N. 27 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 1989- 15 gennaio 1990

                                 N. 27
 Ordinanza emessa l'11 marzo 1989 (pervenuta alla Corte costituzionale
    il 15 gennaio 1990) dal pretore di Padova, sezione distaccata di
  Cittadella, nel procedimento penale a carico di Gregori Giacinto ed
                                 altri
 Edilizia  e urbanistica - Regione Veneto - Facolta' di ampliamento di
 fabbricati  adibiti  ad  attivita'  di  produzione   artigianale   ed
 industriale,  nonche' ad attivita' commerciali, anche ricadenti, alla
 data del 3 gennaio  1979,  in  zone  non  destinate  dagli  strumenti
 urbanistici  a  insediamenti  produttivi o commerciali Ingiustificata
 disparita' di  trattamento  dei  titolari  di  attivita'  artigianali
 commerciali  o  industriali  alla data del 3 gennaio 1979 rispetto ai
 titolari delle stesse attivita' dopo tale data Irragionevolezza della
 denunciata   normativa   di  carattere  eccezionale  per  la  proroga
 reiterata dei termini di  sanatoria  in  violazione  degli  strumenti
 urbanistici e per il riferimento della sanatoria all'attivita' svolta
 anziche'   al   volume   edificatorio   Mancata   considerazione   di
 fondamentali  esigenze  di  tutela ambientale - Violazione dei limiti
 della competenza regionale in materia di edilizia e  urbanistica  per
 la  sanatoria  di abusi edilizi anche futuri - Richiamo alla sentenza
 della Corte n.  13/1980.
 (Legge  regione  Veneto  12  gennaio  1982,  n. 1, artt. 1 e 2; legge
 regione Veneto 15 gennaio 1985, n. 7, art. 1; legge regione Veneto  5
 marzo 1987, n. 11, articolo unico, terzo comma, e ultimo comma; legge
 regione Veneto 30 marzo 1988, n. 17, art. 2).
 (Cost., artt. 3, 9, 41 e 117).
(GU n.5 del 31-1-1990 )
                               IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
                           PREMESSO IN FATTO
    Con  rapporto  del  31 maggio 1988 i carabinieri della stazione di
 Galliera Veneta riferivano al pretore di  Cittadella  che  a  seguito
 della  concessione  edilizia  n.  58/1985  rilasciata  dall'assessore
 delegato all'edilizia dal sindaco di  Tombolo  ai  sensi  della  l.r.
 Veneto  n.  1/1982 la S.c.n. Setificio di Tombolo aveva provveduto in
 zona agricola alla costruzione di un  manufatto  ad  uso  industriale
 terminato  nel  1987  e  precisavano  che  pur  avendo formalmente ad
 oggetto la rilasciata concessione l'ampliamento  di  un  preesistente
 manufatto  (e  pur  essendo  l'opera  realizzata  conforme  a  quella
 assentita dall'autorita' comunale come dimensioni ed ubicazione),  in
 realta'  tra  le  due  costruzioni  vi  era  circa  un  chilometro di
 distanza.
    Nel corso di ulteriori indagini si appurava che:
      la    concessione   edilizia   richiesta,   tra   l'altro,   con
 l'assicurazione del mantenimento del livello occupazionale, mentre  i
 titolari  della  S.n.c.  Setificio  di  Tombolo,  costruito  il nuovo
 manufatto, avevano licenziato tutti i  dipendenti  con  il  prestesto
 della cessazione di attivita' (pur continuando in realta' l'attivita'
 nel nuovo capannone senza lavoratori subordinati) ed avevano locato a
 terzi il vecchio fabbricato che si sarebbe dovuto "ampliare";
      le  "documentate  esigenze" richieste dalla legge per consentire
 il rilascio della concessione consistevano in una semplice  relazione
 a firma del progettista e direttore dei lavori;
      la  concessione  prevedeva  la  parziale demolizione del vecchio
 fabbricato (al fine di consentire la costruzione del nuovo  capannone
 con  le  dimensioni richieste); proprio tale parte del fabbricato era
 stata nel dicembre 1987 (quando cioe' il nuovo  capannone  era  stato
 ormai  ultimato)  interessata  da  un incendio accidentale coperto da
 assicurazione contro i danni e poco dopo  tutti  i  dipendenti  erano
 stati licenziati.
