N. 180 ORDINANZA 4 - 6 aprile 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Procedimento penale - Nuovo codice - Disposizioni transitorie -
 Processi in corso - Concentrazione nella stessa persona fisica del
 pretore della fase istruttoria e di quella del giudizio -
 Discrezionalita' legislativa - Applicazione temporanea delle
 disposizioni in materia - Richiamo alle sentenze nn. 322/1985 e
 301/1986 - Manifesta infodatezza.
 
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 245).
 
 (Cost., art. 3; convenzione per la salvaguardia dei diritti
 dell'uomo, art. 6).
(GU n.16 del 18-4-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore  GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Renato  DELL'ANDRO,  prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,  avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 245 del decreto
 legislativo  28  luglio  1989,  n.  271  (Norme  di  attuazione,   di
 coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), promosso
 con ordinanza emessa il 16 novembre 1989 dal Tribunale di Biella  nel
 procedimento  penale a carico di Leardi Paolo, iscritta al n. 697 del
 registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  21 marzo 1990 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
    Ritenuto  che,  con  ordinanza  16  novembre 1989, il Tribunale di
 Biella sollevava questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
 245   del  testo  delle  norme  di  attuazione,  di  coordinamento  e
 transitorie del codice di procedura penale del 1988, testo  approvato
 con  decreto  legislativo  28  luglio  1989,  n.  271, in riferimento
 all'art. 3 della Costituzione e all'art. 6 della Convenzione  per  la
 salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo,  firmata  a Roma il 4 novembre
 1950, e ratificata dal Presidente  della  Repubblica  in  seguito  ad
 autorizzazione conferitagli dalla legge 4 agosto 1955, n. 848;
      che  il  Tribunale  riferiva  nell'ordinanza  di un procedimento
 instaurato dal Pretore nei confronti del segretario di  un  sindacato
 bancario  per  il  delitto  di  appropriazione  indebita  aggravata e
 continuata, durante il quale, e prima del  dibattimento,  il  Pretore
 aveva  disposto  perizia contabile, e sequestro conservativo sui beni
 dell'imputato fino alla concorrenza di Lit. Centomilioni;
      che   nel  provvedimento  di  sequestro  il  Pretore  -  secondo
 l'assunto dell'imputato - avrebbe usato espressioni anticipatrici del
 giudizio  di merito, quali "l'accertata veridicita' di quanto assunto
 dalla costituita parte civile" e il "mancato attivarsi (dell'imputato
 stesso) per il risarcimento del danno";
      che  il  sequestro  veniva annullato dal Tribunale, a seguito di
 reclamo dell'imputato, per insussistenza del pericolo di  pregiudizio
 nel ritardo, mentre poi, in vista dell'udienza dibattimentale fissata
 per  il  10  novembre  1989,  l'imputato  depositava  l'8  precedente
 dichiarazione  di  formale ricusazione del Pretore che avrebbe dovuto
 giudicarlo al dibattimento, trattandosi della stessa  persona  fisica
 che  aveva  condotto  la sommaria istruttoria e disposto il sequestro
 revocato dal Tribunale;
      che  il  Tribunale,  dichiarata  inammissibile la ricusazione, e
 mentre il procedimento principale veniva sospeso dallo stesso Pretore
 ricusato,  riteneva  tuttavia  di  dovere pregiudizialmente sollevare
 d'ufficio la gia' enunciata questione di legittimita'  costituzionale
 a  causa  della rilevanza che essa avrebbe ai fini della procedura di
 ricusazione, sulla quale lo stesso  imputato  avrebbe  implicitamente
 sollevato la questione di legittimita';
      che,  in proposito, il Tribunale richiama la sentenza n. 268 del
 1986 di questa Corte, con la quale sarebbe gia' stata sostanzialmente
 considerata  l'illegittimita'  della  denunziata situazione, anche se
 poi la Corte, per motivi di opportunita',  si  sarebbe  astenuta  dal
 dichiararla in vista dell'ormai imminente riforma processuale;
      che,  difatti,  il legislatore del nuovo codice ha espressamente
 escluso la concentrazione, nella stessa persona fisica  del  pretore,
 della  fase istruttoria e di quella del giudizio, e l'art. 34 prevede
 espressamente l'incompatibilita' del  giudice  che  abbia  esercitato
 nello stesso processo funzioni di pubblico ministero (comma 3);
      che, pero', l'art. 245 delle citate Disposizioni transitorie non
 include, fra le norme d'immediata operativita',  per  i  procedimenti
 pretorili  pervenuti  alla  fase del dibattimento, la norma di cui al
 detto art. 34;
      che  una  siffatta situazione, oltre a porsi in contrasto con il
 pure citato art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei  diritti
 dell'uomo,  che  esige un processo affidato ad un giudice imparziale,
 violerebbe altresi' apertamente l'art. 3 della  Costituzione  per  il
 quale  situazioni identiche debbono essere regolate nello stesso modo
 mentre, a causa dell'esclusione dell'art. 34 del codice di  procedura
 penale  dalle norme immediatamente applicabili, per mesi, e forse per
 anni, gli  imputati  nei  processi  pretorili  in  corso  al  momento
 dell'entrata  in  vigore  del  nuovo  codice,  si  vedranno negato il
 riconoscimento del diritto ad essere giudicati al dibattimento da  un
