N. 41 SENTENZA 31 gennaio - 2 febbraio 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Leva militare- Ammissione al ritardo per la presentazione del
 servizio- Termine per la chiamata alle armi- Perentorieta'- Mancata
 previsione- Conseguente indeterminatezza temporale dell'obbligo
 costituzionale- Necessita' di tassativa delimitazione nello spazio di
 un anno-  Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge 31 maggio 1975, n. 191, art. 21, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 23, 52 e 97, primo comma).
(GU n.6 del 7-2-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.   Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 21, secondo
 comma, della legge 31  maggio  1975,  n.  191  (Nuove  norme  per  il
 servizio  di  leva),  promossi  con ordinanze emesse il 9 maggio 1989
 (nn. 2 ordd.) e il 25 maggio 1989 dal TAR della Sicilia - Sezione  di
 Catania, iscritti ai nn. 421, 422 e 423 del registro ordinanze 1989 e
 pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  38,  prima
 serie speciale, dell'anno 1989;
    Visti  l'atto  di  costituzione  di D'Angelo Salvatore nonche' gli
 atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  28  novembre  1989  il Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Uditi l'avvocato Nicolo' Amato per D'Angelo Salvatore e l'Avvocato
 dello Stato Luigi Siconolfi  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza emessa il 9 maggio 1989 (r.o. n. 421 del 1989),
 il TAR della  Sicilia  -  sezione  di  Catania  -  ha  sollevato,  in
 riferimento   agli   artt.  3,  23,  52  e  97,  primo  comma,  della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  21,
 secondo comma, della legge 31 maggio 1975, n. 191 (Nuove norme per il
 servizio di leva), "nella parte in cui non prevede che il termine per
 la chiamata alle armi ivi disposto e' perentorio".
    Nel  giudizio  a  quo  il  ricorrente Pitino Salvatore - che aveva
 usufruito del ritardo nella prestazione  del  servizio  di  leva  per
 motivi   di   studio   sino   al   31  dicembre  1987  -  ha  chiesto
 l'annullamento,  previa   sospensione,   della   cartolina   precetto
 inviatagli  dal  Ministero  della  Difesa - Distretto di Siracusa (in
 base alla quale aveva l'obbligo di presentarsi il giorno 8 marzo 1989
 presso  il  Battaglione  Fanteria  "Savona"  di stanza a Savona), per
 violazione della citata disposizione della legge  n.  191  del  1975,
 secondo  cui  "cessato  il  titolo al ritardo, coloro che ne fruivano
 sono tenuti a prestare il servizio militare con il primo scaglione  o
 contingente  chiamato alle armi se dell'Esercito o dell'Aeronautica".
    Il   TAR  remittente  rileva  preliminarmente  che  la  prevalente
 giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi Regionali (TAR Veneto  21
 gennaio  1986, n. 5; TAR Friuli-Venezia Giulia 20 gennaio 1986, n. 5;
 TAR Sicilia, sezione di Palermo, 31 maggio 1988, n. 413), tra cui, in
 sede   cautelare,  lo  stesso  TAR  Sicilia  -  sezione  di  Catania,
 interpreta  la  norma  in  questione  nel  senso  che   essa   impone
 all'Amministrazione  un termine perentorio per l'esercizio del potere
 di disporre la chiamata alle armi.
    Senonche', il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione
 siciliana ha, con decisione n. 110 del 19 aprile 1989,  annullato  la
 anzidetta  sentenza  del TAR Sicilia - sezione di Palermo, sostenendo
 che il termine di  cui  al  secondo  comma  del  citato  art.  21  ha
 carattere       meramente      sollecitatorio      nei      confronti
 dell'Amministrazione.
    Tale  decisione,  prosegue il TAR remittente, lungi dal costituire
 un precedente vincolante per  il  giudice  di  primo  grado,  assume,
 pero',  indubbio  rilievo  in relazione all'esigenza di assicurare la
 certezza del diritto;  pertanto,  in  conclusione,  esso  afferma  di
 "muovere  dal  presupposto  che la interpretazione del dato normativo
 prescelta  dal  giudice  d'appello  sia  corretta  per  ritenere   la
 questione  di costituzionalita' rilevante al fine della decisione del
 gravame".
    Quanto  alla  non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva
 quanto segue.