    Il  pretore,  accertate  le  modalita'  con  le  quali  era  stata
 rilasciata la concessione ed esaminati i documenti posti  a  supporto
 della stessa, spediva comunicazione giudiziaria a carico dei soggetti
 interessati all'attivita'  edificatoria  (committenti,  direttore  ed
 assuntore dei lavori), di coloro che avevano rilasciato dichiarazioni
 poste  a  sostegno  della  domanda  di  concessione  e  dei  pubblici
 amministratori  che  avevano  favorito  il rilascio della concessione
 edilizia n. 58/1985,  nonche'  (come  persone  offese)  a  tutti  gli
 ex-dipendenti della S.n.c. Setificio di Tombolo licenziati.
    Tuttavia,  prima  di  procedere  al compimento di atti istruttori,
 deve il pretore prendere atto del  contenuto  della  l.r.  Veneto  n.
 1/1982  e  successive  modifiche ed integrazioni e delle sue concrete
 applicazioni tenendo conto (almeno in base  all'esame  dei  fascicoli
 pendenti presso questa pretura) che il caso di specie non e' isolato,
 ma evidenzia una dei molteplici espedienti che sono  stati  posti  in
 essere  in  attuazione  della  citata  normativa e rappresenta quindi
 soltando uno dei numerosissimi esempi delle modalita' di gestione del
 territorio da parte delle autorita' regionali e comunali.
                         CONSIDERATO IN DIRITTO
    Ritiene il pretore che debba essere sollevata di ufficio questione
 di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2 della l.r. Veneto 12
 gennaio 1982, n. 1, dell'art. 1 della l.r. Veneto 15 gennaio 1985, n.
 7, dell'articolo unico della l.r.  Veneto  5  marzo  1987,  n.  11  e
 dell'art. 2 della l.r. Veneto 30 marzo 1988, n. 17, per contrasto con
 gli artt. 3, 9, 41 e 117 della Costituzione.
    Come  doverosa  premessa  legislativa,  va  chiarito che: l'art. 1
 della l.r. Veneto n. 1/1982 suona: "E'  consentito  l'ampliamento  di
 fabbricati   adibiti   ad   attivita'  di  produzione  artigianale  e
 industriale, nonche ad attivita' commerciali, anche  ricadenti,  alla
 data  del  3  gennaio  1979,  in  zone  non destinate dagli strumenti
 urbanistici a insediamenti produttivi o commerciali, per  documentate
 esigenze relative a:
     riqualificazione,  riconversione  e ristrutturazione produttiva o
 aziendale;
     aumento del numero degli addetti;
     igiene ambientale e sicurezza del lavoro;
     applicazione delle leggi vigenti";
 l'art.  2  recita: "La concessione per l'ampliamento, nei casi di cui
 all'art. 1, e' rilasciata sulla base  della  convenzione  di  cui  al
 successivo  art.  4  e ai sensi della legge 28 gennaio 1977, n. 10, e
 della legge regionale 2 maggio 1980,  n.  40,  fino  al  31  dicembre
 1984";
     gli  artt.  1  della  l.r. 15 gennaio 1985, n. 7 e 1 della l.r. 5
 marzo 1987, n. 11, prorogano il termine di cui all'art. 2 dapprima al
 30  giugno  1986,  poi al 31 dicembre 1987; da ultimo, l'art. 2 della
 l.r. Veneto  30  marzo  1988,  n.  17,  consente  il  rilascio  della
 concessione  di cui all'art. 1 della l.r. Veneto n. 1/1982 fino al 31
 ottobre 1988, purche' la domanda sia stata  presentata  entro  il  31
 dicembre  1987:  non  e'  dato,  allo  stato,  di sapere se ulteriori
 proroghe stiano per essere concesse.
