N. 301 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 marzo 1990

                                 N. 301
 Ordinanza  emessa  il  14  marzo  1990  dal  pretore  di Pinerolo nel
 procedimento penale a carico di Bertolucci Renzo
 Processo penale - Nuovo codice - Procedimenti speciali - Applicazione
 della  pena  su  richiesta  delle  parti  -  Preventivo  accertamento
 probatorio   della  responsabilita'  penale  -  Non  necessarieta'  -
 Violazione del principio di indipendenza del  giudice  -  Limitazione
 del   potere   decisorio   dell'organo   giudicante  in  ordine  alla
 determinazione della pena, rimessa invece alla volonta' delle parti -
 Esercizio di potere giurisdizionale affidato al p.m. e all'imputato -
 Lesione del principio  della  presunzione  d'innocenza  -  Violazione
 dell'obbligo di motivare i provvedimenti giurisdizionali.
 (C.P.P. 1988, art. 444).
 (Cost., artt. 13, 24, 27, 101, 102 e 111).
(GU n.22 del 30-5-1990 )
                               IL PRETORE
    Visti  gli  atti  del  procedimento  penale a carico di Bertolucci
 Renzo;
    Rilevato che l'imputato, ai sensi dell'art. 566, ottavo comma, del
 c.p.p. ha  formulato,  prima  della  dichiarazione  di  apertura  del
 dibattimento,  richiesta di applicazione della pena a norma dell'art.
 444 del c.p.p., e che vi e' stato il consenso del p.m., e che  quindi
 il  giudicante,  sempre  a norma dell'art. 444 del c.p.p. ove ritenga
 corretta la qualificazione giuridica del  fatto  e  l'applicazione  e
 comparazione  delle  circostanze,  e non debba pronunciare sentenza a
 norma  dell'art.  129  del  c.p.p.,  deve   disporre   con   sentenza
 l'applicazione della pena richiesta;
                             O S S E R V A
    Di  fronte  alla  richiesta  congiunta  del  p.m.  ed imputato, il
 giudice, per usare le parole della relazione ministeriale,  non  puo'
 effettuare  "alcun  sindacato  sulla congruita' della pena richiesta,
 trattandosi di materia riservata alla determinazione esclusiva  delle
 parti",  potendo  egli valutare esclusivamente la "cornice" entro cui
 e' avvenuta la commisurazione della pena, e cioe' la mera correttezza
 della  qualificazione  giuridica del fatto, delle circostanze e della
 comparazione tra le stesse, fermo restando il disposto dell'art.  129
 del c.p.p.
    La  decisione  del giudice nei limiti sopra trattati avviene sulla
 base degli atti, senza  possibilita'  di  acquisizione  di  ulteriori
 elementi  probatori  (se  pur  si arrivi a ritenere tali gli elementi
 acquisiti in sede di indagini preliminari);  inoltre  la  valutazione
 degli  atti  compiuti e' consentita e imposta al giudice al solo fine
 di controllare che ricorrano i presupposti  voluti  dalla  legge  per
 darsi luogo al rito alternativo.
    Tali  profili sembrano, a questo pretore, poter porsi in contrasto
 con gli artt. 101, secondo comma,  102,  primo  comma,  13,  primo  e
 secondo  comma,  24,  secondo  comma,  27,  secondo comma, 111, primo
 comma, della Costituzione.
    L'indipendenza  del giudice, sancita dall'art. 101, secondo comma,
 della Costituzione, appare infatti vulnerata in quanto l'accordo  tra
 p.m.  ed imputato va ad imporre all'organo giudicante l'emanazione di
 una sentenza di merito il cui contenuto prescinde del tutto (eccezion
 fatta  per  l'accertamento  delle  condizioni  di legittimita' volute
 dalla legge per fare ricorso al rito differenziato)  dal  suo  libero
 convincimento  e  da  un  accertamento  di  penale responsabilita', e
 comporta l'irrogazione acritica della  pena  concordata  dalle  parti
 anche  ove  questa  possa apparire in contrasto con i criteri imposti
 dall'art. 133 del c.p.; e puo' ancora sottolinearsi come in tal modo,
 si  privi  il  giudice di un potere dovere attribuitogli dalla legge,
 quello di determinare la pena secondo i parametri di cui all'art. 133
 del  c.p.,  non  in virtu' di criteri rigorosamente predeterminati, e
 quindi verificabili, bensi'  a  causa  dell'esercizio  di  un  potere
 discrezionale  attribuito  ad  altri  soggetti  -  p.m. ed imputato -
 attivato al di fuori di ogni possibile  valutazione  e  controllo  in
 sede  giurisdizionale:  sembra  cosi'  che il giudicante non sia piu'
 soggetto soltanto alla legge ma  alla  volonta',  giurisdizionalmente
 insindacabile delle parti.
