N. 135 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 luglio 1989- 9 marzo 1990
N. 135 Ordinanza emessa il 13 luglio 1989 (pervenuta alla Corte costituzionale il 9 marzo 1990) dal tribunale amministrativo regionale per la Liguria sul ricorso proposto da Franzone Enrico contro il comune di Genova Impiegato degli enti locali - Destituzione automatica di impiegato di ente locale condannato con sentenza passata in giudicato per uno dei reati specificati dalla norma stessa - Conseguenze - Obbligo incondizionato dell'amministrazione di disporre la destituzione senza alcun margine di discrezionalita' in relazione alla gravita' del reato e alla incidenza del fatto sul regolare svolgimento del servizio - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 971/1988. (T.U. 3 marzo 1934, n. 383, artt. 9 e 8, punti 7 e 8). (Cost., artt. 3, 4, 27, 35 e 97).(GU n.13 del 28-3-1990 )
IL TRIBUBALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 869/1987 r.g.r. proposto da Fanzone enrico, elettivamente domiciliato in Genova, via Palestro, 2/11, presso l'avv. Carlo Raggi che lo rappresenta e difende per mandato a margine del ricorso, ricorrente, contro il comune di Genova in persona del sindaco in carica elettivamente domiciliato in Genova, via Garibaldi, 9 (sede della civica avvocatura) presso gli avvocati Massimo Medina e Pasquale Germani che lo rappresenta e difende per mandato in calce alla copia notificata del ricorso, resistente, per l'annullamento del provvedimento della giunta comunale 23 aprile 1987, n. 1637, con il quale il ricorrente e' stato dichiarato decaduto dall'impiego; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune di Genova; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udita alla pubblica udienza del 13 luglio 1989 la relazione del referendario Grazia Bruni e uditi, altresi', l'avv. Raggi per il ricorrente e l'avv. Siboldi delegato dell'avv. Medina per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato quanto segue; ESPOSIZIONE DEL FATTO Con ricorso notificato il 18 giugno 1987, Franzone Enrico impugnava il provvedimento indicato all'epigrafe. Esponeva in fatto il ricorrente di essere dipendente del comune di Genova inquadrato nel profilo di "operaio dei servizi comunali" e di essere stato condannato con sentenza della corte d'assise di Genova 30 ottobre 1981, alla pena di un anno di reclusione e di L. 130.000 di multa, con la concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, in quanto ritenuto colpevole del reato previsto dagli artt. 9 e 12 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 e 1 della legge 18 aprile 1975, n. 110, per avere, il 18 gennaio 1977, fabbricato, detenuto e portato in luogo pubblico cinque bottiglie incendiarie. Tale sentenza fu confermata dalla corte d'assise d'appello di Genova, con sentenza 11 giugno 1982, n. 10; ed il ricorso per Cassazione proposto dal sig. Franzone fu respinto con decisione della suprema Corte in data 22 aprile 1986. In seguito a questa vicenda la giunta comunale di Genova stabiliva, con la delibera 23 aprile 1987, n. 1637, di "dichiarare decaduto dall'impiego" il sig. Franzone. Nelle premesse della delibera si da' atto delle sentenze sopra ricordate e si afferma: "Considerato che le norme di cui agli artt. nn. 9 e 12 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 e n. 1 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (in base alle quali il predetto dipendente e' stato dichiarato colpevole e condannato), rientrano tra quelle previste dal p. 8 dell'art. 8 del testo unico della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383, che riguarda, tra l'altro, i condannati per delitti che, secondo le leggi penali speciali vigenti, corrispondevano ai delitti contemplati al numero precedente (p. 7, art. 8), peraltro norme riconducibili nell'ambito dei delitti contro l'incolumita' pubblica, (ed espressamente all'art. 435 del c.p. - 'fabbricazione detenzione di materie esplodenti' - articolo che e' stato sostanzialmente sotituito dall'art. 29 della legge 18 aprile 1975, n. 110, che aggrava notevolmente le pene), delitti compresi tra quelli di cui al p. 7 dell'art. 8 del gia' citato testo unico della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383, per cui, conseguentemente, si rende applicabile l'art. 9 del medesimo testo unico, che