    Si  impone,  previamente,  la lettura della legge denunciata; essa
 autorizza  l'ampliamento  degli  insediamenti  produttivi  anche   in
 contrasto  con la destinazione urbanistica di zona purche', alla data
 del 3 gennaio 1979 (e,  ora,  alla  data  del  1›  ottobre  1983)  ex
 articolo  unico della l.r. Veneto 5 marzo 1987, n. 11, terzo e ultimo
 comma:
       a)  esista  un  fabbricato  adibito  "di  fatto"  ad  attivita'
 artigianale, industriale o commerciale;
       b) l'azienda occupi di fatto un'area con qualsiasi destinazione
 urbanistica (purche' non destinata a pubblici servizi art.  3,  sesto
 comma);
       c) sussista almeno una delle esigenze elencate all'art. 1.
    Su   queste   premesse,   il  legislatore  regionale  consente  un
 ampliamento fino al  60%  della  superficie  esistente  sull'area  di
 pertinenza,  con  alcune  minime  limitazioni  e  sempre che i comuni
 abbiano deciso di avvalersi  della  facolta'  loro  riconosciuta  dal
 successivo   art.   6  di  individuare  le  aree  dove  applicare  le
 agevolazioni (non e' un mistero che pressoche' tutti i comuni abbiano
 utilizzato  la  l.r. n. 1/1982 estendendone l'applicazione all'intero
 territorio comunale: nel caso di specie, in particolare, il comune di
 Tombolo).
    In  sede  interpretativa,  poi,  la giunta regionale ha emanato la
 circ. n. 25 del 29 giugno 1982 (in B.U.R. n. 31/1982), nella quale ha
 precisato che:
      1)  pur  ammettendo  che  "la  legge  regionale  non costituisce
 peraltro una sanatoria generale per tutti  i  fabbricati  adibiti  ad
 attivita'  produttiva  o  commerciale  e che la legge regionale (o la
 conseguente deliberazione di consiglio  comunale)  non  trasforma  in
 aree  produttive  o commerciali le aree su cui insistono le attivita'
 corrispondenti, in quanto tale volonta' non e' espressa dalla  legge,
 che  del resto ha efficacia temporalmente limitata", si afferma anche
 che "comunque, in presenza  di  una  legge  regionale  che  incentiva
 l'ampliamento  dei  fabbricati esistenti, si ritiene piu' conseguente
 l'emissione di provvedimenti diretti  a  mantenere  piuttosto  che  a
 sacrificare    l'esistente,    attraverso   l'applicazione   in   via
 amministrativa di una sanzione pecuniaria, sempre che, beninteso,  si
 tratti  di  costruzioni realizzate prima dell'entrata in vigore della
 legge 28 gennaio 1977, n. 10"; e che "la legge  regionale  n.  1/1982
 puo'  essere  utilizzata  a  sanatoria di situazioni illegittime, nei
 limiti in cui  diventa  possibile  il  rilascio  di  una  concessione
 edilizia,  in  relazione  alle combinate disposizioni degli strumenti
 urbanistici vigenti e della  legge  in  argomento",  (punto  3  della
 citata  circolare:  accertamenti  della  legittimita'  di  fabbricati
 esistenti);
      2)  "il concetto di ampliamento va riferito all'attivita' svolta
 e non al volume esistente; pertanto il volume aggiuntivo  realizzando
 puo'  venire  costruito  in  aderenza,  ma  ben  puo'  costituire  un
 fabbricato a se' stante", (punto 4: esame dell'articolato,  sub  art.
 1).
    In  presenza  di  siffatta  normativa  il  sindaco  di  Tombolo ha
 rilasciato la  concessione  n.  58/1985  per  ampliamento  fabbricato
 industriale  ai  sensi  della l.r. n. 1/1982 con la quale il titolare
 della concessione ha eretto un manufatto distante circa un chilometro
 da  quello  asseritamente  "ampliato",  sul  solo  presupposto di una
 pertinenza del  terreno  con  la  preesistente  attivita'  produttiva
 (peraltro approfittando della nuova costruzione per iniziare una piu'
 ridotta attivita', licenziare tutti i dipendenti  che  operavano  nel
 vecchio capannone ed affittare questo a terzi).