    La  normativa che disciplina la chiamata alle armi per il servizio
 di  leva  contiene  una  serie  di  disposizioni  volte  a   limitare
 temporalmente   il   potere  di  imposizione  di  tale  servizio.  In
 particolare, l'art. 3 della legge 31 maggio 1975, n. 191 prevede  che
 la  chiamata  alle armi ha luogo nell'anno in cui i giovani arruolati
 compiono il diciannovesimo anno di eta', dando facolta'  al  Ministro
 di  anticipare  o  ritardare  di  un  anno  la chiamata stessa quando
 speciali circostanze lo esigono; l'art. 100 del  d.P.R.  14  febbraio
 1964,  n.  237  dispone  che  e'  data  la facolta' di dispensare dal
 compiere la ferma di  leva  gli  arruolati  eccedenti  il  fabbisogno
 quantitativo  e  qualitativo  per  la  formazione  dei  contingenti o
 scaglioni da incorporare.
    Pertanto,  di  discrezionalita'  nel  quid  e nel quomodo non puo'
 parlarsi, essendo l'evenienza regolata da rigide norme sostanziali  e
 procedimentali,   mentre   anche  la  discrezionalita'  nell'  an  e'
 strettamente vincolata  dall'esistenza  o  meno  della  copertura  di
 bilancio.  La  ovvia ratio delle predette norme sta sia nell'esigenza
 di disciplinare temporalmente l'imposizione personale, che altrimenti
 sarebbe  sottratta  alla  riserva  di  legge,  sia  in  quella di non
 pregiudicare la posizione lavorativa del cittadino.
    Il  limite  temporale  della  chiamata  alle armi e il conseguente
 interesse legittimo a conseguire la dispensa ex art. 100 lett. b  del
 d.P.R.  n.  237  del  1964  rispondono quindi a finalita' che trovano
 puntuale affermazione in norme costituzionali, come la  stessa  Corte
 costituzionale  ha  avuto modo di ritenere con la sentenza n. 164 del
 1985, in ordine alla affermata natura non meramente  ordinatoria  del
 termine  di  cui  all'art.  3, secondo comma, della legge 15 dicembre
 1972, n. 772, sull'obiezione di coscienza.
    Se, dunque, si ritenesse che l'art. 21 della legge n. 191 del 1975
 deroghi al principio normativo anzidetto, disponendo che la  chiamata
 alle armi non va disposta entro un termine perentorio, risulterebbero
 violati:
      a)  gli  artt.  3  e  52  della  Costituzione, per disparita' di
 trattamento rispetto agli arruolati che non usufruiscono del  diritto
 al  rinvio della chiamata alle armi, in quanto questi ultimi, in base
 alle norme prima richiamate,  devono  essere  depennati  in  caso  di
 eccedenza rispetto al fabbisogno dei contingenti nell'anno successivo
 al compimento del diciannovesimo anno d'eta';
      b)  gli  artt. 23 e 52 della Costituzione, perche' si imporrebbe
 una prestazione personale (servizio di leva) senza limiti  temporali,
 e  quindi  senza  indicazione  del  limite  e  delle modalita' la cui
 disciplina e' coperta da riserva di legge;
      c)  l'art.  97,  primo  comma,  della Costituzione, in quanto si
 profilerebbe un esercizio delle  potesta'  pubbliche  non  improntato
 alla   esigenza   costituzionale   del   buon   andamento   e   della
 imparzialita'.
    2.  -  La  medesima  questione e' stata sollevata dallo stesso TAR
 della Sicilia - sezione di Catania con altre due ordinanze emesse  il
 9  e  il  25  maggio 1989 (r.o. nn. 422 e 423 del 1989) nel corso dei
 procedimenti promossi da Costarelli Salvatore e D'Angelo Salvatore.
    Le   ordinanze,  sia  sulla  rilevanza  che  sulla  non  manifesta
 infondatezza,  contengono  argomentazioni  identiche  a  quelle  gia'
 esposte sub 1.
    3.  -  Si e' costituito dinanzi a questa Corte D'Angelo Salvatore,
 il quale svolge considerazioni adesive all'ordinanza di rimessione.
