N. 72 SENTENZA 20 - 22 febbraio 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Calcolo -
 Pensionati posti in quiescenza dal 1Πgennaio 1988 e pensionati da
 data anteriore - Esclusione per i secondi dalla computabilita' della
 retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione
 annua pensionabile prevista - Questione basata su presupposti erronei
 - Non fondatezza.
 
 (Legge 11 marzo 11988, n. 67, artt. 21, sesto comma, e 3, comma
 2-bis, del d.-l. 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni,
 nella legge 20 maggio 1988, n. 160)
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.9 del 28-2-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 21, sesto comma,
 della legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per la formazione  del
 bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988)),
 dell'art. 3, comma secondo-bis, del decreto-legge 21 marzo  1988,  n.
 86  (Norme  in  materia  previdenziale, di occupazione giovanile e di
 mercato  del  lavoro,  nonche'  per  il  potenziamento  del   sistema
 informatico  del  Ministero  del  lavoro e della previdenza sociale),
 convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio  1988,  n.  160,
 promossi con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa l'8 giugno 1989 dal Pretore di Pistoia nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Cappelli  Osmano  e  l'I.N.P.S.,
 iscritta  al  n.  429  del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  39,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1989;
      2)  ordinanza emessa il 2 giugno 1989 dal Pretore di Viterbo nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Biaggioli  Guido  ed   altro   e
 l'I.N.P.S.,  iscritta  al  n.  430  del  registro  ordinanze  1989  e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  39,  prima
 serie speciale, dell'anno 1989;
    Visti  gli  atti  di costituzione di Cappelli Osmano, di Biaggioli
 Guido ed altro e  dell'I.N.P.S.  nonche'  l'atto  di  intervento  del
 Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  12  dicembre  1989  il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Uditi  gli  avv.ti  Francesco  Paolo  Rossi  per  Cappelli Osmano,
 Parisio Ravajoli per Biaggioli Guido ed altro e  Pasquale  Vario  per
 l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente
 del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  emessa  il  2  giugno  1989 nel corso di un
 procedimento civile promosso da  Biaggioli  Guido  e  Meschini  Mario
 contro  l'I.N.P.S. il Pretore di Viterbo ha sollevato, in riferimento
 all'art. 3 Cost., una questione di legittimita' costituzionale  degli
 artt.  21,  comma  sesto,  della  legge  11  marzo  1988, n.67 (legge
 finanziaria 1988) e 3, comma 2- bis della legge 20  maggio  1988,  n.
 160, di conversione del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86.
    La  prima  di  tali disposizioni prevede il computo, ai fini della
 determinazione delle pensioni del regime generale, "a  decorrere  dal
 1Π gennaio  1988", della retribuzione imponibile eccedente il limite
 massimo  della  retribuzione  annua  pensionabile,  secondo  aliquote
 decrescenti  indicate in apposita tabella; la quota di pensione cosi'
 calcolata si somma alla pensione  determinata  in  base  al  suddetto
 limite  massimo  e  diviene  parte  integrante  di  essa  a tutti gli
 effetti.
    La seconda, interpretando la prima, stabilisce che la retribuzione
 pensionabile va calcolata sulla media delle retribuzioni imponibili e
 pensionabili,  rivalutate  a  norma dell'undicesimo comma dell'art. 3
 della legge n. 297 del 1982 e relativa alle  ultime  duecentosessanta
 settimane di contribuzione.
