N. 90 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 dicembre 1989

                                 N. 90
 Ordinanza  emessa  il  21  dicembre 1989 dal pretore di La Spezia nel
 procedimento civile tra Ferrari Domenico e l'I.N.P.S. ed altro
 Previdenza  e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Esclusione dal
 diritto alla pensione di inabilita' di cui all'art. 12 della legge n.
 118/1971,  traformata  in  pensione  sociale,  degli  invalidi civili
 assoluti ultrasessantacinquenni al momento della presentazione  della
 domanda, in possesso del reddito di cui alla legge predetta (artt. 12
 e segg.) e successive modificazioni, ma non di quello previsto  dalla
 legge  n. 153/1969 e successive modificazioni per la pensione sociale
 -  Subordinatamente  -  Esclusione  dal  diritto  alla  pensione   di
 inabilita' dei predetti soggetti nella indicata condizione, qualora a
 seguito della domanda  presentata  anteriormente  alla  scadenza  del
 d.-l.  n.  495/1987,  non  fossero  sorti  rapporti giuridici, ne' si
 fossero prodotti effetti Violazione del principio di uguaglianza e di
 imparzialita'  e  buon  andamento della p.a. nonche' dei limiti della
 potesta' legislativa delegata - Richiamo alla  sentenza  della  Corte
 costituzionale n.  769/1988.
 (D.Lgs.  23 novembre 1988, n. 509, artt. 6 e 8, primo comma; legge 21
 marzo 1988, n. 93, art. 1).
 (Cost., artt. 3, 76 e 97).
(GU n.10 del 7-3-1990 )
                               IL PRETORE
    Sciogliendo la formulata riserva;
                             O S S E R V A
    Con ricorso depositato il 13 dicembre 1988, Ferrari Domenico adiva
 questo pretore in funzione di giudice del lavoro, assumendo di essere
 nato  in  La  Spezia il 4 marzo 1901, e di avere inoltrato in data 19
 dicembre  1980  domanda  al  comitato  provinciale  di  assistenza  e
 beneficenza  della  prefettura  di  La  Spezia,  costituito  ai sensi
 dell'art. 14 della legge 30 marzo 1971, n. 118, diretta ad ottenere i
 benefici   previsti   dall'art.  12  di  detta  legge,  e  successive
 modificazioni. Proseguiva precisando che ad opera  della  commissione
 sanitaria,   con  verbale  del  12  settembre  1986,  gli  era  stata
 riconosciuta l'invalidita' al 100%, ma che nessun provvedimento aveva
 fatto seguito.
    Rilevava  che,  per tale motivo ed attese le modifiche legislative
 intervenute nelle more del procedimento amministrativo riguardante la
 sua  pratica,  normativa  applicabile alla stessa doveva considerarsi
 quella vigente all'epoca di presentazione della domanda,  e  chiedeva
 la condanna dell'I.N.P.S. alla corresponsione della pensione sociale,
 previa conforme deliberazione da parte della C.P.A.B.P.
    In  subordine,  ed  attesi  i danni determinati nei suoi confronti
 dall'omissivo  comportamento  dell'Amministrazione   degli   interni,
 chiedeva  che questa fosse condannata alla rifusione degli stessi, da
 determinarsi in misura corrispondente alla pensione non riconosciuta.
    Ritualmente citato si costituiva l'istituto assicuratore, il quale
 rilevava che legittimamente nessuna provvidenza era  stata  liquidata
 all'istante,  non  essendo  pervenuta  da  parte  della prefettura la
 comunicazione di cui all'art. 19 della legge  n.  118/1971.  Rilevava
 comunque  che,  allo  stato  della normativa, la pensione non sarebbe
 comunque spettata, attese le previsioni di cui agli artt. 6 e  8  del
 d.lgs.  e 509 del 23 novembre 1988 e non sussistendo le condizioni di
 cui all'art. 1 della legge 21 marzo 1988, n. 93, e del decreto-legge,
 da quella convertito, 8 febbraio 1988, n. 25. L'Amministrazione degli
 interni si costituiva chiedendo il rigetto  della  proposta  domanda,
 associandosi  alle considerazioni svolte dall'I.N.P.S. ed aggiungendo
 che il parere  favorevole  al  riconoscimento  dell'erogazione  della
 pensione sociale, in trasformazione della pensione di inabilita', non
 era stato  emesso  dalla  C.P.A.B.P.  a  causa  del  gran  numero  di
 richieste sopravvenute e del blocco delle decisioni, adottato sin dal
 1987, conseguente all'incertezza di interpretazione della  normativa.