prvede la 'decadenza' del pubblico dipendente nei confronti del quale sopravvenga una delle condizioni previste come causa, di incapacita' o di incompatibilita' per un determinato ufficio che ne impediscano la nomina ad un pubblico ufficio". Si richiama inoltre la lettera a) dell'art. 111 del vigente regolamento organico per il personale del comune di Genova. Il ricorso e' affidato ai seguenti motivi: 1) violazione degli artt. 8, 9 e 247 del t.u. 3 marzo 1934, n. 383. L'amministrazione comunale ha ritenuto che il primo comma dell'art. 9 del t.u. n. 383/1984 - secondo cui "le condizioni previste come causa di incompatibilita' per un determinato ufficio impediscono la nomina all'ufficio stesso, se preesistono, e ne determinano la decadenza, ove sopravvengano", sia applicabile nei confronti degli impiegati comunali per i quali sopravvenga, dopo la costituzione del rapporto, una delle condanne penali che sono indicate nel precedente art. 8 del t.u. come causa di incapacita' alla nomina "agli uffici previsti dalla legge". Cio' erroneamente, in quanto da un lato gli effetti delle sentenze di condanna penale emesse nei confronti degli impiegati comunali dopo la costituzione del rapporto sono previsti e regolati dall'art. 247 dello stesso t.u., e dall'altro gli artt. 8 e 9 concernono unicamente gli "uffici" e non gli "impieghi". La sentenza di condanna penale successiva alla costituzione del rapporto puo' quindi comportare l'adozione di un provvedimento espulsivo solo quando sia stata emessa per uno dei delitti indicati nella lett. a) dell'art. 247 del t.u. e comporti le conseguenze indicate nella lett. b) dello stesso articolo. E la condanna subita dal ricorrente non rientra certamente in alcuna di queste ipotesi; 2) violazione dell'art. 111 del regolamento organico del personale del comune di Genova; eventuale illegittimita' di tale disposizione regolamentare per violazione degli artt. 8, 9 e 247 del t.u. 3 marzo 1934, n. 383, e per eccesso di potere sotto i profili dell'illogicita' e della contraddittorieta'. Per lo stesso ordine di ragioni evidenziate al motivo che precede, e' altesi' erronea la richiamata applicazione dell'art. 111 del regolamento organico, che non puo' intendersi come riferito alle ipotesi dell'art. 8 del t.u. sia perche' quest'ultima norma non si riferisce agli impieghi, sia perche' nel regolamento organico vi e' un'altra norma, l'art. 157, che disciplina gli effetti delle condanne penali sopravvenute in costanza di impiego in conformita' con l'art. 247 del t.u. In contraria ipotesi, il regolamento stesso risulterebbe, nell'art. 111, illegittimo per contrasto con le altre norme evidenziate, con conseguente illegittimita' derivata della delibera di decadenza; 3) violazione della legge 20 ottobre 1984, n. 732. L'art. 8 del t.u. n. 383/1934, qualora lo si intendesse come concernente gli impieghi oltre che gli uffici, ricadrebbe fra le norme abrogate per effetto della legge citata in quanto incompatibile con la soppressione per l'eccesso agli impieghi, del requisito della buona condotta; 4) violazione dell'art. 8 del t.u. n. 383/1934 degli artt. 9 e 12 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, degli artt. 1 e 29 della legge 18 aprile 1975, n. 110 e dell'art. 435 del c.p. La condanna inflitta al ricorrente non rientra comunque nell'ipotesi prevista al n. 8 dell'art. 8 del t.u. n. 383/1934, poiche' i reati per i quali e' stata comminata non corrispondono a quelli indicati nel numero precedente dello stesso articolo. Infatti il reato previsto dall'art. 435 del c.p., richiamato dal comune, e' caratterizzato da un elemento intenzionale ("fine di attendere alla pubblica incolumita'") che non e' richiesto per la configurazione dei reati previsti dagli artt. 9 e 12 della legge n. 497/1974, i quali corrispondono piuttosto alle contravvenzioni che erano previste negli artt. 678, 697 e 699 del c.p. In ogni caso i reati di cui agli artt. 9 e 12 della legge n. 497/1974 non possono certamente confondersi con quello, assai piu' grave, previsto dall'art. 29 della legge n. 110/1975, reato che non e' mai stato addebitato al ricorrente; 5) illegittimita' derivata per incostituzionalita' degli artt. 8 e 9 del t.u. n. 383/1934, in relazione agli artt. 3, 4, 27, 35 e 97 della Costituzione. Le questioni di costituzionalita' gia' proposte