N. 341 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 marzo 1990
N. 341 Ordinanza emessa il 5 marzo 1990 dal pretore di Genova nel procedimento civile vertente tra Fugazza Antonietta e l'I.N.P.S Previdenza e assistenza sociale - Invalidi civili - Diritto alla pensione agli invalidi civili riconosciuti tali dopo il sessantacinquesimo anno di eta', condizionato alla liquidazione della prestazione in data anteriore all'entrata in vigore del d.-l. n. 25/1988 - Ingiustificata disparita' di trattamento di situazioni omogenee in base al mero elemento temporale con incidenza sul diritto a mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di invalidita' e sulla relativa tutela giurisdizionale. Altra questione: Determinazione del limite di reddito per il conseguimento della pensione sociale mediante il cumulo con il reddito del coniuge del soggetto interessato - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alle pensioni di invalidita' per le quali il cumulo e' escluso - Incidenza sui principi della tutela della famiglia, del matrimonio e dell'assicurazione di mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di vecchiaia. (D.L. 8 febbraio 1988, n. 25, art. 1, primo comma; legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 26, come modificato dal d.-l. 15 febbraio 1974, n. 30, art. 3, come convertito in legge 16 aprile 1974, n. 114, come modificato dalla legge 3 febbraio 1975, n. 160, art. 3) (Cost., artt. 3, 24, 29, 31, 38 e 113).(GU n.24 del 13-6-1990 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa promossa da Fugazza Antonietta, avv. Bordonaro, nei confronti dell'I.N.P.S., avv. Coretti. PREMESSE IN FATTO Con ricorso depositato in cancelleria il 17 agosto 1989 Fugazza Antonietta chiedeva la condanna dell'I.N.P.S. al pagamento in suo favore della pensione sociale. Affermava che la commissione provinciale invalidi civili l'aveva riconosciuta invalida al 100% ma che, nonostante cio', l'I.N.P.S. aveva respinto la sua richiesta di pensione di invalidita' civile perche' lo stato di invalidita' era stato riconosciuto dopo che essa aveva compiuto il sessantacinquesimo anno di eta'. Sosteneva che il rifiuto dell'I.N.P.S. al riconoscimento della pensione era illegittimo in quanto, a suo dire, il limite dei sessantacinque anni non doveva ritenersi nella fattispecie operante stante le modifiche introdotte in materia dell'art. 1 del d.-l. 8 febbraio 1988, n. 25, convertito in legge 21 marzo 1988, n. 93. In via subordinata la ricorrente sollevava questione di legittimita' costituzionale del precitato art. 1 del d.-l. n. 25/1988 per violazione degli art. 3 e 38 della Costituzione. L'I.N.P.S. si costituiva in giudizio e resisteva alla domanda. All'udienza di discussione il pretore, ritenuta fondata e rilevante quella prospettata dalla difesa della ricorrente, sollevava d'ufficio altra questione di legittimita' costituzionale (dell'art. 26 della legge 30 aprile 1989, n. 30, e successive modificazioni e integrazioni, in relazione agli artt. 3, 29 e 38 della Costituzione), sospendeva quindi il giudizio ordinando la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Considerazioni in diritto 1. - La questione qui trattata si inserisce nel seguente quadro normativo. L'art. 26 della legge n. 153/1969 attribuisce il diritto al conseguimento di una pensione sociale ai cittadini ultra-sessantacinquenni sprovvisti di reddito. L'art. 3 della legge n. 114/1972, stabilisce i limiti reddituali per il diritto a tale pensione (limiti poi aumentati dall'art. 3 della legge n. 160/1975), disponendo, tra l'altro, che in caso di soggetto coniugato si deve tener conto, cumulando con quello dell'interessato, del reddito del coniuge. L'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, attribuisce ai mutilati e invalidi civili di eta' superiore agli anni diciotto nei cui confronti sia stata accertata una totale inabilita' lavorativa una pensione a