    Inoltre  l'interpretazione  dell'art.  101,  secondo  comma, della
 Costituzione che sembra potersi trarre  dalle  sentenze  della  Corte
 costituzionale  n.  123/1971  e  n. 120/1984, pare confermare come la
 garanzia costituzionale della  indipendenza  del  giudice  non  possa
 essere  erosa  da  disposizioni di legge che attribuiscono al p.m. un
 potere  che  vada  a  vincolare  la  liberta'  di  valutazione  e  di
 convincimento  dell'organo  giudicante:  afferma,  invero,  la  Corte
 costituzionale nella sentenza n. 123/1971 che "non puo'  fondatamente
 ritenersi  che,  in  violazione del principio di indipendenza sancito
 dall'art. 101, secondo comma,  della  Costituzione,  l'art.  370  del
 c.p.p.   vincoli   il   giudice   istruttore  limitandone  il  libero
 convincimento a dare esecuzione immediata e acritica  alle  richieste
 di  ulteriori atti istruttori che gli pervengano dal p.m.", mentre la
 sentenza n. 120/1984, anch'essa interpretativa di rigetto, salvata la
 costituzionalita'  degli  artt.  77  e 78 della legge n. 689/1981 sul
 presupposto che il parere espresso dal p.m. lasciava comunque intatte
 "le  attribuzioni  di  organo  giudicante  proprie  del giudice nella
 pienezza della sua liberta' di valutazione e di convincimento".
    La  disciplina  di  cui  all'art.  444  del  c.p.p. sembra inoltre
 contrastare  con  il  disposto  dell'art.  102,  primo  comma,  della
 Costituzione: tale disposizione infatti pare riservare l'esercizio di
 funzioni  giurisdizionali  a  contenuto  decisorio  al  solo   organo
 giudicante,    mentre    una   tale   competenza   non   puo'   dirsi
 costituzionalmente riconosciuta al p.m.  (cfr.  Corte  costituzionale
 sentenze  n.  148/1963,  n.  97/1975,  n.  120/1984); la fondamentale
 distinzione tra potere d'azione e potere di decisione  risulta  anche
 dagli   artt.   107,   ultimo   comma,   108  capoverso,  112,  della
 Costituzione, oltre  che  dalle  norme  sull'ordinamento  giudiziario
 esplicitamente   richiamate   dall'art.   102,   primo  comma,  della
 Costituzione.
    L'art.   444   del  c.p.p.  prevede  invece,  sostanzialmente,  un
 esercizio di potere giurisdizionale affidato alle  parti  -  p.m.  ed
 imputato   -   libere,   secondo   un   modulo   di  discrezionalita'
 insindacabile di scegliere la misura della pena che il giudice  sara'
 poi "costretto" ad applicare.
    Il  fatto  che  la  sentenza  ex  art. 444 del c.p.p. possa essere
 emanata  sulla  sola  base  di  atti  compiuti  durante  le  indagini
 preliminari,  qualunque  spessore  semantico tali atti abbiano (e non
 potendo il giudice ritenere di non poter decidere  allo  stato  degli
 atti),  sembra  comportare che puo' essere emanata una condanna senza
 accertamento di responsabilita', riducendo inoltre, entro limiti  che
 paiono angusti, la possibilita' concreta di emettere una pronuncia ex
 art. 129 del c.p.p.
    Tale  profilo  pare  porsi  in  contrasto  con gli artt. 13, primo
 comma, e 24, secondo comma, della Costituzione ove si  consideri  che
 alla  inviolabilita' della liberta' personale e del diritto di difesa
 consegue la indisponibilita' di tali  diritti,  talche'  non  sarebbe
 consentito  all'imputato  di  rinunziare ad essi accedendo ad un rito
 differenziato nell'ambito del quale puo' essere emanata una  sentenza
 di  condanna per la quale, come si legge nella relazione ministeriale
 "non occorre un positivo accertamento della responsabilita'  penale".
