N. 165 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 novembre 1989

                                 N. 165
 Ordinanza emessa il 30 novembre 1989 dal tribunale per i minorenni di
   Ancona sul ricorso per la dichiarazione di paternita' proposta da
    Michelangeli Laura nell'interesse del figlio minore Michelangeli
                                 Flavio
 Filiazione  -  Filiazione  naturale  -  Dichiarazione  giudiziale  di
 paternita' naturale richiesta dalla genitrice esercente la potesta' -
 Figlio  infrasedicenne  -  Valutazione  dell'interesse  del  minore -
 Omessa previsione - Disparita' di trattamento  rispetto  ad  analoghi
 istituti.
 (C.C., artt. 273, 274 e 316).
 (Cost., art. 3).
(GU n.16 del 18-4-1990 )
                      IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
    Con  ricorso  depositato  in data 12 giugno 1987 tale Michelangeli
 Laura chiedeva a questo tribunale ai sensi dell'art. 274 del c.c.  di
 essere   ammessa   ad   esperire  nell'interesse  del  figlio  minore
 Michelangeli  Flavio  l'azione   di   dichiarazione   giudiziale   di
 paternita',  prevista  dall'art.  269 del c.c., nei confronti di tale
 Brucchietti Giorgio residente a Rieti.
    Nel presupposto del radicarsi della competenza presso il tribunale
 per i minorenni di Roma, foro del convenuto,  secondo  la  disciplina
 ordinaria della competenza per le azioni di stato in applicazione del
 principio del  foro  generale  delle  persone  fisiche  e  della  sua
 inderogabilita'  e  rilevabilita'  d'ufficio  ai  sensi del combinato
 disposto degli artt. 18, 28 e 38 del  c.p.c.  (principio  seguito  da
 questo  tribunale  sulla  base  di  una costante giurisprudenza della
 Corte suprema il p.m., con richiesta in data 2 giugno 1988  sollevava
 questione di legittimita' costituzionale degli articoli 273 e 274 del
 c.c. e 18 del  c.p.c.  nella  parte  in  cui  non  prevedono  che  il
 tribunale  per  i minorenni territorialmente competente e' quello del
 luogo ove si trova il minore o di residenza del minore per violazione
 dell'art.   25,   primo   comma,   della   Costituzione   e  cio'  in
 considerazione del fatto che un tribunale minorile diverso da  quello
 avente  giurisdizione  sul luogo ove il minore si trova o risiede non
 potrebbe emettere  una  decisione  quale  giudice  specializzato  nei
 confronti  e sullo status del minore stesso di cui non puo' conoscere
 il  vissuto,  la  personalita'  e   l'ambiente   di   vita   se   non
 indirettamente  e certamente non con quella immediatezza e conoscenza
 della cultura locale necessaria ad una corretta decisione".
    Con  lo  stesso  mezzo il p.m. sollevava questione di legittimita'
 costituzionale degli artt. 273 e 274 del c.c. nella parte in cui  non
 prevedono,  nel  caso di azione proposta dal genitore che esercita la
 potesta' prevista dall'art. 316 del c.c.  nell'interesse  del  figlio
 infrasedicenne,   che   si   valuti   l'interesse   del  minore  alla
 dichiarazione giudiziale di paternita' e maternita',  per  violazione
 dell'art.  3 della Costituzione, in quanto tale valutazione "non solo
 e' richiesta a norma di legge  per  altri  istituti  che  hanno  come
 effetto  l'instaurazione  del rapporto di filiazione", ma costituisce
 anche nel sistema "il tratto principale che caratterizza e giustifica
 la specializzazione del giudice minorile".
    Occorre  preliminarmente  osservare  che  questo  tribunale non ha
 potuto procedere immediatamente all'esame delle questioni proposte in
 quanto,  essendo  la  rilevanza  della  prima  di  esse  strettamente
 collegata, come sopra si e' rilevato, ad una certa giurisprudenza, ha
 ritenuto opportuno attendere una sua riconferma o meno da parte della
 Corte suprema essendo questa stata investita, sull'argomento,  di  un
 regolamento  di  competenza  richiesto  in  altra  procedura pendente
 presso questo tribunale.
