N. 696 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 ottobre 1989

                                 N. 696
 Ordinanza  emessa  il  26  ottobre  1989  dal  tribunale  di Como nel
 procedimento civile vertente tra Bulgheroni Clementina e I.N.P.S.
 Previdenza  e  assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Criteri, piu'
 favorevoli ai pensionati, di determinazione delle pensioni, stabiliti
 dalla legge n. 297/1982 - Mancata previsione dell'estensione di detti
 criteri al calcolo  delle  pensioni  liquidate  anteriormente  al  30
 giugno  1982 - Ingiustificata disparita' di trattamento di situazioni
 identiche  in  base  al  mero  elemento  temporale  -  Ingiustificata
 violazione   del   principio  della  retribuzione  (anche  differita)
 proporzionata alla quantita' e qualita' del lavoro prestato,  nonche'
 di  quello dell'assicurazione di mezzi adeguati alle esigenze di vita
 del lavoratore in caso di vecchiaia.
 (Legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, ottavo e undicesimo comma).
 (Cost., artt. 3, 36 e 38).
(GU n.2 del 10-1-1990 )
                              IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nella causa civile in grado
 di  appello  iscritta  al  Ruolo  generale  n.  75/87,  pendente  fra
 Clementina  Bulgheroni,  con  gli avvocati Biagio Giancola e Bruno M.
 Giordano,  appellantee,  e   l'I.N.P.S.,   con   l'avv.   Pietropoli,
 appellata.
                            OSSERVA IN FATTO
    Clementina  Bulgheroni, con ricorso al pretore di Como giudice del
 lavoro, in data 28 gennaio 1986 esponeva di aver lavorato sino al  31
 dicembre   1971  in  qualita'  di  impiegata;  di  avere  ripreso  la
 contribuzione all'I.N.P.S. con versamenti volontari dal  1973  al  30
 giugno  1979;  di  avere richiesto la pensione nel marzo 1980, che le
 era stata liquidata a far tempo dal 1› aprile 1980 in  misura  di  L.
 142.950  (dunque da integrarsi a un minimo). Aggiungeva che con legge
 29 maggio 1982, n. 297, era  stato  stabilito  un  nuovo  sistema  di
 calcolo  della  pensione, rivalutando le basi contributive di ciascun
 anno anteriore, e cosi' finalmente recependo un'istanza correttiva di
 una   iniquita'  del  sistema  precedente  collegata  con  una  forte
 inflazione. Tuttavia tale nuovo sistema di calcolo era stato previsto
 a  partire dalle pensioni liquidate posteriormente al 30 giugno 1982,
 perdurando dunque per lei il trattamento  applicato  con  i  criteri,
 molto  angusti,  della  legge  del  1975.  Deduceva  l'illegittimita'
 costituzionale  della  norma  citata  e  chiedeva   nel   merito   la
 riliquidazione della sua pensione.
    L'I.N.P.S. si opponeva alla domanda, affermando di avere applicato
 esattamente la legge 3 giugno 1975, n. 160.
    Con sentenza 21 aprile 1987 il pretore respingeva la domanda.
    Contro la sentenza ha proposto appello la Bulgheroni, riproducendo
 le medesime argomentazioni. L'I.N.P.S. ha resistito.
                           OSSERVA IN DIRITTO
    1.  -  La  questione  e'  rilevante.  Infatti  se fosse fondata la
 censura di  illegittimita'  dell'art.  3  della  legge  n.  297/1982,
 spetterebbe  all'attrice,  a decorrere dall'entrata in vigore di tale
 legge, una pensione  di  ammontare  superiore  a  quello  attualmente
 riscosso.  Il  punto  non  e'  controverso,  e  peraltro la sensibile
 diversita' dei risultati dei conteggi e'  documentata  ampiamente  in
 atti.
    2. - La questione non e' manifestamente infondata.
    La  situazione  che  scaturisce  dalla  norma denunciata, la quale
 disponendo  un  nuovo  criterio  di  calcolo  per  l'ammontare  della
 pensione (in sostituzione del vecchio criterio in vigore dal 1975) ha
 conservato ultrattivita' al vecchio criterio  per  le  pensioni  gia'
 liquidate,  ha  finito  sostanzialmente  per instaurare un sistema di
 doppio binario, riservando il trattamento reputato  equo  ai  "nuovi"
 pensionati e lasciando sul binario morto i "gia'" pensionati.