carico dello Stato e a cura del Ministero dell'interno. L'art. 19 della stessa legge prevede che, in sostituzione della pensione di invalidita', i mutilati e invalidi civili al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' sono ammessi al godimento della pensione sociale su comunicazione della prefettura. Il sistema cosi' delineato dal legislatore si presentava del tutto coerente posto che l'art. 12 gia' citato richiedeva per la pensione di invalidita' civile gli stessi requisiti di reddito previsti dalla legge n. 153/1969 per la pensione sociale. Successivamente pero' (art. 1 della legge n. 29/1977) il legislatore ha raddoppiato per gli invalidi civili assoluti il limite di reddito ed ha escluso per tutti gli invalidi il cumulo di redditi tra coniugi (art. 14-septies della legge n. 3/1980). Le condizioni reddittuali richieste per il conseguimento del diritto alla pensione sociale sono divenute in tal modo piu' restrittive rispetto a quelle previste per la pensione di invalidita' civile. La sospensione della perequazione automatica del limite di reddito per gli invalidi civili (disposta dall'art. 9 della legge 26 febbraio 1982, n. 54) ha determinato un riavvicinamento dei limiti di reddito tra le due pensioni, ma la divaricazione permane sopratutto a causa della regola del cumulo dei redditi prevista ora per le sole pensioni sociali (nonostante la legge 15 aprile 1985, n. 140, abbia disposto un aumento della pensione sociale spettante anche ai soggetti da essa esclusi in base alle condizioni di reddito ma pur sempre rientranti entro certi limiti fissati in riferimento all'intero nucleo famigliare). In tale contesto normativo si era affermata la prassi amministrativa di riconoscere il diritto alla pensione sociale anche a soggetti riconosciuti invalidi civili dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di eta' e che non rientravano nei limiti reddittuali previsti per tale pensioni. Agli ultrasessantacinquenni veniva cioe' riconosciuta la pensione sociale (di cui non avrebbero avuto diritto) come se si trattasse di conversione di una pensione di invalidita' civile da essi in realta' mai goduta. Tale prassi e' stata giudicata illegittima sia dal giudice ordinario che da quello amministrativo che hanno precisato che, ove non preesista un trattamento pensionistico di invalidita', non vi puo' essere pensione sociale se non per i soggetti che fruiscono del reddito per tale ultima pensione previsto. Sono quindi intervenuti tre provvedimenti legislativi volti a sanare la situazione che si era venuta cosi' a creare: il d.-l. 9 dicembre 1987, n. 425, non convertito in legge, che si proponeva di legittimare la prassi di cui si e' detto rendendola anzi legge per il futuro. Disponeva infatti l'art. 1 che gli invalidi civili erano ammessi al godimento della pensione sociale anche se riconosciuti invalidi dopo il sessantacinquesimo anno di eta'. il d.-l. 8 febbraio 1988, n. 25, con cui il Governo si riproponeva - come meglio si dira' in seguito - il piu' limitato obiettivo di intervenire sulle situazioni gia' verificatesi disponendo la corresponsione delle prestazioni gia' liquidate in base alla prassi di cui si e' detto (art. 1, primo coma) e la liquidazione delle prestazioni conseguenti alle delibere dei comitati provinciali di assistenza e beneficienza pubblica pervenuti all'istituto alla data di entrata in vigore del decreto (art. 1, secondo comma). la legge 21 marzo 1988, n. 93, che ha convertito in legge il sopra citato decreto, ha lasciato invariato il primo comma dell'art. 1 sopprimendo il secondo e aggiungendo un secondo articolo del seguente tenore: "restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodotti e i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto legge 9 dicembre 1987, n. 495". Per completare questa ricostruzione si ricorda infine che la Corte costituzionale e' intervenuta due volte nella materia: con la sentenza 7 luglio 1988, n. 769, che ha dichiarato l'inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 del d.