N. 266 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 gennaio 1990
N. 266 Ordinanza emessa il 24 gennaio 1990 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Sardegna - Cagliari sul ricorso proposto da Maccioni Giuseppe contro il Ministero dell'interno Pensioni - Impiegati civili e militari dello Stato - Ufficiali di P.S. - Mancata previsione della riliquidazione del trattamento di quiescenza mediante inquadramento nei nuovi livelli retributivi, di cui alla legge n. 312/1980, con la stessa decorrenza e criteri stabiliti per il personale in attivita' ed indipendentemente dalla data di cessazione dal servizio - Mancata previsione, in luogo degli aumenti percentuali e fissi, di cui alla legge n. 544/1988, della riliquidazione delle pensioni con decorrenza 1 gennaio 1988, sulla base degli stipendi derivanti in particolare per il personale della Polizia di Stato dall'applicazione della normativa di cui alla lett. b), art. 26 del d.-l. n. 283/1981, nonche' della legge n. 34/1984 e del d.-l. n. 387/1987 e relativi accordi tra Governo e sindacato - Ingiustificata disparita' di trattamento di situazioni analoghe, in considerazione della diversa disciplina vigente, per effetto della sentenza della Corte n. 501/1988, per il personale di magistratura - Violazione del principio di adeguatezza della retribuzione. (Legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 18, secondo comma; d.-l. 30 dicembre 1989, n. 663, art. 14, quinto comma, sostituito dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33; d.-l. 6 giugno 1981, n. 283, art. 26; d.-l. 6 giugno 1981, n. 283, art. 16; d.-l. 6 giugno 1981, n. 283, art. 17; legge 6 agosto 1981, n. 432, in relazione alla legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 136; legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 137; legge 17 aprile 1985, n. 141, art. 1; legge 17 aprile 1985, n. 141, art. 2; legge 17 aprile 1985, n. 141, art. 6; legge 29 dicembre 1988, n. 544, art. 5, in relazione alla legge 20 marzo 1984, n. 34 e in relazione al d.-l. 21 settembre 1987, n. 387, convertito in legge 20 novembre 1987, n. 472). (Cost., artt. 3 e 36).(GU n.21 del 23-5-1990 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. C/261 del registro di segreteria, proposto da Maccioni Giuseppe, nato a Ollolai (Nuoro) l'8 gennaio 1911, avverso la nota-provvedimento del Ministero dell'interno n. 800/0333 del 16 settembre 1982. Uditi alla pubblica udienza del giorno 16 marzo 1989 il relatore consiliere Enrico Passeroni, e difensore del ricorrenrte avv. Tomaso Palermo nonche' il pubblico ministero nella persona del vice procuratore generale Giuseppantonio Stanco. Esaminati gli atti ed i documenti della causa. RITENUTO IN FATTO Con istanza datata 20 maggio 1982 il sig. Maccioni Giuseppe, ex capitano del corpo delle guardie di P.S., cessato dal servizio permanente effettivo dal 9 gennaio 1965 (Collocato nella riserva a decorrere dal 9 gennaio 1973 e titolare di pensione preivilegiata), chiedeva al Ministero dell'interno che il proprio trattamento pensionistico fosse riliquidato con effetto dal 1 febbraio 1981, ai sensi dell'art. 26 del d.-l. 6 giugno 1981 n. 283, convertito nella legge 6 agosto 1981, n. 432, e cioe' assumendo come base pensionabile quella corrispondente alle nuove retribuzioni del personale statale stabilite con le leggi 11 luglio 1980, n. 312 e 6 agosto 1981, n. 432. Con nota n. 800/0333 C.S. 2085 del 16 settembre 1982 il predetto Dicastero comunicava al Maccioni che la sua richiesta non poteva essere accolta, in quanto egli era cessato dal servizio anteriormente alla data di efficacia giuridica ed economica delle citate disposizioni di legge. Avverso la indicata pronuncia amministrativa l'interessato proponeva ricorso a questa Corte con atto pervenuto alla segreteria della quarta sezione centrale giurisdizionale il 21 gennaio 1983 e successivamente rimesso per competenza a questa sezione divenuta competente alla prosecuzione del processo, ai sensi degli artt. 2 e 11 della legge 8 ottobre 1984, n. 658. Con tale mezzo di gravame il ricorrente sosteneva che l'impugnata determinazione ministeriale era frutto di una inesatta interpretazione delle leggi suindicate, alle quali doveva attribuirsi un significato piu' aderente ai princi'pi costituzionali cosi' da applicarle anche ai dipendenti dello Stato collocati