    Perche'  sia  emessa una sentenza di condanna ex art. 444, occorre
 che, sulla base degli atti, non possa essere pronunziata sentenza  di
 non  punibilita'  ex  art.  129  del  c.p.p.:  al  riguardo va ancora
 sottolineato  come,  non  essendo  possibile   effettuare   ulteriori
 acquisizioni  probatorie, e dovendo il giudice basarsi esclusivamente
 sul materiale in atti, qualunque valenza esso abbia, la  possibilita'
 concreta di emettere una tale sentenza resti gravemente frustrata; il
 meccanismo predisposto dall'art. 444 in somma, consente ed impone che
 per  pronunziare  sentenza  di  condanna non sia necessario il previo
 accertamento probatorio di penale responsabilita' ma,  al  contrario,
 il  mero  accertamento  che  dagli  atti non emergano le cause di non
 punibilita' di cui all'art. 129 del  c.p.p.:  sembra,  cosi'  che  si
 realizzi  una  sorta di capovolgimento del canone di cui all'art. 27,
 secondo comma, della Costituzione in quanto il principio secondo  cui
 "l'imputato   non   e'   considerato  colpevole  sino  alla  condanna
 definitiva" esige invece che sia provata la responsabilita' penale  e
 non certo l'innocenza.
    Lo  stesso  obbligo  dimotivazione  sancito  dall'art.  111, primo
 comma, della Costituzione sembra non poter essere rispettato, proprio
 in considerazione della esiguita', se non della completa carenza, del
 materiale probatorio su cui va a fondarsi la sentenza emessa ex  art.
 444  del c.p.p. (ovviamente non nel caso in cui una tale sentenza sia
 emanata all'esito del dibattimento  in  seguito  ad  una  valutazione
 negativa  del  dissenso  del p.m.), e tenuto anche conto che una tale
 sentenza  prescinde  completamente  dal  libero   convincimento   del
 giudicante  e  da  ogni  sua  valutazione nel merito, mentre, d'altro
 canto, all'enunciazione nel dispositivo che  vi  e'  stata  richiesta
 delle  parti  e' arduo assegnare il valore di motivazione. E non puo'
 sottacersi come l'obbligo di motivazione,  permettendo  un  controllo
 sulle  singole  decisioni  del giudice, sia collegato ad altri valori
 costituzionalmente garantiti  come  quelli  di  cui  agli  artt.  24,
 secondo comma, e 101, della Costituzione.
    Ne'  sembra  possa  ritenersi  al  riguardo  che  "...  quando  il
 legislatore prevede come obbligatoria l'adozione di un  provvedimento
 in  relazione al verificarsi di certe ipotesi astrattamente previste,
 l'esigenza di motivazioni del  provvedimento  e'  rispettata"  (Corte
 costituzionale, sentenza n. 68/1967), in quanto, pur prescindendo dal
 fatto che difficilmente il consenso di  p.m.  e  imputato,  formatosi
 entro  uno  spazio di ampia ed incontrollabile discrezionalita', puo'
 qualificarsi come ipotesi  astrattamente  prevista,  va  sottolineato
 come  la  motivazione  di  provvedimenti  restrittivi  della liberta'
 personale - come nel caso di specie in cui  le  parti  hanno  chiesto
 l'applicazione di una pena di mesi otto di reclusione, senza benefici
 di sorta - sia costituzionalmente garantita non solo cal citato  art.
 111,  primo  comma,  ma  anche,  ed  in  modo particolarmente inteso,
 dall'art. 13, secondo comma, della Costituzione.
    La   rilevanza,  ai  fini  della  decisione,  delle  questioni  di
 costituzionalita' prospettate e' evidente  in  quanto,  nel  caso  di
 specie,  la  richiesta  di  applicazione  della  pena ex art. 444 del
 c.p.p. e' stata effettuata congiuntamente da imputato  e  p.m.  prima
 della   dichiarazione   di   apertura   del  dibattimento,  cosicche'
 risultando verificate le condizioni  volute  dalla  legge  per  farsi
 ricorso  al  procedimento  ex  art.  44,  questo  pretore, proprio in
 applicazione di tale articolo, dovrebbe  applicare  con  sentenza  la
 pena  richiesta  basandosi  sui soli elementi acquisiti ai fini della
 convalida dell'arresto valutati all'unico fine  del  riscontro  delle
 condizioni legittimatrici del rito alternativo.
                                P. Q. M.
    Vitso l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 444  del  c.p.p.  in  relazione
 agli  artt. 101, secondo comma, 102, primo comma, 13, primo e secondo
 comma, 24, secondo comma, 27, secondo  comma,  e  111,  primo  comma,
 della Costituzione;
    Dispone  la  sospensione  del  giudizio  in  corso  e  l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  la  presente  ordinanza  sia notificata, a cura della
 cancelleria al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata  ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Pinerolo, addi' 14 marzo 1990
                           Il pretore: PELLIS

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