N. 232 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 ottobre 1989

                                 N. 232
 Ordinanza  emessa il 18 ottobre 1989 dal tribunale di sorveglianza di
 Milano nel procedimento di sorveglianza relativo a Ruggeri Roberto
 Ordinamento  penitenziario - Affidamento in prova al servizio sociale
 dei condannati a pena detentiva non superiore a tre anni Condizione -
 Aver   subito  un  periodo  anche  minimo  di  custodia  cautelare  -
 Irrazionalita' di tale limite - Conseguente ingiustificata disparita'
 di   trattamento   di   situazioni  simili  Incidenza  sul  principio
 dell'inviolabilita' della liberta' personale e su quello dello  scopo
 rieducativo della pena.
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47, terzo comma, e succ. mod.).
 (Cost., artt. 3, 13 e 27).
(GU n.20 del 16-5-1990 )
                      IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
    Viste  le istanze di affidamento in prova al servizio sociale e di
 semiliberta' avanzate da Ruggeri Roberto,  nato  a  Colmurano  il  1›
 agosto 1949 ed ivi residente via Aldo Moro n. 8, condannato alla pena
 di mesi 1 di reclusione con sentenza del pretore di Gallarate in data
 21 marzo 1988;
    Considerato  che  l'istante,  ritualmente  citato, non e' comparso
 all'odierna udienza, ove il p.m. e il difensore hanno  concluso  come
 in atti;
                             O S S E R V A
    L'istante,  condannato  alla  pena  di  cui  in premessa, si trova
 attualmente in liberta', avendo ottenuto dalla pretura  di  Gallarate
 la  sospensione  dell'ordine  di  carcerazione ai sensi dell'art. 47,
 quarto  comma,  della  legge  n.  354/1975,  attesa  l'ammissibilita'
 dell'istanza di semiliberta'.
    A  giudizio  di  questo  tribunale  deve  essere  prioritariamente
 esaminata l'istanza di affidamento  in  prova  al  servizio  sociale,
 stante il suo minor contenuto afflittivo.
    Poiche'  il  Ruggeri,  tuttora  libero,  non  risulta aver espiato
 neppure un giorno di custodia cautelare, l'istanza di affidamento  in
 prova  al  servizio sociale dovrebbe essere dichiarata inammissibile;
 ex art. 47,  terzo  comma,  della  legge  n.  354/1975,  che  prevede
 testualmente  che  la  misura  de  quo  "puo'  essere  disposta senza
 procedere all'osservazione in istituto quando il condannato, dopo  un
 periodo  di  custodia  cautelare, ha goduto di un periodo di liberta'
 serbando un comportamento tale da consentire il giudizio  di  cui  al
 precedente  comma  secondo"  (relativo  all'idoneita'  della misura a
 contribuire alla rieducazione del reo e a prevenire il periodo  della
 commissione di altri reati).
    La  novella  introdotta  con  la legge 10 ottobre 1986, n. 663, ha
 opportunamente modificato l'art. 47  dell'ordinamento  penitenziario,
 introducendo  il  principio  del  ripudio  della  sanzione  detentiva
 allorche' l'inizio  dell'esecuzione  penale  avvenga  -  come  spesso
 accade - a distanza di tempo dal commesso reato.
    Puo'   risultare   infatti   controproducente,   ed   e'  comunque
 desocializzante la risposta in chiave detentiva ad episodi  risalenti
 nel  tempo,  allorche'  appaiano  mutate le condizioni soggettive del
 condannato, che puo' avere in atto, ovvero puo' avere gia'  compiuto,
 un processo rieducativo.
    In   tale   ipotesi  il  legislatore,  sostituendo  l'osservazione
 scientifica della personalita' con una "osservazione atipica", avente
 ad  oggetto  la  condotta  serbata  in  liberta'  dal  condannato, ha
 previsto opportunamente quello che e' stato  definito  un  meccanismo
 privilegiato  di  accesso  alla misura, meccanismo che, lungi dal far
 venir  meno  alla  stessa  i   caratteri   tipici   della   probation
 penitenziaria,  investe  peraltro  l'affidamento in prova al servizio
 sociale di una funzione specifica, quale quella di non sconvolgere la
 realta'  e  la  condizione di inserimento sociale nella quale vive il
 condannato al momento del passaggio in giudicato  della  sentenza  di
 condanna.
