N. 102 SENTENZA 21 febbraio - 2 marzo 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Radiotelecomunicazioni - Impianti radiotelevisivi privati Mancanza di
 autorizzazione - Disturbi ed interferenze radioelettriche -
 Disposizione della disattivazione Provvedimento in via amministrativa
 - Violazione della liberta' d'impresa e della manifestazione del
 pensiero - Difetto di legittimazione del giudice  a quo -
 Insussistenza di un diritto soggettivo del privato - Difetto di
 rilevanza della questione Richiamo alle sentenze della Corte (nn.
 159/1983, 190/1985, 346/1987, 777/1988 e 575/1989), e alle ordinanze
 nn. 100/1988 e 523/1989 - Esigenze di assicurare un razionale governo
 dell'etere - Tutela del solo interesse legittimo Inammissibilita'.
 
 (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 240).
 
 (Cost., artt. 3, 21 e 41).
(GU n.10 del 7-3-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO,
    dott.  Francesco  GRECO,  prof.  Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele
 PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI,
    prof.  Francesco  Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.
 Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 240 del d.P.R.
 29  marzo  1973,  n.  156  (Approvazione  del   testo   unico   delle
 disposizioni  legislative  in  materia  postale,  di  bancoposta e di
 telecomunicazioni), promossi con cinque ordinanze emesse il 29 maggio
 1989  dal Pretore di Frascati ed iscritte ai nn. 374, 386, 387, 388 e
 389 del registro ordinanze 1989 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 35 e 36, prima serie speciale, dell'anno 1989;
    Visti  gli  atti  di costituzione della s.r.l. Telaltitalia, della
 s.p.a. Telemarsicabruzzo, della s.r.l. E.R.T., della s.p.a. Telelazio
 e  della  s.r.l.  Studio  Toscana, nonche' gli atti di intervento del
 Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  30  gennaio  1990  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Uditi  l'avv. Livia Magrone Furlotti per Telaltitalia, Gianfilippo
 Delli Santi  per  Telemarsicabruzzo,  Gino  Tomei  per  la  E.R.T.  e
 l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio
 dei ministri;
                            Ritenuto in fatto
      1.  - Decidendo sui ricorsi ex art. 700 cod. proc. civ. proposti
 dalle  emittenti   radiotelevisive   private   Telaltitalia   s.r.l.,
 Telemarsicabruzzo  s.p.a., E.R.T. Italiana s.r.l., Telelazio s.p.a. e
 Studio Toscana s.r.l. avverso i provvedimenti di  disattivazione  dei
 relativi   impianti   emessi   dal   Circostel   di  Roma  in  quanto
 trasmettevano  senza  autorizzazione  su  bande  di   frequenza   non
 consentite dal vigente piano di ripartizione delle frequenze (D.M. 31
 gennaio 1983), il  Pretore  di  Frascati  ha  sollevato,  con  cinque
 ordinanze  di identico tenore emesse il 29 maggio 1989, una questione
 di legittimita' costituzionale dell'art.  240  del  d.P.R.  29  marzo
 1973, n. 156, assumendone il contrasto con gli artt. 3, 21 e 41 Cost.
    Tale  disposizione  fa  divieto  di  "arrecare  disturbi o causare
 interferenze alle telecomunicazioni ed alle opere ad esse inerenti" e
 prevede  che "Nei confronti dei trasgressori provvedono direttamente,
 in via amministrativa, i  direttori  dei  circoli  delle  costruzioni
 telegrafiche e telefoniche, ed i capi degli ispettorati di zona della
 Azienda  di  Stato  per  i   servizi   telefonici,   competenti   per
 territorio".
    Il  giudice  a  quo  muove  dal presupposto secondo cui, a seguito
 della sentenza n. 202  del  1976  di  questa  Corte,  esisterebbe  un
 diritto  soggettivo  del  privato  di radiodiffondere in sede locale,
 come tale comprimibile solo in presenza di  un  prevalente  interesse
 pubblico,  con  precise  garanzie  e  in base ad accertati disturbi o
 interferenze che siano tali da impedire il concreto funzionamento del
 servizio pubblico.
