N. 215 SENTENZA 4 - 13 aprile 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Ordinamento penitenziario- Detenzione domiciliare- Assistenza alla
 prole di eta' inferiore ai tre anni- Estensione al padre in
 alternativa alla madre impedita- Mancata previsione- Irrazionalita'
 della norma impugnata- Negazione di un diritto-dovere garantito dalla
 Costituzione e del principio della protezione dell'infanzia -
 Richiamo alla sentenza n. 1/1987 Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47- ter, primo comma, n. 1,
 come aggiunto dall'art. 13 della legge 10 ottobre 1986, n.  663).
 
 (Cost., artt. 3, 29, 30 e 31).
(GU n.16 del 18-4-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof.  Ettore  GALLO,  dott.  Aldo
 CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco  GRECO,  prof.
 Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
 Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo
 CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 47- ter, primo
 comma,  n.  1,  della  legge  26   luglio   1975,   n.   354   (Norme
 sull'ordinamento   penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure
 privative  e  limitative  della  liberta'),  e  successive  modifiche
 apportate,  in ultimo, dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663 (Modifiche
 alla legge sull'ordinamento penitenziario e  sulla  esecuzione  delle
 misure privative e limitative della liberta'), promosso con ordinanza
 emessa il 22 novembre 1989 dal Tribunale di sorveglianza  di  Trieste
 nel  procedimento  di  sorveglianza  relativo  a  Bellavia  Calogero,
 iscritta al n. 41 del registro  ordinanze  1990  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  6,  prima serie speciale,
 dell'anno 1990;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  4 aprile 1990 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
                           Ritenuto in fatto
    Con  ordinanza  22  novembre  1989 il Tribunale di sorveglianza di
 Trieste sollevava questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
 47-  ter, primo comma, n. 1, della legge 26 luglio 1975 n. 354 (Norme
 sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
 privative e limitative della liberta'), cosi' come aggiunto dall'art.
 13  della  legge  10  ottobre  1986  n.  663  (Modifiche  alla  legge
 sull'ordinamento   penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure
 privative e limitative della liberta'), in riferimento agli artt.  3,
 29, 30 e 31 della Costituzione.
    Riferiva  il  Tribunale  nell'ordinanza che tale Calogero Bellavia
 era stato arrestato il 28 settembre 1989 in esecuzione della sentenza
 17  maggio  1989 che lo aveva condannato alla pena di anni 3 e mesi 8
 di reclusione per il delitto di bancarotta fraudolenta, di cui anni 3
 condonati.  Il  Bellavia  e'  padre di una bambina nata prematura l'8
 luglio 1989 con un peso di 650  grammi,  e  ricoverata  nell'ospedale
 civile   di   Udine  -neonatologia-  perche'  in  situazione  clinica
 particolarmente  critica,  la  quale  necessita  della  presenza  dei
 genitori  "per  realizzare  una stimolazione psicomotoria idonea allo
 sviluppo della sfera affettiva".
    Ma la madre, moglie del Bellavia, non e' assolutamente in grado di
 prestare alcuna assistenza alla figlia perche' invalida, nella misura
 del  70% irriducibile, essendo affetta da psicosi d'arresto in debole
 di mente.
    Il   Bellavia  chiedeva,  percio',  al  Tribunale  di  ottenere  o
 l'affidamento in prova al servizio sociale,  o  la  semiliberta',  o,
 infine,   la   detenzione  domiciliare,  allo  scopo  di  poter  dare
 assistenza alla figlia neonata, in luogo della madre  della  piccola,
 assolutamente impossibilitata a farlo.
    Il  Tribunale, escluso con ampia motivazione che al Bellavia possa
 essere concesso l'affidamento in  prova  al  servizio  sociale  o  la
 semiliberta',  a causa della insussistenza delle condizioni di legge,
 ha riconosciuto  effettivamente  la  ricorrenza  nella  specie  della
 situazione  prevista nel n. 1 del primo comma dell'art. 47- ter della
 legge impugnata perche' la pena da espiare nella  parte  residua  non
 supera  i  due  anni di reclusione (mesi otto) e perche' si tratta di
 prole convivente di eta' inferiore a tre anni; ha ritenuto, pero', di
 non  poter  superare  in  via interpetrativa l'ostacolo rappresentato
 dalla circostanza che la legge prevede come soggetto,  a  cui  favore
 puo'  essere  concessa  la detenzione domiciliare (nel concorso delle
 altre condizioni), esclusivamente "la madre".  Di  qui  la  sollevata
 questione di legittimita' costituzionale.
