N. 90 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 dicembre 1989
N. 90 Ordinanza emessa il 21 dicembre 1989 dal pretore di La Spezia nel procedimento civile tra Ferrari Domenico e l'I.N.P.S. ed altro Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Esclusione dal diritto alla pensione di inabilita' di cui all'art. 12 della legge n. 118/1971, traformata in pensione sociale, degli invalidi civili assoluti ultrasessantacinquenni al momento della presentazione della domanda, in possesso del reddito di cui alla legge predetta (artt. 12 e segg.) e successive modificazioni, ma non di quello previsto dalla legge n. 153/1969 e successive modificazioni per la pensione sociale - Subordinatamente - Esclusione dal diritto alla pensione di inabilita' dei predetti soggetti nella indicata condizione, qualora a seguito della domanda presentata anteriormente alla scadenza del d.-l. n. 495/1987, non fossero sorti rapporti giuridici, ne' si fossero prodotti effetti Violazione del principio di uguaglianza e di imparzialita' e buon andamento della p.a. nonche' dei limiti della potesta' legislativa delegata - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 769/1988. (D.Lgs. 23 novembre 1988, n. 509, artt. 6 e 8, primo comma; legge 21 marzo 1988, n. 93, art. 1). (Cost., artt. 3, 76 e 97).(GU n.10 del 7-3-1990 )
IL PRETORE Sciogliendo la formulata riserva; O S S E R V A Con ricorso depositato il 13 dicembre 1988, Ferrari Domenico adiva questo pretore in funzione di giudice del lavoro, assumendo di essere nato in La Spezia il 4 marzo 1901, e di avere inoltrato in data 19 dicembre 1980 domanda al comitato provinciale di assistenza e beneficenza della prefettura di La Spezia, costituito ai sensi dell'art. 14 della legge 30 marzo 1971, n. 118, diretta ad ottenere i benefici previsti dall'art. 12 di detta legge, e successive modificazioni. Proseguiva precisando che ad opera della commissione sanitaria, con verbale del 12 settembre 1986, gli era stata riconosciuta l'invalidita' al 100%, ma che nessun provvedimento aveva fatto seguito. Rilevava che, per tale motivo ed attese le modifiche legislative intervenute nelle more del procedimento amministrativo riguardante la sua pratica, normativa applicabile alla stessa doveva considerarsi quella vigente all'epoca di presentazione della domanda, e chiedeva la condanna dell'I.N.P.S. alla corresponsione della pensione sociale, previa conforme deliberazione da parte della C.P.A.B.P. In subordine, ed attesi i danni determinati nei suoi confronti dall'omissivo comportamento dell'Amministrazione degli interni, chiedeva che questa fosse condannata alla rifusione degli stessi, da determinarsi in misura corrispondente alla pensione non riconosciuta. Ritualmente citato si costituiva l'istituto assicuratore, il quale rilevava che legittimamente nessuna provvidenza era stata liquidata all'istante, non essendo pervenuta da parte della prefettura la comunicazione di cui all'art. 19 della legge n. 118/1971. Rilevava comunque che, allo stato della normativa, la pensione non sarebbe comunque spettata, attese le previsioni di cui agli artt. 6 e 8 del d.lgs. e 509 del 23 novembre 1988 e non sussistendo le condizioni di cui all'art. 1 della legge 21 marzo 1988, n. 93, e del decreto-legge, da quella convertito, 8 febbraio 1988, n. 25. L'Amministrazione degli interni si costituiva chiedendo il rigetto della proposta domanda, associandosi alle considerazioni svolte dall'I.N.P.S. ed aggiungendo che il parere favorevole al riconoscimento dell'erogazione della pensione sociale, in trasformazione della pensione di inabilita', non era stato emesso dalla C.P.A.B.P. a causa del gran numero di richieste sopravvenute e del blocco delle decisioni, adottato sin dal 1987, conseguente all'incertezza di interpretazione della normativa. Cio' posto, ed atteso che alla fattispecie in esame e' indubbiamente applicabile, non essendovi nella vigenza della normativa precedente determinata l'insorgenza in capo all'istante di "diritti quesiti" intangibili