in quiescenza anteriormente alla decorrenza (1 gennaio 1979) del triennio contrattuale 1979-81, cui esse si riferiscono. A sostegno di detto assunto veniva invocato il principio del necessario adeguamento delle pensioni ai miglioramenti economici spettanti al personale in servizio e con le stesse decorrenze, principio desumibile anche dalla sentenza della terza sezione di questa Corte n. 49970 del 28 aprile 1982. Essendo stato in tal modo introdotto il presente giudizio il procuratore generale formulava conclusioni con atto depositato il 29 settembre 1987, col quale chiedeva il rigetto del ricorso sulla base delle seguenti considerazioni a) nel vigente ordinamento il trattamento di quiescenza va liquidato sulla base dell'ultimo stipendio percepito (vedi art. 43 del t.u. 29 dicembre 1973, n. 1092), al quale esso rimane agganciato salvi i singoli provvedimenti che il legislatore adotti per categorie, tempi e modi di riliquidazione di volta in volta previsti; b) unica norma di permanente e generale perequazione delle pensioni in base ad indici determinati di anno in anno, comunque svincolata dal trattamento del personale in servizio, e' quella introdotta dalla legge 29 aprile 1976, n. 177, della quale ha beneficiato anche il ricorrente per la sua automatica applicazione: qualunque diversa pretesa di adeguamento non sarebbe sorretta da alcuna previsione normativa e si porrebbe in contrasto con il predetto sistema generale. In data 17 agosto 1988 il Maccioni depositava una memoria con la quale insisteva nella richiesta di riconoscimento del diritto alla riliquidazione della propria pensione per via di interpretazione delle leggi nn. 312/1980 e 432/1981 nonche' per l'applicazione dell'art. 2 della legge n. 177/1976 a partire dal 1978 ed in subordine sollevava questione di costituzionalita' assumendo che, avendo la pensione carattere di retribuzione differita, la discrezionalita' del legislatore deve rispettare il principio della sua proporzionalita' alla qualita' e quantita' del lavoro prestato, previsto dall'art. 36 della Costituzione, in modo da assicurare nel tempo un'esistenza libera e dignitosa; che il principio di uguaglianza di cui all'all'art. 3 della Costituzione esige che non possono essere diversificati i trattamenti pensionistici di dipendenti i quali abbiano svolto uguali prestazioni lavorative, in ragione soltanto di dati anagrafici, cioe' dalla data di cessazione del servizio con la creazione del fenomeno delle c.d. pensioni di annata generato dalla mancata applicazione dell'art. 2, della citata legge n. 177/1976; che il contrasto con gli indicati canoni costituzionali non e' risolto dalla legge 17 aprile 1985, n. 141, con cui e' stata attuata soltanto una limitata perequazione. Alla pubblica udienza il difensore conformava la domanda di adeguamento della pensione spettante al Maccioni al trattamento economico del personale della Polizia di Stato in servizio, sulla base dei princi'pi contenuti nella sentenza della Corte costituzionale n. 501 del 21 aprile-5 maggio 1988 e nella sentenza delle sezioni riunite della Corte dei conti n. 76-C del 14 novembre 1988; sosteneva inoltre che la riliquidazione delle pensioni non puo' essere limitata ai dirigenti civili e militari dello Stato cessati dal servizio successivamente al 1 gennaio 1979, come disposto dall'art. 3 del d.-l. 16 settembre 1987, n. 379, convertito con legge 14 novembre 1987, n. 468, formulando le seguenti conclusioni: 1) in via principale, l'accoglimento del ricorso con rivalutazione del credito, interessi e spese di giustizia; 2) in via subordinata la incidentale proposizione della questione di incostituzionalita' degli artt. 1, 24 e 25 della legge 11 luglio 1980, n. 312, nonche' degli artt. 21, 24, 16 e 17 della legge 6 agosto 1981, n. 432, ed infine dell'art. 3 del d.