N. 587 ORDINANZA 13 - 29 dicembre 1989

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Coniugi - Separazione personale - Appello avverso le sentenze
 pubblicate dopo l'introduzione della nuova normativa - Decisione  in
 camera di consiglio - Violazione del diritto di difesa Medesima
 questione gia' dichiarata non fondata (sentenza n.  543/1989) -
 Manifesta infondatezza.
 
 (Legge 1Πdicembre 1970, n. 898, artt. 4, dodicesimo comma, come
 sostituito dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74, e 23 della
 stessa legge).
 
 (Cost., artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 101, primo comma).
(GU n.2 del 10-1-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.   Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  comma
 dodicesimo, della legge 1Πdicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi
 di  scioglimento  del  matrimonio), come sostituito dall'art. 8 della
 legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei  casi  di
 scioglimento  di  matrimonio),  nonche'  dell'art. 23 di quest'ultima
 legge, promosso con ordinanza emessa l'11  aprile  1989  dalla  Corte
 d'appello  di  Trento  nel  procedimento civile vertente tra Odorizzi
 Giovanni e Da Roit Mara in Odorizzi, iscritta al n. 292 del  registro
 ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1989;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 25 ottobre 1989 il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto  che,  nel  corso di un giudizio di separazione personale
 fra coniugi, la Corte d'appello di Trento, con ordinanza in  data  11
 aprile  1989, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma,
 24, secondo comma, e 101, primo comma, della Costituzione,  questione
 di  legittimita'  costituzionale dell'art. 4, comma dodicesimo, della
 legge 1Πdicembre 1970, n. 898, (Disciplina dei casi di  scioglimento
 del  matrimonio),  come  sostituito  dall'art.  8 della legge 6 marzo
 1987, n. 74, (Nuove norme sulla disciplina dei casi  di  scioglimento
 di  matrimonio)  -  a  tenore del quale l'appello avverso le sentenze
 pronunciate nei giudizi per ottenere lo scioglimento o la  cessazione
 degli   effetti  civili  del  matrimonio  "e'  deciso  in  camera  di
 consiglio" - nonche' dell'art. 23 di quest'ultima legge, che  estende
 la  suindicata  disciplina  alle  sentenze pronunciate nei giudizi di
 separazione personale tra coniugi;
      che, ad avviso del giudice a quo, le norme impugnate, prevedendo
 il rito camerale per il solo giudizio di appello in  una  materia  in
 cui lo stesso legislatore ha ritenuto necessaria per il primo grado e
 per il giudizio di cassazione sempre la forma contenziosa  ordinaria,
 esulerebbero  dai limiti della ragionevolezza e da quelle circostanze
 eccezionali che sole consentirebbero di rinunciare al criterio  della
 pubblicita'  dell'udienza  collegiale  (art.  101, primo comma, della
 Costituzione);
      che,  inoltre,  la scarna normativa dettata per il rito camerale
 parrebbe insufficiente a regolare un processo altamente  conflittuale
 "quale  quello  in  cui  si  accertano addebitabilita' di separazione
 personale", e non consentirebbe "il normale esercizio di facolta'  di
 prova", cosi' violando gli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma,
 della Costituzione;
      che  anzi  la prima delle norme denunciate neppure stabilisce le
 norme procedurali  applicabili  nei  giudizi  di  appello,  cosi'  da
 risultare illegittima per genericita';
      che non si e' costituita alcuna parte privata;
      che  e'  invece  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri, osservando che il giudice remittente ha  omesso  la  scelta
 interpretativa  in  ordine  alle  norme  procedurali  applicabili  al
 giudizio di appello in materia di rapporti personali  tra  coniugi  e
 che pertanto, sotto tale profilo, la questione e' inammissibile;
      che  comunque,  sempre  ad  avviso dell'interveniente, il tenore
 letterale  della  prima  delle  norme  denunciate  consentirebbe   di
 escludere  che  l'impugnazione si risolva nel reclamo di cui all'art.
 739  del   codice   di   procedura   civile,   sicche'   inconferenti
 apparirebbero  le  censure  inerenti  alla  pretesa  sommarieta'  del
 giudizio;
      che,  viceversa, dovrebbe ritenersi che la "camera di consiglio"
 sia prevista per la sola fase decisoria e valga soltanto ad escludere
 - salva specifica autorizzazione del giudice - lo scambio di comparse
 conclusionali e/o la discussione  orale,  per  evidenti  esigenze  di
 rapidita'   e   di  riservatezza,  discrezionalmente  apprezzate  dal
 legislatore, senza alcuna  incidenza  sul  diritto  di  difesa  delle
 parti;
    Considerato   che   la   eccezione  di  inammissibilita',  dedotta
 dall'interveniente, va disattesa tenuto  conto  di  quanto  affermato
 nell'ordinanza  di rimessione, che non ritiene applicabili all'intera
 fase  di  appello  le  norme   procedurali   tipiche   del   processo
 contenzioso,  affermandosi dal giudice a quo che diversamente "non si
 vedrebbe quale utilita' pratica possa avere indotto il legislatore ad
 introdurre  il  (rito)  camerale rispetto alla (sola) fase finale del
 processo", e che, in tal modo, lo  stesso  giudice  ha  correttamente
 operato la scelta interpretativa delle norme denunciate;
      che,  nel  merito,  anche  se  il  rito camerale deve intendersi
 esteso a tutta la fase del giudizio di  appello,  la  Corte  ha  gia'
 dichiarato,  nella  sentenza n. 543 del 1989, non fondata la medesima
 questione di legittimita' costituzionale, con riferimento agli stessi
 parametri  ora invocati, perche' la prescrizione del rito camerale in
 appello assicura le necessarie garanzie processuali,  come  precisato
 in detta sentenza;
      che  non  risultano  in  questa sede formulati profili nuovi che
 possano indurre a diverso avviso, anche  per  quel  che  concerne  la
 pubblicita' delle udienze, in quanto questa Corte, dovendone valutare
 di volta in volta l'esigenza con riferimento alla natura del processo
 preso  in  considerazione  (sent. n. 212 del 1986), l'ha ritenuta non
 indispensabile a quello ora in  esame,  tenuto  conto  del  grado  di
 giudizio e del tipo di controversia trattata;
      che, pertanto, la questione e' manifestamente infondata.
    Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953 n. 87
 e 9, comma secondo, delle Norme integrative per i giudizi davanti  la
 Corte costituzionale;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale degli  artt.  4,  comma  dodicesimo,  della  legge  1Œ
 dicembre  1970,  n.  898,  (Disciplina  dei  casi di scioglimento del
 matrimonio), come sostituito dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n.
 74  (Nuove  norme  sulla  disciplina  dei  casi  di  scioglimento del
 matrimonio), nonche' dell'art. 23 di quest'ultima  legge,  sollevata,
 in  riferimento  agli  artt. 3, primo comma, 24, secondo comma e 101,
 primo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Trento, con
 l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1989.
                          Il Presidente: SAJA
                        Il redattore: CAIANIELLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1989.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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