ad opera della sopravvenuta regolamentazione, quanto disposto dal d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509, che attualmente regolamenta la materia de quo, appare rilevante per la decisione in ordine all'accoglibilita' della domanda proposta in via principale dal Ferrari esaminare se detto atto avente valore di legge sia o meno costituzionalmente legittimo. E' sulla base di questo infatti che la prefettura nega la possibilita' di emettere la delibera richiesta dall'I.N.P.S. per l'erogazione della pensione sociale, e che lo stesso I.N.P.S. ne rifiuta comunque la concessione. Esaminando l'evoluzione della normativa che presiede alla proposta domanda, si evince che l'art. 26 della legge n. 153/1969 ha garantito il diritto al conseguimento della pensione sociale ai cittadini residenti ultrasessantacinquenni, versanti in condizione di bisogno. L'erogazione della provvidenza e' stata subordinata alla sussistenza di precisi limiti reddituali, individuati inizialmente dallo stesso art. 26 citato, ed in seguito modificati dall'art. 3 della legge n. 114/1974 e dall'art. 3 della legge n. 160/1975. Con legge 30 marzo 1971, n. 118, e' stata poi prevista la corresponsione di una pensione al cittadino totalmente inabile al lavoro e di un assegno mensile a chi versi in situazione di incollocabilita' al lavoro e presenti una capacita' lavorativa ridotta al di sotto di un terzo, a condizione che il loro reddito non superi quello previsto dall'art. 26 della legge n. 153/1969 per la concessione della pensione sociale. All'art. 19 della legge si prevede poi che tali prestazioni, erogate ai cittadini dai diciotto ai sessantaquattro anni di eta', al compimento del sessantacinquesimo anno vengano sostituite dalla pensione sociale. L'equilibrio cosi' realizzato tra le due categorie di prestazioni, a favore degli ultrasessantacinquenni e degli invalidi, viene pero' infranto dapprima con l'art. 1 del d.-l. 23 dicembre 1976, n. 150, convertito con modificazioni nella legge 21 febbraio 1977, n. 29, che ha raddoppiato, per i soli invalidi civili assoluti, il limite di reddito previsto per le altre categorie, e successivamente con l'art. 14-septies della legge 29 febbraio 1980, n. 33, laddove il reddito e' stato aumentato anche, seppure in misura diversa, per gli invalidi civili parziali. Tali innovazioni hanno posto il problema di stabilire se possa concedersi la pensione sociale, in sostituzione della richiesta pensione di inabilita', agli invalidi totali che presentino domanda successivamente al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' e siano in possesso del reddito previsto per le provvidenze erogate dal Ministero degli interni e non dall'I.N.P.S. Si precisa che, nel caso, non essendo stata dall'istante richiesta direttamente la pensione sociale, evidentemente egli non versa nella situazione reddituale richiesta dalla normativa a quella relativa. Sul contrasto interpretato sorto, tanto in sede amministrativa che giudiziaria, si e' pronunciato il Consiglio di Stato in sede condultiva, con parere n. 463/1987 (prodotto dalla difesa del Ministero), il quale ha espresso l'avviso che, nell'ipotesi di preesistenza del trattamento di invalidita' rispetto al compimento del sessantacinquesimo anno di eta', l'ammissione al godimento della pensione sia automatica, nel senso che non e' subordinata ad una nuova valutazione della situazione reddituale del minorato sulla base dei criteri economici previsti per l'erogazione, del trattamento pensionistico sociale, mentre, qualora la domanda per il riconoscimento dell'invalidita' civile sia presentata alla competente commissione sanitaria dopo il compimento dei sessantacinque anni, per la concessione della pensione sono richiesti gli stessi requisiti previsti per i cittadini non abbienti. Tale interpretazione, in contrasto con la prassi adottata da parte di alcune sedi amministrative, ed in particolare di locali prefetture, e' stata considerata costituzionalmente legittima dalla Corte