N. 336 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 novembre 1989
N. 336 Ordinanza emessa il 23 novembre 1989 dal pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Berrutti Giovanni e I.N.P.S. Previdenza e assistenza sociale - Pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria - Riliquidazione - Determinazione della misura - Computabilita' della retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione pensionabile prevista - Trattamento riservato ai pensionati posti in quiescenza dal 1º gennaio 1988 - Disparita' di trattamento per i pensionati in data anteriore per i quali sono esclusi la riliquidazione e la computabilita'. (Legge 11 marzo 1988, n. 67, art. 21, sesto comma; legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 19). (Cost., artt. 3, 36, 38 e 53).(GU n.23 del 6-6-1990 )
IL PRETORE A scioglimento della riserva che precede; O S S E R V A L'interpretazione dell'art. 21, sesto comma, della legge 11 marzo 1988, n. 67, sostenuta dalla difesa dei ricorrenti ed accolta da alcuni giudici di merito (cfr. le sentenze prodotte: pretura di Roma 26 gennaio-3 marzo 1989; pretura di Vercelli 7 marzo-20 marzo 1989; pretura di Torino 25 maggio 1989; pretura di Verona 7 giugno-4 luglio 1989; pretura di Gorizia 19 settembre-26 settembre 1989) non e' condivisa da questo pretore. Sono, viceversa, convincenti gli argomenti svolti nella sentenza n. 1862/1989 della pretura di Milano che, aderenti alla lettera della norma, trovano un'insuperabile conferma nelle previsioni dell'art. 3, secondo comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 544. Nell'enunciare il programma da attuare per il miglioramento dei trattamenti pensionistici, vi si fa - infatti - espresso riferimento alla "rivalutazione... delle pensioni limitate dal massimale di retribuzione pensionabile in vigore anteriormente al 1º gennaio 1988...". D'altra parte, proprio il sistema di calcolo adottato dal sesto comma dell'art. 21 della legge n. 67/1988 che fa riferimento ad un unico limite massimo (l'ultimo, tra quelli succedutisi nel tempo), dimostra anche da solo che l'aggiornamento riguarda esclusivamente le nuove pensioni, liquidate dal 1º gennaio 1988. In caso contrario, sarebbe stato necessario il richiamo delle diverse basi di calcolo, a meno di ritenere un implicito (e francamente inverosimile) aggiornamento, anche dei massimi valevoli per le pensioni precedenti, al tetto stabilito dalla legge n. 140/1985. Ne' e' accoglibile la tesi secondo cui i graduali aumenti, previsti dalla tabella allegata alla legge n. 67/1988, costituirebbero delle "quote aggiuntive", nei cui confronti varrebbero le affermazioni contenute nella sentenza n. 310 del 20 gennaio 1989 della s.C. Il termine "quota" (e piu' esattamente "quota di pensione") e' - infatti - chiaramente usato nella norma con il significato di "parte" della pensione, la cui autonomia rispetto alla "base" trova ragione solo nel sistema di calcolo adottato per la sua determinazione, tant'e' che subito si precisa che detta quota "diviene, a tutti gli effetti parte integrante di essa". L'inaccoglibilita', per le ragioni che si sono qui sinteticamente esposte, della domanda diretta ad ottenere l'immediata estensione anche ai ricorrenti (tutti titolari di pensioni liquidate prima del 1º gennaio 1988) delle nuove misure di pensione stabilite dal sesto comma dell'art. 21, da' rilievo alla questione di costituzionalita', sollevata in subordine, della norma de quo. I limiti della domanda rendono, invece, ininfluente - nel caso di specie - l'analoga questione che potrebbe essere sollevata con riferimento alle disposizioni legislative che hanno stabilito i c.d. "tetti massimi", ed, in particolare, di quelle che hanno condizionato la determinazione della stessa misura della pensione dei ricorrenti, al momento della sua liquidazione. Questo pretore ha gia' avuto occasione di occuparsi della medesima questione, investendone la Corte costituzionale con ordinanza 28 giugno-29 giugno 1989 (resa nei procedimenti riuniti 7646 + 7840 + 7987 + 7939 + 7647/88 r.g. pretura del lavoro di Milano), la quale pur coinvolgendo anche le disposizioni dell'art. 3, tredicesimo comma, della legge n. 297/1982 e dell'art. 9 della legge n. 140/1985, che qui non interessano, sviluppa argomentazioni di ordine generale che ben possono valere anche con riferimento alle sole previsioni