    Con  sentenza  21  aprile  1989,  n. 3999, depositata il 6 ottobre
 successivo, la suddetta Corte, risolvendo il  regolamento  e  mutando
 quello  che  era  sato  il suo costante orientamento, ha enunciato il
 principio che il criterio  di  individuazione  della  competenza  per
 territorio  del  giudice minorile non puo' che essere unico per tutte
 le materie "in quanto espressione  della  funzione  istituzionale  di
 questo  giudice  specializzato  che  e'  quella  di dare una risposta
 appropriata, sia sotto il profilo  delle  conoscenze  specifiche  dei
 componenti  del  collegio che sotto quello della vicinanza fisica del
 giudice al minore, ai problemi ed alle esigenze  dei  minori"  e  che
 pertanto  anche  nelle  azioni  per la dichiarazione giudiziale della
 paternita' e maternita' debba affermarsi la competenza del  tribunale
 minorile del luogo ove il minore si trova.
    Tale  nuova decisione, venendo a togliere rilevanza alla questione
 di legittimita' costituzionale della norma processuale, esime  questo
 tribunale dal prenderla in considerazione.
    In  ordine  alla  seconda  questione  sollevata  dal  p.m.,  qusto
 tribunale,  che  gia'  in  altra  procedura   ne   aveva   dichiarato
 l'infondatezza, ritiene che le nuove e ampie argomentazioni del p.m.,
 inquadrando il problema in un compiuto e organico esame di  tutto  il
 sistema,  impongano  una diversa valutazione e debbano condurre a una
 diversa conclusione.
   In  particolare,  l'impostazione della questione che nel precedente
 esame era stata  incentrata  da  questo  tribunale  sulla  preminenza
 dell'interesse pubblicistico alla certezza dello status della persona
 (cosi' da apparire con esso incompatibile qualsiasi deroga  apportata
 in  nome  di  altre  istanze)  e  sugli interessi (costituzionalmente
 rilevanti ai sensi  dell'art.  30  della  Costituzione  quali  quelli
 all'educazione,   all'istruzione   e   al  mantenimento)  del  minore
 collegati alla predetta certezza, deve essere rettificata  alla  luce
 delle  disarmonie  e incongruenze del sistema cosi' come messe meglio
 in evidenza dalle nuove argomentazioni.
    Premesso  che  "l'attribuzione della competenza dell'azione de quo
 al tribunale per i minorenni a  norma  dell'art.  68  della  legge  4
 maggio  1983,  n. 184, ha una portata molto piu' ampia di un semplice
 spostamento di competenza, in quanto si  e'  passati  da  un  giudice
 ordinario   ad   un   giudice   specializzato  che  ha  modalita'  di
 acquisizione del  materiale  probatorio,  criteri  di  valutazione  e
 contributi di professionalita' diversi nell'emissione della decisione
 rispetto al  giudice  ordinario"  e  premesso  che  la  stessa  Corte
 costituzionale  con  sentenza n. 193/1987 nel ritenere infondata, con
 riferimento agli artt. 3 e 102 della  Costituzione  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 68 della legge 4 maggio 1983,
 n. 184, nella parte in cui dispone la competenza del tribunale per  i
 minorenni  a provvedere ai sensi dell'art. 269, primo comma, del c.c.
 nel caso di minori,  ha  sottolineato  (richiamando  gli  artt.  273,
 secondo comma, 277, secondo comma, del c.c. e 11 della legge 4 maggio
 1983, n. 184) che "non si debbono  sottovalutare  gli  altri  e  piu'
 particolari  poteri  demandati  al  giudice  quando  l'azione  per la
 dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita' naturale riguardi
 un  minore, poteri questi ben confacenti al tribunale per i minorenni
 nell'ottica della sua specializzazione ai sensi dell'art.  102  della
 Costituzione",  rileva  il  p.m.  che tale ottica e' vanificata dalla
 impossibilita' da parte del tribunale per  i  minorenni  di  valutare
 l'interesse  del  minore,  nei  cui  confronti  e'  competente,  alla
 dichiarazione giudiziaria di paternita' o di maternita'.
