N. 220 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 febbraio 1990

                                 N. 220
 Ordinanza  emessa  il  9  febbraio  1990  dal tribunale di Torino nel
 procedimento penale a carico di Lopatriello Francesco
 Imposte  -  Infedele  dichiarazione  dei  redditi  - Estensione della
 punibilita',   secondo   il   "diritto   vivente"   (conforme    alla
 giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione), alla mera omissione di
 componenti positivi del reddito  e  alla  simulazione  di  componenti
 negativi  dello  stesso  -  Difformita'  dall'interpretazione accolta
 dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247/1989 (necessita'  di
 un'attivita'   preparatoria   fraudolenta)   -  Lamentata  incertezza
 sull'individuazione della fattispecie penale con particolare riguardo
 ai concetti di "simulazione e dissimulazione".
 (Legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, n. 7).
 (Cost., art. 25).
(GU n.20 del 16-5-1990 )
                              IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
    Con  riferimento  alla  questione  di  legittimita' costituzionale
 sollevata dalla difesa relativamente all'art. 4, n. 7, della legge n.
 516/1982 per asserito contrasto con i princip'i di cui agli artt. 25,
 secondo comma, e 3 della Costituzione;
    Sentito  il p.m. che ha espresso parere favorevole in relazione al
 solo art. 25, secondo comma, della Costituzione;
                             O S S E R V A
    La  questione  prespettata  e' rilevante rispetto alla fattispecie
 concreta sottoposta all'esame di questo giudice.
    L'imputato,  infatti,  e' stato tratto a giudizio per avere omesso
 di  indicare  nella  propria  dichiarazione  dei  redditi  componenti
 positivi di reddito, senza peraltro avvalersi di particolari tecniche
 fraudolente; sul punto si registra gia' una sua parziale  ammissione,
 sicche'  la  questione  della  necessita'  o  meno  di un quid pluris
 rispetto al semplice mandacio si pone come indubbiamente rilevante ai
 fini del decidere.
    La  questione  non  e'  manifestamente  infondata  per  i seguenti
 motivi.
    Va  premesso  che  la  Corte  costituzionale - chiamata a decidere
 sulla questione di legittimita' costituzionale del disposto dell'art.
 4,  n.  7,  della  legge  n. 516/1982, in relazione agli artt. 3 e 25
 secondo  comma,  della  Costituzione,   sollevata   con   riferimento
 all'indeterminatezza  della  fattispecie  delittuosa  prevista  dalla
 norma  fiscale  relativamente  al  concetto  di  "misura   rilevante"
 dell'alterazione  -  con  sentenza  n.  247/1989 ha ritenuto che tale
 requisito non rappresenta elemento costitutivo dell'ipotesi criminosa
 in  esame,  ma  soltanto  condizione di punibilita', superando in tal
 modo l'eccepito contrasto costituzionale.
    A tali conclusioni la Corte costituzionale e' pervenuta attraverso
 l'identificazione della  condotta  punibile  e  dei  connotati  della
 stessa  affermando  che,  sia  per  la collocazione sistematica della
 norma sia per il raffronto con le ipotesi  contravvenzionali  di  cui
 all'art.  1,  secondo  comma,  della  stessa  legge,  ai  fini  della
 realizzazione del delitto di cui al citato  art.  4,  n.  7  "non  e'
 sufficiente   una   condotta   consistente   nel   solo  omettere  la
 dichiarazione di componenti  positivi  del  reddito  e  (o)  la  sola
 dichiarazione  della  sussistenza di componenti negativi dello stesso
 reddito bensi' e' indispensabile che la condotta in esame si  esprima
 in forme 'corrispondenti' a quelle necesarie per integrare le diverse
 ipotesi di frode fiscale". Salvo  tale  interpretazione,  secondo  la
 quale  la  condotta  di cui all'art. 4, n. 7, della legge n. 516/1982
 deve esprimersi in "forme oggettivamente  artificiose,  fraudolente",
 permette,   secondo  la  Corte  costituzionale,  di  dare  all'intera
 fattispecie  una  chiara  significazione  che  caratterizza  l'intero
 disvalore offensivo tipico, a prescindere dalla "misura rilevante".
    La   ritenuta   infondatezza   della   questione  di  legittimita'
 costituzionale della norma in punto "misura  rilevante"  consegue  ad
 una  ricostruzione  del  contenuto  della  norma stessa operata dalla
 Corte  costituzionale  su  un  piano  interpretativo  e  quindi   non
 vincolante  per  il  giudice  ordinario  posto che alla Corte non era
 stata  devoluta  la  valutazione  di  costituzionalita'   dell'intero
 contenuto normativo.