   La  difesa  del  D'Angelo  rileva,  in  sintesi, che nello Stato di
 diritto tutte le pretese dell'apparato autoritativo non  solo  devono
 trovare  fondamento  in  una  previa  norma  di  legge  (principio di
 legalita' formale), ma anche una precisa delimitazione dell'ambito di
 esercizio  del  potere  pubblico (principio di legalita' sostanziale)
 senza di che per la sfera della liberta' non resterebbe alcuna  forma
 di  garanzia. Se si ammette una discrezionalita' dell'Amministrazione
 nella decorrenza della chiamata, si attribuisce ad essa un potere non
 delimitato  piu'  dalla  legge  (in  violazione dell'art. 52, secondo
 comma, della Costituzione), che finisce per far coincidere tout court
 ferma e servizio militare, in quanto, dovendosi individuare un limite
 alla pretesa dell'Amministrazione per la ferma, se questo non e' piu'
 quello  del  compimento  dell'eta'  utile  alla  vestizione, dovrebbe
 ritenersi possibile il primo incorporamento sino  al  compimento  del
 45Πanno di eta'.
    4. - E' intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio
 dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, il quale conclude per l'infondatezza della questione.
    Non  e'  ravvisabile,  ad  avviso dell'Avvocatura, alcun contrasto
 della norma censurata con l'art.  3  della  Costituzione,  in  quanto
 vengono  raffrontate situazioni non omogenee, quali sono quella degli
 arruolati che non usufruiscono  del  ritardo  per  motivi  di  studio
 rispetto  a quella degli arruolati che invece hanno usufruito di tale
 ritardo.
    Ritenere  perentorio  il  termine  di  cui all'art. 21 sarebbe del
 tutto irragionevole sia perche' in tal modo  la  chiamata  alle  armi
 finirebbe  in  pratica  con  l'essere  decisa  dall'interessato,  con
 conseguente  eccessiva  rigidita'  dell'azione  amministrativa,   sia
 perche'  significherebbe  porre  per l'amministrazione una disciplina
 assai piu' restrittiva rispetto a quella che regola la chiamata  alle
 armi in generale (che ha luogo nell'anno in cui i giovani compiono il
 19Πanno di eta', con facolta'  per  il  Ministro  di  anticiparla  o
 ritardarla  di  un  anno)  e,  in  definitiva,  favorire  coloro  che
 fruiscono del rinvio rispetto agli altri.
    In  conclusione,  non  appare irragionevole che il legislatore non
 consideri perentorio il termine in questione;  altro  e'  il  profilo
 che, cosi' interpretando la norma in esame, non si pone alcun termine
 per la chiamata:  la  questione,  infatti,  e'  stata  sollevata  con
 specifico  riferimento alla perentorieta' del termine di cui all'art.
 21. In ogni caso, conclude  l'Avvocatura,  resterebbe  precluso  alla
 Corte  costituzionale  di  sostituirsi  al  legislatore  indicando un
 termine che contemperi le esigenze  dell'Amministrazione  con  quelle
 del chiamato alle armi.
    Le   considerazioni   svolte   valgono,  infine,  a  ritenere  non
 sussistente neppure la violazione degli altri parametri invocati.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Le  tre  ordinanze  del  T.A.R.  della Sicilia - sezione di
 Catania -, emesse le prime due il 9 maggio e la terza  il  25  maggio
 1989,   sollevano  in  termini  identici  la  medesima  questione  di
 legittimita' costituzionale.  I  giudizi  vanno  pertanto  riuniti  e
 decisi con unica sentenza.
    2.   -   I   giudici   remittenti   dubitano   della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 21, secondo comma,  della  legge  31  maggio
 1975 n. 191 (Nuove norme per il servizio di leva) "nella parte in cui
 non prevede che il termine per la chiamata alle armi ivi disposto  e'
 perentorio".
    Il   termine   anzidetto,  vale  a  dire  "il  primo  scaglione  o
 contingente chiamato alle armi" dopo  la  cessazione  del  titolo  al
 ritardo,  e'  disposto  per  coloro  che  fruivano  del ritardo della
 prestazione del servizio militare; secondo i  giudici  a  quibus,  la
 mancata previsione della perentorieta' di detto termine nei confronti
 dell'Amministrazione che  deve  effettuare  la  chiamata  sarebbe  in
 contrasto  con  gli  artt.  3,  23,  52  e  97,  primo  comma,  della
 Costituzione: con l'art. 3, per disparita'  di  trattamento  rispetto
 agli  arruolati  i  quali  non usufruiscono del ritardo, giacche' per
 questi, ai sensi dell'art. 3, primo comma, della  legge  n.  191  del
 1975,  la  chiamata  alle armi deve avvenire nell'anno del compimento
 del diciannovesimo anno  di  eta'  con  possibilita'  di  anticipo  o
 ritardo  di un anno; con gli artt. 23 e 52, perche' viene imposta una
 prestazione personale (servizio di leva) senza limitazione temporale,
 e  quindi  senza indicazione del limite e delle modalita', in materia
 coperta da riserva di legge; con l'art. 97, primo comma, in quanto si
 profila  un  esercizio  delle  potesta' pubbliche non improntato alla
 esigenza del buon andamento e della imparzialita'.
