N. 34 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 novembre 1989

                                 N. 34
   Ordinanza emessa il 23 novembre 1989 dal tribunale di Mondovi' nel
           procedimento penale a carico di Esposito Giuseppe
 Processo  penale  -  Procedimento  in corso all'entrata in vigore del
 nuovo codice - Formalita' di apertura del dibattimento gia'  esperita
 -   Richiesta   di   rito   abbreviato  -  Esclusione  -  Conseguente
 inapplicabilita' della diminuente ex  art.  442  del  c.p.p.  1988  e
 quindi della legge penale piu' favorevole - Disparita' di trattamento
 tra imputati secondo lo stato dei rispettivi procedimenti.
 (C.P.P. (disposizioni di attuazione del), art. 247).
 (Cost., art. 3).
(GU n.6 del 7-2-1990 )
                              IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento penale
 contro  Esposito  Giuseppe,  nato  a  Catanzaro  il  5  aprile  1948,
 residente  in  Garessio,  via  Valcasotto n. 31 (dom. ex art. 171 del
 c.p.p.), difeso di fiducia dall'avv. Vittorio  Bassino  di  Mondovi',
 libero,  non  comparso,  imputato  del reato di cui all'art. 4, primo
 comma, n. 7, legge 7  agosto  1982,  n.  516,  poiche',  a  scopo  di
 evasione   fiscale,  in  qualita'  di  presidente  del  consiglio  di
 amministrazione e rappresentante della S.r.l. "Edil-Valle",  redigeva
 la  dichiarazione  annuale  dei  redditi  per  l'anno di imposta 1983
 dissimulando  componenti  positivi  di   reddito   (ricavi   per   L.
 15.784.000)  tali  da alterare in misura rilevante il risultato della
 dichiarazione.
    Accertato in Mondovi', il 1› settembre 1986.
    All'udienza  del  ventitre  novembre 1989 l'imputato ha chiesto la
 definizione del processo con il rito abbreviato di cui  all'art.  438
 del  c.p.p.; la difesa si e' associata alla richiesta ed ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 247 disp. att. del
 c.p.p.  nella  parte  in cui - relativamente ai procedimenti in corso
 alla data di entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale -
 in    contrasto   con   l'art.   3   della   Costituzione,   limitata
 l'ammissibilita' del rito abbreviato ai procedimenti  nei  quali  non
 siano   state   ancora   compiute   le  formalita'  di  apertura  del
 dibattimento. Il pubblico  ministero  ha  ritenuto  rilevante  e  non
 manifestamente  infondata l'eccezione d'illegittimita' costituzionale
 dell'art. 247 disp. att. del c.p.p.
    Per   valutare  la  fondatezza  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale sollevata dalla  difesa,  e'  necessario  innanzitutto
 esaminare  la natura giuridica dei procedimenti speciali previsti dal
 libro sesto del nuovo codice di procedura penale e, precisamente,  se
 essi hanno natura processuale o sostanziale.
    Il  giudizio  abbreviato  e l'applicazione della pena su richiesta
 delle parti prevedono da un lato una diversa e piu' rapida  procedura
 di  definizione  del  processo,  dall'altro una rilevante diminuzione
 della pena ed altre conseguenze giuridiche piu' favorevoli al reo (v.
 art.  445,  relativamente  all'esclusione  dell'applicazione  di pene
 accessorie e di misure di sicurezza e  della  condanna  al  pagamento
 delle spese processuali nonche' all'estinzione del reato).
    Qualunque  definizione  si accolga della norma processuale penale,
 e' indubbio che i c.d. riti speciali introdotti dal nuovo  codice  di
 procedura,   poiche'   non   si   limitano   soltanto  a  diciplinare
 l'accertamento della notizia  criminis,  le  attivita'  esperite  nel
 processo  dai soggetti processuali e le forme degli atti processuali,
 ma  incidono   direttamente   sulla   quantificazione   della   pena,
 sull'applicabilita'  di pene accessorie e misura di sicurezza e sulla
 estinzione del reato, hanno natura penale sostanziale.
    Il  problema non e' nuovo nel nostro ordinamento poiche' tali riti
 hanno natura giuridica identica ed altri  istituti  ben  noti,  quali
 l'oblazione  e  l'applicazione  di  sanzioni sostitutive su richiesta
 dell'imputato prevista dall'art. 77 della legge 24 novembre 1981,  n.
 689. Nessuno ha mai posto in dubbio che gli istituti dell'oblazione o
 del c.d. "patteggiamento" ex art. 77 della legge n. 689/1981, abbiano
 natura  penale  sostanziale,  anche  se  le  forme e le modalita' per
 esservi ammessi sono diciplinate da norme processuali. Alle  medesime
 conclusioni  deve  pervenirsi per i procedimenti previsti dagli artt.
