N. 25 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 aprile 1990

                                 N. 25
   Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
         cancelleria il 4 aprile 1990 (della regione Siciliana)
 Finanza  regionale  - Norme urgenti in materia di finanza locale e di
 rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni -  Riduzione  di  fondi
 per  le  regioni a statuto speciale e per le province autonome (fondo
 comune per i servizi dei consultori familiari,  ivi  compresi  quelli
 relativi all'interruzione volontaria della gravidanza, fondo speciale
 per l'esercizio delle funzioni gia' ex O.N.M.I., fondo per gli  asili
 nido)  ed  esclusione  dal riparto del fondo nazionale per il ripiano
 dei disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto di cui all'art.
 9  della legge 10 aprile 1981, n. 151 - Riduzione del Fondo sanitario
 nazionale per le regioni a statuto speciale e le province autonome  -
 Esclusione dai seguenti fondi:  per i programmi regionali di sviluppo
 a  destinazione  indistinta,  per   l'attuazione   degli   interventi
 programmati  in  agricoltura,  per  l'attuazione  del piano forestale
 nazionale, per gli investimenti nel settore  dei  trasporti  pubblici
 locali   e   sanitario   di  conto  capitale  -  Asserita  violazione
 dell'autonomia finanziaria delle regioni a statuto speciale  e  delle
 province  autonome e del principio della copertura finanziaria per le
 minori entrate conseguenti  alle  norme  impugnate  -  Ingiustificata
 discriminazione  delle  regioni  a  statuto  speciale  rispetto  alle
 regioni ordinarie Violazione dei principi  di  imparzialita'  e  buon
 andamento della p.a. e di tutela della salute dei cittadini.
 (Legge 28 febbraio 1990, n. 38, artt. 18, 19 e 20).
 (Cost., artt. 3, 32, 53, 81, 97 e 119; statuto regione Sicilia, artt.
 17, 36 e 38).
(GU n.16 del 18-4-1990 )
   Ricorso   della   regione  siciliana,  in  persona  del  presidente
 pro-tempore giusta delibera della giunta regionale 6 marzo  1990,  n.
 84,  elettivamente  domiciliato  presso l'avv. Salvatore Sciacchitano
 nell'ufficio della regione siciliana in Roma, via delle  Coppelle  n.
 35,  rappresentato  e  difeso,  per procura a margine, dal prof. avv.
 Silvio De Fina, contro la Presidenza del Consiglio dei  Ministri,  in
 persona   del   Presidente   del   Consiglio   pro-tempore,   per  la
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 18,  19  e
 20 della legge 28 febbraio 1990, 38.
    Con  legge 28 febbraio 1990, 38 (conversione del d.-l. 28 dicembre
 1989, n. 415) e' stata disposta la cessazione o riduzione di cospicui
 finanziamenti  statali,  concessi  sino  die  alle  regioni a statuto
 speciale ed alle province autonome.
    In particolare:
       A)  nel  settore del trasporto, l'art. 18, n. 1, le esclude dal
 riparto del fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio
 degli  enti  ed aziende di cui all'art. 9 della legge 10 aprile 1981,
 n. 151; e, in aggiunta, trasferisce  al  bilancio  regionale  l'onere
 della concessione dei contributi.
    L'art.  20, n. 1, lett. d), le esclude dal riparto del fondo degli
 investimenti;
       B)  nel  settore  della  sanita', l'art. 19, n. 1, riduce (alle
 predette regioni e province) le assegnazioni di  parte  corrente  del
 Fondo sanitario nazionale (per la Sicilia la riduzione e' del 10%).
    L'art.  20,  n.  1,  lett.  e),  le  esclude dal riparto del fondo
 sanitario di conto capitale; e l'art. 18, n. 1, le esclude dal  fondo
 comune  per  i  servizi  dei  consultori familiari, inclusi i servizi
 relativi alla interruzzione volontaria della gravidanza (art. 5 della
 legge  29 luglio 1975, n. 405 e art. 3 della legge 22 maggio 1978, n.