    Cio'  posto,  osserva il tribunale che la ricostruzione effettuata
 dalla Corte appare inconciliabile con il  significato  letterale  del
 disposto  normativo in esame e con quello attribuito dalla prevalente
 giurisprudenza   anche   successiva   alla   sentenza   della   Corte
 costituzionale  (vedi  Cassazione  20  settembre  1989,  Vangelisti),
 giurisprudenza di cui non puo' non  tenersi  conto  posto  che  nella
 valutazione della costituzionalita' di una norma il giudice ordinario
 non puo' ignorare il significato che la stessa assume  nella  realta'
 dell'applicazione   giudiziaria   (c.d.  diritto  vivente).  Infatti,
 poiche' la norma  in  parola  punisce  chi,  essendo  imprenditore  o
 lavoratore    autonomo,   nel   redigere   le   scritture   contabili
 obbligatorie, la dichiarazione annuale dei redditi ovvero il bilancio
 o  rendiconto  ad  essa  allegato  dissimili  componenti positivi del
 reddito  o  simili  compoenti  negativi   dello   stesso,   in   tale
 disposizione,  in  se'  considerata,  non  e' ravvisabile, secondo il
 diritto vivente, la necessita', per la configurabilita' del  delitto,
 di in quid pluris costituito da un'attivita' fraudolenta precedente o
 concomitante con la redazione dei documenti menzionati.
    Secondo   la   giurisprudenza  i  concetti  di  simulazione  e  di
 dissimulazione, anche attingendone  la  nozione  dalla  legge  penale
 ordinaria,   sono  svilcolati  da  quello  di  falsita'  materiale  o
 ideologica e  non  richiedono  per  la  loro  sussistenza  che  siano
 accompagnati da falsa documentazione o da altri mezzi ingannevoli.
    Ne'  a  superare  tale conclusione vale la considerazione espressa
 dalla Corte costituzionale secondo cui solo l'interpretazione per  la
 quale  la  condotta  del  delitto  di cui all'art. 4 n. 7 deve essere
 integrata dal menzionato quid  pluris  "consente  di  considerare  il
 significato  dell'evento  (per  chi  lo  configuri)  del  delitto  in
 discussione quale risvolto della condotta frodatoria e cosi' permette
 di  dare  alla  fattispecie  una  chiara,  netta  significazione  che
 caratterizza  l'intero  disvalore  tipico".  Non  e'   dato   infatti
 comnprendere  come  una diversa interpretazione delle modalita' della
 condotta possa infliuenzare il giudizio di determinatezza dell'evento
 del   reato,   costituito   dall'alterazione   del   risultato  della
 dichiarazione;  alla   produzione   di   tale   evento   e'   infatti
 potenzialmente  idonea  sia  la  condotta  realizzata  attraverso  la
 commissione di artifici nella redazione dei documenti  contabili  sia
 quella   consistente  nella  mera  falsificazione  delle  annotazioni
 contabili.
    L'interpretazione  della condotta integrativa del delitto in esame
 fornita dalla Corte costituzionale quale presupposto  ineludibile  ai
 fini  della  valutazione  di costituzionalita' della norma non appare
 quindi, a giudizio di questo tribunale, convincente ne' supportata da
 inequivoci  elementi  ermeneutici;  al contrario, dovendo valutare la
 fattispecie, non potrebbe  ignorarsi,  l'interpretazione  data  dalla
 suprema  Corte,  regolatrice  del  diritto,  la  quale, discostandosi
 nettamente dalla interpretazione  data  dalla  Corte  costituzionale,
 ritiene  che  la  condotta  del  delitto  si limiti alla redazione di
 taluno  dei  documenti  indicati  nella  norma   "dissimulando...   o
 simulando" senza riferimento ad atti preparatori di tipo fraudolento.
    L'evidente inconciliabilita' di tali prospettazioni interpretative
 ed  il   rilievo   che   secondo   la   Corte   costituzionale   solo
 l'interpretazione  da  lei  fornita  consente  di superare i dubbi di
 costituzionalita' della norma, rende  doveroso,  investire  la  Corte
 costituzionale della questione sotto il profilo che la fattispecie di
 cui all'art. 4, n. 7, della legge n. 516/1982, come  delineata  dalla
 giurisprudenza,  difetta - in riferimento all'art. 25, secondo comma,
 della  Costituzione  -  di  parametri  normativi  che  consentano  di
 individuare  precisamente  la  fattispecie  di  reato con particolare
 riferimento ai concetti di simulazione e dissimulazione.
    Il  tribunale ritiene invece che la questione di costituzionalita'
 sia  manifestamente  infondata  in   relazione   all'art.   3   della
 Costituzione.  Si  deve  infatti riconoscere al legislatore una piena
 discrezionalita'   nell'individuare   categorie   di    contribuenti,
 scegliendo  anche  strategie  sanzionatorie differenziate, sulla base
 dei dati emergenti dalla realta' fattuale in cui si intende  operare,
 e  cioe'  tenendo  conto  degli  indici di maggiore o minore evasione
 fiscale.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  n.  7,  della  legge  n.
 516/1982,   con   riferimento   all'art.  25,  secondo  comma,  della
 Costituzione;
    Dispone che gli atti vengano trasmessi alla Corte costituzionale e
 che copia della presente ordinanza venga notificata al Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  e comunicata ai Presidenti dei due rami del
 Parlamento;
    Sospende il procedimento a carico di Lopatriello Francesco.
      Torino, addi' 9 febbraio 1990
                   Il presidente: (firma illeggibile)

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