N. 60 SENTENZA 31 gennaio - 2 febbraio 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Reati militari - Trattamento sanzionatorio - Pene accessorie -
 Applicazione automatica della rimozione dal grado - Questione gia'
 decisa con sentenza n. 490/1989 - Manifesta inammissibilita'.
 
 (C.P.M.P., art. 230, terzo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 27).
 
 Reati militari - Trattamento sanzionatorio - Concessione della
 sospensione condizionale della pena - Effetti - Influenza sulla sola
 pena principale e non anche su quella accessoria Lamentata
 irragionevolezza - Questione risolvibile solo con l'intervento del
 legislatore, peraltro gia' avviato Inammissibilita'.
 
 (C.P.M.P., art. 166).
 
 (Cost., artt. 3 e 27, primo e terzo comma).
(GU n.7 del 14-2-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 29, 219 e 230,
 comma terzo, del codice penale militare di pace e dell'art.  166  del
 codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa il 30 marzo 1989 dal Tribunale militare di
 Padova nel procedimento penale a carico di Ruggiero Lorenzo, iscritta
 al  n.  298  del  registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 25,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1989;
      2)  ordinanza  emessa il 6 giugno 1989 dal Tribunale militare di
 Padova nel  procedimento  penale  a  carico  di  Purpiglia  Pasquale,
 iscritta  al  n.  410  del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  37,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1989;
      3)  ordinanza  emessa  l'8 giugno 1989 dal Tribunale militare di
 Padova nel procedimento penale a carico di Lucchini Franco,  iscritta
 al  n.  411  del  registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 37,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1989.
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 13 dicembre 1989 il Giudice
 relatore Ettore Gallo.
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Con ordinanza 30 marzo 1989, il Tribunale militare di Padova
 sollevava questione di legittimita' costituzionale degli  artt.  230,
 comma terzo, codice penale militare di pace, e 166 codice penale, con
 riferimento  agli  artt.  3  e  27,  primo  e  terzo   comma,   della
 Costituzione.
    Riferiva  il  Tribunale  nell'ordinanza  che  un finanziere si era
 impossessato, al fine di trarne profitto, di una paletta  segnaletica
 in     dotazione     ad     autovettura     militare,    sottraendola
 all'Amministrazione militare che la deteneva.
    Il   finanziere,   all'esito   del   dibattimento,  doveva  essere
 riconosciuto colpevole e,  in  presenza  di  circostanze  attenuanti,
 condannato  ad  un  mese di reclusione militare, cosi' come richiesto
 dal  pubblico  ministero.  Inoltre,  potendosi   presumere   che   il
 finanziere  si sarebbe astenuto dal commettere ulteriori reati, a lui
 dovrebbe essere anche  concessa  la  sospensione  condizionale  della
 pena.  Ciononostante,  al finanziere dovrebbe essere applicata, oltre
 alla pena principale, anche quella  accessoria  della  rimozione  dal
 grado,  statuita  ope  legis  ex art. 230, comma terzo, codice penale
 militare di pace.
    Dubita,  pero', il Tribunale della legittimita' della rimozione di
 diritto sulla base di quanto  affermato  dalla  Corte  Costituzionale
 nella  sentenza n. 971 del 1988. Ivi questa Corte, pronunziando sulla
 destituzione di diritto prevista per gl'impiegati civili dello  Stato
 a  seguito di condanna per taluni reati (art. 85, lett. a), D.P.R. 10
 gennaio 1957, n. 3), ha rilevato la  contraddizione  dell'automatismo
 di sanzioni penali e disciplinari con il principio di eguaglianza che
 esige  l'adeguamento  del  trattamento  sanzionatorio  alla  concreta
 gravita' dell'illecito.
    Ma  allo  stesso risultato - secondo il giudice a quo - dovrebbero
 portare anche i principi di cui all'art. 27,  primo  e  terzo  comma,
 della Costituzione.
    Ritiene,  infine,  l'ordinanza  che  anche  l'art.  166 del codice
 penale  sia  incompatibile  con  gli  stessi  parametri,  dato   che,
 nonostante  la  concessione  della  sospensione  condizionale, quella
 norma ne limita gli effetti alla  pena  principale.  Conseguentemente
 viene  sottoposto  a  pena accessoria tanto chi non lascia sperare di
 astenersi dal commettere ulteriori reati, quanto colui  che  ha  dato
 segni  tali  di ravvedimento da convincere il giudice che si asterra'
 dalla commissione di ulteriori illeciti penali.