    Per  un'esatta  intuizione della prospettiva entro la quale questo
 tribunale ritiene di dover inquadrare la questione, giova  premettere
 un  rilievo  di  metodo:  non  e'  dal  confronto fra due sistemi (di
 calcolo) previdenziali,  in  se',  che  muove  il  dubbio  di  questo
 giudice,   si   che   esso   possa   semplicisticamente   sciogliersi
 nell'assioma  che  in  tempi  diversi  vigono  legittimamente   leggi
 diverse,  o che la soggezione ad un regime piuttosto che ad un altro,
 secondo il tempo in cui  e'  maturato  il  diritto  alle  prestazioni
 rispettivamente   previste   rende  "non  comparabili"  le  posizioni
 giuridiche soggettive, o che il sistema pensionistico  segue  riforme
 graduali,  eccetera.  Il  punto  focale  del  dubbio  di legittimita'
 costituzionale della norma e' il fatto che i "nuovi" pensionati  e  i
 "gia'"  pensionati,  sono tutti "attuali pensionati". E' ben vero che
 la  legge  dispone  per  l'avvenire,  e  non  e'  in  discussione  il
 trattamento  "passato"  dei gia' pensionati; ma non si puo' intendere
 che in tema di un diritto "durevole" com'e' il  diritto  a  pensione,
 proiettato  sull'avvenire,  il  trattamento  che  per  l'avvenire  si
 riserva ad alcuni sia smisuratamente diverso dal trattamento  che  si
 riserva  ad  altri, solo perche' per i primi si era gia' cominciato a
 provvedere con una determinata misura, che per gli altri (i nuovi) si
 ritiene insufficiente e iniquia.
    L'avvenire  e'  simultaneo  e  contestuale,  per gli uni e per gli
 altri. Il fondamento del diritto sta nelle medesime esigenze  vitali:
 quelle   indicate   nell'art.   38   della   Costituzione,   il   cui
 soddisfacimento puo' essere modulato in relazione  alla  quantita'  e
 qualita'  del  lavoro  prestato (fermo il vincolo della sufficienza a
 condurre una vita libera e dignitosa). In altre parole, il diritto e'
 "la   pensione"   (prestazione  tipicamente  di  durata)  e  non  "il
 pensionamento".
    Anche  piu'  agevole  e' cogliere l'origine del dubbio se fa conto
 che  il  passato  lavorativo  e  contributivo  puo'  essere   persino
 pressoche' identico (si ponga mente a chi va in pensione il 30 giugno
 1982 rispetto a chi va in pensione il 1› luglio 1982,  entrambi  dopo
 una  vita  di  lavoro);  ma  il  nocciolo  resta  la  simultaneita' e
 durevolezza  del  diritto  dimensionato  dalla  Costituzione;  e   si
 dovrebbe   supporre   che   la  Costituzione  si  ispiri  a  principi
 egualitari, se  si  collega  l'art.  38  all'art.  3.  Cosicche',  la
 disparita'  di  trattamento,  a  parita'  di  diritti soggettivi e di
 condizione giuridica  (perche'  proprio  questo  si  presuppone:  che
 l'elemento  differenziatore sia soltanto la mutata formula aritmetica
 di calcolo, applicato o non applicato - per sempre - secondo  che  il
 pensionamento  sia  iniziato  prima o dopo il 30 giugno 1982), appare
 stridente. E si dovrebbe dunque trovare una giustificazione razionale
 alla  disparita',  cosi'  punitiva  nei confronti di persone che, per
 avere patito le insufficienze del trattamento  pensionistico  vecchio
 (e  aver  fornito  cosi'  un'immagine  vivente  di  un'ingiustizia da
 correggere, al  punto  che  il  legislatore  si  e'  dato  proprio  a
 correggerla  con  la nuova legge, aggiustando la formula di calcolo),
 vengono mantenuti in quella insufficienza, ed esclusi proprio da quel
 risultato   di  realizzazione  del  diritto,  la  cui  coscienza  era
 affiorata vedendone la precedente compressione.