costituzionale con la sentenza 22 giugno-7 luglio 1988, n. 769, la quale ha rilevato, esaminando la problematica relativa agli invalidi parziali, che il legislatore ha in pratica ritenuto indistinguibile l'inabilita' connessa all'eta' avanzata rispetto a quella derivante da pregresse condizioni di salute, e che pertanto, al compimento del sessantacinquesimo anno, le due prestazioni sono unificate, anche ai fini del requisito reddituale. Aggiungendo tuttavia che l'unificazione cosi' operata delle condizioni di bisogno non legittima discriminazione di requisiti reddituali, ha rilevato che e' compito del legislatore omogeneizzare il trattamento previsto per condizioni analoghe, ed ha preso atto con soddisfazione della circostanza che la disuguaglianza era stata ovviata dalla prassi amministrativa affermatasi prima del parere di senso contrario del Consiglio di Stato, legittimata dal successivo decreto n. 495/1987. Il decreto-legge da ultimo menzionato (9 dicembre 1987, n. 495) prevedeva, con norma definita "di interpretazione autentica" degli artt. 10 e 11 della legge n. 854/1973, che la pensione sociale fosse concessa agli invalidi civili ultrasessantacinquenni, in possesso dei requisiti di reddito previsti per l'erogazione delle prestazioni economiche a carico del Ministero dell'interno; esso tuttavia non e' stato convertito in legge. Successivamente e' intervenuto il decreto 8 febbraio 1988, n. 25, il quale disponeva che la pensione sociale fosse concessa: a coloro la cui pensione fosse gia' stata liquidata dall'I.N.P.S., ma non ancora erogata; a coloro cui comunque la condizione di invalido civile fosse stata riconosciuta con delibera pervenuta all'istituto alla data di entrata in vigore del decreto 8 febbraio 1988, (n.d.r., sulla base dell'interpretazione dei suddetti artt. 10 e 11 censurata dal C.d.S. e legittimata dal decaduto decreto n. 495/1987), ma in quest'ultimo caso, nei limiti del bilancio dell'istituto stesso. In sede di conversione, la legge 21 marzo 1988, n. 93, ha soppresso il primo e il terzo comma del decreto-legge, che comprendeva i casi contemplati sub b), ed ha mantenuto in vigore "gli atti ed i rapporti giuridici sorti sulla base del d.-l. 9 dicembre 1987, n. 495". Nel significato da attribuire all'inciso "restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base del d.-l. 9 dicembre 1987, n. 495", secondo l'interpretazione prospettata dall'I.N.P.S., la clausola di salvezza riguarderebbe coloro nei confronti dei quali l'I.N.P.S., in applicazione della prassi non conforme al dettato normativo, aveva gia' liquidato la pensione sociale, nel tempo di vigenza del d.-l. n. 495/1987, mentre opinione avallata dalla circolare n. 8/89 del Ministero dell'interno, e' quella secondo la quale la salvezza riguarderebbe tanto le delibere di riconoscimento del diritto alla pensione adottate dal C.P.A.B.P. nel periodo di vigenza del decreto che anteriormente, atteso il carattere volutamente retroattivo di questo. Ragionando tuttavia sulla normativa di riferimento, si osserva che l'art. 12 e l'art. 13 della legge n. 118/1971 citati presentano una differente formulazione: mentre, per la concessione dell'assegno, la legge prevede il limite massimo del sessantacinquesimo anno di eta', per la pensione di inabilita' l'art. 12 non introduce la previsione di alcun limite massimo. Pare strano che l'omissione sia dovuta a mera dimenticanza, anche considerato che si tratta di previsioni contigue, delle quali la seconda fa espresso riferimento alla prima. Cio' significa, ad avviso di questo giudice, che la sospensione di inabilita' su tali basi continua a sussistere, e puo' dunque essere richiesta, anche dagli invalidi totali ultrasessantacinquenni, alla competente Amministrazione degli interni. Non osta alla conclusione esposta la considerazione che l'art. 19, confermato dall'art. 10 della legge n. 854/1973, preveda l'ammissione al godimento della pensione sociale, in sostituzione della pensione; la norma fa infatti palese riferimento