    Premesso  che  ai  ricorrenti  le  pensioni erano state liquidate,
 rispettivamente, il 1Πsettembre 1987 ed il 1Πaprile 1986 e  che  il
 mancato computo di tale quota aggiuntiva comportava una differenza in
 meno, rispetto alle pensioni liquidate il 1Πgennaio 1988 (a  parita'
 di   anzianita'   contributiva   e   di   retribuzione   imponibile),
 rispettivamente  del  57  e  del  93%,  il  giudice  a  quo  esclude,
 innanzitutto, che le suddette disposizioni possono essere intese come
 riferite anche alle pensioni liquidate anteriormente  a  quest'ultima
 data, dato che esse non contengono alcuna esplicita previsione in tal
 senso. Esclude, inoltre, che nella specie possano dirsi  violati  gli
 artt.  36  e  38  Cost. - come preteso dai ricorrenti - dato che tali
 censure dovrebbero appuntarsi sulla disposizione che ha stabilito  il
 "tetto"  pensionabile (art. 5, comma quarto, d.P.R. n. 488 del 1968),
 peraltro giudicata legittima da questa Corte  (sentenza  n.  173  del
 1986).   Ritiene,   invece,   che   trattamenti  pensionistici  cosi'
 macroscopicamente differenziati non possano  essere  giustificati  in
 base  alla  sola data del collocamento a riposo. Lo sconfinamento dal
 ragionevole uso della discrezionalita'  legislativa  -  argomenta  il
 Pretore  -  e'  stato  escluso  dalla Corte laddove i trattamenti non
 ricompresi in una data disciplina per ragioni temporali restino pero'
 assoggettati  ad altro (meno utile) sistema perequativo (sentenze nn.
 12 e 173  del  1986).  Ma  nel  caso  di  specie  non  si  tratta  di
 sostituzione  di un sistema perequativo od un altro, o di adeguamento
 del massimale pensionabile, bensi' di soppressione del massimale e di
 una nuova e diversa strutturazione della pensione: sicche' dovrebbero
 essere qui applicati i criteri perequativi che la Corte  ha  ritenuto
 doverosi    laddove    macroscopiche   differenze   nei   trattamenti
 pensionistici  in  ragione  della  data  del  collocamento  a  riposo
 derivano  da  una  nuova  strutturazione  delle retribuzioni cui tali
 trattamenti vanno commisurati (sentenza n. 501 del 1988).
    2.  -  Le parti private C. Biaggioli e M. Meschini, costituitesi a
 mezzo  dell'avv.  P.  Ravajoli,  dopo  aver  sottolineato  le  inique
 conseguenze della normativa sul "tetto" pensionabile, prospettano una
 soluzione  interpretativa  della   questione,   sostenendo   che   il
 riferimento  alla data del 1Πgennaio 1988 concerne non la decorrenza
 della pensione  ma  la  decorrenza  del  computo  della  retribuzione
 imponibile   eccedente   il  limite  massimo  di  retribuzione  annua
 pensionabile: computo il cui risultato si  sommerebbe  alla  pensione
 determinata, o da determinarsi, senza limiti temporali.
    Nello  stesso senso deporrebbero sia il fatto che l'impugnato art.
 21 comprende anche ipotesi in cui il diritto  alla  liquidazione  era
 gia'  maturato  -  quelle cioe' decorrenti tra il 1Πgennaio ed il 13
 marzo 1988 - senza prevedere al riguardo alcuna  riliquidazione;  sia
 la  ratio  della  norma,  che sarebbe volta a rendere giustizia a chi
 gia' aveva  subito  la  compressione  del  trattamento  pensionistico
 conseguente  al  "tetto":  cio'  che  dovrebbe  comunque  indurre  ad
 un'interpretazione estensiva.  In  una  memoria  aggiunta  la  difesa
 prospetta,  poi,  l'ipotesi  che  un'interpretazione  estensiva possa
 essere avvalorata dall'ordinanza n. 120 del 1989 di questa Corte.
    In  subordine, le parti private aderiscono alla prospettazione del
 giudice a quo, negando che nel caso di  specie  possa  ricorrersi  al
 criterio  di  necessaria  gradualita'  nell'attuazione  dei  precetti
 costituzionali e sottolineando che  le  differenziazioni  basate  sul
 fattore  temporale  si  giustificano  solo  se  mantenute  in  limiti
 ragionevoli ed ancorate ad una necessaria gradualita'  di  attuazione
 del  principio  di  proporzionalita' tra retribuzione e pensione e di
 adeguatezza di questa alle esigenze di vita.  Nella  specie,  invece,
 trattasi  di  differenziazioni  macroscopiche,  che  avrebbero potuto
 essere evitate senza  eccessivi  oneri  finanziari  per  lo  Stato  e
 comportano  che  contributi versati nel medesimo periodo (tra il 1983
 ed il 1987) siano utili per alcuni e non  per  altri:  cio'  che  da'
 luogo  ad  un  inammissibile  privilegio a favore di chi gode gia' di
 pensioni  piu'  elevate  in   quanto   commisurate   a   retribuzioni
 incrementate per effetto della dinamica salariale.
