N. 360 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 marzo 1990
N. 360 Ordinanza emessa il 2 marzo 1990 dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura di Torino nel procedimento penale a carico di Bouizgar El Mostafa Processo penale - Nuovo codice - Norme transitorie - Reato di competenza pretorile - Richiesta di archiviazione al g.i.p. Mancata condivisione - Ritenuta preclusione a chiedere ulteriori indagini anche in caso di carenza di quelle gia' effettuate Ingiustificata discriminazione rispetto all'analogo rito presso il tribunale - Violazione del principio di obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale - Lamentata impossibilita' di esercitare un controllo sull'operato del p.m. - Richiesta di esame anche di questione conseguenziale. (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 157). (Cost., artt. 3 e 112).(GU n.24 del 13-6-1990 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letti gli atti del procedimento penale sopraindicato; O S S E R V A Il 10 febbraio 1990 Bouizgar El Mostafa, cittadino di nazionalita' marocchina, veniva fermato per un controllo dai vigili urbani di Torino, mentre si trovava alla giuda di un'autovettura e, poiche' sprovvisto di patente di guida, veniva contravvenuto per il reato previsto e punito dall'art. 80, tredicesimo comma, del codice della strada. I verbalizzanti davano, successivamente, la prescritta comunicazione di notizia di reato al procuratore della Repubblica presso questa pretura circondariale e prendeva, cosi', inizio il presente procedimento. Alcuni giorni dopo, e cioe' il 14 febbraio, veniva prodotta agli atti fotocopia di patente di guida, apparentemente rilasciata al Bouizgar da autorita' del Marocco, con relativa traduzione giurata delle voci contenute in tale documento, fatta in cancelleria dal medesimo interessato. Conseguentemente, il pubblico ministero richiedeva a questo giudice l'archiviazione del procedimento. Effettivamente, allo stato, non sussistono obiettivi e concreti elementi per esercitare l'azione penale nei confronti del predetto Bouizgar che, almeno a quanto appare in atti, risulta titolare di una regolare patente di guida. Emerge anche, con altrettanta evidenza, pero', l'assoluta necessita' di compiere altre indagini in relazione all'autenticita' e alla validita' del documento di cui e' stata prodotta soltanto una fotocopia, per giunta abbastanza annerita e poco leggibile. Se, oltre a cio', si tiene altresi' conto delle circostanze in cui la citata fotocopia e' stata prodotta (il Bouizgar, ai vigili che pure stavano eseguendo il sequestro dell'autovettura, non ha affatto detto di essere in possesso di una fotocopia della patente, ma ha semplicemente dichiarato di averla smarrita) e del fatto che si tratta di un documento rilasciato da autorita' straniere e, come tale, di piu' difficile intrinseca valutazione, ancor maggiormente si avverte l'esigenza di altre indagini che eliminino ogni possibile dubbio circa la commissione del reato di cui si tratta da parte del Bouizgar. Poiche', pero', tali indagini non sono state svolte ed il pubblico ministero, accontentandosi degli elementi finora acquisiti agli atti, ha ritenuto di dover richiedere l'archiviazione del procedimento, si e' creata esattamente le situazione prevista e disciplinata dall'art. 157 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, cui questo giudice e' chiamato a dare applicazione, provvedendo, da una parte, ad emettere il richiesto decreto di archiviazione e, dall'altra parte, ad informare il procuratore generale presso la corte d'appello, affinche' tale organo, qualora ne ravvisi i presupposti, richieda la riapertura delle indagini a norma dell'art. 414 del c.p.p. Se, pertanto, tale norma fosse viziata da illegittimita' costituzionale, il presente procedimento non potrebbe essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita', non avendo questo giudice, nel caso di specie, altra possibilita', diversa dalla concreta applicazione della richiamata disposizione di legge. Da qui la rilevanza della questione che si ritiene di dover proporre al vaglio della Corte costituzionale potendosi ravvisare, nel citato art. 157 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale una violazione ai principi contenuti negli artt. 