nei confronti dell'art. 247 del t.u. n. 383/1934 e di analoghe norme relative ad altri settori del pubblico impiego nelle parti in cui sanciscono la destituzione di diritto dell'impiegato che abbia conseguito una condanna penale irrevocabile per determinati reati si pone anche per gli artt. 8 e 9 dello stesso t.u. se essi dovessero interpretarsi, come ha ritenuto il comune di Genova, nel senso che impongano la risoluzione ipso iure del rapporto di impiego come conseguenza della condanna per uno dei reati ricompresi nell'elenco di cui all'art. 8. Il contrasto con l'art. 3 appare inoltre configurabile: a) in relazione al disposto della legge n. 732/1984, qualora si escluda che essa comporti l'abrogazione di tali norme, da un lato dovendosi prescindere per l'accesso all'impiego dal requisito della buona condotta, dall'altro essendo il rapporto assoggettato alla risoluzione ipso iure in conseguenza del sopravvenire di condanne penali; b) per l'ingiustificata disparita' di trattamento che le norme in questione comporterebbero, in danno degli impieghi comunali, nei confronti degli altri dipendenti pubblici, posto che solo i primi sarebbero soggetti alla risoluzione del rapporto in conseguenza di condanne per reati assai meno gravi di quelli che comportano la risoluzione del rapporto per altri dipendenti pubblici. Il ricorrente concludeva chiedendone l'annullamento del provvedimentoi impugnato. Si costituiva in giudizio il comune di Genova, resistendo al ricorso e chiedendone la reiezione. Con sentenza di pari data questo tribunale ha respinto i primi quattro motivi di bravame, ritenendo peraltro rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale delle norme indicate al quinto motivo. MOTIVI DELLA DECISIONE I motivi di ricorso basati su una lettura riduttiva, in quanto limitata alla decadenza dagli "uffici" e non dagli "impieghi", degli artt. 8 e 9 del t.u. 3 marzo 1934, n. 383, non sono stati ritenuti fondati dal tribunale. Sotto il profilo strettamente letterale, a parte l'onnicomprensivita' del termine "ufficio" sicuramente atta ad includere, in mancanza di disposizioni espresse, quello ricoperto in forza di lavoro dipendente, l'interpretazione restrittiva comporterebbe la sottrazione degli impiegati a tutta la normativa sulle cause impeditive dell'assunzione, non reperibile, questa, in altra parte dello stesso testo unico e da sempre applicata e considerata applicabile (Cons. Stato, IV, 17 aprile 1985, n. 148; t.a.r. Piemonte 21 novembre 1988, n. 510; t.a.r. Liguria 29 ottobre 1988, n. 641) proprio ai dipendenti. Sotto il profilo sistematico, il tribunale ha ritenuto non sussistere una illogica concorrenza di norme anche se applicabili entrambe agli impiegati, posto che questi possono essere dichiarati decaduti in costanza di rapporto per essere stati condannati per uno dei reati previsti dall'art. 8 del t.u. n. 383/1934 se i fatti di cui alla condanna siano anteriori alla costituzione del rapporto stesso: l'amministrazione in tal caso altro non fa se non il riscontro a posteriori, e secondo i parametri del diritto positivo, dell'incapacita' di accesso all'impiego, ben potendo in tal caso assumere rilevanza un reato contemplato dal legislatore solo agli effetti della decadenza e non della destituzione. Il tribunale ha altresi', respinto il motivo con cui il ricorrente ha lamentato che fossero stati erroneamente considerati come corrispondenti ai delitti contro l'incolumita' pubblica quelli per i quali e' stato condannato, previsti e puniti dagli artt. 9 e 12 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 e n. 1 della legge 18 aprile 1975, n. 110, laddove la fattispecie sarebbe stata a suo giudizio riconducibile alle ipotesi contravvenzionali di cui agli artt. 678, 697 e 699 del c.p. Infatti le norme speciali in questione che hanno introdotto figure delittuose specifiche in parziale sovrapposizione alla normativa previgente, vanno interpretate attraverso la individuazione dell'interesse tutelato, restando al riguardo prive di rilevanza le diverse previsioni in ordine all'elemento psicologico che connota fattispecie criminose diverse (dolo specifico per quelle di cui agli artt. 435 del c.p. e 29 della legge n. 110/1975, dolo generico per quelle poste in essere dal ricorrente) ma purtuttavia riconducibili sotto un unico