    Ad avviso della difesa, inoltre, sarebbero violati anche gli artt.
 36 e  38  Cost.,  costituenti  logica  proiezione  del  principio  di
 uguaglianza,  dato che l'intervento riequilibratore realizzato con le
 disposizioni impugnate assicura la proporzionalita' della pensione  e
 la  sua adeguatezza per un'esistenza dignitosa soltanto ai pensionati
 post 1987.
    La  difesa  nega,  infine, che la discriminazione denunciata possa
 ritenersi  transitoriamente   tollerabile   in   considerazione   dei
 miglioramenti  pensionistici  previsti  dall'art.  3,  secondo comma,
 della legge  29  dicembre  1988,  n.  544:  sia  perche'  i  promessi
 interventi  sarebbero  "non  vincolanti" e comunque quantitativamente
 irrisori  (300  miliardi  annui  per  circa  3  milioni  di  pensioni
 superiori al minimo); sia perche' essi, riguardando solo l'incremento
 della parte di pensione contenuta nei limiti del tetto  pensionabile,
 concernerebbero  un  aspetto  diverso e non incompatibile rispetto al
 computo delle retribuzioni eccedenti il tetto medesimo.
    3.  -  L'I.N.P.S.,  costituitosi, sostiene che la differenziazione
 denunciata  si  giustifica  in  base  al  principio  di   gradualita'
 nell'ampliamento  o nell'ottimizzazione del sistema delle prestazioni
 previdenziali, correlato all'esigenza  di  reperimento  di  nuove  ed
 adeguate  risorse;  gradualita' che nella specie andrebbe considerata
 nel quadro della vistosa  integrazione  finanziaria  sostenuta  dallo
 Stato  ai  fini  del  ripiano  delle  gestioni  assicurative affidate
 all'I.N.P.S.,  ed  in  particolare  degli  oneri  occorrenti  per  la
 separazione  tra previdenza e assistenza (art. 21, terzo comma, legge
 n.  67  del  1988)  e  per  la   ristrutturazione   dell'I.N.P.S.   e
 dell'I.N.A.I.L. (art. 36 legge n. 88 del 1989).
    4. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto tramite
 l'Avvocatura dello Stato, esprime innanzitutto  "perplessita'"  circa
 la   rispondenza   al  testo  normativo  della  ritenuta  esclusione,
 dall'ambito di operativita' dell'art. 21, sesto comma, delle pensioni
 liquidate anteriormente al 1Πgennaio 1988.
    Ritiene,  peraltro,  che  la questione sia infondata, e cio' sulla
 base di motivazioni analoghe a quelle addotte dall'I.N.P.S.
    5. - Una questione analoga a quella sopra illustrata - ma riferita
 al solo art. 21, sesto comma, della legge n. 67 del 1988 -  e'  stata
 sollevata  dal  Pretore  di Pistoia con ordinanza dell'8 giugno 1989,
 emessa nel corso di un  procedimento  civile  vertente  tra  Cappelli
 Osmano  e  l'I.N.P.S.  Anche detto Pretore esclude la possibilita' di
 una soluzione interpretativa, rilevando che un ostacolo  ad  essa  e'
 dato anche dall'art. 3, secondo comma, legge n. 544 del 1988, con cui
 sono stati disposti miglioramenti pensionistici al fine  di  avviare,
 tra   l'altro,  "la  rivalutazione...  delle  pensioni  limitate  dal
 massimale di retribuzione pensionabile in vigore anteriormente al  1Œ
 gennaio 1988".