    Cio'  premesso,  pone  a raffronto la disciplina posta dalla norma
 impugnata con quella prevista dalla legge 8 aprile 1983, n. 110,  che
 nel  vietare "emissioni, radiazioni o induzioni tali da compromettere
 sia il funzionamento dei servizi di radionavigazione sia la sicurezza
 delle  operazioni  di  volo" (art. 1), prevede che l'inosservanza sia
 "accertata  sentendo  anche  il  titolare  dell'impianto",   che   la
 disattivazione  di questo sia adottata solo in caso di inottemperanza
 ad  uno  specifico  ordine  di   eliminazione   delle   cause   delle
 interferenze  e che la sanzione per la turbativa consista solo in una
 pena pecuniaria. Rispetto  a  tale  disciplina,  la  norma  impugnata
 comporta,   secondo   il  Pretore,  un'ingiustificata  disparita'  di
 trattamento in danno del titolare del diritto di  radiodiffondere  in
 sede   locale,   sotto   il   profilo:   dell'omessa   garanzia   del
 contraddittorio in sede di accertamento; dell'"assoluta  genericita'"
 delle   nozioni   di   disturbo   o  interferenza  e  dell'intervento
 amministrativo della P.A.; della mancanza di graduazione di questo  e
 della "ben minore sanzione prevista per le interferenze in materia di
 volo".
    Tale disparita' di trattamento darebbe altresi' luogo a violazione
 degli artt. 21 e 41 Cost., in  quanto,  "incide  profondamente  sulla
 liberta'  di manifestazione del pensiero e sulla liberta' di impresa"
 e "non trova alcuna corrispondenza con poteri di polizia esistenti in
 altri settori e nei confronti di altre autorita' amministrative".
    Il  giudice  a quo rileva poi che, per il caso di incompatibilita'
 tra l'attivita' delle emittenti  private  temporaneamente  consentita
 dall'art.  3  legge  n. 10 del 1985 e quella dei pubblici servizi, la
 giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Lombardia, sez. I, sentenza  n.
 646  del  1986) ha ritenuto l'applicabilita' dell'impugnato art. 240,
 precisando pero' che il  potere  ripristinatorio  conferito  da  tale
 norma  non  consiste  nella  sola  disattivazione,  ma  comporta  una
 graduazione di interventi  correlata  alla  possibilita'  tecnica  di
 eliminare  l'incompatibilita'  (emanazione  di  prescrizioni  idonee,
 eliminazione d'ufficio degli inconvenienti, assegnazione  al  privato
 di  altra frequenza, rimozione o sequestro degli impianti) e richiede
 al riguardo una specifica motivazione. Dal fatto  che  gli  artt.  3,
 primo  comma  e  4,  terzo  comma di tale legge non prevedono, per le
 interferenze che danno luogo alla detta incompatibilita',  la  misura
 radicale  della  disattivazione  degli  impianti,  "rinviando  a quei
 diversi poteri di intervento che  l'art.  240  C.  P.,  correttamente
 interpretato  rimette  al  Circostel a livello tecnico", il giudice a
 quo deduce una "disparita' di trattamento tra gli  utenti  che  hanno
 effettuato  o,  come  nel  caso  sono  accusati ingiustamente di aver
 effettuato disturbi o interferenze ai danni di  servizi  pubblici  ed
 emittenti  della  stessa  natura  che  abbiano potuto beneficiare del
 trattamento ben piu' favorevole di cui alla legge n. 10/85": cio' che
 darebbe luogo ad un ulteriore profilo di violazione degli artt. 3, 21
 e 41 Cost.