3 e 112 della Costituzione, che non appare manifestamente infondata e che, percio', determina questo giudicante a sollevare d'ufficio la questione. Ed invero, la disposizione di legge in esame e' stata dettata, evidentemente, dalla necessita', avvertita dal legislatore, di integrare la disciplina contenuta nel terzo comma dell'art. 554 del codice di procedura penale, con il quale viene previsto e regolato il caso in cui il giudice per le indagini preliminari, nel procedimento davanti al pretore, non ritenga di accogliere la richiesta di archiviazione del pubblico ministero. Con quest'ultima norma, infatti, viene offerta al giudice per le indagini preliminari che non ritenga di poter accogliere la richiesta di archiviazione, come unica possibilita', quella della restituzione degli atti al pubblico ministero per la formulazione dell'imputazione. E cio' sul presupposto, evidentemente, che tutte le possibili indagini comunque siano state svolte, tutti i potenziali autori del reato siano stati esattamente individuati. Dinanzi ad un fatto chiaro ed accertato nel procedimento, in altri termini, il legislatore ha previsto, con la disposizione in parola, la possibilita' che il giudice attribuisca a tale fatto un rilievo giuridico diverso dalla valutazione del pubblico ministero che ne richiedeva l'archiviazione, assegnandogli il potere di ordinare all'organo dell'accusa la formulazione dell'imputazione, cosi', tra l'altro, riaffermando il principio della prevalenza della valutazione dell'organo giurisdizionale su quella del rappresentante del potere d'accusa. Il caso in cui, invece, non siano state per niente svolte indagini ovvero esse siano insufficienti, non e' disciplinato con l'art. 554 del codice di procedura, pur verificandosi con notevole frequenza, dal momento che e' piu' che naturale che il pubblico ministero, che non ravvisi nei fatti gli estremi per promuovere l'azione penale, non inizi proprio le indagini ovvero le interrompa, una volta che si convinca a richiedere l'archiviazione del procedimento. Tale lacuna deve aver determinato il legislatore ad introdurre la disposizione che si assume viziata da illegittimita' costituzionale. E non vi e' dubbio che gia' sul piano della sua concreta applicazione, la citata disposizione appare estremamente contraddittoria sotto l'aspetto logico. Ci si puo' chiedere, ad esempio, a quale principio logico risponda l'obbligo di emettere decreto di archiviazione per il giudice che, invece, rilevi "l'esigenza di ulteriori indagini", cosi' come non si comprende affatto perche' mai il giudice, nel disporre che venga informato il procuratore generale presso la corte d'appello, debba, in pratica, anticipare la sua decisione in ordine all'eventuale successiva richiesta di riapertura delle indagini. Se, infatti, il procuratore generale dovesse richiedere la riapertura delle indagini, il giudice sarebbe gia' vincolato, nell'emettere il decreto previsto dall'art. 414 del c.p.p., dalla sua stessa segnalazione, a meno di non incorrere in una contraddizione ancor piu' clamorosa con il diniego dell'autorizzazione. Quel che, pero', in questa sede rileva, e' il principio introdotto con la disposizione in parola. Se, infatti, si raffrontano le espressioni contenute nella predetta norma, subito si nota che, a fronte dell'esigenza di ulteriori indagini rilevata dal giudice, corrisponde solo un potere per il procuratore generale presso la corte d'appello di richiedere la riapertura delle indagini, qualora, peraltro, tale organo ne ravvisi i presupposti, il che equivale a dire "a suo insindacabile giudizio". Non vi e' dubbio, invero, che la valutazione circa l'esistenza dei presupposti per la eventuale richiesta di riapertura delle indagini affidata dal legislatore al procuratore generale presso la corte d'appello, senza alcuna possibilita' di riesame di tale valutazione da parte di altri organi giurisdizionali e dopo che il giudice per le indagini preliminari abbia gia' rilevato l'esigenza di altre indagini, si traduce in un potere sostanzialmente discrezionale e del tutto insindacabile. E cio', a parere di questo giudice, contrasta con il principio contenuto nell'art. 112 della Costituzione, con cui si impone al pubblico ministero l'obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale. E' vero