elemento teleologico: al riguardo, e' innegabile che anche queste ultime siano state introdotte allo scopo di tutelare, principalmente se non esclusivamente, l'incolumita' pubblica dall'elevato rischio offensivo che comportano la fabbricazione, la detenzione e il porto di bottiglie incendiarie, espressamente qualificate dal legislatore come armi da guerra (art. 1 della legge n. 110/1975). Cio' premesso, il collegio ritiene invece non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' sollevata in via subordinata, con il quinto motivo di ricorso, in ordine agli artt. 8 e 9 del t.u. n. 383/1934 e con riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione per la parte in cui precludono all'amministrazione ogni valutazione sulla gravita' e sulle caratteristiche del fatto cui e' ricollegata la declaratoria di decadenza: cio' in irrazionale contrasto, fra l'altro, con i recenti mutamenti avvenuti nel diritto positivo per svariate categorie di dipendenti pubblici, fra i quali i dipendenti degli enti locali, dopo che la Corte costituzionale, con sentenza n. 971 del 14 ottobre 1988, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di numerose disposizioni di legge che prevedevano ipotesi di destituzione automatica collegate a condanne penali riportate per determinati reati. Ancorche' fondato su presupposti diversi, ed ancorche' privo di una connotazione sanzionatoria tipica, il provvedimento di decadenza ha lo stesso contenuto espulsivo di quello di destituzione, e sembra dovere egualmente presupporre una preventiva valutazione sul rapporto di adeguatezza al caso concreto, in relazione all'entita' del fatto per cui la condanna penale e' intervenuta ed alla sua collocazione temporale. Le norme, cosi' strutturate, sembrano peraltro contrastare oltre che con i principi di ragionevolezza desumibili dall'art. 3 della Costituzione, con il principio della tutela del lavoro (artt. 4 e 35 della Costituzione) e del buon andamento dell'amministrazione (art. 97). Un ulteriore dubbio di costituzionalita', sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza, si ravvisa nella disparita' di trattamento riservata agli operai dipendenti degli enti locali (qual'e' il ricorrente) rispetto agli operai dello Stato, per i quali l'art. 7 della legge 5 marzo 1961, n. 90, prevede l'incapacita' a conseguire la nomina di coloro che abbiano riportato una delle condanne indicate dall'art. 85 del t.u. di cui al d.P.R. n. 3/1957; non vi e' corrispondenza fra le fattispecie criminose previste da tale ultima norma e quelle di cui all'art. 8 del t.u. n. 383/1934; in ogni caso fra le prime mancano i delitti contro l'incolumita' pubblica, cosi' come manca l'obbligo del giudizio di "corrispondenza" da effettuarsi dalla amministrazione sulla base delle leggi penali speciali vigenti. E' evidente la rilevanza della questione, posto che le norme in esame hanno precluso, imponendo all'amministrazione la dichiarazione, in via automatica al verificarsi del presupposto, della decadenza, una qualsivoglia valutazione sulla posizione del ricorrente agli effetti della possibilita' di un suo mantenimento in servizio. Per tutte le esposte considerazioni, va riconosciuta la rilevanza, ai fini della decisione del ricorso, e la non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale degli artt. 9 e 8, punti 7 e 8, del t.u. n. 383 del 3 marzo 1934 in relazione agli artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione nella parte in cui sanciscono il potere dovere di dichiarare la decadenza dall'impiego del dipendente dell'ente locale che abbia conseguito la condanna per una delle fattispecie previste, prescindendo da qualsiasi valutazione in ordine alla gravita' ed alle caratteristiche tutte del fatto. Deve quindi disporsi la sospensione del giudizio e la rimessione della questione all'esame della Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, dell'art. 1 e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone la sospensione del giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale perche' si pronunzi sulla questione di legittimita' costituzionale come sopra formulata; Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Genova, nella camera di consiglio del 13 luglio 1989. Il presidente: VIVENZIO Il consigliere: BALBA Il referendario estensore: BRINI 90C0306