    L'analisi  dei  rilievi  precedenti  puo' essere approfondita alla
 luce dell'insegnamento della stessa Corte costituzionale:
       a) sul carattere retributivo delle pensioni, sul corollario per
 cui il trattamento  di  quiescenza  deve  essere  proporzionale  alla
 qualita'   e  alla  durata  del  servizio  prestato,  sulla  funzione
 sostentativa della pensione, che deve assicurare al pensionato e alla
 sua  famiglia  un'esistenza  libera  e dignitosa, sono illuminanti le
 sentenze nn. 26/1980, 349/1985 e 501/1988;
       b)  sulla  variabilita'  della disciplina pensionistica attuata
 dal legislatore "storico", con evoluzione graduale e per  tappe,  non
 senza  incertezze  e passi falsi (si rammenti la sentenza n. 349/1985
 della  Corte  costituzionale,  che  mando'  esente  da  censura   una
 disciplina  che  pur  non  rispondeva  "a criteri di ragionevolezza e
 proporzionalita'",  perche'  duro'  poco  e  il  legislatore  poi  la
 corresse),   questo  tribunale  non  ignora  che  i  criteri  per  la
 determinazione della pensione possono essere in astratto diversi.
    Non  si sostiene, infatti, che la formula di calcolo seguito dalla
 legge 3 giugno 1975, n. 160,  art.  26,  debba  essere  censurata  in
 termini  assoluti.  (Essa,  come  e'  noto,  prende  come criterio di
 riferimento le retribuzioni del decennio precedente  (520  settimane)
 scegliendo  i  tre  gruppi annui piu' favorevoli). Non c'era nulla di
 irrazionale.
    Ma  e'  la  prospettiva  storica  che  spiega il perche' della sua
 correzione da parte  del  legislatore:  scatenatasi  la  tempesta  di
 un'inflazione   senza  precedenti,  il  peso  specifico  delle  somme
 relative  a  periodi  pregressi  e  lontani  (dieci   anni)   scemava
 fortemente;  e  senza  un  coefficiente  equalizzatore degli elementi
 valutari, secondo il tempo di  riferimento,  si  potevano  verificare
 forti  squilibri.  Il  legislatore  dunque  corresse  la formula, non
 perche' la formula era nata cattiva, ma perche' gli eventi esterni, e
 imprevedibili, l'avevano fatta diventare inadeguata.
    Il  rimedio  disposto dalla legge n. 297/1982 fu appunto nel senso
 che la base di calcolo della retribuzione pensionabile  fosse  quella
 dell'ultimo  quinquennio  (260  settimane),  eppero' "rivalutando" la
 retribuzione media settimanale secondo  gli  indici  Istat  (art.  3,
 undicesimo comma). Cio' ha portato ad una sostanziale omogenizzazione
 delle retribuzioni dei vari anni.
    A questi parametri dunque e' stata fissata la determinazione della
 pensione, a partire dal 1› luglio  1982.  Con  sostanziale  giustizia
 resa ai pensionati la cui liquidazione sia avvenuta dopo il 30 giugno
 1982. Ma nulla  e'  stato  detto  circa  il  livello  delle  pensioni
 liquidate in precedenza, a favore di lavoratori che avevano magari la
 stessa anzianita' contributiva  e  la  stessa  base  retributiva,  ma
 collocati in pensione qualche giorno (o qualche tempo) prima. E per i
 quali l'inflazione aveva provocato i medesimi  effetti  che  per  gli
 altri,  e  che  l'indomani avrebbero ancora dovuto sostentarsi con la
 pensione, durevolmente.
    E'  ben  vero che la Corte ha piu' volte detto che l'aggiustamento
 delle leggi e' progressivo, e le riforme sono graduali.  Tuttavia  il
 problema  non  e'  quello di portare "a ritroso" il nuovo criterio di
 calcolo a favore dei pensionati che hanno gia' avuta la  liquidazione
 pregressa,  quasi lamentando di non aver avuto "a suo tempo" quel che
 vien dato come giusto agli altri "nuovi" pensionati; il  problema  e'
 di  verificare  se sia conforme ai precetti costituzionali che "d'ora
 in poi" vi sia ragione di trattare diversamente situazioni giuridiche
 che  "nell'attualita'"  sono  uguali;  uguali  sia  per il curriculum
 lavorativo pregresso, sia per il bisogno di sostentamento.
    Non    mancano,   nella   passata   giurisprudenza   della   Corte
 costituzionale,   sentenze   che   hanno   dichiarato   l'illegittima
 violazione  del  principio  di  eguaglianza in casi che hanno qualche
 analogia con la presente fattispecie: vedi la  sentenza  n.  101/1981
 circa  il  d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, e la data discriminante del
 30 aprile-1› maggio 1968; vedi la sentenza  n.  37/1977  in  tema  di
 illegittimita'  dell'art.  9  della  legge  30  aprile  1969,  n. 153
 (discriminante la data del 31 dicembre 1968-1› gennaio 1969).