      2.  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nei
 predetti giudizi - per il tramite dell'Avvocatura dello Stato  -  con
 memorie di tenore identico, eccepisce innanzitutto l'inammissibilita'
 della questione per difetto di giurisdizione del giudice a quo,  data
 l'inesistenza di un diritto soggettivo del privato all'attivazione di
 impianti radiotelevisivi. Richiama, al riguardo, la giurisprudenza di
 questa  Corte - e particolarmente le sentenze nn. 826 e 1030 del 1988
 - nonche' della Corte di cassazione (S.U., n. 6337  de  1984)  e  del
 Consiglio di Stato (sez. VI, nn. 361 del 1982 e 409 del 1988).
    Nel  merito,  l'Avvocatura  nega la dedotta violazione dell'art. 3
 Cost., sottolineando l'essenziale diversita' di  presupposti  tra  le
 fattispecie poste a raffronto dal giudice a quo.
    Nelle  ipotesi  considerate  nell'impugnato  art.  240  si  tratta
 infatti, a suo avviso, di interferenze permanenti, determinate - come
 nei casi di specie - dall'occupazione di frequenze riservate ad altri
 servizi: sicche' l'accertamento in contraddittorio sarebbe superfluo,
 la  disattivazione  costituirebbe  un  atto dovuto e la riattivazione
 sarebbe ingiustificata. Nei casi considerati dalla legge n.  110  del
 1983  si  tratterebbe,  invece,  di  interferenze  solo temporanee ed
 occasionali   sulle   frequenze    utilizzate    dai    servizi    di
 radionavigazione, che vanno accertate in contraddittorio e sanzionate
 con le dovute garanzie in quanto non sono di per se' evidenti  e  che
 consentono  la riattivazione in quanto ne possono essere eliminate le
 cause. Tale legge conterrebbe quindi una disciplina che presuppone  e
 completa  quella  generale di cui al citato art. 240, rafforzando gli
 strumenti di tutela di radiocomunicazioni particolarmente importanti.
    La  liberta'  di  pensiero e d'impresa non sarebbero d'altra parte
 violate, in quanto esse vanno regolamentate quando incidano su  altri
 beni  costituzionalmente  protetti o si esplichino con modalita' tali
 da potersi reciprocamente ostacolare.
      3. - Si sono altresi' costituite le parti private ricorrenti nei
 giudizi a  quibus,  Telaltitalia  s.r.l.,  Telelazio  s.p.a.,  Studio
 Toscana  s.r.l.,  Telemarsicabruzzo  s.p.a. e E.R.T. Italiana s.r.l.,
 rappresentate e difese,  rispettivamente,  dagli  avv.ti  L.  Magrone
 Furlotti, F. Paoletti, M. Petronio, A. Terranova e G. Tomei.
    La difesa della Telaltitalia s.r.l. precisa innanzitutto, in punto
 di fatto: che  l'utilizzazione  della  banda  di  frequenza  da  essa
 occupata le era stata preventivamente inibita dal Ministero P.T. onde
 evitare disturbi  pregiudizievoli  ai  servizi  del  Ministero  della
 Difesa,  cui  essa era attribuita in uso promiscuo; che dopo l'inizio
 delle trasmissioni il Circostel di Roma  l'aveva  diffidata  a  farle
 cessare,  pena  la  disattivazione  d'ufficio dell'impianto, ma senza
 addurre concreti disturbi o interferenze ai servizi predetti; che  il
 T.A.R.  del Lazio, da essa adi'to, dopo aver provvisoriamente sospesa
 l'efficacia di detto provvedimento, aveva rigettato il ricorso  (sez.
 II, 5 aprile 1988, n. 539), sostenendo tra l'altro che il citato art.
 240 giova non solo a sanzionare concrete  interferenze,  ma  anche  a
 prevenire  disturbi ai servizi di telecomunicazioni; che detto T.A.R.
 aveva anche dichiarato inammissibile il ricorso contro un  successivo
 provvedimento di disattivazione, in quanto meramente confermativo del
 primo (sentenza 21 aprile 1989, n. 663); che  nelle  more  del  primo
 giudizio  essa aveva anche adi'to, con ricorso ex art. 700 cod. proc.
 civ., i Pretori di Roma e Frascati, il quale  ultimo,  con  ordinanza
 del  23  dicembre  1987,  aveva  sospeso  l'esecuzione  dei  predetti
 provvedimenti.