 magistrato  diverso  da  quello che e' intervenuto nell'istruttoria e
 che attualmente e' una vera e propria "parte" processuale;
      che  e'  intervenuto,  nel  giudizio  innanzi a questa Corte, il
 Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato  dall'Avvocatura
 Generale  dello  Stato,  la  quale  ha  chiesto  che la questione sia
 dichiarata non fondata;
    Considerato  che  il  Tribunale dichiara di sollevare d'ufficio la
 questione che l'imputato avrebbe implicitamente eccepito, e  cio'  in
 quanto   essa  sarebbe  rilevante  "ai  fini  della  decisione  sulla
 questione di ricusazione";
      che,  in  realta',  pero', la ricusazione, per gli stessi motivi
 indicati dall'imputato, e' prevista anche dall'art. 64, primo  comma,
 n.  6 del codice di procedura penale del 1930, che rimanda appunto ai
 casi d'incompatibilita' previsti dagli artt. 61 e 62,  il  primo  dei
 quali,  al  comma  3, prevede espressamente che non possa esercitarvi
 ufficio di giudice  chi,  in  un  procedimento,  ha  esercitato,  fra
 l'altro, la funzione di pubblico ministero, esattamente come previsto
 dall'art. 34, terzo comma, del codice attualmente in vigore,  di  cui
 si  lamenta  la  mancata  inclusione nell'art. 245 delle Disposizioni
 transitorie;
      che,  conseguentemente,  non  e'  propriamente  a  causa di tale
 mancata inclusione che l'imputato  dovrebbe  sottostare  allo  stesso
 giudice  Pretore  che  ha  compiuto atti dell'istruttoria, perche' la
 sostanza dell'art. 34 del codice di procedura penale vigente invocato
 dall'imputato  e dall'ordinanza, e' tuttora presente nell'ordinamento
 applicabile alla fattispecie, ma bensi' in quanto l'art. 389,  ultimo
 comma,  del  codice  di  procedura  penale  del  1930 prevede che "il
 Pretore, per i  reati  di  sua  competenza,  procede  con  istruzione
 sommaria, quando non procede a giudizio direttissimo o con decreto";
      che,  peraltro,  quest'ultima  disposizione e' fatta salva, e il
 procedimento in corso alla data  di  entrata  in  vigore  del  codice
 prosegue  con  l'applicazione  delle  norme  anteriormente vigenti, e
 quindi con la competenza dibattimentale dello stesso Pretore  che  ha
 condotto   l'istruzione   sommaria,   in  virtu'  della  disposizione
 transitoria di cui all'art. 241, di guisa che la situazione lamentata
 dall'imputato e dall'ordinanza di rimessione si verifica in forza del
 combinato disposto degli artt.389, ultimo comma, codice di  procedura
 penale  del  1930, e 241 delle Disposizioni transitorie approvate con
 decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271;
      che,  pero',  cosi'  precisati sul piano formale i termini delle
 censure  presentate  dal  Tribunale,  la  sostanza  della   questione
 sollevata  risulta,  tuttavia, sempre la stessa, giacche' cio' che si
 denunzia,  in  definitiva,  e'  che  -a  causa   delle   disposizioni
 transitorie-  si  perpetui  per  i  vecchi  processi  la presenza nel
 giudizio dibattimentale di quello stesso Pretore che ha compiuto atti
 d'istruttoria,  e  che si ritiene non possa essere imparziale, specie
 quando ha gia' compiuto atti significativi, mentre il nuovo codice di
 procedura  penale  ha  eliminato  per  il  regime  ordinario siffatta
 anomalia istituendo presso le Preture l'ufficio della  Procura  della
 Repubblica;
      che, pertanto, la questione puo' essere decisa nel merito;
      che  la  doglianza,  pero',  non  puo'  essere accolta in quanto
 rientra nella discrezionalita' del legislatore valutare la sorte  dei
 processi  in  corso  al momento dell'entrata in vigore di nuove norme
 processuali  e  i  limiti  della   loro   applicabilita'   attraverso
 l'emanazione  di  disposizioni  che si chiamano "transitorie" appunto
 per la loro temporanea applicazione (vedi, per tutte, sentenze n. 322
 del 1985; n. 301 del 1986);
      che,  proprio  nei processi in corso viene a riscontrarsi quella
 situazione di provvisorieta' che aveva giustificato, nelle  ricordate
 sentenze  di questa Corte, la temporanea sopravvivenza di un sistema,
 peraltro destinato a cessare per tutti i nuovi processi,  sicche'  la
 questione dev'essere dichiarata manifestamente infondata.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Visti ed applicati gli artt.26, secondo comma, della legge 11 marzo
 1953, n. 87, e 9,  secondo  comma,  delle  norme  integrative  per  i
 giudizi davanti alla Corte costituzionale;
    Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale  dell'art.  245  delle   norme   di   attuazione,   di
 coordinamento  e  transitorie  del  codice di procedura penale (testo
 approvato con il decreto legislativo  28  luglio  1989  n.  271),  in
 riferimento agli artt. 3 della Costituzione e 6 della Convenzione per
 la salvaguardia dei diritti dell'uomo, firmata a Roma il  4  novembre
 1950,  e  ratificata  dal  Presidente  della Repubblica in seguito ad
 autorizzazione  conferitagli  dalla  legge  4  agosto  1955  n.  848;
 questione sollevata dal Tribunale di Biella con ordinanza 16 novembre
 1989.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 4 aprile 1990.
                          Il Presidente: CONSO
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 6 aprile 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
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