-l. 16 settembre 1987, n. 379, convertito nella legge 14 novembre 1987, n. 468, per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione nonche' degli artt. 23 e 25 della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Il procuratore generale, in sede di discussione orale, ha parzialmente modificato le conclusioni scritte sostenendo quanto segue: a) la sentenza della Corte costituzionale n. 501/1988 ha affermato nella motivazione un principio di adeguamento delle pensioni alla dinamica delle retribuzioni del personale in servizio di pari qualifica, ma nel dispositivo ha, di detto principio, fatto un'applicazione limitata alla particolare situazione riguardante il personale di magistratura e derivata dalla legge 6 agosto 1984, n. 425; b) la pronuncia di incostituzionalita' riguarda unicamente gli artt. 1, 3 e 6 della legge 17 aprile 1985, n. 141, in quanto non hanno previsto una riliquidazione dei trattamenti di quiescenza sulla base della succitata legge n. 425/1984, facendo comunque salvi gli effetti prodotti da ogni altra disposizione di legge fino al 1 gennaio 1988, per cui non puo' da essa dedursi un principio di adeguamento automatico permanente e generale per tutti i dipendenti dello Stato; c) il ricorso sarebbe percio' da respingere alla luce della normativa vigente, ma puo' essere proposta, alla stregua dei princi'pi di cui alla menzionata sentenza n. 501/1988 e dei problemi di interpretazione che essa pone, la questione di costituzionalita' del succitato art. 3 della legge n. 468/1987, in quanto non perde una generale riliquidazione delle pensioni. D I R I T T O La domanda, originariamente proposta col ricorso introduttivo del presente giudizio, tende ad ottenere la riliquidazione della pensione, spettante al sig. Maccioni Giuseppe, quale ex dipendente statale appartenente al corpo delle guardie di P.S. sulla base delle retribuzioni previste a favore del personale in servizio dagli artt. 16 e segg. del d.-l. n. 283/1981 convertito con modificazioni con legge n. 432/1981 e percio' previo inquadramento virtuale nei nuovi livelli retributivi e nelle classi di stipendio (ai fini di quiescenza e con effetto dal 1 febbraio 1981) nonche' con riferimento alla anzianita' maturata, secondo la struttura del trattamento economico gia' introdotta dagli artt. 24 e (relativamente al personale militare) dall'art. 137 della legge 11 luglio 1980, n. 312. A sostegno della pretesa viene invocata l'applicazione dell'art. 26 del citato d.-l. n. 283/1981. Senonche' detta norma prevede un siffatto procedimento di riliquidazione limitatamente al personale cessato dal servizio "nel corso di vigenza del triennio contrattuale 1979-1981 decorrente dal 1 gennaio 1979" e su tale inequivoco limite temporale esclude che essa possa essere estesa, in via di mera interpretazione giurisprudenziale, a qualsiasi altra situazione di quiescenza anteriore: non puo' infatti sostenersi ne' che essa esprima in principio di carattere ed ambito generale ne' che le posizioni dei dipendenti cessati dal servizio prima della data suindicata (costituenti fra l'altro la parte numericamente piu' rilevante dei pensionati) non fossero presenti al legislatore nel momento in cui e' stata dettata la disciplina in argomento, dal che deve dedursi che esse sono state volutamente escluse dall'ambito di applicazione del citato procedimento riliquidativo e dal nuovo sistema retributivo. Conseguentemente deve darsi ingresso all'esame della questione di costituzionalita' sollevata, con diverse angolazioni, anche riguardo alle citate norme. Poiche' il ricorrente lamenta proprio il non assoggettamento della propria pensione a riliquidazione sulla base della nuova struttura e progressione degli stipendi in relazione alla data in cui cesso' dal servizio (9 gennaio 1965), deve senz'altro affermarsi che il presente giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della proposta incidentale eccezione. Ma va anche considerato che la domanda giudiziale ha subi'to nel corso del processo alcune specificazioni fino ad apparire rivolte ad ottenere, non solo l'applicazione dei benefici di cui ai provvedimenti legislativi del 1981, ma piu' ampiamente il costante adeguamento del trattamento di quiescenza al trattamento dovuto in servizio a fronte della corrispondente posizione di stato giuridico e di carriera. Indipendentemente dalla definitiva pronuncia sull'ammissibilita' di tale piu' ampia richiesta - ai fini della quale non potra' prescindersi dal considerare che il rapporto pensionistico non si esaurisce in unica prestazione e si sviluppa attraverso situazioni destinate a mutare nel tempo - la questione di legittimita' costituzionale introdotta in causa appare comunque rilevante, per la decisione che questo giudice deve rendere, relativamente sia alle norme anteriori, ma aventi carattere generale e permanente, sia alle norme successive a quelle