-l. 23 dicembre 1976, n. 850, convertito nella legge 21 febbraio 1977, n. 29, e dell'art. 14-septies del d.-l. 30 dicembre 1979, n. 663, sollevata dal pretore di Modena in riferimento agli artt. 3 e 38, primo comma, della Costituzione e con l'ordinanza 16 marzo 1989 che ha disposto la restituzione degli atti al giudice a quo (pretore di Parma) per un riesame della rilevanza della questione sollevata riguardante l'art. 1, primo comma, del d.-l. 8 febbraio 1988, n. 25, in riferimento agli artt. 3, 38, 24 e 113 della Costituzione. 2. - Nella fattispecie oggetto del presente giudizio risulta che la ricorrente presento' domanda di pensione di invalidita' quando gia' aveva compiuto sessantacinque anni e che, una volta che fu accertata la sua invalidita' totale, la prefettura segnalo' il suo nominativo all'I.N.P.S. prima dell'entrata in vigore del d.-l. n. 25/1988. Secondo la Fugazza cio' sarebbe sufficiente a realizzare il suo diritto al conseguimento della pensione sociale (in ricorso parla di assegno di accompagnamento ma la dizione e' stata poi corretta dal difensore in sede di discussione) in base alla legge n. 93/1988. Tale affermazione non e' condivisibile. L'art. 1 di detta legge non e' applicabile alla fattispecie, in quanto il suo tenore letterale (che fa riferimento alle prestazioni "gia' liquidate") e le ratio della norma (nel decreto legge n. 25/1988, di cui la legge e' la conversione, e' espressamente detto che il provvedimento mirava ad assicurare ai minorati civili la prosecuzione dell'erogazione di provvidenze economiche statali) rendono evidente che esso riguarda solo le pensioni liquidate dall'I.N.P.S. prima dell'entrata in vigore del decreto e non erogate in base alle pronuncie giurisprudenziali di cui si e' detto piu' sopra. Nella fattispecie oggetto del presente giudizio gli unici provvedimenti amministrativi che risultano emessi alla data di entrata in vigore del citato decreto sono: l'accertamento medico dello stato di invalidita' (aprile 1986), comunicazione della prefettura all'I.N.P.S. (17 dicembre 1983) e richiesta dell'I.N.P.S. alla ricorrente dei documenti necessari "ai fini di una eventuale concessione della prestazione" (6 febbraio 1987). Nessuno di questi atti puo' essere equiparato al riconoscimento del diritto alla pensione o alla sua liquidazione. Piu' fondato appare certamente il riferimento all'art. 2 della legge che, come si e' visto, fa salvi gli effetti del d.-l. 9 dicembre 1987, n. 495, che aveva reso possibile in ogni caso la liquidazione della pensione sociale agli invalidi riconosciuti tali dopo i sessantacinque anni, in base ai limiti di reddito previsti per la pensione di invalidita' civile. Ma a un esame piu' approfondito della fattispecie neppure questa norma puo' valere nel senso indicato dalla ricorrente. Si e' gia' detto che il d.-l. n. 495/1987 non e' stato convertito in legge, esso pertanto ha perso efficacia "sin dall'inizio" (art. 77 della Costituzione). L'art. 2 della legge n. 93/1988 deve essere dunque considerata come norma dettata dal legislatore per "regolare i rapporti giuridici" sorti sulla base del decreto non convertito (art. 77 citato). La disciplina da applicare alla fattispecie e' dunque, non direttamente quella del decreto-legge non convertito, ma quella della legge successivamente intervenuta (v. in tal senso, circa i rapporti tra decreto non convertito e legge Cass. 20 maggio 1979, n. 3034) e siccome questa fa salvi solo gli atti e provvedimenti adottati, gli effetti prodotti e i rapporti sorti sotto la vigenza di quel decreto-legge occorre qui accertare se nel detto periodo siano venuti a giuridica esistenza specifici atti, provvedimenti, effetti o rapporti che valgono come attribuzione del diritto alla pensione sociale alla ricorrente. Si tratta cioe' di verificare l'esistenza di effetti giuridici gia' verificati ed esistenti nel mondo giuridico e non di creare ora per allora effetti giuridici sulla base del decreto non convertito. Nessun atto risulta essere stato posto in essere dall'I.N.P.S. nei confronti della ricorrente sotto la vigenza del d.