    E'  opportuno  a  questo  punto  riferire  puntualmente le serrate
 argomentazioni esposte dal p.m.:
    "Il  legislatore  del  1983, riformando la legge 6 giugno 1967, n.
 431, sulla adozione speciale, ha confermato  ed  anzi  rafforzato  il
 principio  della  competenza  generale  del  giudice  minorile  nelle
 materie afferenti i minori,  e  la  tendenza  ha  trovato  poco  dopo
 autorevolissima  e  decisiva  conferma  nella nota sentenza 15 luglio
 1983,  n.  222,  della  Corte  costituzionale,   dichiarativa   della
 incostituzionalita'   della  norma  che  sottraeva  al  loro  giudice
 naturale i minorenni coimputati con adulti.
    Alla  luce  di questi principi, va considerato che, se e' vero che
 la dichiarazione giudiziale di paternita'  e  di  maternita'  postula
 sempre l'accertamento della procreazione, e cioe' di un dato di fatto
 a carattere storico e oggettivo, diversi sono i suoi effetti  qualora
 il  procreato  sia  maggiorenne  ovvero  minorenne.  In  quest'ultima
 ipotesi, infatti, consegue alla sentenza (che ha gli  stessi  effetti
 del riconoscimento: cfr. art. 277, primo comma, del c.c.) l'insorgere
 della potesta' parentale in capo al soggetto o ai soggetti dichiarati
 genitori; il che ovviamente non si verifica se il procreato e' invece
 maggiorenne.
    Trattasi  dunque  di una diversa situazione, nella quale la tutela
 de minore merita particolare attenzione e cutela, essendo ragionevole
 suppore  che  colui  il quale ha dovuto essere citato in giudizio per
 essere dichiarato forzatamente genitore, non sempre sia  il  soggetto
 piu'  idoneo a prendersi cura del figlio. E cio' e' tanto vero che lo
 stesso  art.  277  sopracitato  prevede,   al   secondo   comma,   la
 possibilita' che siano contestualmente dati i provvedimenti opportuni
 a tutela del figlio.
    Il   testo   novellato   dell'art.  38  delle  disp.  att.  appare
 perfettamente armonico al sistema che, sin dalla riforma del  diritto
 di  famiglia  del  1975,  attribuiva  alla  competenza  esclusiva del
 giudice minorile (appunto in  quanto  giudice  specializzato,  e  non
 speciale)  le  questioni  connesse  allo status della persona minore,
 proprio al fine di  consentire  la  tempestiva  regolamentazione  dei
 delicati  rapporti  insorgenti per effetto del mutamento dello status
 medesimo.
    A   questo  punto  sembra  lecito  affermare  che  con  l'aggiunta
 dell'inciso "nonche' nel caso di minori dell'art. 269,  primo  comma"
 all'art. 39 delle disp. att. del c.c. il legislatore abbia completato
 il disegno di attribuire tutte le azioni che tendono ad un  apparente
 miglioramento dello status del minore (da riconosciuto da parte di un
 sol genitore a riconosciutto da entrambi (art. 250); da  riconosciuto
 da  parte  di uno od entrambi i genitori a legittimato (art. 284); da
 figlio riconosciuto da parte di uno od entrambi i genitori  o  figlio
 di  genitori  ignoti a figlio la cui paternita' e maternita' naturale
 e' stata giudizialmente accertata (269 del c.c.) al tribunale  per  i
 minorenni.
    L'espressione  "apparente"  usata  sta a sintetizzare il principio
 piu' volte affermato dalla  dottrina  e  dalla  giurisprudenza  (vedi
 Cass.,  sezione  prima,  del  25  maggio  1982; Cass., sezione prima,
 sentenza n.  6649,  del  13  novembre  1986;  Cass.,  sezione  prima,
 sentenza  n.  7535,  del  12 ottobre 1987) che non sempre il dare una
 veste legale alla filiazione biologica corrisponde all'interesse  del
 minore,   in  quanto  non  puo'  essere  sufficiente  limitarsi  alla
 considerazione della sola presunzione, che l'esistenza di entrambe le
 figure genitoriali amplia la sfera dei rapporti affettivi del minore,
 ne  arricchisce  la   personalita'   completandola   e   conferendole
 equilibrio  materiale  e psichicho (Cass., sezione prima, sentenza n.