 194), nonche' dal fondo speciale per l'esercizio delle funzioni della
 soppressa  O.N.M.I.  (art. 10 della legge 23 dicembre 1975, n. 698) e
 dal fondo integrativo per gli asili  nido  (art.  1  della  legge  29
 novembre 1977, n. 891);
       C)  nel  settore dell'agricoltura e foreste, infine, l'art. 20,
 n. 1, lettere a), b) e c), le esclude dal fondo per  i  programmi  di
 sviluppo,  dal  fondo per gli interventi programmati in agricoltura e
 dal fondo per l'attuazione dal piano forestale nazionale.
    Tra  esclusioni  e  riduzioni  la  regione  siciliana  subisce una
 ingente menomazione delle proprie entrate.
    Tali  norme sono costituzionalmente illegittime per le ragioni che
 qui di seguito si espongono.
    1.  - Violazione del principio di logicita' e coerenza dell'azione
 legislativa. Violazione degli artt. 119 e  97  della  Costituzione  e
 dell'art. 36 dello statuto siciliano.
    I  finanziamenti  concessi  dallo  Stato  sine  die, a sostegno di
 servizi pubblici essenziali  quali  trasporto  e  sanita',  orientano
 necessariamente   la   politica  economica  e  le  finanze  regionali
 innestano  un  rapporto  di  collaborazione/dipendenza   tra   l'ente
 centrale   e   quelli   locali,  che  evolve  sul  presupposto  della
 continuita'.
    Col proprio apporto, lo Stato si inserisce nel sistema finanziario
 delle regioni condizionandone programmi e scelte operative proiettati
 nel futuro.
    Lo  Stato,  quindi,  non  puo'  non  assumersi  la responsabilita'
 dell'ordinato afflusso-deflusso delle entrate nel  e  dal  patrimonio
 regionale quando, come nel caso in esame, si tratta di somme ingenti.
    Non  si  vuol  dire,  ovviamente, che lo Stato non puo' revocare i
 finanziamenti a tempo indeterminato; si vuol dire soltanto  che  deve
 farlo  considerando che la propria iniziativa influisce concretamente
 (e pesantemente) sul sistema finanziario regionale; cui,  quindi,  va
 garantito  un  minimo  di  "rodaggio"  per  riassorbire  le perdite e
 riconvertire senza danni ulteriori i programmi  e  le  iniziative  in
 corso.
    Pertanto  e'  nella  logica,  funzionale  ed  amministrativa delle
 relative leggi che la cessazione o riduzione dei finanziamenti  venga
 modulata    da   disposizioni   "transitorie"   intese   ad   evitare
 ripercussioni dirompenti nel sistema che  le  subisce;  al  che  puo'
 agevolmente pervenirsi graduandone la decorrenza nel tempo.
    Orbene,  e'  un  fatto  innegabile che, con le norme impugnate, lo
 Stato  e'  intervenuto  sulla  finanza  regionale  con  "effetti   di
 ghigliottina"...  Basti  pensare  che  le cessazioni-riduzioni furono
 disposte col d.-l. del 28 dicembre 1989 e che, con la conversione del
 medesimo,  la  legge impugnata ne ribadi' la decorrenza al 1› gennaio
 1990: a distanza di soli tre giorni|
    Tutto  cio' significa che, se la regione siciliana sara' costretta
 a fronteggiare l'improvvisa ed immediata restrizione finanziaria  che
 la  colpisce - in un momento in cui ne' puo' disfare le operazioni in
 corso ne' stornarvi fondi gia'  diversamente  impegnati  dal  proprio
 bilancio  -  non  potra'  provvedervi  altrimenti che ricorrendo allo
 strumento fiscale, ai "tributi  propri"  di  cui  all'art.  36  dello
 statuto siciliano.
    E'  appena  il caso di segnalare che questa non sarebbe una scelta
 della  regione,  bensi'  il  risultato  necessitante  dell'intervento
 statale  sulla  finanza regionale. Il che evidenzia sia la violazione
 del  principio  di  logicita'  sia   la   violazione   dell'autonomia
 finanziaria della regione.