-l. 9 dicembre 1987, n. 495, ne' risulta che all'entrata in vigore di quel decreto fossero gia' sorti rapporti giuridici tra i due soggetti aventi l'effetto preteso dalla ricorrente. Gli atti piu' sopra richiamati sono tutti precedenti e solo prodromici rispetto all'accertamento del diritto alla pensione. In particolare non e' possibile attribuire il valore di riconoscimento di tale diritto o di atto costitutivo del rapporto alla segnalazione della prefettura all'I.N.P.S. Anche nel periodo di vigenza del d.-l. n. 495/1987 infatti l'attribuzione della pensione sociale non conseguiva automaticamente a seguito di tale segnalazione essendo comunque necessario il controllo da parte dell'ente erogatore della sussistenza del requisito redittuale previsto "per l'erogazione delle prestazioni economiche da parte del Ministero dell'interno" (art. 1 del decreto-legge citato). 3. - La disciplina delineata al n. 1 non sembra a questo pretore possa sottrarsi ai dubbi di legittimita' costituzionale sollevati dalla difesa della ricorrente (gli stessi espressi dal pretore di Parma nella ordinanza 27 febbraio 1988 e 8 aprile 1988 che hanno dato luogo all'ordinanza 16 marzo 1989 della Corte costituzionale gia' citata) e che nella fattispecie, per i motivi esposti al paragrafo n. 2, sono senz'altro rilevanti. Come sopra si e' visto infatti quelle discipline e' nella fattispecie ostativa al riconoscimento del diritto alla pensione vantato dalla ricorrente. La questione costituzionale riguarda in particolare l'art. 1, primo comma, del d.-l. 8 febbraio 1988, n. 25. Questo articolo, come gia' si e' detto, autorizza l'I.N.P.S. alla corresponsione delle pensioni agli invalidi di civili, riconosciuti tali dopo il compimento del sessantacinquesimo anno, alla condizione che la liquidazione della prestazione sia anteriore all'entrata in vigore del d.-l. n. 25/1988. In tal modo esso realizza un'evidente discriminazione tra soggetti che si trovano nell'identica situazione, tale discriminazione, basata com'e' su un dato meramente temporale riferito all'andamento dell'iter burocratico di accertamento dei presupposti del diritto alla pensione, e' palesemente irrazionale e, in ultima analisi, iniquo. Da cio' la violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione. Conseguentemente risultano violati anche gli artt. 34, 24 e 113 della Costituzione in quanto i soggetti nei cui confronti non si e' realizzato il requisito temporale di cui si e' detto sono, per questo motivo, privati della possibilita' di vedersi assicurati mezzi di sussistenza adeguati alle proprie necessita' di cui avrebbero astrattamente diritto e di conseguire tale diritto attraverso provvedimenti giudiziali. 4. - Ma i dubbi di costituzionalita' che la disciplina rilevante nella fattispecie fa nascere nell'interprete non sono, a giudizio di questo pretore, solo questi. E' evidente che il problema di fondo in tutta la questione e' quello relativo alla divaricazione che il legislatore, sopratutto con la disposizione dell'art. 14-septies della legge n. 33/1980, ha realizzato tra le condizioni redittuali richieste per il conseguimento della pensione civile di invalidita' e quelle richieste per la pensione sociale specie con il cumulo dei redditi tra coniugi escluso per la prima e previsto per la seconda. (Per i rilievi circa l'incoerenza di tale divaricazione si rimanda alla sentenza 7 luglio 1988, n. 765, della Corte costituzionale). Qui pero' non si intende riproporre la questione fondata sulla disparita' di trattamento prevista per i due tipi di pensione, questione dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale nella sentenza da ultimo citata. Si intende invece portare l'attenzione sulla (e dubitare della legittimita' costituzionale della) disparita' di trattamento che la norma che prevede per la pensione sociale il cumulo dei redditi tra coniugi realizza tra soggetti coniugati e soggetti non coniugati e tra famiglia legittima e altre formazioni sociali o collettivita' minori. Sotto il primo punto di vista non sembra a questo pretore contestabile che la disparita' di trattamento tra soggeti coniugati e non coniugati sia conseguenza diretta delle norme in esame posto che, come noto, la comunione dei beni prevista come regime generale dei rapporti tra coniugi degli artt. 177 e segg. del codice civile non coinvolge tutti i beni dei coniugi ed esclude comunque i loro redditi (che ne entrano a far parte solo nel momento del suo scioglimento: art. 117, lettera c). Senza dire che al regime della comunione legale i coniugi possono sostituire quello della separazione dei beni (art. 215 del codice civile). Ne' vale a revocare un dubbio quanto sopra affermato la circostanza che l'art. 3 della legge n. 114/1974, che ha sostituito l'originario testo dell'art. 26 della legge n. 153/1969, fissi limiti di reddito differenziati a seconda che si tratti di reddito individuale ovvero di soggetto coniugato perche' cio' non puo' certo impedire che soggetti coniugati il cui reddito individuale rientrerebbe nei limiti previsti per i non coniugati si vedano esclusi dal beneficio in questione a causa del cumulo del proprio reddito con quello del coniuge. Cio' si risolve, a giudizio di questo pretore, in una evidente violazione del principio di eguaglianza tra cittadini. Ma da quanto sopra detto consegue anche una situazione di trattamento deteriore della famiglia "fondata sul matrimonio" rispetto ad altre formazioni sociali o comunita' minori, che pure, al pari di quella, sono caratterizzate dal vincolo solidaristico tra i partecipanti (famiglia di fatto, comunita' religiose o di fratelli) e quindi la violazione degli artt. 29 e 31 della Costituzione. Il trattamento sulla famiglia di compiti assistenziali che la Costituzione (art. 38 ultimo comma) attribuisce allo Stato costituisce un ulteriore motivo per dubitare della legittimita' della norma in parola. Circa la rilevanza della questione, che questo pretore ha sollevato d'ufficio, si rileva che la Fugazza nel presente giudizio ha chiesto l'attribuzione della pensione sociale (si veda il verbale d'udienza) e che dal tenore del ricorso introduttivo si evince che essa non ha potuto usufruire direttamente di tale prestazione a causa della disposizione legislativa che prevede per tale pensione il cumulo dei redditi tra i coniugi. Ove tale disposizione non esistesse essa avrebbe diritto al conseguimento della pensione sociale in riferimento al suo reddito individuale pur non avendo goduto in precedenza della pensione di invalidita' (v. parag. 1).
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1941, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione costituzionale dell'art. 1, primo comma, del d.-l. 8 febbraio 1988, n. 25, in relazione agli artt. 3, 38, primo comma, 24 e 113, della Costituzione; Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, come modificato dagli artt. 3 del d.-l. 15 febbraio 1974, n. 30 (convertito nella legge 16 aprile 1974, n. 114) e 3 della legge 3 febbraio 1975, n. 160, nella parte in cui, al fine della determinazione del reddito massimo per il diritto alla pensione sociale dispone che il reddito dell'interessato sia cumulato con quello del coniuge, in relazione agli artt. 3, 29, primo comma, 31 e 38, della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso; Ordina che il presente provvedimento, a cura della cancelleria, sia notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicato al Presidente delle due camere del Parlamento. Genova, addi' 5 marzo 1990 Il pretore: VIGOTTI 90C0692