    Non  appare comprensibile il limite posto dal legislatore relativo
 alla necessita' di una pregressa custodia cautelare.  E'  ragionevole
 prevedere che laddove ci sia stata una esecuzione, ne sia impedita la
 ripetizione, ovviamente ove ricorrano  le  condizioni  oggetto  della
 cosiddetta  "osservazione atipica" (condotta serbata in liberta' dopo
 la  custodia   cautelare).   Censurabile   invece,   la   preclusione
 all'accesso  alla  misura del condannato che non abbia subi'to alcuna
 custodia cautelare se non previa espiazione  di  almeno  un  mese  di
 pena,   termine  minimo  per  procedere  alla  osservazione,  non  si
 comprende,  infatti  perche'  la  particolare  valenza  trattamentale
 dell'affidamento in prova al servizio sociale in relazione ai casi in
 cui la definitivita' della condanna (e pertanto,  l'esecuzione  della
 pena)  sopraggiunga  a  distanza  di  tempo dal commesso reato, debba
 venir meno nei confronti  di  soggetti  che  fin  dal  momento  della
 commissione mostravano una pericolosita' sociale meno spiccata, tanto
 da  non  vedersi  sottoposti  ad  alcun   provvedimento   restrittivo
 cautelare.
    Altrettanto   incomprensibile   appare   la  ragione  per  cui  il
 legislatore abbia previsto l'obbligatorio ingresso in  carcere  (onde
 procedere all'osservazione) da parte di coloro che, condannati ad una
 pena inferiore ai tre anni, non abbiano sofferto custodia  cautelare.
    L'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale  e' un trattamento
 extramurario che mira al raggiungimento di risultati sul piano  della
 rieducazione  oltre  che  su quello della prevenzione della recidiva,
 tramite  lo  sganciamento  totale  del  condannato  dalla   struttura
 penitenziaria  e  la  parallela sottoposizione a prescrizioni. Sfugge
 pertanto la ratio del necessario ingresso in Istituto del  condannato
 che  non  abbia sofferto custodia cautelare, modalita' che si pone in
 stridente contrasto con la finalita' rieducativa della misura stessa.
    Si  tratta,  infatti,  di  un  passaggio obbligatorio che, seppure
 finalizzato alla eventuale  concessione  della  misura  de  quo  puo'
 venire  ad interrompere un processo rieducativo in atto o ad incidere
 su   uno   gia'   compiuto   rappresentando   comunque   un   momento
 desocializzante per il condannato.
    E'  irragionevole  ipotizzare  che  il  legislatore  abbia  inteso
 evitare una ulteriore carcerazione a coloro che abbiano gia'  subi'to
 custodia  cautelare,  in quanto l'efficacia ammonitiva della sanzione
 detentiva ha gia' operato sul condannato, determinando,  in  ipotesi,
 ad un corretto comportamento durante la liberta'.
    A parte il fatto che cosi' ragionando si considererebbe la pena in
 funzione esclusivamente specialpreventiva, non  potendosi  attribuire
 alcuna  finalita'  rieducativa  alla custodia cautelare, quest'ultima
 finirebbe con il perseguire una  delle  finalita'  che  sono  proprie
 dell'affidamento in prova al servizio sociale, nella misura in cui il
 beneficio,  anche  tramite   adeguate   prescrizioni,   assicura   la
 prevenzione del pericolo della commissione di futuri reati.
    Va  ancora  ricordato  che  l'art.  47,  terzo  comma, ord. penit.
 richiede un periodo minimo di custodia, non  specificandone  peraltro
 la  durata:  e'  ipotizzabile,  pertanto,  anche  un  solo  giorno di
 custodia cautelare.
    In  tale  evenienza, di non escludersi a priori, non si puo' certo
 attribuire alcuna efficacia ammonitiva alla carcerazione presofferta,
 ne'  si  puo'  ragionevolmente  attribuire  a  quest'ultima una anche
 minima valenza trattamentale.
    La  norma  in  questione  non specifica neppure quanto tempo debba
 intercorrere  tra  la  custodia  cautelare  sofferta  e   l'eventuale
 ammissione  alla misura de quo, dimodoche', se la condanna e' passata
 in giudicato in tempi brevi, il comportamento oggetto del giudizio di
 cui  all'art. 47, terzo comma, o.p., puo' essere anche molto limitato
 nel tempo e, pertanto, molto poco  significativo.  L'art.  47,  terzo
 comma,  ord.  penit.  neppure  richiede  un  giudizio  positivo sulla
 condotta tenuta durante la custodia cautelare: se  tale  lacuna  puo'
 essere  colmata tenendo conto che il giudizio sulla rieducazione deve
 essere globale, e' anche vero che in materia di liberta' personale e'
 opportuno che siano sempre indicati con precisione gli elementi e gli
 eventuali parametri su cui deve basarsi la valutazione giudiziale.
    Pare  pertanto  a questo collegio che l'art. 47, terzo comma, ord.
 penit. sia sospetto di illegittimita'  costituzionale  sotto  diversi
 profili.