    A  parere  del  pretore  la  l.r. Veneto n. 1/1982 suscita fondati
 dubbi di legittimita' costituzionale, e tali dubbi si rafforzano se a
 quella  normativa  viene data la lettura che ha indotto il sindaco di
 Tombolo al  rilascio  della  concessione:  perlatro,  trattandosi  di
 interpretazione  basata su una circolare ufficiale della g.r. Veneto,
 essa si presta ad una peculiare considerazione - e non da parte della
 a.g.  che  gode del potere di disapplicazione - da parte dei pubblici
 amministratori.
    Sicche'  non  pare che la perplessita' possa essere risolta in via
 interpretativa.
    In  assoluto,  comunque,  e quindi a prescindere dalla lettura che
 alle norme viene data, gli artt. 1 e 2 della l.r. Veneto n. 1/1982  e
 succ.  mod.  pare  in  contrasto  con  gli artt. 3, 9, 41 e 117 della
 Costituzione.
    Questa  norma,  infatti, introduce, sostanzialmente, uno strumento
 di ulteriore degrado del  territorio,  consentendo  in  spregio  agli
 strumenti  urbanistici  la smisurata crescita di attivita' produttive
 sul mero presupposto della preesistenza al 3 gennaio 1979 (e, con  la
 l.r.  n.  11/1987,  addirittura  la  data  della  preesistenza  viene
 spostata al 1› ottobre 1983).
    Il  contrasto con l'art. 3 della Costituzione si presenta sotto un
 duplice  profilo;  il  primo  concerne  il  trattamento   chiaramente
 disegualitario  -  ed  immotivatamente tale - tra chi era titolare di
 attivita' artigianale, commerciale o  industriale  alla  data  del  3
 gennaio 1979 che puo' ampliarle dovunque esse si trovino, ed anche in
 contrasto con gli strumenti urbanistici,  e  chi  invece  possiede  i
 requisiti   prescritti   (esistenza   del  fabbricato,  destinato  ad
 attivita' produttiva e fondo di pertinenza),  dopo  quella  data,  il
 quale  e' soggetto al rispetto del fabbricato, destinato ad attivita'
 produttiva e fondo di pertinenza), dopo  quella  data,  il  quale  e'
 soggetto al rispetto degli strumenti urbanistici ove intenda ampliare
 la propria attivita'; sotto altro e piu' importante profilo l'art.  3
 della  Costituzione e' violato per il difetto di ragionevolezza della
 normativa:  nata  come  disciplina   eccezionale   e,   per   questo,
 temporalmente limitata, il continuo slittamento dei termini ha finito
 per consentire di realizzare in  pratica  per  un  decennio  (non  va
 trascurato  infatti che la l.r. n. 1/1982 sostituisce la analoga l.r.
 n.   73/1978)   l'ingiustificato   stravolgimento   degli   strumenti
 urbanistici.
    L'art.  9  della  Costituzione  pare  violato  per  lo  spregio al
 paesaggio:  l'intera  disciplina  urbanistica  ha  la   funzione   di
 garantire  l'ordinato  sviluppo  della  edificazione  sul territorio,
 diviso in zone omogenee; e' vero che la regione Veneto si  e'  sempre
 preoccupata  soltanto  a  parole della tutela dell'ambiente, tradendo
 clamorosamente nei fatti le affermazioni di principio (basti  pensare
 alla  l.r.  Veneto  n.  44/1982  sull'attivita' di cava, alla l.r. n.
 33/1985 intitolata "Norme  a  tutela  dell'ambiente",  alla  l.r.  n.