    Cio'  premesso,  la  difesa  assume  che,  nell'attuale carenza di
 disciplina del  procedimento  autorizzatorio,  sussisterebbe  -  alla
 stregua  delle  sentenze  di  questa Corte nn. 202 del 1976 e 237 del
 1984 - un diritto soggettivo del privato all'occupazione delle  bande
 di frequenza assegnate al servizio pubblico ed a quello privato e non
 utilizzate  dal  primo,  diritto  comprimibile  solo   in   caso   di
 interferenze   concrete.  Sostiene,  inoltre,  che  la  condotta  del
 Ministero  P.T.  consistente  nella  mancata  emanazione  del   piano
 nazionale  di  assegnazione  delle  frequenze  e nella disattivazione
 delle  emittenti  private   non   rientranti   -   perche'   attivate
 successivamente  -  nella disciplina provvisoria di cui alla legge n.
 10 del 1985, sarebbe qualificabile come abuso di posizione  dominante
 in  favore  della  RAI  ai  sensi  dell'art.  86 del Trattato C.E.E.:
 sicche' l'art. 240, se interpretato  nel  senso  anzidetto,  dovrebbe
 essere  disapplicato  dal giudice nazionale. Se poi detta norma viene
 intesa nel  senso  di  sanzionare  con  la  disattivazione  immediata
 qualsiasi  disturbo  o interferenza causati da un impianto privato ai
 servizi pubblici di telecomunicazione, essa incorre - ad avviso della
 difesa  -  nelle censure prospettate dal giudice a quo, in quanto non
 osserva quel giusto contemperamento tra utilita' sociale e  sicurezza
 della  collettivita',  da un lato, e diritti del singolo, dall'altro,
 che e' stato viceversa realizzato con le leggi nn. 110 del 1983 e  10
 del 1985.
    Anche   le   difese   delle   soc.   Telelazio,   Studio  Toscana,
 Telemarsicabruzzo e E.R.T. Italiana  aderiscono  alla  prospettazione
 del   giudice  a  quo.  Le  prime  due  contestano,  in  particolare,
 un'applicazione della norma impugnata che prescinda  da  interferenze
 concrete. La quarta sostiene, in via preliminare, l'irrilevanza della
 questione,  assumendo  che  agli  impianti  di  radiodiffusione  sono
 applicabili  le  disposizioni di cui agli artt. 396 e segg. (Capo VII
 del titolo IV) del d.P.R. n. 156 del 1973, e non anche l'art. 240;  e
 che,  comunque,  questo  non  conferirebbe  alla  P.A.  un  potere di
 disattivazione degli impianti, che  sarebbe  riservato  all'autorita'
 giudiziaria ex art. 15 Cost.
      4.  -  Nel  giudizio  instaurato con l'ordinanza n. 374 del 1989
 l'Avvocatura dello Stato ha presentato una  memoria  aggiunta,  nella
 quale  insiste  per l'inammissibilita' della questione, rilevando che
 la  necessita'  di  una  previa  autorizzazione   dell'attivita'   di
 trasmissione   era   stata   riconosciuta   dalla   stessa   societa'
 Telaltitalia con l'istanza di ripartizione della banda  di  frequenza
 poi abusivamente occupata e con l'impugnazione al T.A.R. del relativo
 diniego. L'autorizzazione sarebbe del  resto  imposta  dagli  accordi
 internazionali sulla ripartizione delle frequenze radioelettriche. Di
 conseguenza,  non  solo  non   potrebbe   configurarsi   in   materia
 un'assoluta  liberta'  d'impresa,  ma sarebbe infondata la tesi della
 predetta societa' circa una pretesa incompatibilita' tra  l'art.  240
 cod.  post.  e  l'art.  86 del Trattato C.E.E., dato che quest'ultima
 disposizione andrebbe coordinata con gli artt. 228 e 234 dello stesso
 Trattato.