    2.  -  Con due successive ordinanze del 6 e dell'8 giugno 1989, il
 Tribunale militare di Padova  sollevava  ancora  le  stesse  predette
 questioni, e in riferimento agli stessi parametri. La prima ordinanza
 concerneva il peculato militare di lire venticinquemila  commesso  da
 un  appuntato dei carabinieri ai danni dell'Amministrazione militare;
 la seconda si riferiva al furto militare  pluriaggravato  di  quattro
 taniche  di  gasolio  da  litri 20 ciascuna, commesso da un Appuntato
 scelto  della  Guardia  di  Finanza  ai  danni   dell'Amministrazione
 militare.
    Quest'ultimo,    tuttavia,    doveva    rispondere   altresi'   di
 disobbedienza continuata aggravata (art. 173 codice  penale  militare
 di pace).
    Per  ambo  i  casi,  pero',  pacifica la responsabilita' a seguito
 delle  risultanze  dibattimentali,  si  prospettava  -   secondo   le
 ordinanze  -  prevalenza  di attenuanti in guisa da doversi ritenere,
 sulla base dei criteri indicati nell'art. 133 codice penale,  che  la
 pena  da  infliggere  non superera' gli anni due di reclusione e che,
 attesa la levita' dei fatti  e  il  ravvedimento  dimostrato,  potra'
 essere concessa la sospensione condizionale della pena.
    Di   qui   l'insorgenza   delle  stesse  questioni  sollevate  con
 l'ordinanza di cui al paragrafo  che  precede.  Ad  esse,  pero',  le
 ordinanze  in  esame  aggiungono  un'ulteriore subordinata questione,
 concernente l'art. 29, secondo comma, codice penale militare di pace.
    Fanno   presente,   infatti,   le   ordinanze   che,   a   seguito
 dell'auspicata delegittimazione dell'art. 230,  terzo  comma,  codice
 penale  militare  di  pace, i due condannati incorrerebbero comunque,
 nella stessa pena accessoria della rimozione de jure  dal  grado,  in
 forza del disposto di cui al citato secondo comma dell'art. 29 codice
 penale militare di pace, per il quale la rimozione va  in  ogni  caso
 applicata se la pena riportata da un graduato di truppa supera l'anno
 di reclusione.
    Poiche',  pero',  lo  stesso  articolo  prevede,  invece, che, per
 ufficiali  e  sottufficiali,  tale  grave  conseguenza  si  verifichi
 soltanto  quando la pena superi i tre anni di reclusione, denuncia il
 Tribunale,  ex  art.  3  della  Costituzione,  la  carenza  di   ogni
 ragionevole  giustificazione  in  siffatto  divario  del  trattamento
 sanzionatorio. Che' semmai la posizione di  maggiore  responsabilita'
 di  questi  ultimi,  nell'ambito  delle  Forze Armate, avrebbe potuto
 giustificare il contrario.
    3.  - Interveniva nei giudizi innanzi a questa Corte il Presidente
 del Consiglio dei ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura  Generale
 dello Stato.
    Secondo  l'Avvocatura le questioni sollevate non hanno fondamento.
 La pena accessoria della rimozione  de  jure  dal  grado  corrisponde
 all'interdizione  perpetua  dai  pubblici  uffici prevista dal codice
 penale comune per taluni delitti o in relazione alla quantita'  della
 pena inflitta. Peraltro, e' ragionevole che sia il legislatore stesso
 a stabilire de jure quali siano le  situazioni  d'incompatibilita'  a
 permanere  in funzioni di comando di coloro che sono stati condannati
 per reati infamanti o a pene molto gravi. Per queste stesse  ragioni,
 ma anche a cagione della natura diversa della pena accessoria, appare
 ragionevole che la condanna condizionale si riferisca  soltanto  alla
 pena principale.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Poiche'  tutte  le  ordinanze  sollevano sostanzialmente le
 stesse   questioni   e   si   riferiscono   agli   stessi   parametri
 costituzionali,  i  giudizi  possono essere riuniti per essere decisi
 con unica sentenza.
    2.  -  Lamenta il Tribunale militare di Padova che l'automaticita'
 della pena accessoria della rimozione dal grado,  nei  casi  previsti
 dalla  legge  militare,  instauri un trattamento sanzionatorio eguale
 per situazioni diverse, violando l'art. 3 della Costituzione.
    Ben  diversa,  infatti,  e'  la  situazione  di chi abbia mostrato
 ravvedimento tale da indurre il giudice a sospendere condizionalmente
 la  pena  inflitta  con la condanna, rispetto a quella di chi, per il
 suo comportamento o per la gravita' dei precedenti penali, non  abbia
 potuto ottenere lo stesso beneficio.
    Inoltre  poi  l'automaticita'  della  sanzione accessoria priva il
 giudice del potere-dovere di adeguare la pena al disvalore del  fatto
 e  alle  circostanze  nelle quali si e' realizzato, cosi' vanificando
 l'art. 27, primo e terzo comma, della Costituzione.