 61/1985  intitolata  "Norme per l'assetto e l'uso del territorio" che
 favoriscono con molteplici espedienti gli aggressori del territorio),
 ma  la  citata l.r. Veneto n. 1/1982, riconoscendo una indiscriminata
 facolta' di ampliamento sulla sola base di semplici promesse (si badi
 bene  al fatto che non sono previste sanzioni amministrative per chi,
 realizzato l'ampliamento, non rispetti la finalita'  in  forza  della
 quale  aveva  presentato domanda di concessione) in contrasto con gli
 strumenti urbanistici si pone in  aperto  contrasto  con  il  dettato
 costituzionale, favorendo un ulteriore degrado del territorio.
    Cio'  introduce  anche  il  profilo  del  contrasto con l'art. 41,
 secondo comma, della Costituzione perche'  l'ampliamento  (almeno  se
 motivato    con    fini    di   riqualificazione,   riconversione   e
 ristrutturazione produttiva e/o di aumento del numero degli  addetti)
 ha di mira esclusivamente utilita' economiche la cui espansione viene
 favorita a prescindere da ogni considerazione dell'utilita'  sociale:
 il concetto di utilita' sociale, infatti, a parere di questo pretore,
 non va inteso con esclusivo riferimento ai rapporti di lavoro, ma  va
 altresi' esteso, in particolare per la mutata coscienza sociale, alla
 salvaguardia di tutti quei beni della vita - materiali ed immateriali
 -  e  di  tutte  quelle  esigenze  primarie destinate a soddisfare la
 collettivita',  e  dinanzi  alle  quali   l'interesse   del   singolo
 imprenditore e' inevitabilmente destinato a cedere. Tra questi beni e
 tra queste  esigenze  possono  e  debono  essere  comprese  anche  le
 legittime  aspettative  a  fruire di un ambiente ordinato e dignitoso
 dove poter svolgere la propria vita ed attivita'.
    Consentire  l'indiscriminato  ampliamento  di attivita' produttive
 anche in zone residenziali o in zone agricole con il loro  carico  di
 rumore,  polveri,  aggravio  urbanistico,  degrado  estetico  pare in
 deciso contrasto con la finalita' avuta di mira dal costituente.
    E  non  si  trascuri,  da  ultimo,  lo  stravolgimento ecologico e
 personologico di un territorio, tra i piu' fertili d'Italia e di  una
 popolazione  tra  le  piu'  laboriosamente  dedite all'agricoltura di
 fatto  forzosamente  trasformate  (in  base   a   scelte   economiche
 provenienti  dall'alto) in industriali, senza preparazione ambientale
 e culturale alcuna: cio' che - sotto il profilo  individuale  -  pone
 delicati  profili di conflitto anche con l'art. 2 della Costituzione.
    L'art.  117  della  Costituzione pare violato con riferimento alle
 lesioni dei  principi  fondamentali  stabiliti  dallo  Stato  con  la
 legge-quadro n. 47/1985.
    Infatti   l'art.   1,   primo   comma,   della  legge  n.  47/1985
 emblematicamente rubricato "legge-quadro" contempla il  rispetto  dei
 principi  definiti  nei  capi  I, II e III del testo legislativo: tra
 questi  principi  vi  e',  indubbiamente,  la   necessita'   che   le
 concessioni   ad   edificare  legittimino  interventi  conformi  agli
 strumenti urbanistici, come puo' evincersi dall'art. 4,  primo  comma
 ("Il     sindaco     esercita     la     vigilanza     sull'attivita'
 urbanistico-edilizia  nel  territorio  comunale  per  assicurare   la
 rispondenza  alle  norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni
 degli strumenti urbanistici ed alle modalita' esecutive fissate nella
 concessione  o  nell'autorizzazione"),  dall'art. 6, dalla disciplina
 della sanatoria per abusi cosi' detti "formali" di cui agli artt.  13
 e  22,  dalla  particolare  procedura  dettata  dal titolo III per il
 recupero urbanistico di insediamenti abusivi, soggetta a  limitazioni
 e finalita' particolari. Tali principi - desumibili anche dalla legge
 n. 10/1977 in vigore al momento dell'approvazione della  l.r.  Veneto
 n.  1/1982  -  sono  stati  palesemente  calpestati  dal  legislatore
 regionale, ammettendo il  rilascio  di  concessioni  per  ampliamenti
 anche   "in   zone   non  destinate  dagli  strumenti  urbanistici  a
 insediamenti produttivi o commerciali"  e  prorogando  per  circa  un
 decennio questa ingiusta normativa.