    Nessuno  e'  intervenuto  o  si e' costituito nel giudizio innanzi
 alla Corte.
                         Considerato in diritto
    1. - Lamenta il Tribunale di sorveglianza che, verificandosi tutte
 le  altre  condizioni  che  avrebbero  consentito  di  concedere   la
 detenzione  domiciliare  alla  madre di prole di eta' inferiore a tre
 anni  se  con  lei  convivente,  la  norma  impugnata   non   preveda
 altrettanto  per  il  padre,  allorquando  la  madre  sia  deceduta o
 altrimenti  assolutamente  impossibilita'  a  provvedere  alla  detta
 prole.
    Esclusa   la  possibilita'  d'intervento  del  giudice  sul  piano
 interpetrativo, attesa l'alternativita' della disposizione alle altre
 due  ipotesi,  di carattere esclusivamente femminile (donna incinta o
 allattante la propria prole), che limitano necessariamente alla madre
 l'interpetrazione  sia letterale che logica, il Tribunale ritiene che
 la disposizione si ponga in contrasto con i  parametri  di  cui  agli
 artt. 3, 29, 30 e 31 della Costituzione.
    Nella  specie,  un condannato per bancarotta fraudolenta alla pena
 di anni 3 e mesi 8 di reclusione, di cui tre condonati, aveva chiesto
 di  essere  ammesso  almeno  alla  detenzione  domiciliare,  per dare
 assistenza ad una neonata, venutagli alla luce, poco prima della  sua
 carcerazione,  prematura  e  con  il preoccupante peso di grammi 650,
 dalla moglie affetta da psicosi d'arresto in  debole  di  mente,  con
 irriducibile    inabilita'    al    70%   e   percio'   assolutamente
 impossibilitata a prestarle assistenza.
    La questione e' fondata.
    2.   -   Il   trattamento  differenziato  previsto  per  la  prole
 infratreenne che, pur avendo la  madre  detenuta,  e'  ammessa  dalla
 legge  impugnata  a  godere  dell'assistenza della genitrice mediante
 l'istituto della  detenzione  domiciliare,  rispetto  alla  sorte  di
 coloro  che, essendo la madre deceduta o impossibilitata, non possono
 ricevere pari  beneficio  riguardo  al  padre  detenuto,  non  sembra
 ispirato a razionalita' alcuna.
    In  effetti,  la manifesta incompatibilita' di tale situazione nei
 confronti dell'art. 3 della Costituzione emerge  particolarmente  del
 collegamento  con i principi consacrati negli artt. 29, 30 e 31 della
 Costituzione stessa.
    Il   riconoscimento  della  eguaglianza  morale  e  giuridica  dei
 coniugi, su cui e' ordinato il matrimonio, e il riconoscimento stesso
 dei  diritti  della  famiglia  (art.  29), il dovere e il diritto dei
 genitori  di  mantenere  ed  educare  i  figli,  e  soprattutto,   le
 provvidenze  che  la  legge  deve  disporre affinche' sieno assolti i
 compiti dei genitori nei casi  di  loro  incapacita'  (art.  30),  la
 protezione   che   la   Carta   fondamentale   accorda  all'infanzia,
 sollecitando la Repubblica a favorire gli istituti necessari  a  tale
 scopo  (art.  32), rappresentano un complesso di eminenti valori che,
 mentre rendono intollerabile la denunciata discriminazione, fondano a
 loro volta specifiche incompatibilita'.
   La previsione, infatti, dell'art. 47- ter secondo cui soltanto alla
 madre viene riconosciuto, mediante la  concessione  della  detenzione
 domiciliare,  il  diritto-dovere  di assistere la prole infratreenne,
 nega implicitamente al genitore l'esercizio dello  stesso  diritto  e
 l'adempimento dell'identico dovere per il caso in cui la madre manchi
 o sia assolutamente impossibilitata ad espletare quel compito: eppure
 si  tratta  di  compiti  doverosi che la Costituzione affida, invece,
 alla pari responsabilita' dei genitori.