    Quanto  all'art.  3  della  Costituzione,  esso  appare violato in
 quanto due situazioni simili  (in  relazione  ad  entrambe,  infatti,
 l'affidamento   in  prova  al  servizio  sociale  si  configura  come
 strumento diretto ad evitare l'impatto con il carcere a soggetti  che
 hanno  mutato  atteggiamenti  e  condotte di vita rispetto al momento
 della  commissione  del  fatto)  vengono  sottoposte  a   trattamenti
 differenziati  sulla  base  di  un  criterio  discriminante, quale la
 pregressa custodia cautelare, che non e' di per se' rilevante ai fini
 della  valutazione  che spetta al tribunale di sorveglianza in ordine
 alla prognosi favorevole circa la rieducazione e la prevenzione della
 recidiva. Non puo' ritenersi sufficiente a superare l'iniquita' della
 distinzione la previsione, di cui all'art. 50, primo e quarto  comma,
 ord. penit., della possibilita' di richiesta da parte di soggetti non
 legittimati ad avanzare istanza ai sensi dell'art. 47,  terzo  comma,
 ord. penit. di ammissione al regime di semiliberta'.
    Tale  possibilita'  e'  infatti  limitata  ai casi in cui siano da
 espiare la pena dell'arresto o della reclusione non superiore  a  sei
 mesi,   e   riguarda   una  misura,  la  semiliberta',  che  comporta
 purtuttavia l'assegnazione del condannato a sezioni  di  istituti  di
 pena per trascorrervi le ore notturne.
    La  violazione  dell'art.  13 della Costituzione appare gia' grave
 nell'attuale sistema, e ancora di piu' lo sara' alla luce  del  nuovo
 codice  di procedura penale, che ha previsto un sistema articolato di
 misure coercitive (capo secondo e terzo, titolo primo, libro  quarto)
 proponendo altresi' un uso graduale del potere coercitivo (art. 275).
 L'art. 284, come e' noto, prevede la misura degli arresti domiciliari
 (che  ricalca  quella  prevista dal codice vigente) e al quinto comma
 dispone che "l'imputato agli  arresti  domiciliari  si  considera  in
 stato  di custodia cautelare". Non cosi' puo' considerarsi l'imputato
 sottoposto alla misura dell'obbligo di dimora prevista dell'art. 283,
 rafforzata  dalla prescrizione di non allontanarsi dall'abitazione in
 alcune ore del giorno (quarto comma).  Il  contributo  afflittivo  di
 tale  misura  e'  indiscutibile,  ed  e'  irrazionale ritenere che il
 soggetto sottoposto a quest'ultima  "piu'  blanda  forma  di  arresti
 domiciliari",  in  quanto  non  sottoposto  a custodia cautelare, non
 potra' vedersi  affidato  in  prova  al  servizio  sociale  ai  sensi
 dell'art. 47, terzo comma, ord. penit.
    Infine,  anche  l'art.  27  della  Costituzione appare violato, in
 quanto non si puo' attribuire alcuna  finalita'  rieducativa  ad  una
 pena  detentiva  che  vada espiata in carcere per il tempo necessario
 allo svolgimento dell'osservazione  scientifica  della  personalita',
 pena  detentiva  che,  viceversa, viene convertita a coloro che hanno
 sofferto custodia cautelare. Ma nemmeno  si  puo'  attribuire  alcuna
 finalita'  alla  custodia  cautelare,  come  invece fa il legislatore
 consentendo che cio' legittimi unitamente ad una  buona  condotta  in
 liberta', l'accesso "privilegiato" alla misura.
    Apparendo  pertanto  non  manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 47, terzo comma,  ord.  penit.,
 si  impone,  essendo indubbia la rilevanza della stessa ai fini della
 decisione del procedimento, la rimessione di ufficio degli atti  alla
 Corte costituzionale.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante  e  non manifestamente infondata, in relazione
 agli  artt.  3,  13  e  27  della  Costituzione,  la   questione   di
 legittimita' costituzionale dell'art. 47, terzo comma, della legge 26
 luglio 1975, n. 354, e successive modifiche;
    Sospende il presente procedimento;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Manda   la   cancelleria   di  notificare  la  presente  ordinanza
 all'interessato, al suo  difensore,  al  procuratore  generale,  alla
 Corte  di  Cassazione,  al Presidente del Consiglio dei Ministri e di
 comunicare la stessa al Presidente del  Senato  e  della  Camera  dei
 deputati.
      Milano, addi' 18 ottobre 1989
                   Il presidente: (firma illeggibile)

 90C0529