ai casi nei quali la liquidazione della pensione o dell'assegno da parte del C.P.A.B.P. vi sia gia' stata, tant'e' che al terzo comma si parla di sospensione della precedente erogazione. Quanto ai casi in cui tale liquidazione anteriormente al sessantacinquesimo anno di eta' non vi e' stata, tale norma prevede solo nella parte in cui introduce la sostituzione, restando quindi, in tema di disciplina degli istituti, le norme definitorie di cui agli artt. 12 e 13, in tal modo ribadendosi che la pensione di inabilita' puo' essere richiesta anche dopo il sessantacinquesimo anno, a differenza dell'assegno. L'art. 19 quindi, come affermato nel citato parere del Consiglio di Stato, introduce un mutamento dell'imputazione passiva del pagamento per le provvidenze gia' liquidate e, ad avviso di questo giudice, anche delle pensioni ancora da liquidarsi, e non introduce un limite temporale alla richiesta della pensione di inabilita'. La conclusione e' avallata dalla circostanza che per le pensioni non ancora liquidate permane, ai sensi del secondo comma della stessa norma, l'erogazione della differenza tra pensione di inabilita' e pensione sociale a carico del Ministero degli interni, il che non sarebbe spiegabile laddove si ritenesse che la configurabilita' della pensione di inabilita' per gli ultrasessantacinquenni sia integralmente inclusa. Sussistono inoltre a sostegno considerazioni di ordine logico: se e' ammissibile e giustificabile la scelta del legislatore di ritenere l'invalidita' parziale assorbita dalla vecchiaia (come ritenuto dalla Corte costituzionale nella pronuncia sopra citata, relativa agli invalidi parziali), lo stesso non puo' dirsi per l'inabilita' totale, che spesso non e' automaticamente determinata dalla vecchiaia, tant'e' vero che il compimento del sessantacinquesimo anno non coincide per tutte le categorie con la cessazione dell'attivita' lavorativa (si pensi che il collocamento a riposto per i magistrati e' previsto dall'art. 5 del r.d. n. 511/1946 al compimento del settantesimo anno di eta'). A cio' consegue che la norma di cui al d.-l. n. 457 su tale aspetto si poneva veramente come norma interpretativa, e che l'innovazione in proposito e' stata introdotta solo dai nn. 2 e 3 dell'art. 1 del d.-l. n. 25/1988, che introducevano limitazione per la liquidazione alle sole pensioni in relazione alle quali fosse pervenuta all'I.N.P.S. la delibera del C.P.A.B.P. alla data di entrata in vigore del decreto. Con la mancata conversione di tali incisi, il quadro normativo per la pensione agli invalidi e' rimasto inalterato rispetto al passato, restando dalla legge di conversione legittimata la liquidazione delle pensioni gia' riconosciute in favore degli invalidi ultrasessantacinquenni aventi il reddito previsto dall'art. 12 e segg. della legge n. 118 e succ. mod. Se quella esposta non fosse la soluzione da darsi alla questione, si otterrebbe l'abnorme conseguenza che solo per quelle pensioni per le quali l'I.N.P.S. aveva (illegittimamente) gia' disposto la liquidazione opererebbe una sanatoria, palesemente in contrasto, attesa la possibile identita' delle situazioni sostanziali sottostanti in relazione al reddito e all'invalidita' alla data di presentazione della domanda, con il principio di uguaglianza, ed essendo mantenuta l'erogazione a coloro che avevano avuto la fortuna di incorrere in un ufficio I.N.P.S. piu' celere, sulla base del principio, certamente non giuridicamente valido, del "chi ha avuto modo". Conferma infine l'esposto assunto l'iter normativo successivo alla emanazione della legge 21 marzo 1988, n. 93: con la legge 26 luglio 1988, n. 91, il legislatore ha delegato il Governo ad emanare "norme aventi valore di legge ordinaria per provvedere alla revisione delle categorie delle minorazioni e malattie invalidanti" previste, tra le altre, dalla legge n. 118/1971, "nonche', per tali categorie, dei benefici previsti dalla legislazione vigente". La legge delegata, il d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509, ha