    Altrettanto  dicasi  per le provvidenze che la Costituzione impone
 alla legge quando i genitori non siano in  grado  di  espletare  quei
 compiti.  La  legge  impugnata  prevede  bensi'  la provvidenza della
 detenzione  domiciliare  per  la  madre  detenuta,  ma  non   analoga
 provvidenza  per  il padre, quando questi versi nello stesso stato di
 detenzione e la madre non vi  sia,  o  sia  comunque  impossibilitata
 all'osservanza di quei doveri.
    Senonche', poi, se fino a questo punto la tutela dei diritti e dei
 doveri dei genitori in condizioni di parita', nel  generale  contesto
 dei  diritti  della  famiglia,  lascia intravvedere anche l'interesse
 tuttaltro che secondario dei  figli  minori,  con  il  secondo  comma
 dell'art.  31  la protezione dell'infanzia emerge in primo piano come
 valore  centrale,  e  con  essa  gli  istituti  necessari  a   quella
 protezione.
    L'articolo  impugnato  e', invece, particolarmente carente proprio
 sotto tale profilo, perche', precludendo all'infante la  possibilita'
 di ricevere l'assistenza del padre detenuto, quando la madre si trovi
 nell'assoluta impossibilita' di provvedere, viola direttamente  anche
 la  protezione  costituzionale  che  l'art.  31 accorda all'infanzia,
 particolarmente in quanto non prevede, in tale caso e a  tale  scopo,
 la detenzione domiciliare anche per il padre.
    Principi  tutti che, vuoi di per se stessi, vuoi in correlazione a
 quello di eguaglianza, la Corte,  del  resto,  ha  gia'  solennemente
 riaffermato  in  analoghe situazioni, anche considerando la rilevante
 influenza che essi hanno esercitato sui nuovi profili del diritto  di
 famiglia;  con  essi sono stati conferiti ad entrambi i genitori quei
 compiti di mantenimento, educazione ed istruzione di cui parla l'art.
 143  del  codice  civile,  o  e'  stata  stabilita  per  entrambi, in
 condizioni di parita', la potesta' sui figli  (art.  316  del  codice
 civile),  o  infine affidata a ciascuno di loro, in caso di assenza o
 assoluto impedimento dell'altro, la titolarita' esclusiva della detta
 potesta' (art. 317 del codice civile).
    Si  tratta  di valori costituzionali gia' trasfusi nella legge del
 lavoro (confronta art. 7 della legge 31 dicembre 1977 n. 903  che  ha
 concesso  anche  al padre l'astensione facoltativa dal lavoro, che la
 legge n. 1204 del 1971 prevedeva soltanto per  la  madre  durante  il
 primo  anno  di  vita  del  bambino), che la Corte ha esteso ad altri
 diritti (astensione  obbligatoria  dal  lavoro  e  "riposi"),  sempre
 nell'ipotesi  in  cui  la  madre  o  non  ci  fosse  o fosse comunque
 impossibilitata a prestare assistenza al neonato (sentenza 19 gennaio
 1987 n. 1).
    La stessa ratio costituzionale che ha ispirato alla Corte le dette
 estensioni deve ora giustificare, in analoga situazione, l'estensione
 al  padre  della  provvidenza della detenzione domiciliare, quando la
 madre sia assolutamente impossibilitata a dare assistenza al  neonato
 nei primi mesi di vita.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 47- ter, primo
 comma,  n.  1,  della  legge   26   luglio   1975   n.   354   (Norme
 sull'ordinamento   penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure
 privative e limitative della liberta'), cosi' come aggiunto dall'art.
 13  della  legge  10  ottobre  1986  n.  663  (Modifiche  alla  legge
 sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
 privative  e  limitative  della  liberta'),  nella  parte  in cui non
 prevede che la detenzione  domiciliare,  concedibile  alla  madre  di
 prole  di  eta' inferiore a tre anni con lei convivente, possa essere
 concessa, nelle stesse condizioni, anche al padre  detenuto,  qualora
 la  madre  sia  deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a
 dare assistenza alla prole.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 4 aprile 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                          Il redattore: GALLO
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 13 aprile 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C0479