 13
 dicembre 1989.
                          Il Presidente: SAJA
                        Il redattore: CAIANIELLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 22 dicembre 1989.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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