    Cio'  posto,  il  giudice a quo sostiene che le situazioni poste a
 raffronto sono in tutto identiche, e che percio'  non  si  giustifica
 l'applicazione   del  "principio  di  produttivita'"  dei  contributi
 previdenziali,  anche  eccedenti  il  tetto  pensionabile,  ai   soli
 lavoratori posti in quiescenza a partire dalla predetta data.
    6.  - La parte privata Cappelli Osmano, costituitasi a mezzo degli
 avv.ti F.P. Rossi e M. Scorza, osserva innanzitutto che la  questione
 non  concerne  la riliquidazione della pensione ne' coinvolge il c.d.
 tetto pensionabile - rimasto inalterato  -  ma  concerne  il  diritto
 autonomo  alla  quota  aggiuntiva  corrispondente  alle  retribuzioni
 eccedenti il tetto, reso esigibile attraverso la predeterminazione di
 appositi  criteri di calcolo: diritto che dovrebbe spettare a tutti i
 pensionati che, alla data del 1Πgennaio 1988, possono far valere una
 retribuzione  imponibile  eccedente  il  tetto  medesimo. Dato che la
 norma conferma tale diritto con effetto retroattivo, non vi sarebbero
 elementi idonei a differenziare le posizioni dei pensionati ante 1988
 da quelle di chi sia andato in pensione tra il 1Πgennaio  ed  il  13
 marzo 1988; anzi proprio ai primi dovrebbe applicarsi il principio di
 solidarieta' sociale addotto a giustificazione del tetto medesimo.
    7.  -  Nel  suddetto  giudizio  il  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri  non  e'  intervenuto  e   l'I.N.P.S.   si   e'   costituito
 tardivamente.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  riunione  dei  procedimenti  consegue alla identita' di
 materia oggetto delle ordinanze di rimessione.
    Le  questioni  di  legittimita' costituzionale sollevate da queste
 ultime investono il sesto comma dell'art. 21  della  legge  11  marzo
 1988,  n.  67  (Legge finanziaria 1988) nonche' il comma secondo- bis
 dell'art. 3 del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 20 maggio 1988, n. 160, impugnato dal solo
 Pretore di Viterbo.
    La  prima norma stabilisce che "a decorrere dal 1Πgennaio 1988 ai
 fini della  determinazione  della  misura  delle  pensioni  a  carico
 dell'assicurazione   generale   obbligatoria  per  l'invalidita',  la
 vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti,  la  retribuzione
 imponibile   eccedente   il  limite  massimo  di  retribuzione  annua
 pensionabile  previsto  per  l'assicurazione  predetta  e'  computata
 secondo  le  aliquote  di  cui  alla  allegata  tabella.  La quota di
 pensione cosi' calcolata si somma alla pensione determinata  in  base
 al  limite  massimo  suddetto  e  diviene, a tutti gli effetti, parte
 integrante di essa". Il comma 2- bis dell'art. 3 del  decreto-  legge
 21  marzo 1988, n. 86, convertito nella legge 20 maggio 1988, n. 160,
 ha poi disposto che la suddetta disposizione "si interpreta nel senso
 che  la  retribuzione  pensionabile  va  calcolata  sulla media delle
 retribuzioni  imponibili   e   pensionabili,   rivalutate   a   norma
 dell'undicesimo comma dell'art. 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297,
 e relative alle ultime duecentosessanta settimane di  contribuzione".
    Entrambi  i  giudici  a  quibus  muovono dal presupposto che dalla
 corresponsione di tale quota integrativa di pensione siano esclusi  i
 soggetti  che,  pur  avendo  fruito  di  una  retribuzione imponibile
 eccedente il limite massimo di retribuzione annua pensionabile, siano
 titolari  di  pensione  liquidata anteriormente al 1Πgennaio 1988. E
 percio' sostengono che la prima (o entrambe) le suddette disposizioni
 contrasterebbero  con l'art. 3 Cost., assumendo che non possa trovare
 razionale   giustificazione   nel   solo   elemento   temporale    la
 sperequazione,  quantitativamente  rilevante,  che  in  tal  modo  si
 determina rispetto ai titolari di pensioni con decorrenza posteriore.