 4273 del 22  giugno  1983)  ma  e'  necessario  valutare  le  opposte
 ragioni,  nonche'  ogni  altro elemento di giudizio in quanto ai fini
 della concreta tutela dell'interesse del minore i  valori  da  tenere
 presenti  sono anche di ordine morale con esclusione di ogni elemento
 o motivo estraneo od esterno al rapporto genitore-figlio.
    Il  legislatore  invece,  ha  lasciato alla competenza del giudice
 ordinario tutte quelle azioni il cui accoglimento  importa  il  venir
 meno,  nel  mondo  del diritto, del rapporto di filiazione: azione di
 disconoscimento (art. 244 del c.c.), azione  di  contestazione  della
 legittimita'  (248  del  c.c.),  impugnazione  del riconoscimento per
 difetto di veridicita' (263 del c.c.).
    Analizzando  le caratteristiche comuni a ciascun gruppo di azioni,
 caratteristiche  che  rispondono  a  valide  esigenze   di   coerenza
 sistematica,  si  rileva che ogni qualvolta l'azione e' devoluta alla
 cognizione del tribunale per i minorenni e' fatto obbligo, tranne per
 il  caso in esame, di accertare quale sia in concreto l'interesse del
 minore al di la' del dato oggettivo della filiazione biologica;  tale
 esigenza  di  accertamento  non  ricorre,  invece, in tutte le azioni
 dianzi elencate di competenza del tribunae ordinario  in  cui  -  con
 rigorosa applicazione del principio generale per cui la situazione di
 diritto deve corrispondere per quanto e' possibile alla situazione di
 fatto  - accertata l'inesistenza del rapporto biologico di filiazione
 il legislatore automaticamente ne fa discendere la cancellazione  del
 rapporto  medesimo  dal  mondo  del diritto senza che l'interesse del
 minore sia in qualche modo rilevante ai fini della decisione.
    Orbene  l'azione  ex art. 269 e segg. del c.c., pur rientrando nel
 primo gruppo e pur  essendo  stata  attribuita  alla  cognizione  del
 giudice specializzato non prevede una rilevanza del piu' volte citato
 interesse del minore almeno nella ipotesi come nella specie in cui la
 stessa  sia  proposta  dal genitore che esercita la potesta' prevista
 dall'art. 316 del c.c. ed il figlio non abbia compiuto il  sedicesimo
 anno  di eta'. Infatti, nel caso di azione promossa da altri soggetti
 legittimati una valutazione dell'interesse e' prevista, piu'  o  meno
 esplicitamente, dall'art. 273 del c.c.
    Per  quanto  riguarda  l'azione  promossa  dal  tutore questi deve
 chiedere l'autorizzazione al giudice il quale puo' anche nominare  un
 curatore  speciale;  il  giudice,  dopo lo spostamento di competenza,
 altri non puo' essere che il  tribunale  per  i  minorenni  il  quale
 valutera'  l'interesse  del minore alla proposizione dell'azione o se
 non ha i mezzi e gli elementi  per  effettuare  tale  valutazione  ne
 deleghera' il compito ad un curatore speciale.
    Il   figlio  ultra-sedicenne  invece,  deve  prestare  il  proprio
 consenso  per  l'inizio  od  il  proponimento  dell'azione.  Trattasi
 infatti   di   diritti   ed  interessi  personalissimi  rimessi  alla
 autovalutazione del titolare, appena questi  ne  abbia  la  capacita'
 naturale.
    Quando  invece tale capacita' manca, e' stato dalla legge nel caso
 del tutore ritenuta necessaria una preventiva valutazione dell'organo
 statuale  il  quale  per mezzo dell'autorizzazione rinnova l'ostacolo
 che deriva dalla  natura  personalissima  del  diritto  azionato,  al
 promuovimento dell'azione stessa.