    Cio'   posto,   ed   atteso  che  alla  fattispecie  in  esame  e'
 indubbiamente  applicabile,  non  essendovi   nella   vigenza   della
 normativa  precedente determinata l'insorgenza in capo all'istante di
 "diritti   quesiti"   intangibili   ad   opera   della   sopravvenuta
 regolamentazione,  quanto  disposto  dal  d.lgs. 23 novembre 1988, n.
 509, che attualmente regolamenta la materia de quo, appare  rilevante
 per  la decisione in ordine all'accoglibilita' della domanda proposta
 in via principale dal Ferrari esaminare se detto atto  avente  valore
 di  legge  sia  o meno costituzionalmente legittimo. E' sulla base di
 questo infatti che la prefettura nega la possibilita' di emettere  la
 delibera  richiesta  dall'I.N.P.S.  per  l'erogazione  della pensione
 sociale, e che lo stesso I.N.P.S. ne rifiuta comunque la concessione.
    Esaminando l'evoluzione della normativa che presiede alla proposta
 domanda, si evince che l'art. 26 della legge n. 153/1969 ha garantito
 il  diritto  al  conseguimento  della  pensione  sociale ai cittadini
 residenti ultrasessantacinquenni, versanti in condizione di  bisogno.
 L'erogazione  della provvidenza e' stata subordinata alla sussistenza
 di precisi limiti reddituali, individuati inizialmente  dallo  stesso
 art.  26  citato, ed in seguito modificati dall'art. 3 della legge n.
 114/1974 e dall'art. 3 della legge n. 160/1975.
    Con  legge  30  marzo  1971,  n.  118,  e'  stata  poi prevista la
 corresponsione di una pensione al  cittadino  totalmente  inabile  al
 lavoro  e  di  un  assegno  mensile  a  chi  versi  in  situazione di
 incollocabilita'  al  lavoro  e  presenti  una  capacita'  lavorativa
 ridotta al di sotto di un terzo, a condizione che il loro reddito non
 superi quello previsto dall'art. 26 della legge n.  153/1969  per  la
 concessione  della  pensione  sociale.  All'art.  19  della  legge si
 prevede poi che tali prestazioni, erogate ai cittadini  dai  diciotto
 ai sessantaquattro anni di eta', al compimento del sessantacinquesimo
 anno vengano sostituite dalla pensione sociale.
    L'equilibrio cosi' realizzato tra le due categorie di prestazioni,
 a favore degli ultrasessantacinquenni e degli invalidi,  viene  pero'
 infranto  dapprima  con  l'art. 1 del d.-l. 23 dicembre 1976, n. 150,
 convertito con modificazioni nella legge 21 febbraio 1977, n. 29, che
 ha  raddoppiato,  per  i  soli invalidi civili assoluti, il limite di
 reddito previsto per le altre categorie, e successivamente con l'art.
 14-septies della legge 29 febbraio 1980, n. 33, laddove il reddito e'
 stato aumentato anche, seppure in misura diversa,  per  gli  invalidi
 civili parziali.
    Tali  innovazioni  hanno  posto  il problema di stabilire se possa
 concedersi la  pensione  sociale,  in  sostituzione  della  richiesta
 pensione  di  inabilita', agli invalidi totali che presentino domanda
 successivamente al compimento del sessantacinquesimo anno di  eta'  e
 siano in possesso del reddito previsto per le provvidenze erogate dal
 Ministero degli interni e non dall'I.N.P.S.
    Si precisa che, nel caso, non essendo stata dall'istante richiesta
 direttamente la pensione sociale, evidentemente egli non versa  nella
 situazione reddituale richiesta dalla normativa a quella relativa.