che la valutazione affidata, con la norma in parola, al procuratore generale presso la corte d'appello non e' relativa all'esercizio dell'azione penale, bensi' all'esistenza dei relativi, necessari presupposti, ma e' altrettanto vero che un tale potere, praticato senza il sindacato di organi della giurisdizione e, anzi, in contrario avviso all'esigenza gia' rilevata da un giudice, equivale, di fatto, a discrezionalita' dell'esercizio dell'azione penale. Intanto l'obbligo stabilito dalla Costituzione per il pubblico ministero puo' avere reale valore e concreta osservanza, in quanto sia prevista la possibilita' per gli organi giurisdizionali di controllare le valutazioni ed i provvedimenti a tal riguardo adottati del pubblico ministero, con facolta' di modificarne le decisioni assunte, soprattutto se da esse consegua il mancato esercizio dell'azione penale. In questa ottica, del resto, appare orientato il legislatore che ha dato vita al nuovo codice di procedura penale, se e' vero - come e' vero - che il pubblico ministero non puo' provvedere direttamente all'archiviazione del procedimento, ma puo' soltanto farne richiesta al giudice delle indagini preliminari, chiamato, percio', ad esercitare un controllo sostanziale sulla citata richiesta e se e' vero - come si e' gia' rilevato - che, in caso di contrastanti valutazioni, prevale quella del giudice su quella del pubblico ministero. Tale aspetto appare ancora piu' evidente alla luce della disposizione contenuta nel quarto comma dell'art. 409 del codice di procedura penale, in conseguenza della quale il giudice per le indagini preliminari, nei procedimenti di competenza del tribunale, se ritiene necessarie altre indagini, provvede ad indicarle con ordinanza al pubblico ministero, fissandogli un termine per il relativo compimento. Questa norma, in altri termini, fissa con incisivita' e chiarezza assolute il principio della indispensabile necessita' del controllo, anche di merito, degli organi giurisdizionali sul potere-dovere del pubblico ministero dell'esercizio dell'azione penale. La disposizione contenuta nel quarto comma dell'art. 409 del codice di procedura penale, percio', da una parte conferma i prospettati dubbi circa il contrasto dell'art. 157 delle norme di attuazione con il principio contenuto nell'art. 112 della Costituzione e, dall'altra parte, rende necessario un controllo di legittimita' della richiamata norma anche in relazione al principio di uguaglianza fissato dall'art. 3 della Costituzione. Non si comprende, infatti, perche' mai nei procedimenti di competenza del tribunale il legislatore abbia riconosciuto al giudice il citato, incisivo potere di richiedere al pubblico ministero lo svolgimento delle indagini ritenute necessarie che, invece, risulta negato nei procedimenti di competenza del pretore. Tale disparita' di intervento, invero, non trova un'apparente giustificazione, ne' in relazione alla gravita' dei reati assegnati alle rispettive competenze, ne' nel principio di massima semplificazione del procedimento pretorile contenuto nella direttiva 103 della legge delega. Se, infatti, si considera che il concetto di gravita' del reato e' fissato dal legislatore attraverso la previsione della relativa sanzione, si puo' subito osservare come, soprattutto alla luce della nuova aumentata competenza pretorile, molti reati assegnati alla competenza del tribunale debbano essere ritenuti meno gravi di altri reati, anch'essi numerosi, assegnati, invece, alla competenza del pretore. Se, poi, si ha riguardo alla maggiore semplificazione del procedimento davanti al pretore dettata dal legislatore delegante, ugualmente oscura rimane la ragione della rilevata disparita' di normativa. Da una parte, infatti, il sistema previsto dalle norme di attuazione, cosi' come rilevato, non semplifica affatto il corso del procedimento, ma, se mai, attribuisce ad un organo del pubblico ministero la possibilita' di non esercitare l'azione penale. Ed in secondo luogo, proprio in un'ottica di prosecuzione del procedimento, appare sicuramente piu' macchinoso il criterio secondo il quale prima si archivi il procedimento e successivamente si disponga la riapertura delle indagini, di quello, invece, che, con maggiore semplicita', consenta di approfondire