    Orbene  non  si  comprende  perche'  il  genitore  che esercita la
 potesta' prevista dell'art. 316 del  c.c.  possa  invece  liberamente
 agire  in  giudizio e la sua richiesta, neppure nella successiva fase
 di esame di ammissibilita'  dell'azione  non  debba  essere  valutata
 quale corrispondente o meno all'interesse del minore".
    Esattamente  il  p.m.  continua osservando come l'assunzione della
 figura genitoriale in un momento successivo alla nascita e'  un'altra
 delle caratteristiche che accomuna i procedimenti ex artt. 250, 269 e
 284 del c.c. e che, proprio in vista del  momento  in  cui  nasce  il
 rapporto,  il  legislatore ha ritenuto di meglio tutelare l'interesse
 del   minore   alla   instaurazione   del   rapporto   medesimo   con
 l'anticipazione  dell'intervento  statuale (art. 250, quarto comma, e
 284 del c.c.) al momento dell'accertamento costitutivo  del  rapporto
 diminuendo  grandemente, in tale modo, la probabilita' dell'insorgere
 della necessita' di un secondo intervento  giurisdizionale  ai  sensi
 degli  artt.  330  e  segg.  del  c.c.  - "Quest'ultimo procedimento,
 infatti, e' riparatorio e non preventivo del danno subito dal  minore
 per  il  cattivo  esercizio  della  potesta'  e  quindi meno idoneo a
 tutelare il minore medesimo.  Ugualmente  riparatori  quindi  sono  i
 provvedimenti  di cui all'art. 277 del c.c., e non si vede perche' il
 momento della valutazione  dell'interesse  del  minore,  saliente  ed
 irrinunciabile,   deve   essere   procrastinato  al  momento  in  cui
 l'interesse tutelato  puo'  essere  ormai  compromesso  piu'  o  meno
 definitivamente.  In  conclusione  se  la  nascita  del  rapporto  di
 filiazione coincide con la nascita biologica, sarebbe impensabile uno
 strumento  di tutela preventiva e quindi sono necessari, se del caso,
 gli interventi successivi ex art. 330 e segg.  del  c.c.;  ma  se  il
 rapporto  di filiazione nasce in un momento successivo a quello della
 nascita biologica del figlio, il legislatore ritiene  necessaria  una
 preventiva valutazione dell'interesse di quest'ultimo anche a fine di
 evitare, quanto piu' possibile, l'intervento ex art. 330 e segg.  del
 c.c.  sempre  e comunque traumatico per tutti i soggetti interessati.
 Solo nell'ipotesi di cui agli artt. 269 e segg. manca  la  previsione
 di una valutazione preventiva".
    Queste   considerazioni   inducono   a   ritenere   il  dubbio  di
 costituzionalita' degli  artt.  273  e  274  del  c.c.  in  relazione
 all'art. 3 "in quanto la dizione delle norme del c.c. non permette al
 giudice la valutazione dell'interesse  sostanziale  del  minore  alla
 dichiarazione  giudiziale  di  paternita'  o  maternita', quanto meno
 nell'ipotesi, come nella fattispecie, che sia il genitore  ad  agire;
 valutazione  che  invece  non  solo e' richiesta a norma di legge per
 altri istituti che hanno come effetto instaurazione del  rapporto  di
 filiazione,  ma  che  anche,  nel  sistema, costituisce il principale
 tratto che caratterizza e giustifica la specializzazione del  giudice
 minorile,  come  ad esempio in tutto l'iter adozionale in cui a norma
 di legge l'interesse del  minore  e'  preminente  sia  rispetto  alla
 filiazione  biologica,  che viene giuridicamente resa inefficace, sia
 rispetto alla filiazione adottivo che  viene  instaurata  con  quella
 coppia  di adulti che meglio possano rispondere ai bisogni del minore
 e quindi realizzare il suo interesse".
    E'   dinanzi   all'ampiezza  e  allo  spazio  riservati  a  questo
 interesse,  riconosciuto  dal  legislatore   negli   istituti   sopra
 menzionati,   che   devono   essere   ridimensionate  le  valutazioni
 incentrate sulla preminenza, in ogni  caso,  dell'interesse  pubblico
 alla  certezza  dello  status  della  persona, certezza rispetto alla
 quale  il  legislatore,  con  sua  scelta  insindacabile,  ha  inteso
 chiaramente e piu' volte, come sopra illustrato, apportare una deroga
 a miglior tutela del minore.