    3.  - Prima di passare all'esame dei profili cosi' prospettati, e'
 opportuno rilevare - giacche' a prima  vista  potrebbe  sembrare  che
 sussista   nelle  ordinanze  di  rimessione  una  certa  perplessita'
 sull'interpretazione della norma denunciata - che i giudici a  quibus
 ricordano   di  aver  condiviso  in  piu'  occasioni  una  prevalente
 giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi Regionali, che interpreta
 l'art.  21  della  citata legge 191 del 1975 nel senso che il termine
 ivi   indicato    debba    essere    considerato    perentorio    per
 l'Amministrazione.   Tuttavia,  poiche'  il  Consiglio  di  Giustizia
 amministrativa per la  Regione  siciliana  ha  ritenuto  invece  tale
 termine   meramente  sollecitatorio,  i  predetti  giudici  a  quibus
 ritengono di assumere la interpretazione del loro  organo  d'appello,
 ed   in   base  alla  stessa  sollevano  la  suesposta  questione  di
 costituzionalita'.
    Del  resto,  anche  il  Consiglio  di  Stato,  IV  sezione, con la
 decisione n. 890 del 9  dicembre  1989,  giudicando  su  appello  del
 Ministero  della  Difesa  nei  confronti  della decisione n. 5/86 del
 T.A.R. Veneto, ha adottato  la  medesima  interpretazione,  definendo
 "meramente  ordinatori"  per  l'Amministrazione militare i termini di
 cui alla norma in esame.
    Quanto,  poi, alla rilevanza della questione nei giudizi a quibus,
 essa, correttamente motivata,  e'  comunque  di  tutta  evidenza.  In
 conclusione,   non   possono   sussistere   dubbi   di   sorta  circa
 l'ammissibilita' della questione stessa.
    4.  -  In  ordine  logico  il  profilo  di  incostituzionalita' da
 esaminare per primo e' quello relativo  agli  artt.  23  e  52  della
 Costituzione.
    La questione e' fondata.
    Alla   stregua   della   interpretazione   adottata   dai  giudici
 remittenti, interpretazione che si uniforma - come si e' visto - alla
 giurisprudenza  del  Consiglio  di Stato e del Consiglio di Giustizia
 amministrativa per la Regione siciliana, i termini previsti nell'art.
 21,  secondo  comma,  della  legge n. 191 del 1975 valgono soltanto a
 statuire un obbligo per l'arruolato che ha usufruito del ritardo  del
 servizio  militare,  quando  il  titolo del ritardo sia cessato; tale
 lettura  e'  del  resto  suffragata  dal   tenore   letterale   della
 disposizione e dal contesto in cui essa e' inserita.
    Cio'  posto, viene pero' a mancare nella disposizione in esame una
 previsione tassativa che circoscriva i limiti temporali entro i quali
 l'Amministrazione  debba  disporre la chiamata alle armi. Vero e' che
 il potere dell'Amministrazione deve pur sempre essere esercitato  nel
 rispetto   dei   principi   di  ragionevolezza  e  di  non  manifesta
 illogicita', nonche' secondo le regole della  buona  amministrazione,
 di  guisa  che  colui  che, dopo la cessazione del titolo al ritardo,
 venisse chiamato alle armi in tempi procrastinati in misura eccessiva
 potrebbe  sempre  ricorrere  al  giudice amministrativo onde ottenere
 l'annullamento dell'atto illegittimo dell'autorita'; ma tale garanzia
 non puo' essere ritenuta idonea a soddisfare il dettato dell'art. 52,
 secondo  comma,  della  Costituzione,  rafforzato  per   giunta   dal
 principio sancito nell'art. 23.