    2.  -  La  questione va preliminarmente esaminata sotto il profilo
 dell'interpretazione delle norme impugnate presupposta dai giudici  a
 quibus,  dato  che la sua esattezza e' non solo avversata dalle parti
 private,   ma   contraddetta   dal   diffuso    orientamento    della
 giurisprudenza  di  merito  finora pronunciatasi sul punto. La stessa
 Avvocatura dello Stato, del  resto,  avanza  in  proposito  esplicite
 "perplessita'".
    Con  l'impugnato art. 21, sesto comma, il legislatore ha mantenuto
 fermo il massimale di retribuzione pensionabile, fruente di un  tasso
 di  rendimento  del  2  per  cento annuo; ma ha disposto che anche la
 parte di retribuzione assoggettata a  contribuzione  eccedente  detto
 massimale  sia  computata  ai  fini pensionistici e dia titolo ad una
 quota integrativa di  pensione,  peraltro  con  tassi  di  rendimento
 inferiori e via via decrescenti (1,50, 1,25 e 1 per cento).
    Questa  Corte,  con  la  sentenza  n.  173 del 1986, ha respinto i
 sospetti  di  incostituzionalita'  del   sistema   del   c.d.   tetto
 pensionabile, sottolineando tra l'altro la permanente validita' degli
 intenti solidaristici che ne hanno ispirato l'introduzione, e  quindi
 della  necessita'  di  richiedere "un piu' forte aiuto alle categorie
 piu' ricche" a fini di "solidarieta' intersettoriale"; validita'  che
 va  qui  ribadita, cosi' come va richiamata l'esigenza di evitare gli
 effetti distorsivi che sul vigente sistema "retributivo"  di  calcolo
 delle   pensioni  possono  essere  indotti  da  accentuate  dinamiche
 retributive  che  per  talune  categorie  intervengano   nella   fase
 terminale della vita lavorativa.
    La  Corte  non ha pero' negato - a fronte delle molteplici censure
 prospettatele  -  che  la  disciplina   della   materia   richiedesse
 sostanziali  correzioni;  e  non  ha  percio'  mancato  di  formulare
 "l'auspicio di  una  sollecita  elaborazione  di  norme  adeguate  in
 materia di proporzione tra contributi, retribuzioni e pensione" (par.
 10).
    E'  noto, in effetti, che il divario - inizialmente trascurabile -
 tra la retribuzione imponibile ed il limite massimo  di  retribuzione
 annua  pensionabile,  e'  andato  progressivamente  crescendo  per la
 mancata rivalutazione di tale limite pur in  presenza  di  accentuati
 processi   inflazionistici;  e  che,  nonostante  gli  interventi  di
 adeguamento, perequazione ed indicizzazione gradualmente introdotti a
 partire  dal  1981,  era  assai  diffuso  negli  anni piu' recenti il
 convincimento  che  occorresse  intervenire  in  tale   materia   per
 correggere  gli  effetti  di  eccessiva  compressione dei trattamenti
 pensionistici delle categorie medio-alte conseguenti alle  dimensioni
 raggiunte  da  quel divario: cio' che e' stato appunto realizzato con
 l'art. 21, sesto comma, della legge finanziaria 1988.
    3.  -  Una  corretta interpretazione di tale disposizione non puo'
 percio' non prendere le mosse dalla  constatazione  che  il  concreto
 funzionamento  del  sistema  del  c.d. tetto pensionistico comportava
 sacrifici che il legislatore ha considerato  doveroso  attenuare.  Di
 conseguenza,  in  tanto  e'  possibile  ritenere  che  si  sia inteso
 escludere dal beneficio proprio i soggetti che quei sacrifici avevano
 sopportato,  in  quanto consti un'univoca volonta' legislativa in tal
 senso: tanto piu' se si considera che al permanere di un  trattamento
 inadeguato  si  aggiungerebbe,  in  tal caso, l'aggravante di una sua
 consistente divaricazione rispetto  a  quello  riservato  a  soggetti
 versanti  nelle  medesime condizioni, e cio' sulla base del mero dato
 temporale del collocamento a riposo.