disposto all'art. 6 l'aggiunta di un comma all'art. 2 della legge n. 118/1971, ai sensi del quale i soggetti ultrasessantacinquenni si considerano invalidi "ai soli fini della concessione dell'indennita' di accompagnamento", e all'art. 8 ha previsto che "la pensione di inabilita' di cui all'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, e' concessa.... ai mutilati ed invalidi civili.... di eta' compresa fra il diciottesimo e il sessantacinquesimo anno, fermi restando i requisiti e le condizioni previste dalla legislazione vigente. Al compimento del sessantacinquesimo anno di eta', in sostituzione delle pensioni di cui al primo comma, nonche' dell'assegno mensile di cui all'art. 13 della legge n. 118/1971, e' corrisposta, da parte dell'I.N.P.S., la pensione sociale..... ". Palese appare la natura innovativa di tali norme, la cui portata e unica ragione di esistenza e' quella di introdurre per la pensione una limitazione temporale espressa, in precedenza non prevista, atteso che, qualora tale soluzione fosse gia' stata introdotta, esse sarebbero state del tutto superflue. A questo fine, la pensione viene contemplata autonomamente rispetto all'assegno, per il quale invece il limite massimo era gia' normativamente esistente, che viene richiamato solo nel secondo comma. Ne consegue che viene introdotta l'impossibilita' per gli invalidi assoluti ultrasessantacinquenni, in possesso del reddito di cui alla legge n. 118/1971, art. 12 e segg., ma non di quello di cui alla legge n. 153/1969 e succ. mod. per la pensione sociale, come e' nel caso, di ottenere la pensione sociale, in trasformazione della pensione di inabilita'. Se dunque e' vero, come pare, che di disposizioni innovative si tratta, allora non e' manifestamente infondato, ad avviso di questo giudice, il sospetto che non siano nel caso stati osservati i dettami di cui all'art. 76 della Costituzione. Poiche' infatti tale norma prevede che il Parlamento possa eccezionalmente spogliarsi della potesta' legislativa, solo individuando con successive specificazioni l'ambito entro il quale il governo delegato puo' muoversi, in modo da limitarne la discrezionalita' solo alla scelta delle modalita' tecniche con le quali attuare il volere del Parlamento e, quindi, della Nazione, allora non pare che sufficiente allo scopo fosse la legge di delega del 26 luglio 1988, n. 291, che individua i seguenti criteri: a) una maggiore specificazione delle minorazioni e delle malattie invalidanti che diano luogo alla riduzione della capacita' lavorativa; b) una migliore corrispondenza delle percentuali di invalidita' all'entita' della minorazione e delle malattie; c) una piu' idonea determinazione della riduzione della capacita' lavorativa, ai fini del riconoscimento dei benefici previsti dalla legge": in essi, infatti, non appare comprensibile secondo quale parametro ed a che fine la corrispondenza debba essere "migliore" e la determinazione "piu' idonea". Quando poi anche si volesse ritenere che tale legge appare completa, in quanto (seppure non chiaramente) legittimerebbe solo modifiche tecniche e di dettaglio, intese a rendere il sistema piu' organico e comprensibile, senza innovazioni in ordine alla configurazione e alle caratteristiche della provvidenze previdenziali ed esistenziali, allora sarebbe la legge delegata ad essere in difetto, poiche' introduce, ai gia' citati artt. 6 e 8, innovazioni per le quali l'esecutivo non era stato investito, cosi' configurandosi un'eccesso di delega. La normativa cosi' introdotta, inoltre, non fa che rendere perdurante l'incoerenza del sistema, censurata dalla Corte costituzionale nell'ultimo inciso di cui alla sentenza n. 769/1988, citato, laddove ingiustificatamente discrimina, nell'ambito di soggetti ugualmente riconosciuti invalidi al 100% e percettori del medesimo reddito, consentendo agli uni, che abbiano richiesto il riconoscimento dell'invalidita' anteriormente al compimento del sessantacinquesimo anno di eta', di fruire della pensione