     Sul  contrasto  interpretato  sorto, tanto in sede amministrativa
 che giudiziaria, si e' pronunciato il  Consiglio  di  Stato  in  sede
 condultiva,  con  parere  n.  463/1987  (prodotto  dalla  difesa  del
 Ministero), il  quale  ha  espresso  l'avviso  che,  nell'ipotesi  di
 preesistenza  del  trattamento  di invalidita' rispetto al compimento
 del sessantacinquesimo anno di eta', l'ammissione al godimento  della
 pensione  sia  automatica,  nel  senso  che non e' subordinata ad una
 nuova valutazione della situazione reddituale del minorato sulla base
 dei  criteri  economici  previsti  per  l'erogazione, del trattamento
 pensionistico  sociale,   mentre,   qualora   la   domanda   per   il
 riconoscimento dell'invalidita' civile sia presentata alla competente
 commissione sanitaria dopo il compimento dei sessantacinque anni, per
 la  concessione  della  pensione  sono richiesti gli stessi requisiti
 previsti per i cittadini non abbienti.
     Tale  interpretazione,  in  contrasto  con  la prassi adottata da
 parte di alcune sedi amministrative,  ed  in  particolare  di  locali
 prefetture,  e'  stata considerata costituzionalmente legittima dalla
 Corte costituzionale con la sentenza 22 giugno-7 luglio 1988, n. 769,
 la  quale  ha  rilevato,  esaminando  la  problematica  relativa agli
 invalidi  parziali,  che  il  legislatore  ha  in  pratica   ritenuto
 indistinguibile  l'inabilita'  connessa  all'eta' avanzata rispetto a
 quella derivante da pregresse condizioni di salute, e  che  pertanto,
 al  compimento  del  sessantacinquesimo anno, le due prestazioni sono
 unificate,  anche  ai  fini  del  requisito  reddituale.  Aggiungendo
 tuttavia che l'unificazione cosi' operata delle condizioni di bisogno
 non legittima discriminazione di requisiti  reddituali,  ha  rilevato
 che  e' compito del legislatore omogeneizzare il trattamento previsto
 per condizioni analoghe, ed ha preso  atto  con  soddisfazione  della
 circostanza  che  la  disuguaglianza  era  stata ovviata dalla prassi
 amministrativa affermatasi prima del parere di  senso  contrario  del
 Consiglio di Stato, legittimata dal successivo decreto n. 495/1987.
    Il  decreto-legge  da  ultimo menzionato (9 dicembre 1987, n. 495)
 prevedeva, con norma definita "di  interpretazione  autentica"  degli
 artt.  10 e 11 della legge n. 854/1973, che la pensione sociale fosse
 concessa agli invalidi civili ultrasessantacinquenni, in possesso dei
 requisiti  di  reddito  previsti  per  l'erogazione delle prestazioni
 economiche a carico del Ministero dell'interno; esso tuttavia non  e'
 stato convertito in legge.
     Successivamente e' intervenuto il decreto 8 febbraio 1988, n. 25,
 il quale disponeva che la pensione sociale fosse concessa:
      a   coloro   la   cui   pensione   fosse  gia'  stata  liquidata
 dall'I.N.P.S., ma non ancora erogata;
      a  coloro  cui  comunque  la condizione di invalido civile fosse
 stata riconosciuta con delibera pervenuta all'istituto alla  data  di
 entrata  in  vigore  del decreto 8 febbraio 1988, (n.d.r., sulla base
 dell'interpretazione dei suddetti artt. 10 e 11 censurata dal  C.d.S.
 e  legittimata  dal decaduto decreto n. 495/1987), ma in quest'ultimo
 caso, nei limiti del bilancio dell'istituto stesso.
    In  sede  di  conversione,  la  legge  21  marzo  1988,  n. 93, ha
 soppresso  il  primo  e  il  terzo  comma  del   decreto-legge,   che
 comprendeva i casi contemplati sub b), ed ha mantenuto in vigore "gli
 atti ed i rapporti giuridici sorti sulla base del  d.-l.  9  dicembre
 1987, n. 495".