subito con altre indagini gli eventuali punti oscuri del fatto, prima di decidere se provvedere con l'archiviazione ovvero con l'esercizio dell'azione penale. Delineate, cosi', le ragioni per le quali, a parere di questo giudice, non appare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale che si ritiene di sollevare d'ufficio, pare opportuno rilevare come la eventuale declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 157 delle norme di attuazione al codice di procedura penale necessariamente inciderebbe anche sui principi informatori della disposizione contenuta nel successivo art. 158 che, ancorche' non rilevante nel caso di specie, riguarda, pur sempre, il problema della generale normativa dettata dal legislatore nel disciplinare l'istituto dell'archiviazione nel procedimento di competenza del pretore. Anche con la disciplina introdotta con l'art. 158 delle norme di attuazione, infatti, viene praticamente riconosciuto al procuratore generale presso la corte d'appello un potere discrezionale che potrebbe avere effetti ricollegabili direttamente al dovere di esercizio dell'azione penale. E cio', perche' non e' riconosciuto al giudice per le indagini preliminari di imporre la prosecuzione delle indagini al pubblico ministero nel procedimento pretorile. Tale ultima disposizione, nel regolare il caso che il giudice imponga al pubblico ministero di formulare l'imputazione, non accogliendo la relativa richiesta di archiviazione, contribuisce a dare una risposta ad una serie di interrogativi che, in mancanza, avrebbero potuto sorgere sulla base della sola disposizione contenuta nel secondo comma dell'art. 554 del codice di procedura penale. Senonche', nel disciplinare il potere di vocazione del procuratore generale presso la corte d'appello a tal riguardo, il legislatore ha finito con il riconoscere un diverso termine per la formulazione dell'imputazione. Se, infatti, il procuratore generale si avvale del potere di avocazione, egli avra' a sua disposizione il termine di trenta giorni, previsto dall'art. 554, secondo comma, che espressamente richiama l'art. 412 del codice e dalla formulazione letterale usata con il dettato del terzo comma dell'art. 158 delle norme di attuazione, diversa da quella adottata a proposito del termine fissato al pubblico ministero, se, al contrario, il procuratore generale non ritiene di avvalersi della facolta' di avocare, il pubblico ministero avra' soltanto cinque giorni per la formulazione dell'imputazione. Cio', ovviamente, fa sorgere l'istintiva preoccupazione che anche con tale disposizione si sia lasciato spazio per una pratica violazione al principio contenuto nell'art. 112 della Costituzione. Il brevissimo termine assegnato al pubblico ministero ed il limite della sola formulazione dell'imputazione a lui imposta, necessariamente creano una sostanziale diversita' nell'andamento del procedimento e nell'approfondimento delle relative indagini rispetto al caso in cui il procuratore generale ritenga di avvalersi del potere di avocazione, cosi' sfruttando il piu' lungo termine previsto e la possibilita' di compiere gli "adempimenti previsti dagli artt. 555 e seguenti del codice". Se, pertanto, fosse stata richiesta un'archiviazione sulla base di materiale probatorio scarso e da approfondire ed il giudice avesse ritenuto di non accogliere tale richiesta senza che il procuratore generale, esercitando una facolta' discrezionale, non avesse ritenuto di disporre l'avocazione del procedimento, il brevissimo termine di cinque giorni assegnato al pubblico ministero, per giunta ai fini della sola formulazione dell'imputazione, potrebbe equivalere, su un piano concreto e sostanziale, al mancato esercizio dell'azione penale. E tutto cio', sempre in apparente ingiustificata difformita' da quanto, invece, avviene per i procedimenti di competenza del tribunale.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, affinche' la Corte valuti la legittimita' costituzionale dell'art. 157 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, in relazione agli artt. 3 e 112 della Costituzione e sospende il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata dal cancelliere anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Torino, addi' 2 marzo 1990 Il giudice: CASALBORE 90C0722