    4.1. - Non vi e' dubbio che il servizio militare, pur collegato al
 "sacro dovere della difesa della Patria" solennemente  affermato  nel
 primo  comma dell'art. 52 (rispetto al quale ha tuttavia un'autonomia
 concettuale e istituzionale: v. sent. n. 164 del  1985),  costituisce
 una   prestazione   personale,  anzi  la  prestazione  personale  per
 eccellenza e la piu' gravosa che possa  ammettersi  in  una  societa'
 civile e democratica ed in uno Stato di diritto. La riserva di legge,
 in ordine alla sua previsione e regolamentazione,  scaturisce  quindi
 gia'  dall'art.  23  della  Costituzione  che  ha valore di principio
 fondamentale. Aggiungasi, ad escludere qualsivoglia  incertezza,  che
 il  costituente  ha  voluto  -  con  il  secondo comma dell'art. 52 -
 espressamente circoscrivere l'obbligatorieta' del  servizio  militare
 "nei  limiti  e modi stabiliti dalla legge", confermando cosi', ed in
 un certo senso estendendo, la  riserva;  ad  ulteriore  garanzia  del
 cittadino,   si  e'  poi  precisato  che  l'adempimento  dell'obbligo
 militare non pregiudica la posizione di lavoro  ne'  l'esercizio  dei
 diritti  politici. E' la legge quindi che, insieme con la durata e le
 altre  caratteristiche  del  servizio  militare,  deve  stabilire  il
 momento in cui l'obbligato verra' chiamato alle armi: il cittadino ha
 bisogno di  conoscere  con  certezza  il  periodo  di  vita  in  cui,
 sottratto  alle sue normali occupazioni, o agli studi o comunque alla
 libera disponibilita' del suo  tempo  e  della  sua  persona,  dovra'
 assolvere  all'obbligo  impostogli dalla Costituzione. Trattasi di un
 diritto che non puo' essere degradato  ad  interesse  occasionalmente
 protetto  in  rapporto  al  dovere dell'Amministrazione di esercitare
 correttamente - secondo canoni di ragionevolezza,  di  imparzialita',
 di  rispondenza  ai fini da perseguire - un potere che, sia pure come
 estrema  ipotesi,  incontrerebbe  soltanto  il  limite   finale   del
 compimento  del  quarantacinquesimo anno di eta'. Che debba essere la
 legge a determinare in modo tassativo lo spazio  di  tempo  entro  il
 quale  il  cittadino puo' essere chiamato ad assolvere il servizio di
 leva, e' ulteriormente confermato dalla necessita' di ridurre il piu'
 possibile  gli  effetti  negativi  che  tale  obbligo determina nella
 ricerca del lavoro, nella  prosecuzione  di  studi  postuniversitari,
 nell'avvio  di  attivita'  professionali  od  autonome,  nei rapporti
 familiari. Del resto l'art. 3  della  legge  n.  191  del  1975,  che
 disciplina la chiamata delle classi di leva, rispetta puntualmente il
 precetto costituzionale,  in  quanto  circoscrive  tassativamente  lo
 spazio  di  tempo  entro  il  quale  il  Ministro  per la difesa puo'
 ordinare  la  chiamata,  fissandolo  nell'anno  in  cui  il   giovane
 arruolato  compie il diciannovesimo anno di eta', con la possibilita'
 "quando speciali circostanze lo esigano" di anticiparla o  ritardarla
 di un anno.
    L'art.  21, secondo comma, della citata legge deve pertanto essere
 ritenuto costituzionalmente illegittimo, in quanto, disciplinando  la
 chiamata alle armi di coloro che hanno usufruito del ritardo dopo che
 ne sia cessato il titolo, omette di prevedere  un  termine  tassativo
 entro  il  quale  debba  essere  disposta  la  chiamata  stessa,  con
 conseguente indeterminatezza temporale dell'obbligo  di  prestare  il
 servizio militare.
    4.2.  -  Tuttavia,  dalla  riconosciuta  incostituzionalita' della
 norma in esame non puo'  scaturire  la  conseguenza  prospettata  dai
 giudici  a  quibus.  Questi richiedono sostanzialmente che il termine
 ivi previsto come  cogente  per  coloro  che  hanno  beneficiato  del
 ritardo  del  servizio  militare, una volta cessato il titolo di tale
 ritardo,   sia   esso   stesso   da   considerare   perentorio    per
 l'Amministrazione che deve disporre la chiamata.