specificatamente invocate in quanto con le prime interferiscano spiegando concreti effetti sulla misura della pensione di cui e' controversia o in sostituzione dei pretesi miglioramenti o perpetuendo ed aggravando il diniego dei miglioramenti stessi, agendo su un trattamento di quiescenza gia' non adeguato a corretti livelli retributivi. Il primo e' il caso degli artt. 1 e 2 della legge 29 aprile 1976, n. 177, uniche norme che abbiano introdotto nell'ordinamento un principio di costante e generale adeguamento delle pensioni del settore pubblico ai trattamenti economici delle categorie del personale in servizio, mediante l'automatica applicazione di un indice di incremento da stabilirsi con decreto del Presidente della Repubblica. Il principio, se attuato, sarebbe stato da solo sufficiente a soddisfare la pretesa del ricorrente, indipendentemente da un procedimento di riliquidazione implicante l'assunzione di nuovi elementi di calcolo (rideterminazione della base pensionabile); senonche' gli stessi artt. 2, secondo comma, e 3, della legge n. 177/1976 e successivamente gli artt. 18 della legge 21 dicembre 1978, n. 843, e 14, quinto comma, del d.-l. 30 dicembre 1979, n. 663, nel testo sostituito dalla legge di conversione 29 febbraio 1980, n. 33, ne hanno, prima in via transitoria e poi in via permanente, paralizzato l'attuazione, collegando la prequazione automatica ad indici assolutamente empirici o comunque non dedotti dalla dinamica delle retribuzioni del personale in servizio per le varie categorie. La norma piu' recente prevede infatti aumenti annuali in misura percentuale pari alla differenza tra la variazione dei tassi delle retribuzioni degli operai dell'industria e la variazione del costo della vita ex art. 10 della legge 3 giugno 1975, n. 160, ivi richiamata. Per quanto riguarda la normativa successiva al 1981, occorre menzionare da un lato le disposizioni di legge settoriali che, autorizzando la spesa relativa all'applicazione di contratti tra Governo e sindacati in materia di benefci economici del personale in servizio della Polizia di Stato, non ne hanno esteso gli effetti ai pensionati gia' appartenenti alla stessa categoria (legge 20 marzo 1984, n. 34, per il periodo contrattuale 1 gennaio 1982-31 dicembre 1984 e con decorrenza 1 gennaio 1983; d.-l. 21 dicembre 1987, n. 387, convertito nella legge 20 novembre 1987, n. 472, per il periodo contrattuale 1 gennaio 1985-31 dicembre 1987 e con decorrenza 1 gennaio 1986); dall'altro quelle altre disposizioni, di applicazione generale e quindi applicabili al caso in esame, le quali nel dichiarato intento di attuare una perequazione dei trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti, hanno stabilito incrementi in misura e secondo criteri non rapportati alla dinamica degli stipendi. Fra queste ultime rientra la legge 17 aprile 1985, n. 141: gli artt. 1, primo e secondo comma, e 6, stabiliscono, infatti, aumenti in misura percentuale e fissa, diversificata seconco le date di collocamento a riposo degli interessi (date tutte anteriori alla decorrenza giuridica degli inquadramenti nelle qualifiche e livelli soprammenzionati e cioe' al 1 gennaio 1978), con riferimento ai comparti di appartenenza e scaglionati con diverse decorrenze dal 1 gennaio 1984 al 1 luglio 1987; l'art. 7 prevede invece la riliquidazione, con decorrenza 1 gennaio 1986l dei trattamenti di quiescenza del personale collocato a riposo successivamente alla suindicata data secondo le norme del d.-l. n. 283/1981, ma detto limite cronologico impedisce ancora una volta l'accesso del ricorrente al regime giuridico preteso col ricorso e costituisce una nuova ragione della discriminazione, di cui egli si duole (vedi anche in senso non risolutivo l'art. 1 della legge 23 dicembre 1986, n. 942) sotto l'aspetto della diversita' concettuale e pratica esistente tra meri incrementi delle pensioni e riliquidazioni sulla base dei nuovi assetti di carriera e di sviluppo economico riconosciuti al personale in servizio. Tuttavia la citata legislazione, che ha inciso sulla misura del controverso trattamento pensionistico incorre, ad avviso di questo giudice, nel dubbio di costituzionalita' prospettato da parte attrice nella considerazione sia dell'esigenza della parita' di trattamento a parita' di situazioni (art. 3 della Costituzione), in quanto le distinzioni