    La lettura, poi, che e' stata data dalla regione Veneto alla legge
 con la citata circolare introduce ulteriori profili  di  legittimita'
 costituzionale:
      l'art.  3  della  Costituzione e' violato sotto il profilo della
 ragionevolezza perche', stravolgendo la lettera della legge che parla
 inequivocabilmente  di  "ampliamento  di  fabbricati",  si  giunge  a
 riferire la potenzialita' edificatoria "all'attivita' svolta e non al
 volume  esistente", legittimando la erezione di manufatti non solo in
 aderenza all'esistente, ma anche "a se' stanti"; con  la  conseguenza
 di  legittimare  concessioni  quale  quella rilasciata dal sindaco di
 Tombolo, dandosi rilevanza esclusivamente alla esistenza di un  fondo
 di  pertinenza, dovunque esso si trovi e, al limite, anche ubicato in
 un altro comune.
    In   questo   modo   si  fanno  realizzare  (in  zone  agricole  o
 residenziali, si badi bene) fabbricati del tutto avulsi da quello che
 si  afferma  di voler ampliare, stravolgendosi il senso della norma e
 l'assetto del territorio.
    L'art.  3  della  Costituzione  e' ancora violato, sempre sotto il
 profilo della ragionevolezza perche' la interpretazione offerta nella
 circolare  g.r.  Veneto contrasta immotivatamente con gli altri passi
 della  legge  dai  quali  chiaramente  si  evince  che   il   termine
 "ampliamento"  e'  riferito  al  fabbricato  e  non all'attivita'; in
 particolare l'art. 3, quinto  comma,  della  l.r.  Veneto  n.  1/1982
 prevede che "L'ampliamento, nei casi di cui all'art. 1, degli edifici
 ricadenti sulle fascie di rispetto da strade o da  corsi  d'acqua  e'
 consentito  se  l'edificio ampliato non sopravanza verso il fronte da
 cui il rispetto viene calcolato. Il  rilascio  della  concessione  e'
 soggetto  a  un  preventivo  atto  di  sottomissione  con  il comune,
 registrato e trascritto, con il quale il  proprietario,  in  caso  di
 esproprio,  rinuncia  a  qualsiasi  indennizzo  per  le  nuove  opere
 autorizzate"; e l'art. 3, sesto comma, della l.r.  Veneto  n.  1/1982
 prevede  che  "gli ampliamenti previsti dalla presente legge non sono
 ammessi nelle zone  destinate  a  pubblici  servizi  dagli  strumenti
 urbanistici":  si  noti  bene  che anche la circolare, nel commentare
 tale norma, precisa che "non puo' darsi luogo all'ampliamento  quando
 l'esistente  ricada  in  zone  destinate  a  pubblici servizi"; ed e'
 chiaro che cio' suppone che sia proprio l'esistente  a  dover  essere
 ampliato   materialmente,   e  non  invece  che  l'ampliamento  debba
 realizzarsi con l'erezione di autonomo manufatto in zona  diversa  e,
 al limite, con altra destinazione.