    Rammentando  quel  che  affermo' la Corte nella sentenza citata n.
 349/1985, sulle iniquita' "temporanee" delle leggi, si  potrebbe  ben
 dire  che l'aver tardato il legislatore sino al 1982 a correggere gli
 effetti   distorsivi   dell'inflazione   sulle   pensioni   liquidate
 nell'intervallo a partire dal 1975 sfugge a censura. Ma a censura non
 dovrebbe sfuggire il fatto che a tutti coloro che ne avevano sofferto
 dal 1975 al 1982, e' stata fatta con l'art. 3 undicesimo comma, della
 legge n. 297/1982 una  perpetuatio  iniuriae  per  tutto  l'avvenire,
 proprio  mentre  si  salvaguardavano  gli  altri,  i  nuovi,  da tale
 iniuria.
    Non  si  tratta  dunque di ridare ai vecchi pensionati quel che la
 sopraggiunta e progrediente inadeguatezza della  vecchia  formula  di
 calcolo gli ha sottratto in passato; ma almeno senza piu' condannarli
 all'esclusione, per il futuro, da quello che si tien giusto dare agli
 altri.
    3.  -  Per completezza, si puo' annotare ancora che anche sotto il
 profilo dell'art. 36 della Costituzione, letto in chiave  egualitaria
 in  relazione  all'art.  3,  si  coglie  un  altro  profilo di dubbia
 legittimita': se si accorda al sistema della nuova formula di calcolo
 "equalizzato"  della  legge  n.  297/1982  un  giudizio  positivo sul
 rispetto del parametro dell'esistenza "libera  e  dignitosa",  ci  si
 accorge  che la perpetuatio del vecchio livello per i gia' pensionati
 li puo' condurre (come accade nella fattispecie di causa) a una cifra
 inferiore al minimo, si' da richiedere l'integrazione.
    Ma  ognun  vede  che,  rispetto al principio di eguaglianza, altra
 cosa e' la pensione che  il  legislatore  ritiene  oggi  conforme  al
 precetto  di  sufficienza,  altra  cosa  e'  il  rimedio  estremo  di
 un'integrazione senza la quale manca persino il sostentamento. Non si
 capisce  quale  rispetto  del  principio  di  eguaglianza correlato a
 quello  di  adeguatezza  vi  sia  nel  disporre  oggi  una   pensione
 "adeguata", continuando pero' ad erogare ai cittadini gia' pensionati
 una misura che risulta tautologicamente  "non  adeguata"  secondo  il
 criterio della adeguatezza che oggi ha il legislatore.
    4.  -  Si  puo' far cenno, per quanto rileva, che la Corte ha gia'
 avuto modo di pronunciarsi sulla illegittimita' dell'art.  3,  ottavo
 comma,  della legge n. 297/1982, con la sentenza n. 822 del 14 luglio
 1988, seppure in ipotesi differente.
    Conclusivamente,  per  metafora  si potrebbe sintetizzare cosi' il
 dubbio di questo tribunale: un tempo il legislatore pensava che  alla
 vita  del  pensionato  bastasse un pane; e nessuno lo censura. Poi si
 avvide che, da un  certo  tempo  in  poi,  occorrevano  due  pani,  e
 stabili'  di attribuirli; ma a quelli che all'inizio avevano avuto un
 solo pane, decise che un solo pane continuasse a bastare.
                                P. Q. M.
    Dichiara non manifestamente infondata, per contrasto con gli artt.
 3,  36  e  38  della  Costituzione  la  questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art. 3, ottavo comma, e 11 della legge 29 maggio
 1982, n. 297, nella parte in cui non estende, a decorrere  dalla  sua
 entrata in vigore, alle pensioni liquidate anteriormente al 30 giugno
 1982 i criteri di calcolo previsti per  le  pensioni  con  decorrenza
 posteriore;
    Sospende  il  giudizio  e  ordina  la trasmissione degli atti alla
 Corte costituzionale;
    Dispone  che  la presente ordinanza sia notificata alle parti e al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti  dei
 due rami del Parlamento, e che il fascicolo si a trasmesso alla Corte
 costituzionale.
      Como, addi' 26 ottobre 1989
                         Il presidente: ANZANI

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