    Per  altro  verso  la  rilevanza  costituzionale  ex art. 30 della
 Costituzione   dell'interesse   del   minore   al   mantenimento    e
 all'istruzione  (attuabili attraversso il contributo patrimoniale del
 genitore dichiarato tale) non puo' dirsi che abbia maggiore rilevanza
 e    dignita'    rispetto    al    diritto,    ugualmente   rilevante
 costituzionalmente, ad una  adeguata  educazione  la  quale,  a  ogni
 evidenza,  puo'  essere  impartita  solo  da  un  genitore  degno  di
 esercitare la potesta' genitoriale.
    Per quanto concerne la rilevanza nella fattispecie della sollevata
 questione di legittimita', e' da osservare che teoricamente  essa  e'
 riscontrabile  in  ogni  caso  in  quanto e' evidente che, a parte il
 dubbio circa la capacita' genitoriale gia' suggerito dal fatto stesso
 della  latitanza  e  della  riluttanza  di un soggetto ad assumere le
 proprie responsabilita', non e'  possibile,  se  non  attraverso  una
 apposita  e  mirata  istruttoria  diretta  a  tal  fine,  appurare le
 caratteristiche e le capacita' della persona convenuta. Ma,  a  parte
 queste   considerazioni,   puo'   nondimeno   affermarsi  che,  nella
 fattispecie, si profilano alcune connotazioni e  talune  circostanze,
 quale   "il  comportamento  contraddittorio  ed  ambivalente  che  il
 resistente ha tenuto nei  confronti  sia  della  ricorrente  che  del
 nascituro"  che,  come afferma il p.m., dimostrano oggettivamente "in
 quali grosse difficolta'  -  il  convenuto  si  troverebbe  dovendosi
 confrontare  con  un rapporto di filiazione per di piu' imposto e non
 liberamente scelto.  Ne',  a  quanto  risulta,  il  Brucchietti,  che
 certamente  non  e'  in  grado di offrire al figlio un valido modello
 affettivo genitoriale, sembra possa garantire allo stesso un  apporto
 materiale  ed  economico  tale  da  far ritenere quest'ultimo tipo di
 vantaggi prevalenti sullo svantaggio di essere un  cattivo  genitore.
 Infine  non  va sottovalutato il rischio che una volta pervenuti alla
 dichiarazione  di  paternita'  del  Brucchietti,  al  solo  scopo  di
 ritorsione  nei  confronti  della  ricorrente  possa  usare il figlio
 disturbando cosi' una crescita che, come  dalla  stessa  Michelangeli
 affermato, e' sana, allegra ed affettivamente piena.
    Deve   essere  quindi  preventivamente  valutato  l'interesse  del
 piccolo Flavio ad avere un padre che tale non vuole e non puo', sotto
 il profilo psichico, essere".
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta  la  questione  non  manifestamente infondata, solleva la
 questione di legittimita' costituzionale degli artt. 273  e  274  del
 c.c.  nella  parte  in cui non prevedono, nel caso di azione proposta
 dal genitore che esercita la potesta' prevista dall'art. 316 del c.c.
 nell'interesse  del  figlio  infrasedicenne che si valuti l'interesse
 del minore alla dichiarazione giudiziale di paternita' o  maternita',
 per violazione dell'art. 3 della Costituzione;
    Dispone  la  sospensione  de  giudizio e la immediata trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Dichiara  non  luogo  a  provvedere  in  ordine  alla questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 18 del c.p.c.  nella  parte  in
 cui   non   prevede   che  il  tribunale  minorenni  territorialmente
 competente per le azioni di dichiarazione giudiziale della paternita'
 o maternita' e' quello del luogo dove si trova il minore;
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria la presente ordinanza sia
 notificata alle parti in causa, al p.m. e al Presidente del Consiglio
 dei  Ministri,  nonche' sia comunicata ai Presidenti delle due Camere
 del Parlamento.
      Ancona, addi' 30 novembre 1989
                         Il presidente: PERUCCI

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