sociale (in trasformazione della pensione di inabilita'), ed inibendolo a chi tale domanda abbia presentato successivamente. Si prospetta pertanto la non manifesta infondatezza della censura della normativa indicata anche in relazione all'art. 3 della Costituzione. Qualora tuttavia la complessita' della materia avesse indotto questo giudicante in errore in ordine alla interpretazione da darsi alle leggi menzionate, e da esse risultasse gia' che la pensione di inabilita' (trasformata in pensione sociale) agli invalidi civili riconosciuti come tali a seguito di domanda presentata dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di eta' non in possesso del reddito previsto per la pensione sociale stessa non potesse essere riconosciuta, allora rilevante e non manifestamente infondata apparirebbe nel caso la questione di costituzionalita' relativa alla citata legge 21 marzo 1988, n. 93, la quale all'art. 1, come anticipato, ha previsto l'erogazione di tale provvidenza solo per i casi in cui essa fosse gia' in precedenza stata liquidata ed a seguito del decreto-legge n. 495/1987 non convertito fossero sorti rapporti giuridici (n.d.r., in base all'adozione o alla trasmissione all'I.N.P.S. della delibera della C.P.A.B.P.). Adottando l'interpretazione nelle precedenti argomentazioni denegata, infatti, la normativa da ultimo citata apparirebbe innovativa, introducendo una possibilita' in precedenza non configurabile. La rilevanza in causa, che e' subordinata alla mancata condivisione del dubbio piu' innanzi illustrato, e' determinata dal fatto che tale disposto introduce la possibilita' di fruire della provvidenza non altrimenti concessa dalla legge a soggetti che abbiano presentato la domanda contestualmente all'odierno istante, e versino nella stessa sua situazione di salute e reddito, sicche', qualora fosse estensibile anche al Ferrari, questi potrebbe ottenere l'accoglimento della domanda. La non manifesta infondatezza deriva dalla considerazione che il discrimine, nell'ambito dei soggetti tutti identicamente caratterizzari, e' determinato solo dalla celerita' dell'amministrazione cui essi si sono rivolti, e quindi, essendo privo di razionale giustificazione, e' di dubbia compatibilita' con gli artt. 3 e 97 della Costituzione.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 76 della Costituzione, la questione di illegittimita' costituzionale degli artt. 6 e 8, primo comma, del d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509, nella parte in cui escludono la concessione della pensione di inabilita' di cui all'art. 12 della legge n. 118/1971, trasformata in pensione sociale, agli invalidi civili assoluti ultrasessantacinquenni al momento di presentazione della domanda, in possesso del reddito di cui alla legge 118, art. 12 e segg., e successive modificazioni, ma non di quello previsto dalla legge n. 153/1969 e succ. mod. per la pensione sociale; in subordine, dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione, la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 21 marzo 1988, n. 93, nella parte in cui esclude la concessione della pensione di inabilita' di cui all'art. 12 della legge n. 118/1971, trasformata in pensione sociale, agli nvalidi assoluti ultrasessantacinquenni al momento della presentazione della domanda, in possesso del reddito di cui alla legge n. 118/1971, art. 12 e segg., e successive modificazioni, ma non di quello previsto dalla legge n. 153/1969 e succ. mod. per la pensione sociale, qualora a seguito della loro domanda, presentata anteriormente alla scadenza del decreto-legge 9 dicembre 1987, n. 495, non fossero sorti rapporti giuridici ne' si fossero prodotti effetti; Dispone che il processo sia sospeso, che gli atti vengano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancellaria, alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e che venga comunicata al Presidente del Senato e a quello della Camera dei deputati. La Spezia, addi' 21 dicembre 1989 Il pretore: GHINOY 90C0232