    Nel  significato da attribuire all'inciso "restano validi gli atti
 ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli  effetti  prodotti
 ed  i  rapporti giuridici sorti sulla base del d.-l. 9 dicembre 1987,
 n. 495",  secondo  l'interpretazione  prospettata  dall'I.N.P.S.,  la
 clausola  di  salvezza  riguarderebbe  coloro nei confronti dei quali
 l'I.N.P.S., in applicazione della  prassi  non  conforme  al  dettato
 normativo,  aveva  gia'  liquidato  la pensione sociale, nel tempo di
 vigenza  del  d.-l.  n.  495/1987,  mentre  opinione  avallata  dalla
 circolare  n.  8/89  del Ministero dell'interno, e' quella secondo la
 quale la salvezza riguarderebbe tanto le delibere  di  riconoscimento
 del  diritto  alla  pensione  adottate  dal C.P.A.B.P. nel periodo di
 vigenza  del  decreto  che   anteriormente,   atteso   il   carattere
 volutamente retroattivo di questo.
    Ragionando tuttavia sulla normativa di riferimento, si osserva che
 l'art. 12 e l'art. 13 della legge n. 118/1971 citati  presentano  una
 differente  formulazione: mentre, per la concessione dell'assegno, la
 legge prevede il limite massimo del sessantacinquesimo anno di  eta',
 per  la  pensione di inabilita' l'art. 12 non introduce la previsione
 di alcun limite massimo. Pare strano che  l'omissione  sia  dovuta  a
 mera  dimenticanza,  anche  considerato  che  si tratta di previsioni
 contigue, delle quali la seconda fa espresso riferimento alla  prima.
 Cio'  significa,  ad  avviso di questo giudice, che la sospensione di
 inabilita' su tali basi continua a sussistere, e puo'  dunque  essere
 richiesta,  anche  dagli invalidi totali ultrasessantacinquenni, alla
 competente Amministrazione degli interni.
    Non osta alla conclusione esposta la considerazione che l'art. 19,
 confermato dall'art. 10 della legge n. 854/1973, preveda l'ammissione
 al  godimento della pensione sociale, in sostituzione della pensione;
 la  norma  fa  infatti  palese  riferimento  ai  casi  nei  quali  la
 liquidazione della pensione o dell'assegno da parte del C.P.A.B.P. vi
 sia gia' stata, tant'e' che al terzo comma si  parla  di  sospensione
 della  precedente erogazione. Quanto ai casi in cui tale liquidazione
 anteriormente al sessantacinquesimo anno di eta'  non  vi  e'  stata,
 tale norma prevede solo nella parte in cui introduce la sostituzione,
 restando quindi, in tema  di  disciplina  degli  istituti,  le  norme
 definitorie di cui agli artt. 12 e 13, in tal modo ribadendosi che la
 pensione  di  inabilita'  puo'  essere  richiesta   anche   dopo   il
 sessantacinquesimo anno, a differenza dell'assegno.
    L'art.  19  quindi, come affermato nel citato parere del Consiglio
 di  Stato,  introduce  un  mutamento  dell'imputazione  passiva   del
 pagamento  per  le  provvidenze gia' liquidate e, ad avviso di questo
 giudice, anche delle pensioni ancora da liquidarsi, e  non  introduce
 un limite temporale alla richiesta della pensione di inabilita'.
    La  conclusione  e' avallata dalla circostanza che per le pensioni
 non ancora liquidate permane, ai sensi del secondo comma della stessa
 norma,  l'erogazione  della  differenza  tra pensione di inabilita' e
 pensione sociale a carico del Ministero degli  interni,  il  che  non
 sarebbe spiegabile laddove si ritenesse che la configurabilita' della
 pensione   di   inabilita'   per   gli   ultrasessantacinquenni   sia
 integralmente  inclusa.  Sussistono inoltre a sostegno considerazioni
 di ordine logico: se e' ammissibile e giustificabile  la  scelta  del
 legislatore   di  ritenere  l'invalidita'  parziale  assorbita  dalla
 vecchiaia (come ritenuto dalla Corte costituzionale  nella  pronuncia
 sopra  citata,  relativa  agli invalidi parziali), lo stesso non puo'
 dirsi per l'inabilita' totale,  che  spesso  non  e'  automaticamente
 determinata  dalla  vecchiaia,  tant'e'  vero  che  il compimento del
 sessantacinquesimo anno non coincide per tutte le  categorie  con  la
 cessazione  dell'attivita' lavorativa (si pensi che il collocamento a
 riposto per i magistrati e' previsto dall'art. 5 del r.d. n. 511/1946
 al compimento del settantesimo anno di eta').