 438 e 444 del c.p.p. La riduzione della pena e gli altri benefici che
 da  essi  conseguono  hanno natura sostanziale. Le norme, invece, che
 disciplinano le forme in cui debbono  essere  esperiti  hanno  natura
 processuale.
    L'art.  2,  terzo  comma del c.p. stabilisce il principio generale
 che nel caso di successioni di leggi penali deve  applicarsi  "quella
 le  cui disposizioni sono piu' favorevoli al reo, salvo che sia stata
 pronunciata sentenza irrevocabile".
    La  migliore  dottrina,  che questo pretore condivide, ha posto in
 risalto che dalla lettura congiunta dei primi tre commi  dell'art.  2
 del  c.p.  si  evince che il nostro sistema penale non accoglie, come
 comunemente si ripete, il principio della irretroattivita', bensi' il
 principio  superiore  che  al  reo  e' assicurato il trattamento piu'
 favorevole  tra  quelli  stabiliti  dalla  legge  a   partire   dalla
 commissione del fatto e sino alla sentenza irrevocabile irrevocabile.
 Tale principio superiore, ispirato al favor libertatis, si  specifica
 poi in quello della irretroattivita' nel primo comma, in quello della
 retroattivita' (anche oltre la  sentenza  irrevocabile)  nel  secondo
 comma, in quello della legge piu' favorevole nel terzo comma.
    Alcuni   Autori,   dalla  degradazione  della  irretroattivita'  a
 semplice corollario di un principio  superiore,  argomentano  che  il
 legislatore  costituzionale  nel momento in cui nell'art. 25, secondo
 comma - recependo una lunga e consolidata  tradizione  storica  degli
 stati  liberali (v. art. 8 della "Dichiarazione dei diritti dell'uomo
 e  del  cittadino"  del  1789)  -  ha  accolto  il  principio   della
 irretroattivita'  della  legge  penale,  ha necessariamente, sia pure
 implicitamente, recepito anche il principio piu' generale che  ne  e'
 il   fondamento.   Da   cio'   si  e'  dedotto  che  le  disposizioni
 materialmente, anche  se  non  formalmente,  costituzionali,  con  la
 conseguenza   che   la   loro  modifica  o  deroga  comporterebbe  il
 procedimento aggravato di revisione costituzionale.
    Anche  se  la  conseguenza  a  cui  questi Autori pervengono in un
 sistema di costituzione rigida non appare condivisibile, e' certo che
 il  principio  dell'applicabilita' della legge piu' favorevole, posto
 dai primi tre commi dell'art. 2  del  c.p.,  incidendo  sullo  status
 libertatis  e  sui  diritti  fondamentali del cittadino, ha rilevanza
 costituzionale  per  cui  la  sua  eventuale   deroga   deve   essere
 giustificata da ragioni aventi pari rilevanza costituzionale.
    Stabilito  che  i  riti  speciali  di cui agli artt. 438 e 444 del
 c.p.p. costituiscono disposizioni penali sostanziali piu'  favorevoli
 all'imputato, ne deriva che - ai sensi dell'art. 2 del c.p. - la loro
 applicabilita' non puo'  essere  limitata  ai  procedimenti  iniziati
 successivamente  al  24  ottobre 1989, data in cui il nuovo codice e'
 entrato in vigore, ma dovrebbe essere estesa a tutti  i  procedimenti
 pendenti in tale data.
    Il  principio  dell'applicabilita' del trattamento piu' favorevole
 al reo e'  stato  accolto  soltanto  parzialmente  del  nuovo  codice
 processuale.  Gli  artt.  247 e 248 delle disposizioni di attuazione,
 infatti, da un lato estendono i  riti  speciali  ai  procedimenti  in
 corso, dall'altro ne limitano l'ammissibilita' a quelli nei quali non
 sono  state  ancora  compiute   le   formalita'   di   apertura   del
 dibattimento.  Il problema di costituzionalita' riguarda appunto tale
 limitazione.
    La  difesa  ha  sostenuto  che  essa  determina una ingiustificata
 disparita' di trattamento tra gli imputati, a seconda  se  -  per  un
 fatto  del tutto accidentale ed indipendente dalla loro volonta' - le
 formalita' di apertura siano o non siano state compiute.
    Per giungere ad una corretta soluzione e' necessario analizzare se
 la limitazione introdotta negli artt. 247 e 248 e' ragionevole  e  se
 e'   posta   a   tutela   di   un  interesse  avente  pari  rilevanza
 costituzionale  di  quello  dell'applicabilita'  della   legge   piu'
 favorevole.