    Di  un  simile  intento  del  legislatore  non  vi  e' traccia nel
 dibattito parlamentare sulla disposizione, frutto di  un  emendamento
 presentato  dal  Governo:  ed anzi indizi in senso opposto potrebbero
 ricavarsi dalle valutazioni ivi espresse circa  la  sua  idoneita'  a
 consentire  "di  mantenere la parita' di trattamento... nei confronti
 di coloro che pagano su  tutta  la  retribuzione  (e  che,  pertanto,
 vengono fortemente penalizzati)" (cfr. Atti Parlamentari della Camera
 dei deputati, seduta del 5 febbraio 1988).
    Ne'  vale  l'argomento  che  il Pretore di Viterbo vorrebbe trarre
 dall'assenza di norme sulla riliquidazione, a suo  avviso  necessaria
 ove  il beneficio si intendesse esteso a soggetti cui la pensione sia
 gia' stata liquidata.  Il  meccanismo  predisposto,  in  effetti,  si
 esaurisce  nell'erogazione  della "quota" aggiuntiva di pensione - da
 sommare "alla pensione determinata in base al limite  massimo"  della
 retribuzione  annua pensionabile - risultante dal computo, secondo le
 aliquote indicate in tabella, della retribuzione imponibile eccedente
 tale  limite,  calcolata  sulla media di quelle (rivalutate) relative
 alle ultime duecentosessanta  settimane  di  contribuzione  (art.  3,
 comma  2-  bis  legge  n.  160  del  1988).  Si  tratta,  quindi,  di
 un'operazione  autonoma  ed   aggiuntiva   rispetto   a   quella   di
 liquidazione  della  pensione  gia'  effettuata  in  base  al "tetto"
 pensionabile, che  non  comporta  percio'  alcuna  riliquidazione  di
 questa  e  si risolve in una mera sommatoria di due entita' distinte,
 calcolate secondo aliquote diverse:  sicche'  essa  ben  puo'  essere
 eseguita  anche  nei  confronti  di  chi tale liquidazione abbia gia'
 ottenuto.
    Non  e'  persuasivo,  d'altra  parte,  neanche  l'argomento che il
 Pretore di Pistoia trae dall'art. 3, secondo comma,  della  legge  29
 dicembre 1988, n. 544, con il quale sono stati stanziati 300 miliardi
 annui per "ulteriori miglioramenti dei  trattamenti  pensionistici  a
 carico   dell'assicurazione   generale  obbligatoria",  "al  fine  di
 avviare,  tra  l'altro,  anche  la  rivalutazione...  delle  pensioni
 limitate   dal  massimale  di  retribuzione  pensionabile  in  vigore
 anteriormente al 1Πgennaio 1988".
    Dall'art.  2  del  D.P.C.M.  16 dicembre 1989, di attuazione della
 predetta disposizione risulta  invero  che  con  essa  si  e'  inteso
 pervenire  ad  una  rideterminazione  dei  massimali  delle  pensioni
 liquidate negli anni 1971-1984, che in base  alle  diverse  normative
 succedutesi nel tempo in materia di tetto pensionabile avevano - come
 e'  noto  -  subi'to  compressioni  di  diversa  gravita'  a  seconda
 dell'anno  di  decorrenza  della  pensione.  Si tratta, cioe', di una
 parziale perequazione tra le pensioni limitate dal tetto, operata  in
 favore  di  quelle maggiormente falcidiate da questo, la quale per di
 piu' non concerne le pensioni successive al  1984,  (tra  cui  quelle
 oggetto  dei  giudizi a quibus). Sarebbe quindi improprio considerare
 tale disposizione  come  un  correttivo  della  sperequazione  che  -
 nell'interpretazione  del Pretore - sarebbe stata determinata, tra le
 pensioni aventi decorrenza anteriore o posteriore al 1Πgennaio 1988,
 dall'impugnato  art.  21,  sesto comma. D'altra parte, poiche' questo
 segna - come si e' detto - il discrimine tra retribuzioni fruenti  di
 diversi  tassi di rendimento, la sua applicazione anche alle pensioni
 ante 1988 e' pienamente compatibile con l'espansione, per quelle piu'
 sfavorite,   dell'area   di  operativita'  del  tetto  di  rendimento
 superiore.