    L'art.  117  della  Costituzione  e'  inoltre  violato perche', di
 fatto, la facolta' di ampliamento  cosi'  intesa  da'  luogo  ad  una
 sanatoria  per  abuso  futuro, consentendo il rilascio di concessioni
 illegittime che, di fatto rendono lecita sia la potenziale situazione
 abusiva  esistente  (cfr.  la gia' citata circ. g.r. Veneto 29 giugno
 1982, n. 25, punto 3, sesto capoverso: "La l.r. n. 1/1982 puo'  anche
 essere  utilizzata  a sanatoria di situazioni illegittime. . .", sia,
 soprattutto, gli abusi sostanziali  (perche'  in  contrasto  con  gli
 strumenti urbanistici) che il privato realizzera' sulla loro base; ed
 e' appena il caso di ricordare come codesta Corte abbia a  suo  tempo
 "salvato"  la  l.r.  Sicilia n. 7/1980 (emanata, si badi bene, da una
 regione  a  statuto  speciale)  di  sanatoria   edilizia   solo   sul
 presupposto  che  essa  non producesse effetti retroattivi, ma avesse
 natura retrospettiva, limitandosi a  regolare  per  il  futuro  fatti
 sorti per il passato.
    (Corte costituzionale, sentenza n. 13 del 15 febbraio 1980).
    Ma,  anzitutto,  quella  impostazione  andrebbe  rivista alla luce
 della sopravvenuta legge n. 47/1985 e, soprattutto, la r.  Veneto  ha
 finito  per  introdurre una sanatoria per abusi presenti e futuri per
 le gia' esposte ragioni.
    Che  si  tratti  di  sostanziale  sanatoria e' provato anche dalle
 acrobazie dialettiche della circolare g.r. Veneto n. 25 del 29 giugno
 1982  dalle  quali  si ricava una inequivoca volonta' di mantenere in
 essere quelle costruzioni, al di la' delle apparenti dichiarazioni di
 principio:  e  cio',  alla luce delle deroghe temporali offerte dalla
 l.r. nn. 7/1985, 11/1987 e 17/1988 si pone  in  insanabile  contrasto
 con  il  capo  IV  della  legge  n.  47/1985, legge-quadro in materia
 urbanistica.
    Ne'  puo'  sorgere  un  problema  di  successione  temporale della
 legge-quadro statale  alla  legge  regionale,  perche'  le  reiterate
 proroghe  della  efficacia  della  l.r.  Veneto  n. 1/1982 consentono
 questa valutazione.
    Va   ora  affrontato  il  profilo  della  rilevanza  nel  presente
 giudizio,  anche  se  lo  scempio  territoriale  al  quale  la  legge
 denunciata  ha  dato  luogo  in  ogni  sua  applicazione,  corretta e
 scorretta (e ben puo' dirlo chi  quasi  quotidianamente  ha  modo  di
 leggere   gli   esposti   -   sterili   -  di  contadini  che  vedono
 improvvisamente  erigere  in  terreni  limitrofi  destinati  a   zona
 agricola enormi capannoni industriali - si ricordi che l'art. 3 della
 l.r. Veneto n. 1/1982 consente  "ampliamenti"  fino  a  m(Elevato  al
 Quadrato)  2.000  (duemila)  -,  e  di  cittadini  abitanti  in  zone
 residenziali  che  vedono  altrettanto  improvvisamente  investiti  i
 propri  giardini,  le  proprie  case, le proprie persone dalle usuali
 molestie  -  rumori,  smog  -  di  nuovi  o  ingranditi  insediamenti
 produttivi) potrebbe supplire alla mancanza di questa.
    In  realta',  pero'  vi e' anche una giuridica rilevanza: sotto il
 profilo amministrativo, anzitutto, la declaratoria di  illegittimita'
 costituzionale  della legge determinerebbe la necessita' di annullare
 le concessioni rilasciate  per  la  conseguente  illegittimita'  (con
 evidente  sollievo  per l'ambiente finalmente difeso) e, soprattutto,
 impedirebbe al legislatore regionale, di apportare nuove  proroghe  o
 di  approvare  nuove  analoghe  normative  (delle  quali si parla con
 sempre maggiore insistenza: se si esamina l'articolo  unico  l.r.  n.