    A  cio'  consegue  che  la  norma  di  cui al d.-l. n. 457 su tale
 aspetto  si  poneva  veramente  come  norma  interpretativa,  e   che
 l'innovazione  in  proposito  e'  stata introdotta solo dai nn. 2 e 3
 dell'art. 1 del d.-l. n. 25/1988, che introducevano  limitazione  per
 la  liquidazione  alle  sole  pensioni  in relazione alle quali fosse
 pervenuta all'I.N.P.S.  la  delibera  del  C.P.A.B.P.  alla  data  di
 entrata  in  vigore  del  decreto. Con la mancata conversione di tali
 incisi, il quadro normativo per la pensione agli invalidi e'  rimasto
 inalterato  rispetto  al passato, restando dalla legge di conversione
 legittimata la  liquidazione  delle  pensioni  gia'  riconosciute  in
 favore   degli  invalidi  ultrasessantacinquenni  aventi  il  reddito
 previsto dall'art. 12 e segg. della legge n. 118 e succ. mod.
    Se  quella esposta non fosse la soluzione da darsi alla questione,
 si otterrebbe l'abnorme conseguenza che solo per quelle pensioni  per
 le   quali  l'I.N.P.S.  aveva  (illegittimamente)  gia'  disposto  la
 liquidazione opererebbe  una  sanatoria,  palesemente  in  contrasto,
 attesa   la   possibile   identita'   delle   situazioni  sostanziali
 sottostanti in relazione al reddito e all'invalidita'  alla  data  di
 presentazione  della  domanda,  con  il  principio di uguaglianza, ed
 essendo mantenuta l'erogazione a coloro che avevano avuto la  fortuna
 di  incorrere  in  un  ufficio  I.N.P.S.  piu' celere, sulla base del
 principio, certamente non giuridicamente valido, del  "chi  ha  avuto
 modo".
    Conferma infine l'esposto assunto l'iter normativo successivo alla
 emanazione della legge 21 marzo 1988, n. 93: con la legge  26  luglio
 1988,  n. 91, il legislatore ha delegato il Governo ad emanare "norme
 aventi valore di legge ordinaria per provvedere alla revisione  delle
 categorie  delle minorazioni e malattie invalidanti" previste, tra le
 altre, dalla legge n. 118/1971, "nonche',  per  tali  categorie,  dei
 benefici previsti dalla legislazione vigente".
    La legge delegata, il d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509, ha disposto
 all'art. 6 l'aggiunta di un comma all'art. 2 della legge n. 118/1971,
 ai  sensi  del quale i soggetti ultrasessantacinquenni si considerano
 invalidi  "ai  soli  fini  della   concessione   dell'indennita'   di
 accompagnamento",  e  all'art.  8  ha  previsto  che  "la pensione di
 inabilita' di cui all'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n.  118,  e'
 concessa....  ai mutilati ed invalidi civili.... di eta' compresa fra
 il diciottesimo  e  il  sessantacinquesimo  anno,  fermi  restando  i
 requisiti e le condizioni previste dalla legislazione vigente.
    Al compimento del sessantacinquesimo anno di eta', in sostituzione
 delle pensioni di cui al primo comma, nonche' dell'assegno mensile di
 cui  all'art.  13  della  legge n. 118/1971, e' corrisposta, da parte
 dell'I.N.P.S., la pensione sociale..... ".
    Palese appare la natura innovativa di tali norme, la cui portata e
 unica ragione di esistenza e' quella di introdurre  per  la  pensione
 una  limitazione  temporale  espressa,  in  precedenza  non prevista,
 atteso che, qualora tale soluzione fosse gia' stata introdotta,  esse
 sarebbero state del tutto superflue.
    A   questo  fine,  la  pensione  viene  contemplata  autonomamente
 rispetto all'assegno, per il quale invece il limite massimo era  gia'
 normativamente  esistente,  che  viene  richiamato  solo  nel secondo
 comma.