    Si  assume  che  poiche' nel nuovo sistema processuale il giudizio
 abbreviato e l'applicazione della pena a richiesta delle parti  hanno
 la  funzione  di  giungere  alla rapida definizione dei processi e la
 riduzione della pena costituisce solo  un  incentivo  per  l'imputato
 affinche'  chieda  tali riti, ingiustificato sarebbe stato estenderne
 l'ammissibilita'  ai  procedimenti  pendenti,  il  cui  iter  -   con
 l'apertura  del dibattimento - sia giunto ad un punto tale da rendere
 non piu' apprezzabile il beneficio di una loro rapida definizione:
      che  il  nuovo  sistema  processuale  abbia  attribuito  ai riti
 speciali la funzione  di  rendere  piu'  rapida  la  definizione  dei
 processi  ed alla riduzione della pena la funzione di incentivarne la
 richiesta, e' certamente vero. Che tutto cio' sia stato previsto allo
 scopo  di  assicurare,  mediante  la  definizione rapida del maggiore
 numero di processi  in  camera  di  consiglio,  la  celebrazione  dei
 dibattimenti  con il rito accusatorio, e' ugualmente vero. Cio' nulla
 toglie, pero', che tali istituti  hanno  attribuito  all'imputato  un
 vero e proprio diritto soggettivo di chiedere tali riti e di ottenere
 la conseguenziale riduzione della pena indipendentemente  dalla  loro
 adozione.  L'art.  448  prevede,  in caso di dissenso del p.m. che il
 giudice ritenga ingiustificato, che  la  riduzione  della  pena  puo'
 essere  concessa  anche  nel  giudizio d'impugnazione. Cio' prova che
 anche nel caso in cui il sistema processuale non abbia  tratto  alcun
 beneficio   dal  rito  speciale,  in  quanto  si  e'  gia'  celebrato
 interamente il  giudizio  di  primo  grado  e  l'appello,  ugualmente
 l'imputato  conserva  il  suo  diritto di ottenere la riduzione della
 pena accessorie e delle misure di sicurezza.  Questa  conseguenza  e'
 giustificata  dalla  considerazione che i riti speciali, se esaminati
 dal lato del sistema processuale costituiscono un mezzo per  giungere
 alla  rapida  definizione  dei processi, visti dal lato dell'imputato
 costituiscono un vero e proprio diritto soggettivo  per  ottenere  la
 riduzione   della   pena.   Non   appare  ragionevole,  pertanto,  la
 giustificazione secondo cui gli artt. 247 e  248  avrebbero  limitato
 l'ammissibilita'  ai  procedimenti  pendenti  in  cui non siano state
 ancora compiute le formalita' di apertura per la considerazione che -
 oltre  questo  termine - il sistema processuale non ne avrebbe tratto
 alcun beneficio. Questa giustificazione, oltre ad  essere  infondata,
 non  tiene conto che il principio dell'applicabilia' della legge piu'
 favorevole al reo, stabilito dall'art. 2 del  c.p.,  incidendo  sullo
 status libertatis e sui diritti fondamentali del cittadino ed essendo
 stato recepito dall'art. 25, secondo  comma  della  Costituzione,  ha
 rilevanza costituzionale.
    Si  deve  concludere  che  gli  artt.  247  e  248 determinano una
 ingiustificata disparita' di trattamento tra gli imputati  a  seconda
 se  nei  loro  procedimenti  siano  o  non  siano  state  compiute le
 formalita'  di  apertura  del  dibattimento.  Conseguenzialmente   va
 dichiarata  non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale, sollevata dalla difesa, dell'art.  247  dispos.  att.
 del c.p.p. in relazione all'art. 3 della Costituzione.
    La    questione    sollevata   dalla   difesa,   incidendo   sulla
 quantificazione della pena, e' certamente rilevante.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita'  costituzionale,  sollevata  dalla  difesa  di  Esposito
 Giuseppe,  dell'art.  247  disp.  trans.  del  c.p.p. con riferimento
 all'art.  3  della   Costituzione   nella   parte   in   cui   limita
 l'ammissibilia'  del  giudizio  abbreviato ai procedimenti in cui non
 siano state compiute le formalita' di apertura  del  dibattimento  di
 primo grado;
    Sospende il giudizio in corso nei confronti di Esposito Giuseppe;
    Ordina  la  trasmissione degli atti, a cura della cancelleria alla
 Corte costituzionale, nonche' la notifica della presente ordinanza al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e la comunicazione della stessa
 ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Mondovi', addi' 23 novembre 1989
                         Il presidente: MAGRI'

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