   La  censura  che  assume  come tertium comparationis l'art. 3 della
 legge n. 10 del 1985 e' infondata - secondo l'Avvocatura - in  quanto
 il    divieto    ivi   previsto   "di   determinare   situazioni   di
 incompatibilita' con i pubblici servizi" e' concetto non  diverso  da
 quello   di   "arrecare   disturbi   o   causare   interferenze  alle
 telecomunicazioni" di cui al predetto art. 240:  con  la  conseguenza
 che quest'ultimo deve ritenersi applicabile anche alle emittenti gia'
 in funzione alla data del 31 ottobre 1984 e che quindi  non  sussiste
 l'assunta  disparita'  di trattamento. L'art. 4 della citata legge n.
 10, d'altra  parte,  prevede  un'ulteriore  ed  autonoma  ipotesi  di
 esercizio del potere di disattivazione.
    L'art.  240 cod. post., peraltro, non escluderebbe una gradualita'
 di interventi, rimessa alla discrezionale valutazione della  P.A.:  e
 percio'  la  questione  non investirebbe la costituzionalita' di tale
 norma, ma solo la legittimita' del concreto provvedimento adottato.
      5.  -  Hanno presentato memorie aggiunte anche le parti private,
 Telaltitalia  s.r.l.,  Telelazio  s.p.a.,  Telemarsicabruzzo  s.p.a.,
 E.R.T.   Italiana  s.r.l.  e  Studio  Toscana  s.r.l.  (quest'ultima,
 peraltro, oltre il termine stabilito al riguardo).
    La difesa della soc. Telaltitalia contesta la tesi dell'Avvocatura
 sull'inammissibilita' della questione per  carenza  di  giurisdizione
 del  giudice  a  quo,  sostenendo che essa potrebbe essere dichiarata
 solo quando la carenza di giurisdizione  risulti  ictu  oculi  e  sia
 confermata  da  un  orientamento  giurisprudenziale costante e da una
 normativa inequivoca.
    Nel  caso  di  specie,  viceversa,  la normativa sarebbe del tutto
 carente e vi sarebbe incertezza  e  confusione  circa  la  necessita'
 della previa autorizzazione amministrativa.
    D'altra parte, la questione oggetto nel giudizio non concernerebbe
 la necessita' o meno dell'autorizzazione, bensi' la sussistenza o  no
 del potere di disattivazione in assenza dei presupposti (interferenze
 o disturbi) per i quali esso e' attribuito.
    La   predetta   societa'   afferma,  inoltre,  che  il  potere  di
 disattivazione,  in  quanto  incide  su  liberta'  costituzionalmente
 protette  (art.  21  Cost.)  dovrebbe  potersi esercitare solo quando
 concorrano gravi motivi e sia stata seguita una  procedura  idonea  a
 tutelare  il  soggetto  passivo  e  garantire  l'eventuale successivo
 controllo giurisdizionale. Cio' sarebbe confermato dal raffronto  con
 la  disciplina  di  cui  alla  legge  n.  110  del  1983, ove esso e'
 applicabile solo al  termine  di  una  procedura  amministrativa  che
 verifichi l'impossibilita' di misure meno restrittive.
    Contestando  quanto  sostenuto  in  proposito  dall'Avvocatura, la
 difesa nega che quest'ultima fattispecie sia diversa da quella di cui
 all'impugnato art. 240, in quanto a suo avviso questo non sanziona la
 violazione delle (inesistenti) regole  di  accesso  all'utilizzazione
 dei  canali televisivi liberi, la cui occupazione non potrebbe quindi
 essere   qualificata    come    disturbo    o    interferenza    alle
 telecomunicazioni.