    2.  -  Violazione  degli  artt.  53,  119  e 3 della Costituzione.
 Violazione degli artt. 38 e 36 dello statuto  siciliano.  Illogicita'
 manifesta.
    Anche  se  convergono  sul  definanziamento  di  speciali  servizi
 pubblici, le norme impugnate  trovano  causa  nel  ben  noto  intento
 (peraltro  pienamente  giustificato)  di ridurre l'inquetante deficit
 del bilancio statale.
    Nonostante   provengono   da   fondi   statali,   i  finanziamenti
 trasferiscono ricchezza alle regioni confluendo nel patrimonio  delle
 medesime.  Sicche'  non  si  va lontano dalla realta' considerando la
 loro  interruzione  come  un  prelievo  (in  omittedo)  di  ricchezza
 regionale a scopo di risanamento della finanza centrale.
    In  sostanza,  col  taglio  dei  finanziamenti  alle regioni viene
 imposto un sacrificio economico per  contribuire  al  buon  esito  di
 un'operazione di interesse nazionale.
    Non  e', dunque, azzardato inferirne che un'operazione siffatta va
 informata al principio dell'art. 53 della Costituzione,  secondo  cui
 "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della
 loro capacita' contributiva": un principio di portata generale,  come
 dimostra  lo  stesso  art.  53  estendendone  la  valenza  al sistema
 tributario,   la   cui   "progressivita'"   non   e'   che   coerente
 applicazione/esplicazione  della  regola  incentrata sulla "capacita'
 contributiva".
    Ne'  si  obietti  che  il  taglio dei finanziamenti non ha imposto
 "spese" alle regioni; perche', nella realta' finanziaria, "spesa"  e'
 qualsiasi  impegno  del patrimonio di un ente e perche', quindi, tale
 va considerata anche la sottrazione di una entrata al medesimo.
    In  quest'ordine  di  idee,  le  decurtazioni inferte alla regione
 siciliana confliggono doppiamente col  principio  invocato;  perche',
 praticando  il  risparmio  sul  costo di servizi (trasporto, sanita',
 agricoltura e foreste) di cui  godono  tutte  le  regioni,  le  norme
 impugnate   chiamano   a  "contribuire"  soltanto  quelle  a  statuto
 speciale; e perche', quanto alla Sicilia, non tengono in alcun  conto
 l'eseguita' della propria "capacita' contributiva".
    Una  delle  piu'  significative  e  pregnanti  norme dello statuto
 siciliano (legge costituzionale della Repubblica) e' quella con cui -
 "a  titolo di solidarieta' nazionale" - viene attribuita alla regione
 una "somma" (revisionabile per quinquenni) tendente a "bilanciare  il
 minore ammontare dei redditi di lavoro rispetto alla media nazionale"
 (art. 38). Ne risulta una specie di attestato  storico-costituzionale
 del divario economico (in reddito ed occupazione) tra la Sicilia e le
 ricche regioni del Nord e  del  Centro.  E,  tuttavia,  in  clamorosa
 violazione del principio di uguaglianza e del principio contributivo,
 l'una viene impegnata e  le  altre  vengono  esluse  dal  taglio  dei
 finanziamenti|...
    Si  e'  gia' accennato che, se la regione siciliana - nell'intento
 di non menomare servizi essenziali, con conseguente menomazione della
 occupazione  e  dei redditi di lavoro - volesse compensare il "vuoto"
 dei tagli inferti alle proprie entrate, non potrebbe che far  ricorso
 alla  imposizione  fiscale,  cioe' "mordersi la coda" (ci si consenta
 l'espressione) riversando su cittadini, gia' al di sotto della  media
 nazionale  quanto  a  redditi  di  lavoro  e  gia'  afflitti  da  una
 disoccupazione   endemica,   nuovi   fattori   di    aumento    della
 disoccupazione e decurtazione dei redditi.
    3.  - Violazione degli artt. 3, 32 81, 97 e 119 della Costituzione
 nonche' degli artt. 17, 36 e 38 dello statuto siciliano.