del sesto comma dell'art. 21 della legge n. 67/1988 e dell'art. 19 della legge n. 153/1969. Non essendosi verificati nel frattempo fatti nuovi, che possano incidere sulla sua attualita', si riporta qui di seguito la motivazione che ha sorretto la predetta ordinanza; affidando ad essa anche il presente provvedimento. "Si tratta, com'e' noto, di una problematica gia' esaminata in epoca relativamente recente dalla Corte costituzionale (sentenza n. 173 del 27 giugno-7 luglio 1986), che - attraverso un approfondito vaglio delle molteplici ragioni ed argomentazioni che avevano indotto diversi giudici di merito e la stessa s.C. a dubitare della conformita' al dettato costituzionale (artt. 3, 36, 38 e 53) delle diverse disposizioni legislative che stabiliscono un limite massimo di pensione, ovvero che escludono la retroattivita' alle pensioni gia' liquidate dei successivi adeguamenti di tale limite, ovvero che non prevodono un analogo e corrispondente limite per la retribuzione soggetta a contribuzione - e' pervenuta a negarne la fondatezza. Il dibattito, riacceso dalle parti in giudizio sulla medesima problematica, non ha arricchito di intuizioni nuove o risolutive il gia' complesso e molto articolato panorama di argomenti, sottoposto in passato all'attenzione della Corte costituzionale e da questa esaminato nella sentenza n. 173/1986. L'I.N.P.S., infatti, ha sostanzialmente ripreso i passaggi piu' significativi di detta sentenza, mentre la difesa dei ricorrenti si e' dal suo canto limitata a denunciarne il carattere piu' "politico" e "giuridico" e ad evidenziare il diverso peso che in altra e successiva sentenza (la n. 101/1988) la stessa Corte ha attribuito al precetto di proporzionalita' stabilito dall'art. 36 della Costituzione ed alla estensibilita' di detto principio anche a quella forma di "retribuzione differita" che e' la pensione. Ne' - analogamente a quanto rilevato anche dal tribunale di Torino nell'ordinanza 4 maggio 1988 - questo pretore ritiene che vi siano in realta' aree o materia di esame, gia' non sondate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 173/1986. Ne consegue che la possibilita' di pervenire ad una diversa soluzione del problema, cosi' come auspicato da parte di chi, come questo pretore, ritiene fondato il dubbio di costituzionalita' sollevato dalla difesa dei ricorrenti sulla normativa ad essi applicata, rimane affidato ad un "ripensamento" sul tema, che potrebbe - da un lato - trovare radici nelle affermazioni gia' enunciate dalla Corte costituzionale circa le modalita', i limiti ed i canoni di "ragionevolezza" entro i quali puo' ritenersi consentito al legislatore ordinario di esercitare la sua discrezionalita' e - dall'altro lato - trovare nuova alimentazione nella perpetuazione e, forse, definitivita' (si pensi soprattutto alla soluzione che il problema ha trovato nella legge n. 67/1988) di un trattamento fortemente discriminato, sulla base di un elemento del tutto causale, quale e' la data di pensionamento. Circa i limiti entro i quali deve mantenersi la discrezionalita' del legislatore ordinario, questo pretore non puo' esimersi dall'osservare che tutte le argomentazioni svolte dalla Corte nella sentenza n. 173/1986 (ed, in particolare, quelle che prendono spunto dal passaggio - per effetto del d.P.R. n. 488/1968 - dal criterio assicurativo-mutualistico a quello solidaristico del sitema pensionistico, cosi' come quelle che tengono conto delle esigenze di risanamento del deficit degli enti previdenziali) si muovono su un piano che - nonostante il dettaglio nel quale la motivazione si addentra, elencando i vari interventi legislativi che hanno esteso ad una piu' vasta area di beneficiari il trattamento pensionistico ed elevato i minimi a garanzia di una reale sopravvivenza - rimane pero' sempre generale ed astratto.. La soluzione adottata dalla Corte costituzionale nasce, infatti e pur sempre, dalla contrapposizione teorica tra l'interesse collettivo e quello individuale e dalla constatazione dell'inevitabile privilegio che - in via di principio - deve essere accordato al primo rispetto al secondo, proprio alla luce della ratio che informa il dettato costituzionale. Ma se sul piano dei principi la conclusione alla quale perviene la Corte non e' assolutamente contestabile (ed e' pienamente condivisa da questo pretore), cio' che invece deve