    4.  -  Gli  argomenti  addotti da giudici a quibus non sono dunque
 idonei a far attribuire alla disposizione  censurata  un  significato
 diverso  da quello che emerge dalla sua struttura letterale e logica:
 nella quale l'inciso "a decorrere dal 1Πgennaio 1988" segna solo  il
 momento   a   partire  dal  quale  va  effettuato  il  computo  della
 retribuzione eccedente il tetto  pensionabile  e  va  corrisposta  la
 quota aggiuntiva di pensione cosi' determinata. Diversamente da altre
 disposizioni emanate nella stessa materia (cfr., ad  es.,  l'art.  19
 della  legge n. 155 del 1981), in quella in esame mancano espressioni
 che colleghino la disposta decorrenza alla data di liquidazione della
 pensione.  Decisivo  e',  al  riguardo,  il  raffronto  con  la norma
 contenuta nella seconda parte del citato comma 2- bis dell'art. 3 del
 decreto-legge n. 86 del 1988, convertito nella legge n. 160 del 1988,
 che   segue    immediatamente    la    disposizione    interpretativa
 dell'impugnato art. 21, sesto comma.  Nell'introdurre, in riferimento
 ai massimali annui, un nuovo sistema di calcolo  delle  pensioni  dei
 dirigenti   di   aziende   industriali,   tale   norma  si  riferisce
 espressamente a quelle "liquidate dall'I.N.P.D.A.I. con decorrenza  a
 partire  dal  1Π gennaio  1988", con cio' delimitando chiaramente la
 sfera dei destinatari di esso. Se un'analoga, univoca  locuzione  non
 e'  stata  adottata  ne'  nell'art.  21, sesto comma, ne' nella norma
 interpretativa  che  precede  immediatamente  quella  sulle  pensioni
 I.N.P.D.A.I.  ora  citata,  e'  segno  che  altra  e'  in tal caso la
 volonta' del legislatore, del resto indirizzata a regolare situazioni
 diverse. Sarebbe invero del tutto incongruo che nel medesimo contesto
 normativo, o in contesti strettamente collegati, si  usino  locuzioni
 differenti per esprimere lo stesso concetto.
    Tanto   l'interpretazione   letterale   e  logica,  quanto  quella
 desumibile dalla ratio legis e  dai  lavori  preparatori  convergono,
 quindi,  nel  far  ritenere  che l'impugnato art. 21, sesto comma, si
 riferisca anche alle pensioni liquidate anteriormente al  1Π gennaio
 1988.  Di  conseguenza le questioni sollevate, in quanto si basano su
 un presupposto erroneo, vanno dichiarate non fondate.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
     Dichiara  non  fondate,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione, le
 questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 21, sesto comma,
 della  legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per la formazione del
 bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988) )
 e  3, comma secondo-bis, del decreto-legge 21 marzo 1988 n. 86 (Norme
 in materia previdenziale, di occupazione giovanile e di  mercato  del
 lavoro,  nonche'  per  il  potenziamento  del sistema informatico del
 Ministero del lavoro e della  previdenza  sociale),  convertito,  con
 modificazioni,  nella  legge 20 maggio 1988, n. 160, nonche' del solo
 art. 21, sesto comma, sopra citato, sollevate in riferimento all'art.
 3  della  Costituzione,  rispettivamente, dai Pretori di Viterbo e di
 Pistoia con le ordinanze indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                         Il redattore: SPAGNOLI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 22 febbraio 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C0191