    La  difesa  della  Telelazio s.p.a. insiste sull'omogeneita' delle
 fattispecie  poste  a  raffronto   dal   giudice   a   quo,   nonche'
 sull'applicabilita'  della  norma impugnata solo in caso di effettivo
 disturbo  o  interferenza,  non  potendo  a  suo   avviso   ritenersi
 assoggettato  ad autorizzazione l'esercizio del diritto soggettivo di
 radiodiffondere in ambito locale.
    Anche  la  difesa  della  Telemarsicabruzzo  s.p.a.  insiste sulla
 qualificazione come diritto soggettivo di  tale  attivita',  che  non
 sarebbe  soggetta  a  concessione od autorizzazione amministrativa. A
 suo avviso, l'art.  240  cod.  post.  sarebbe  applicabile  solo  nei
 confronti dei soggetti titolari di concessione o autorizzazione.
    La  difesa della E.R.T. Italiana s.r.l., a sua volta, ribadisce la
 propria   tesi   circa   l'irrilevanza   della   questione,   fondata
 sull'assunto dell'inesistenza del potere di disattivazione in caso di
 c.d. "disturbo giuridico", che prescinde da concrete  interferenze  e
 della riserva all'autorita' giudiziaria, ex art. 15 Cost., del potere
 di apporre limiti al diritto di radiodiffondere.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Le  cinque  ordinanze di rimessione del Pretore di Frascati
 sono di  identico  tenore  e  propongono  le  medesime  questioni  di
 legittimita'  costituzionale.  I  relativi procedimenti vanno percio'
 riuniti.
    2.   -   Con   le  predette  ordinanze  il  Pretore  dubita  della
 legittimita' costituzionale dell'art. 240 del d.P.R. 29  marzo  1973,
 n.  156  (Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  in  materia
 postale, di bancoposta e di telecomunicazioni) in quanto,  stabilendo
 che  si  provveda "direttamente, in via amministrativa" nei confronti
 di chi arrechi disturbi o causi interferenze alle  telecomunicazioni,
 prevede  che  possa  essere disposta la disattivazione degli impianti
 radiotelevisivi privati sprovvisti di autorizzazione  e  suscettibili
 di  arrecare  disturbi  ai  servizi  cui  sono attribuite le bande di
 frequenza occupate.
    Tale disposizione contrasterebbe, a suo avviso, con l'art. 3 Cost.
 in quanto:
       a)  diversamente  da quanto stabilito dall'art. 3 della legge 8
 aprile 1983, n. 110 per le turbative ai servizi di radioassistenza al
 volo,  non  prescrive il previo contraddittorio con l'interessato ne'
 dispone - stante la genericita' delle previsioni sulle interferenze e
 sulle  modalita' dell'intervento della P.A. - che questo sia graduato
 in relazione alle possibilita' tecniche di eliminazione dei  disturbi
 e dia luogo alla disattivazione solo come extrema ratio;
       b)  la disattivazione degli impianti non sarebbe prevista dagli
 artt. 3 e 4 della legge  4  febbraio  1985,  n.  10  per  i  casi  di
 incompatibilita'   con   i   pubblici  servizi  dell'attivita'  delle
 emittenti televisive private.
     Tale  disparita'  di  trattamento,  inoltre,  in  quanto  "incide
 profondamente sulla liberta'  della  manifestazione  del  pensiero  e
 sulla  liberta'  di  impresa" comporterebbe la violazione anche degli
 artt. 21 e 41 Cost.
    3.   -   L'Avvocatura  dello  Stato  ha  preliminarmente  eccepito
 l'inammissibilita' della questione per carenza di legittimazione  del
 giudice  a  quo,  data  l'inesistenza  di  un  diritto soggettivo del
 privato all'attivazione di impianti radiotelevisivi che il Pretore ha
 affermato come presupposto per la proposizione dell'incidente.
    L'eccezione e' fondata.
    Deve  innanzitutto  ribadirsi  che il difetto di giurisdizione del
 giudice  a  quo  fa  escludere  la  rilevanza  della   questione   di
 costituzionalita'   quando   risulti   chiaramente   dalla   legge  o
 corrisponda ad un  univoco  orientamento  giurisprudenziale,  si'  da
 rivestire il carattere dell'evidenza (cfr. sentenze nn. 159 del 1983,
 190 del 1985, 346 del 1987, 777 del 1988, 575 del 1989, ordinanze nn.