    Ne consegue che viene introdotta l'impossibilita' per gli invalidi
 assoluti ultrasessantacinquenni, in possesso del reddito di cui  alla
 legge  n.  118/1971,  art.  12  e segg., ma non di quello di cui alla
 legge n. 153/1969 e succ. mod. per la pensione sociale, come  e'  nel
 caso,  di  ottenere  la  pensione  sociale,  in  trasformazione della
 pensione di inabilita'.
    Se  dunque  e'  vero, come pare, che di disposizioni innovative si
 tratta, allora non e' manifestamente infondato, ad avviso  di  questo
 giudice, il sospetto che non siano nel caso stati osservati i dettami
 di cui all'art. 76 della Costituzione.  Poiche'  infatti  tale  norma
 prevede  che  il  Parlamento  possa  eccezionalmente spogliarsi della
 potesta' legislativa, solo individuando con successive specificazioni
 l'ambito entro il quale il governo delegato puo' muoversi, in modo da
 limitarne  la  discrezionalita'  solo  alla  scelta  delle  modalita'
 tecniche  con  le  quali  attuare il volere del Parlamento e, quindi,
 della Nazione, allora non pare che sufficiente allo  scopo  fosse  la
 legge  di delega del 26 luglio 1988, n. 291, che individua i seguenti
 criteri:
       a)  una  maggiore  specificazione  delle  minorazioni  e  delle
 malattie invalidanti che diano luogo alla riduzione  della  capacita'
 lavorativa;
       b) una migliore corrispondenza delle percentuali di invalidita'
 all'entita' della minorazione e delle malattie;
       c)   una  piu'  idonea  determinazione  della  riduzione  della
 capacita'  lavorativa,  ai  fini  del  riconoscimento  dei   benefici
 previsti  dalla  legge":  in  essi, infatti, non appare comprensibile
 secondo quale parametro ed a che fine la corrispondenza debba  essere
 "migliore" e la determinazione "piu' idonea".
    Quando  poi  anche  si  volesse  ritenere  che  tale  legge appare
 completa, in quanto (seppure  non  chiaramente)  legittimerebbe  solo
 modifiche  tecniche  e di dettaglio, intese a rendere il sistema piu'
 organico  e  comprensibile,  senza   innovazioni   in   ordine   alla
 configurazione e alle caratteristiche della provvidenze previdenziali
 ed esistenziali, allora  sarebbe  la  legge  delegata  ad  essere  in
 difetto,  poiche'  introduce, ai gia' citati artt. 6 e 8, innovazioni
 per  le  quali   l'esecutivo   non   era   stato   investito,   cosi'
 configurandosi un'eccesso di delega.
    La  normativa  cosi'  introdotta,  inoltre,  non  fa  che  rendere
 perdurante  l'incoerenza   del   sistema,   censurata   dalla   Corte
 costituzionale  nell'ultimo  inciso di cui alla sentenza n. 769/1988,
 citato,  laddove  ingiustificatamente  discrimina,   nell'ambito   di
 soggetti  ugualmente  riconosciuti  invalidi al 100% e percettori del
 medesimo reddito, consentendo agli  uni,  che  abbiano  richiesto  il
 riconoscimento   dell'invalidita'  anteriormente  al  compimento  del
 sessantacinquesimo anno di eta', di fruire della pensione sociale (in
 trasformazione  della  pensione  di  inabilita'), ed inibendolo a chi
 tale domanda abbia presentato successivamente. Si prospetta  pertanto
 la  non manifesta infondatezza della censura della normativa indicata
 anche in relazione all'art. 3 della Costituzione.