porsi in dubbio e' che essa sia di per se' assorbente ed esaustiva. La regola generale del sacrificio dell'interesse particolare rispetto a quello collettivo puo' - infatti - ritenersi correttamente invocata e correttamente applicata non solo quando il sacrificio richiesto sia davvero necessario e davvero utile, ma quando anche detto sacrificio sia equamente ripartito in capo a tutti i soggeti, che versino in analoghe condizioni. Si tratta, d'altra parte, proprio dei criteri ai quali la Corte costituzionale ha fatto costantemente riferimento, nelle piu' varie materie sottoposte al suo vaglio, per misurare la "ragionevolezza" delle scelte operate dal legislatore ordinario, nell'esercizio della discrezionalita' normativa lasciatagli dal legislatore costituzionale. In tema di pensioni non pare, pero', a questo pretore, che vi sia una tale chiarezza (anche e soprattutto a causa dell'afflusso e del prelevamento nelle e dalle stesse "casse" - quantomeno fino a epoca molto recente - di fondi concernenti le piu' svariate competenze dell'I.N.P.S.) da consentire di pervenire ad affermazioni tranquillizzanti sia per quanto concerne la necessita' del sacrificio richiesto ad una minoranza di pensionati sia per quanto concerne la sua utilita', intesa - in senso assoluto - come idoneita' a risolvere il problema in vista del quale il sacrifico e' imposto ed - in senso relativo - coma proporzionalita' tra il depauperamento patito dal singolo e l'arricchimento conseguito dalla collettivita'. Ma cio' che - anche a voler sorvolare su tali aspetti, peraltro essenziali, del problema - rimane assolutamente inspiegabile e' la decisione di mantenere ancorate le pensioni liquidate sotto la vigenza di un determinato massimale a detto massimale; e cio' anche quando e benche' la possibilita' del suo superamento non richieda ulteriori sforzi dimostrativi essendo de plano deducibile dagli incrementi dei "tetti", via via stabiliti dal legislatore. Ne consegue che le pensioni di cui sono titolari i ricorrenti, gia' svincolate dalla retribuzione percepita nel triennio precedente al loro collocamento a riposo e dalla effettiva contribuzione versata all'istituto e come tali gia' determinate in violazione (per i motivi dettagliatamente esposti nelle ordinanze, di cui si e' occupata la Corte costituzionale nell'emanare la sentenza n. 173/1986 ed alle quali questo pretore fa integrale rinvio) dei precetti contenuti negli artt. 36, 38 e 53 della Costituzione, sono anche disuguali rispetto alle pensioni, liquidate ad altri lavoratori dopo l'entrata in vigore della legge n. 67/1988, pur quando sia stata percepita nel triennio precedente al collocamento a riposo un'identica retribuzione e versata una identica contribuzione e pur quando possa essere fatta valere un'identica anzianita' di iscrizione all'I.N.P.S. E cio' in aperta violazione, a parere di questo giudice, del principio fondamentale di uguaglianza, stabilito dall'art. 3 della Costituzione ed in contrasto con le stesse indicazioni, alle quali nella piu' volte citata sentenza n. 173/1986 si e' richiamata la Corte costituzionale, ravvisando nella temporaneita' delle limitazioni il canone di ragionevolezza e, conseguentemente, di legittimita' della deroga in esame".
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, nonche' l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante ai fini del decidere e non manifestamente infondata l'eccezione di costituzionalita' dell'art. 21, sesto comma, della legge 11 marzo 1988, n. 67, nella parte in cui non prevede il ricalcolo anche delle pensioni liquidate prima del 1º gennaio 1988 per contrasto con gli artt. 3, 36, 38, secondo comma, e 53 della Costituzione e dell'art. 19 della legge 30 aprile 1969, n. 153, nella parte in cui non limita la retribuzione assoggettata a contribuzione alla concorrenza dell'importo, fissato come massimale di pensione per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione; Ordina la trasmissione, a cura della cancelleria, degli atti dei presenti giudizi riuniti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; Manda sempre alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al signor Presidente del Consiglio dei Ministri e per la sua comunicazione ai Presidenti del Senato e della Camera, cosi' come alle parti in causa. Milano, addi' 23 novembre 1989 Il pretore: MASCARELLO 90C0687