operate da legislatore ordinario hanno nella maggior parte dei casi irragionevolmente seguito il criterio meramente cronologico della data di cessazione del servizio, sia della corrispondenza della pensione, quale retribuzione differita alla quantita' e qualita' del lavoro svolto (art. 36 della Costituzione). In particolare il principio di detta corripondenza, a prescindere dalla valutazione del rispetto dell'estremo limite di sufficienza per un'esistenza libera e dignitosa (pur esso garantito dal citato art. 36) sembra sia stato ripetutamente violato, nonostante che la sua inderogabilita' e precipua rilevanza sia stata recentemente ribadita nella sentenza della Corte costituzione n. 501 del 21 aprile-5 maggio 1988, nella quale e' stata affrontata e risolta analoga questione riguardante personale di magistratura ed assimilato, alla stregua delle seguenti proposizioni: a) "dal carattere retributivo delle pensioni deriva che il trattamento di quiescenza deve essere proporzionale alla quantita' e durata del lavoro prestato, non deriva che tale trattamento debba essere necessariamente inferiore al trattamento di servizio attivo"; b) "la proporzionalita' ed adeguatezza non devono sussistere soltanto al momento del colloccamento a riposo, ma vanno costantemente assiemate anche nel prosieguo" mediante una "costante adeguazione del trattamento di quiescenza alle retribuzioni del servizio attivo"; c) "il legislatore, intervenuto con legge 17 aprile 1985, n. 14, avrebbe dovuto perequare le pensioni dei magistrati... alle retribuzioni disposte con la suddetta legge n. 425/1984 e non invece stabilire rivalutazioni percentuali di pensioni pregresse... con conseguente vilnus degli artt. 3 e 36 della Costituzione". E' vero che il giudice delle leggi non ha tratto da tali affermazioni, le quali appaiono coerenti alla giurisprudenza costituzionale gia' formatasi sulla materia, la conseguenza apparentemente ovvia della dichiarazione di illegittimita' di tutte le norme contrastanti con gli indicati dettami. Cio' e' pero' avvenuto nella considerazione del fatto che, per il personale di magistratura, il divario tra pensioni e stipendi era sorto in termini non piu' ragionevolmente giustificabili con l'entrata in vigore della legge 6 agosto 1984, n. 425, e che la legge n. 141/1985 aveva attuato una certa funzione perequatrice fino al 31 dicembre 1987; la pronuncia e' percio' stata di dichiarazione di illegttimita' degli artt. 1, 3, primo comma, e 6, della legge n. 141/1986 nella parte in cui, in luogo degli aumenti ivi previsti, non dispongono la riliquidazione della pensione sulla base del trattamento economico derivante dall'applicazione degli artt. 3 e 4 della legge n. 425/1984, con decorrenza 1 gennaio 1988, a favore dei magistrati collocati a riposo anteriormente al 1 luglio 1983, stabilendo almeno da tale data una sostanziale ed effettiva perequazione ed equiparazione di posizioni. Nella fattispecie in esame la "radicale innovazione nella struttura della retribuzione", introdotta per i magistrati dalla legge n. 425/1984, alla quale la consulta la fatto espresso riferimento in quanto non estesa a tutto il personale di magistratura in quiescenza, risale, in forme sostanzialmente corrispondenti, ai piu' volte citati provvedimenti normativi del 1980 e del 1981 (vedi in particolare per il personale militare, nel quale e' da comprendere la Polizia di Stato ex art. 137 della legge n. 312/1980, gli artt. 16 e segg. del d.-l. n. 283/1981). Questi infatti prevedono lo sviluppo degli stipendi con otto classi biennali dell'8% da computarsi sullo stipendio iniziale di livello e di qualifica, sulla base dell'effettivo servizio prestato ed hanno in concreto determinato il divario tra stipendi e trattamenti di quiescenza preesistenti alle decorrenze da essi stessi fissate, senza che sia derivata alc una correzione quantitativamente riequilibratrice, da altri meccanismi di adegumanto che percio' sono da intendere coinvolti nella censura di non conformita' al precetto del menzionato art. 36 della Costituzione. D'altra parte, detto precetto, alla luce della motivazione della citata sentenza n. 501/1988 non sembra possa essere concretamente attuato se non attraverso una costante proporzionalita' (che puo' anche non voler dire esatta corrispondenza) alle retribuzioni di servzio attivo. Questo giudice pertanto ritiene non privo di fondamento il sospetto di incostituzionalita' dell'intero sistema normativo, al quale nella specie occorrre far riferimento, sia che si voglia individuarne nel 1 febbraio 1981 (decorrenze degli effetti del d.