    Non  mancano  vizi  ulteriori nelle norme impugantate; soprattutto
 per quanto attiene al definanziamento del  trasporto  pubblico  (art.
 18,  n.  1  e art. 20, n. 1, lett. d), e del servizio sanitario (art.
 18, n. 1,' pp.; art. 19 e art. 20, n. 1, lett. e).
    Per  cogliere  il  senso  e  le implicazioni costituzionali di una
 manovra che (dalla sera alla mattina, si puo' ribadire)  incidenta  e
 decurta  pesantemente  la  finanza regionale, bisogna considerare due
 circostanze importanti: la prima e' che i finanziamenti statali sono,
 per   loro   stessa   natura  e  funzione,  destinati  al  fabbisogno
 finanziario  della  regione,  integrando  il  gettito  dei   "redditi
 patrimoniali"  e  dei  "tributi propri" della medesima (art. 36 dello
 statuto siciliano); la seconda e' che la spesa cui  sopperiscono  non
 proviene  dalla  politica finanziaria della regione, bensi' da quella
 dello Stato. In altri termini, le elargizioni statali non sono frutto
 di  liberalita',  bensi'  il  corrispettivo  di  oneri che la regione
 "deriva"  dallo  Stato  al  di  fuori  dell'esercizio  della  propria
 autonomia finanziaria; limitata, sul piano legislativo, ai "ritocchi"
 consentiti dalla potesta' "concorrente" e, sul piano  amministrativo,
 condizionata  dal  prevalente ordinamento statale (cfr. art. 17 dello
 statuto siciliano).
    Cio'  risulta  con evidenza sia per i contributi al trasporto, sia
 per quelli alla sanita'.
    Quanto  al  primo, l'esigenza del sostegno agli enti ed aziende di
 cui all'art. 9 della legge 10 aprile 1981, n. 151,  scaturisce  dalla
 scelta  statale della calmierazione delle tariffe: che, impedendo una
 gestione economica delle aziende  ed  enti  implicati  nel  trasporto
 pubblico,  ha  istituzionalizzato  e  reso  endemico  il  deficit dei
 medesimi, imponendo il sostegno esterno; una "politica"  dimostratasi
 disastrosa,  come  ogni  altra  intesa a manovrare artificialmente il
 mercato, e tuttavia ne'  assumibile  ne'  alternabile  dalla  regione
 siciliana  nell'esercizio  di  quel  tanto  di  autonomia  politica e
 finanziaria di cui dispone.
    Lo  stesso  puo'  ripetersi  per la spesa sanitaria (in personale,
 locali, medicinali); della quale lo Stato definisce discrezionalmente
 la  struttura sia per quanto concerne compiti sia per quanto concerne
 acquisti e remunerazioni (dai programmi  ospedalieri  al  regime  dei
 tickets).
    Si  vuol  dire che, al di la' delle verbalizzazioni normative, per
 il trasporto come per la sanita', i fondi e  contributi  statali  non
 sono  altro che la copertura finanziaria (art. 81 della Costituzione)
 di spese indotte dallo Stato nel sistema  finanziario  della  regione
 siciliana.
    Ne  discende  che,  quando  la  legge  impugnata nega i fondi (o i
 contributi) necessari a sostenere  quelle  spese,  viola  l'autonomia
 finanziaria  regionale  e  lo  stesso  art.  81  della  Costituzione:
 eludendo arbitrariamente la propria responsabilita' per il ristoro di
 oneri  che, anche volendo, mai la regione siciliana potrebbe assumere
 in proprio, impeditane dai rigorosi limiti della  sua  autonomia;  ed
 imponendo  alla  medesima  oneri provenienti dall'ordinamemto statale
 senza fornirle i mezzi di copertura.
    Non  e'  la  difesa  della regione a suggerire queste conclusioni;
 perche' l'ha gia' fatto  la  Corte  cui  la  regione  ha  l'onere  di
 rivolgersi.