    Qualora  tuttavia  la  complessita'  della  materia avesse indotto
 questo giudicante in errore in ordine alla interpretazione  da  darsi
 alle  leggi  menzionate, e da esse risultasse gia' che la pensione di
 inabilita' (trasformata in pensione  sociale)  agli  invalidi  civili
 riconosciuti  come  tali  a  seguito  di  domanda  presentata dopo il
 compimento del sessantacinquesimo anno di eta' non  in  possesso  del
 reddito  previsto  per  la pensione sociale stessa non potesse essere
 riconosciuta,  allora  rilevante  e  non   manifestamente   infondata
 apparirebbe  nel caso la questione di costituzionalita' relativa alla
 citata legge 21  marzo  1988,  n.  93,  la  quale  all'art.  1,  come
 anticipato,  ha  previsto l'erogazione di tale provvidenza solo per i
 casi in cui essa fosse  gia'  in  precedenza  stata  liquidata  ed  a
 seguito  del  decreto-legge  n. 495/1987 non convertito fossero sorti
 rapporti giuridici (n.d.r., in base all'adozione o alla  trasmissione
 all'I.N.P.S. della delibera della C.P.A.B.P.).
    Adottando   l'interpretazione   nelle   precedenti  argomentazioni
 denegata,  infatti,  la  normativa  da  ultimo   citata   apparirebbe
 innovativa,   introducendo   una   possibilita'   in  precedenza  non
 configurabile.
    La   rilevanza   in   causa,   che  e'  subordinata  alla  mancata
 condivisione del dubbio piu' innanzi illustrato, e'  determinata  dal
 fatto  che  tale  disposto  introduce la possibilita' di fruire della
 provvidenza non  altrimenti  concessa  dalla  legge  a  soggetti  che
 abbiano  presentato la domanda contestualmente all'odierno istante, e
 versino nella stessa sua situazione di  salute  e  reddito,  sicche',
 qualora  fosse estensibile anche al Ferrari, questi potrebbe ottenere
 l'accoglimento della domanda.
    La  non  manifesta infondatezza deriva dalla considerazione che il
 discrimine,   nell'ambito   dei    soggetti    tutti    identicamente
 caratterizzari,     e'     determinato     solo    dalla    celerita'
 dell'amministrazione cui essi si  sono  rivolti,  e  quindi,  essendo
 privo  di  razionale giustificazione, e' di dubbia compatibilita' con
 gli artt. 3 e 97 della Costituzione.
                                P. Q. M.
    Dichiara  rilevante  e  non manifestamente infondata, in relazione
 agli artt. 3 e 76 della Costituzione, la questione di  illegittimita'
 costituzionale degli artt. 6 e 8, primo comma, del d.lgs. 23 novembre
 1988, n. 509, nella parte  in  cui  escludono  la  concessione  della
 pensione  di  inabilita'  di cui all'art. 12 della legge n. 118/1971,
 trasformata  in  pensione  sociale,  agli  invalidi  civili  assoluti
 ultrasessantacinquenni  al momento di presentazione della domanda, in
 possesso del reddito di cui alla  legge  118,  art.  12  e  segg.,  e
 successive  modificazioni,  ma  non di quello previsto dalla legge n.
 153/1969 e succ. mod. per la pensione sociale;
 in subordine, dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, in
 relazione agli artt. 3 e  97  della  Costituzione,  la  questione  di
 illegittimita'  costituzionale dell'art. 1 della legge 21 marzo 1988,
 n. 93, nella parte in cui esclude la concessione  della  pensione  di
 inabilita' di cui all'art. 12 della legge n. 118/1971, trasformata in
 pensione sociale, agli  nvalidi  assoluti  ultrasessantacinquenni  al
 momento della presentazione della domanda, in possesso del reddito di
 cui  alla  legge  n.  118/1971,  art.  12  e  segg.,   e   successive
 modificazioni,  ma  non  di quello previsto dalla legge n. 153/1969 e
 succ. mod. per la pensione sociale,  qualora  a  seguito  della  loro
 domanda,  presentata  anteriormente alla scadenza del decreto-legge 9
 dicembre 1987, n. 495, non fossero sorti rapporti  giuridici  ne'  si
 fossero prodotti effetti;
    Dispone  che  il  processo  sia  sospeso,  che  gli  atti  vengano
 immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, che  la  presente
 ordinanza  sia  notificata, a cura della cancellaria, alle parti e al
 Presidente del Consiglio dei Ministri,  e  che  venga  comunicata  al
 Presidente del Senato e a quello della Camera dei deputati.
      La Spezia, addi' 21 dicembre 1989
                           Il pretore: GHINOY

 90C0232