 11/1987,  si  puo'  vedere  che  il  legislatore  regionale veneto ha
 addirittura  previsto  la  possibilita'  di  adottare  varianti  allo
 strumento   urbanistico   generale   dei   comuni   per  insediamenti
 preesistenti "localizzati in difformita' dalle destinazioni di  piano
 o   che   abbiano   raggiunto   i  limiti  massimi  degli  indici  di
 edificabilita' della zona", cioe', in pratica, una  variante  ad  hoc
 che  tenga  conto dei singoli interessi privati e non degli interessi
 collettivi valutabili  nella  stesura  dei  piani  regolatori  e  che
 consenta  di  ampliare  senza  limiti  di  sorta  singoli  edifici in
 contrasto con la destinazione di zona:  in  sostanza,  di  perpetrare
 abusi  coperti  dal  manto della legalita' formale); sotto il profilo
 penale, invece, la illegittimita'  della  concessione  renderebbe  il
 manufatto   abusivo,  o  comunque  in  contrasto  con  gli  strumenti
 urbanistici, al di la'  dei  profili  accusatori  prospettabili  allo
 stato e da verificare nel corso della istruttoria ancora in embrione.
    E' vero, infatti, che la ipotesi accusatoria muove dalla ipotetica
 inesistenza della concessione per la commissione di  reati  da  parte
 dei pubblici amministratori e per la indicazione di dati inesatti, ma
 e' pur vero che trattasi ancora da  verificare  compiutamente  e  che
 potrebbero   sfumare   nel  prosieguo  del  giudizio.  Viceversa,  la
 eventuale eliminazione delle norme regionali  impugnate  rimuoverebbe
 immediatamente   ogni  perplessita'  o  dubbio  sulla  illegittimita'
 dell'opera edilizia, caducando  il  presupposto  indefettibile  sulla
 base  del quale fu rilasciata la concessione e provocando altresi' il
 venir meno di questa.
    La  stessa  Corte  di  cassazione ha dichiarato che la concessione
 illegittima, pur non integrando gli estremi dell'art. 20,  lett.  b),
 puo'  comunque  far residuare i presupposti di cui all'art. 20, lett.
 a) (Cass. sez. un., 31 gennaio 1987, Giordano). E' indubbio  che  nel
 caso   di  specie  la  costruzione  industriale  insista  su  terreno
 destinato a zona agricola e contrasti  quanto  meno  con  l'art.  20,
 lett.  a), della legge n. 47/1985 (salvo la considerazione del dolo e
 della colpa), sempre che la rilasciata concessione venga travolta  in
 conseguenza della declaratoria di illegittimita' costituzionale).
    Ne'  puo'  ritenersi  che la rilevanza venga meno sotto il profilo
 del  favor   rei,   finendo   la   declaratoria   di   illegittimita'
 costituzionale per "costruire" un reato in capo all'imputato: infatti
 questi ha realizzato  la  condotta  lesiva  dell'interesse  protetto,
 violando  le  previsioni urbanistiche di zona; ne' va dimenticato che
 codesta Corte ha gia' avuto modo di affermare che  siffatte  pronunce
 di  illegittimita' costituzionale divengano comunque rilevanti quanto
 meno per i casi futuri.
                                P. Q. M.
    Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo  1953,
 n. 87;
    Dichiara  non  manifestamente  infondata e rilevante ai fini della
 decisione la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e
 2  della  l.r.  Veneto  12 gennaio 1982, n. 1, dell'art. 1 della l.r.
 Veneto 15 gennaio 1985, n. 7, dell'articolo unico l.r. Veneto 5 marzo
 1987, n. 11, terzo e ultimo comma, e dell'art. 2 della l.r. Veneto 30
 marzo 1988, n. 17, per contrasto con gli artt. 3, 9, 41 e  117  della
 Costituzione;
    Sospende il procedimento penale in corso;
    Ordina  la  trasmissione degli atti del procedimento, a cura della
 cancelleria, alla Corte costituzionale;
    Dispone  la  notifica del presente provvedimento agli imputati, ai
 difensori  e  al  presidente  della  giunta  regionale  Veneto  e  la
 comunicazione al Presidente del consiglio della regione Veneto.
      Cittadella, addi' 11 marzo 1989
                           Il pretore: ZAMPI

 90C0085