    Quanto  al  finanziamento  del trasporto pubblico (che, non per la
 prima volta, lo Stato tenta di  scaricare  sulle  regioni  a  statuto
 speciale),  la  legge  impugnata  non  solo esclude queste ultime dal
 relativo fondo, ma dispone anche che spetta alle medesime  provvedere
 in  proprio  al  "ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di
 trasporto".
    A  riguardo  non  potrebbe  essere  piu'  chiara  la  sentenza  n.
 307/1983: "l'imporre  alle  regioni  obblighi  del  genere  contrasta
 anzitutto  con  cio'  che la Costituzione prescrive nel secondo comma
 dell'art. 119, ossia che le  regioni  dispongono  di  tributi  propri
 (oltre   che   di   quote   di  tributi  erariali)  per  fronteggiare
 autonomamente le spese  necessarie  ad  adempiere  le  loro  funzioni
 normali...  sicche' non puo' ammettersi che... lo Stato faccia fronte
 ad una spesa di interesse nazionale ricorrendo ai tributi  regionali,
 senza  con  cio'  vulnerare  l'autonomia  legislativa  locale assieme
 all'autonomia finanziaria  considerata  sul  versante  delle  uscite"
 (conf. la sentenza n. 245/1984).
    Non  meno  chiaro  e pregnante l'indirizzo della Corte sulla spesa
 sanitaria; sia per quanto attiene  alla  connotazione  essenzialmente
 statale  della  medesima,  sia  per  quanto  attiene  alla violazione
 dell'autonomia finanziaria connessa con la pretesa di  riversare  sul
 bilancio  regionale oneri estranei a determinazioni finanziarie delle
 regioni.
    Sul  primo  punto, richiamando la sentenza n. 245/1984, la Corte -
 dopo aver ribadito che "la sanita' non  si  risolve  in  una  materia
 pienamente  assimilabile  agli altri settori di competenza regionale"
 anche "per la particolare intensita' dei limiti cui sono in tal campo
 sottoposte  la  legislazione  e l'amministrazione delle regioni" - ha
 escluso  la  possibilita'  di  scaricare  sulle  medesime   eventuali
 disavanzi   di   gestione,   considerando   che   essi   "si  formano
 indipendentemente dalle scelte regionali...  essendo  prevalentemente
 legati  al soddisfacimento di diritti costituzionalmente garantiti e,
 quindi, essenzialmente a scelte di ordine generale  degli  organi  di
 governo  dettate  dall'esigenza  di assicurare parita' di trattamento
 fra i cittadini" (sentenza 19-27 luglio 1989, n. 452).
    Non pare il caso di apporre chiose a si' limpidi esposti.
    Anche  se per settori diversi di servizi e di spesa, quali sono il
 trasporto  e  la  sanita',  l'insegnamento  della  Corte  fluisce  da
 considerazioni  logico-sistematiche  che vanno oltre il contigente di
 normative  parcellari.  Alla  loro  base  c'e'  un  orientamento   di
 principio  che  aggancia  l'ordinamento  dei  rapporti finanziari tra
 Stato  e   regioni   a   tematiche   fondamentali   del   contenzioso
 costituzionale:  l'autonomia  finanziaria  (sia  attiva  sia passiva)
 delle regioni;  l'esigenza  di  collegare  gli  oneri  della  finanza
 regionale   con   le   sole  determinazioni  indotte  dalla  politica
 regionale;  l'obbligo  dello  Stato  di  assicurare  in  proprio   la
 copertura  finanziaria  di  spese  defluite  nel  sistema finanziario
 regionale in conseguenza di impegni statali; ed, infine,  la  parita'
 di  trattamento  sia  nella distribuzione tra gli enti degli oneri di
 interesse nazionale, sia nel godimento tra i cittadini dei servizi di
 interesse nazionale.
    Che  sono,  poi,  i  temi sui quali il ricorso incentra le proprie
 censure.
    Si confida, che l'ecc.ma Corte vorra' dichiarare la illegittimita'
 costituzionale degli artt. 18, 19 e 20 della legge 28 febbraio  1990,
 n. 38.
      Roma, addi' 29 marzo 1990
                       Prof. avv. Silvio DE FINA

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