    Ma  si e' visto che l'art. 3 della legge n. 191 del 1975 in ordine
 alla  chiamata  delle  classi  di  leva  prescrive  che  questa   sia
 effettuata   nell'anno   in  cui  i  giovani  arruolati  compiono  il
 diciannovesimo anno di eta', vale a dire in uno spazio di  tempo  che
 va  dal  1Π gennaio  al  31  dicembre dell'anno anzidetto. Accanto a
 questa  prescrizione  di  carattere  generale,  lo  stesso   art.   3
 conferisce  al  Ministro della difesa due facolta': una straordinaria
 ed  eccezionale,  ("quando  speciali  circostanze  lo  esigano"),  di
 anticipare  o  ritardare di un anno la chiamata; un'altra, ordinaria,
 di chiamare alle armi le  classi  per  contingenti  o  scaglioni.  Di
 quest'ultima  facolta' il Ministero si avvale normalmente per ragioni
 sia di bilancio, sia di organizzazione del servizio.
    Sarebbe  dunque  una  soluzione  irragionevolmente  difforme dalla
 disciplina  prevista  dalla  legge  in  via   generale,   quella   di
 circoscrivere  lo  spazio  di  tempo  entro il quale il Ministro puo'
 disporre la chiamata di coloro che hanno beneficiato del ritardo  nei
 termini estremamente ristretti previsti per l'obbligato dall'art. 21,
 secondo comma.
    Il termine ultimo per l'Amministrazione va pertanto ricavato dalla
 disposizione generale dell'art. 3 della legge,  va  delimitato  cioe'
 nello  spazio  di  un  anno  che,  cosi' come ordinariamente avviene,
 consente la chiamata per contingenti o scaglioni.
    E'  ovvio  che,  laddove l'art. 3 identifica l'anno della chiamata
 delle classi in  quello  in  cui  i  giovani  arruolati  compiono  il
 diciannovesimo  anno  di eta', nell'ipotesi disciplinata dall'art. 21
 l'anno non puo' che essere quello che decorre a partire dalla data di
 cessazione  del  titolo al ritardo. Non va invece estesa alla ipotesi
 suddetta la facolta' del Ministro di ritardare la chiamata di un anno
 oltre  il  termine prefissato, poiche' trattasi, come si e' visto, di
 una facolta' eccezionale  subordinata  all'esistenza  di  circostanze
 speciali  ipotizzabili  in  relazione  alla  chiamata  generale delle
 classi, ma non di coloro che hanno usufruito del ritardo.
    4.3.  -  A  tale  soluzione la Corte perviene anche in riferimento
 all'art. 3 della Costituzione indicato nelle ordinanze di rimessione.
    Infatti,  premesso  che,  in  relazione  all'obbligo  del servizio
 militare ed alle garanzie relative  che  derivano  dalla  riserva  di
 legge sancita dall'art. 52 della Costituzione, la posizione di coloro
 che beneficiano del ritardo e' del tutto assimilabile a quella  della
 generalita' degli arruolati, costituirebbe disparita' di trattamento,
 in contrasto con l'art. 3 della  Costituzione,  una  regolamentazione
 dei  termini  temporali  utili  per la chiamata alle armi diversa per
 coloro che hanno usufruito del ritardo nei confronti  di  coloro  che
 rispondono  alla  chiamata  della  loro  classe di appartenenza. Tale
 contrasto  sussisterebbe,  ove  la  norma   impugnata   non   venisse
 dichiarata  costituzionalmente  illegittima,  in quanto gli arruolati
 che hanno beneficiato del ritardo  sarebbero  sottoposti  all'obbligo
 del  servizio senza la garanzia della tassativa previsione dei limiti
 di tempo entro i quali puo' esser disposta la  chiamata;  ma  sarebbe
 parimenti un ingiustificato trattamento di favore quello di prevedere
 per i medesimi un limite piu' ristretto rispetto  a  quello  generale
 stabilito per la chiamata delle classi.
    5.  -  Resta  assorbito il profilo di censura relativo all'art. 97
 della Costituzione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art. 21, secondo comma, della  legge  31  maggio  1975,  n.  191
 (Nuove norme per il servizio di leva), nella parte in cui non prevede
 che la chiamata alle armi di chi ha fruito del ritardo  del  servizio
 militare  sia  disposta non oltre il termine di un anno dalla data di
 cessazione del titolo al ritardo medesimo.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 31 gennaio 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: FERRI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 2 febbraio 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C0116