    D'altra  parte, l'inefficacia della sospensione condizionale della
 pena in ordine alla pena accessoria sarebbe  parimenti  incompatibile
 con  l'art.  3  della  Costituzione  per  le  stesse cause piu' sopra
 indicate; e', infatti, evidente che colui che abbia mostrato volonta'
 e  capacita' di recupero e quindi dato affidamento in ordine alla non
 ulteriore commissione di reati, viene trattato alla stessa stregua di
 chi  tale  non  sia  apparso  al  giudice, o comunque immeritevole si
 presenti di fronte alla legge di godere del beneficio.
    Infine,   osservano   altresi'   subordinatamente  le  ultime  due
 ordinanze che, qualora venisse a cadere  l'automaticita'  della  pena
 accessoria,  la  Corte  dovrebbe  dichiarare  anche  l'illegittimita'
 dell'art. 29, secondo comma, codice  penale  militare  di  pace,  per
 violazione  dell'art.  3  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui
 stabilisce la stessa automatica  pena  accessoria  in  ragione  della
 misura della pena: facendola, pero', conseguire ad una pena superiore
 ad un anno di reclusione per i graduati di truppa, e superiore a  tre
 anni  invece  per  ufficiali  e  sott'ufficiali.  Eguaglianza  esige,
 infatti, che non si tenga alcun  conto  di  siffatte  differenze,  le
 quali semmai dovrebbero comportare conseguenze inverse.
    3. - La questione concernente la pena accessoria de jure, prevista
 dall'art. 230, comma terzo, codice penale militare di pace,  e'  gia'
 stata risolta da questa Corte, negli stessi termini prospettati dalle
 ordinanze in esame  e  in  riferimento  agli  stessi  parametri,  con
 sentenza  7 novembre 1989, n. 490, che l'ha dichiarata inammissibile.
    Nessun   nuovo   profilo,   o  diverso  argomento,  essendo  stato
 prospettato dalle ordinanze de quibus, la  questione  dev'essere  ora
 dichiarata manifestamente inammissibile.
    In   tale   dispositivo  resta  altresi'  assorbita  la  questione
 subordinatamente  sollevata  in  ordine  all'art.  29  codice  penale
 militare  di  pace, per l'ipotesi in cui fosse stata accolta la prima
 questione. Poiche' questa  viene,  invece,  disattesa,  la  questione
 dell'art.  29 resta assorbita, dato che per tutte le ipotesi in esame
 la pena accessoria  dipende  dalla  specie  dei  reati  e  non  dalla
 quantita' della pena.
    4.  - Per quanto si riferisce, infine, alla questione sollevata in
 ordine all'art. 166 codice penale, pur riconoscendo la Corte  che  il
 problema  esiste,  ritiene,  tuttavia,  che la sua risoluzione meglio
 s'addica ai  poteri  discrezionali  del  legislatore  a  causa  della
 necessita'   di   adottare  provvedimenti  conseguenti  in  ordine  a
 situazioni connesse (effetti  penali  della  condanna,  provvedimenti
 riguardanti  i  minori),  al  diritto  transitorio,  e  al necessario
 coordinamento in relazione al nuovo codice di procedura penale.
    Al che, del resto, il legislatore sembra seriamente intenzionato a
 provvedere mediante il disegno di legge governativo,  presentato  dal
 Ministro  di  Grazia  e Giustizia (di concerto con il Ministro per la
 Funzione  pubblica)  ed  approvato,  in   sede   legislativa,   dalla
 Commissione  Giustizia  della Camera dei deputati il 20 luglio 1988 e
 di nuovo in discussione davanti  alla  stessa  Commissione  Giustizia
 nella seduta del 15 novembre 1989.
    Nel   passaggio   dall'una   all'altra   Commissione,   l'articolo
 concernente l'estensione alle pene  accessorie  degli  effetti  della
 sospensione  condizionale  e'  sempre  rimasto  fermo ed unanimamente
 approvato:  nel  disegno  stesso  e'  data  sistemazione  anche  alle
 situazioni   transitorie,   con  possibilita'  di  reintegrazione,  a
 domanda, del destituito,  previo  riesame  della  posizione  in  sede
 disciplinare;
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
      dichiara    manifestamente   inammissibile   la   questione   di
 legittimita' costituzionale dell'art. 230, comma terzo, codice penale
 militare  di  pace,  con riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo
 comma  della   Costituzione,   sollevata   dal   Tribunale   militare
 territoriale di Padova con le ordinanze 30 marzo, 6 e 8 giugno 1989;
      dichiara    inammissibile    la    questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 166 codice penale, in riferimento agli artt.
 3  e  27,  primo  e  terzo  comma  della  Costituzione, sollevata dal
 Tribunale militare di Padova  con  tutte  le  ordinanze  indicate  in
 epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 31 gennaio 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 2 febbraio 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C0135