-l. n. 283/1981) conformemente alla pretesa, il momento di concreta rilevanza dell'enunciato contrasto, sia che questa possa essere riportata a data successiva - cosi' come disposto dalla Corte costituzionale riguardo alla riferita vicenda del personale di magistratura - nella valutazione, in via di fatto, di adeguamenti delle pensioni intervenuti successivamente alla data predetta. Non sembra abbia bisogno di ulteriore dimostrazione l'affermazione che il principio di collegamento alla quantita' e qualita' del lavoro prestato non e' saldamente garantito ne' da episodici incrementi ne' da contingenti riliquidazioni specie se limitati - come sempre e' avvenuto - a singole categorie di dipendenti pubblici, a particolari date di nascita delle posizioni di quiescenza e con aprioristiche decorrenze, in ragione prevalentemente, se non esclusivamente delle potenzialita' finanziarie degli enti erogatori. All'enunciato vizio di legittimita' costituzionale non si sottrae l'art. 5 della legge 29 dicembre 1988, n. 544, in quanto per i titolari di pensioni di cui all'art. 1 della legge n. 177/1976, che non abbiano beneficiato della riliquidazione ex art. 7 della legge n. 141/1975 - come nel caso del ricorrente - si limita a concedere integrazioni mensili lorde in misura fissa (con le decorrenze 1 gennaio 1988 e 1 gennazio 1990) non agganciate in alcun modo agli elementi obiettivi e di giustizia di cui e' sopra cenno. Non rilevante e non chiaramente proponibile sotto l'aspetto della fondatezza, riguardo alla fattispecie in esame, appare invece la questione di legittimnita' costituzionale della norma di cui all'art. 3 del d.-l. 16 settembre 1987, n. 379, convertito in legge 14 novembre 1987, n. 468, in quanto esso riguarda una categoria determinata di dipendenti statali (dirigenti civili e militari) il cui sistema retributivo e' regolato da una diversa normativa in relazione alla quale la riliquidazione della pensione e' dalla norma stessa prevista in favore comunque delle cessazioni dal servizio successive al 1 gennaio 1979.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ordina la sospensione del giudizio promosso da Maccioni Giuseppe col ricorso indicato in epigrafe e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale affinche' venga risolta la questione di legittimita' costituzionale delle seguenti norme: a) artt. 18, secondo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 843; 14, quinto comma, del d.-l. 30 dicembre 1979, n. 663, nel testo sostituito dalla legge di conversione 29 febbraio 1980, n. 33, nella parte in cui non prevedono sistemi di perequazione automatica delle pensioni ordinarie dei pubblici dipendenti collegati agli incrementi effettivi dei trattamenti economici dovuti per le varie categorie dello stesso personale in attivita' di servizio; b) art. 26 del d.-l. 6 giugno 1981, n. 283, convertito con legge 6 agosto 1981, n. 432, in collocamento con gli artt. 16 e 17, in quanto non prevede la riliquidazione del trattamento di quiescenza del personale militare, di cui agli artt. 136 e 137 della legge 11 luglio 1980, n. 312, mediante inquadramento nei nuovi livelli retributivi con le stesse decorrenze e criteri stabiliti per il personale in servizio ed indipendentemente dalla data di cessazione del servizio; c) artt. 1, 2 e 6 della legge 17 aprile 1985, n. 141, ed art. 5 della legge 29 dicembre 1988, n. 544, nella parte in cui non prevedono, in luogo degli aumenti percentuali e fissi, la riliquidazione delle pensioni, con decorrenza 1 gennaio 1988, sulla base degli stipendi derivanti in particolare per il personale della Polizia di Stato dall'applicazione della normativa di cui al precedente capo b) nonche' della legge 20 marzo 1984, n. 34, e del d.-l. 21 dicembre 1987, n. 387, convertito in legge 20 novembre 1987, n. 472, e relativi accordi tra Governo e sindacati; Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alla parte, al pubblico ministero nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' disposto in Cagliari, nelle camere di consiglio del 16 marzo 1989 e del 24 gennaio 1990. Il presidente: MARCELLI 90C0583