 100  del  1988  e  523  del  1989). In tal caso, infatti, l'eventuale
 pronuncia di incostituzionalita' verrebbe privata  delle  conseguenze
 che  le  sono  proprie  in  quanto  resterebbe  inapplicabile ai casi
 concreti che l'hanno occasionata.
    Rispetto  alla  fattispecie  in esame, la carenza di giurisdizione
 del  giudice  ordinario,  anche  ai  soli   fini   dell'adozione   di
 provvedimenti  urgenti,  risulta dal costante ed univoco orientamento
 sia della Corte di cassazione (cfr. da ultimo, ad es., Sez. Un. civ.,
 sentenza  n.  6766  del 1988) e del Consiglio di Stato, sia di questa
 medesima Corte (sentenze nn. 237 del 1984, 826 e 1030 del 1988).
    In tali decisioni si e' chiaramente esclusa la configurabilita' di
 un diritto soggettivo del privato  all'attivazione  ed  esercizio  di
 impianti  radiotelevisivi, dato che questi comportano l'utilizzazione
 di un bene comune - l'etere - naturalmente  limitato  e  percio'  non
 fruibile da tutti e presuppongono necessariamente, di conseguenza, un
 provvedimento di assegnazione della banda di frequenza che, in quanto
 immette  un  quid novi nella sfera giuridica del privato, ha indubbio
 carattere costitutivo.
    In  particolare,  nelle  citate  sentenze nn. 826 (par. 22) e 1030
 (par. 9) del 1988, questa Corte ha sottolineato la necessita'  di  un
 provvedimento abilitativo, che nel settore in esame implica un ambito
 di discrezionalita' non solo tecnica, ma anche  amministrativa  (cfr.
 anche  la  sentenza  n.  153  del  1987,  par.  9).  Cio' discende da
 disposizioni di diritto sia interno (artt. 2  e  183,  quarto  comma,
 d.P.R.  n. 156 del 1973) che internazionale, e si fonda sull'esigenza
 di assicurare un razionale ed ordinato governo dell'etere,  la  quale
 comporta  tra  l'altro  che  venga  garantito  il  coordinamento e la
 compatibilita' reciproca tra i vari servizi di telecomunicazione, ivi
 compresa  l'emittenza  radiotelevisiva.  Coerente  a tale esigenza, e
 correlato al potere di assegnazione e di disciplina  delle  modalita'
 d'impiego  delle  frequenze, e' il potere di disattivazione conferito
 alla P.A. dall'impugnato art.  240,  che  e'  appunto  preordinato  a
 prevenire  e  reprimere usi non consentiti o concrete interferenze. A
 fronte di poteri -  di  assegnazione  e  di  disattivazione  -  cosi'
 strutturati  e  finalizzati,  la posizione soggettiva del privato non
 puo' che essere di interesse legittimo al loro corretto esercizio,  e
 percio'  essa e' tutelabile, nel vigente ordinamento, solo innanzi al
 giudice  amministrativo  (che  del  resto,  nel   giudizio   di   cui
 all'ordinanza  n.  374  del  1989,  era gia' stato adi'to dalla parte
 privata).
    Pertanto  la  questione, in quanto sollevata da un giudice carente
 di giurisdizione nella materia, va dichiarata inammissibile.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   l'inammissibilita'   delle  questioni  di  legittimita'
 costituzionale dell'art.  240  del  d.P.R.  29  marzo  1973,  n.  156
 (Approvazione  del  testo  unico  delle  disposizioni  legislative in
 materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni)  sollevate  in
 riferimento  agli  artt. 3, 21 e 41 della Costituzione dal Pretore di
 Frascati con cinque ordinanze del 29 maggio 1989.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                         Il redattore: SPAGNOLI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 2 marzo 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C0237