N. 371 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 marzo 1990

                                 N. 371
     Ordinanza emessa il 16 marzo 1990 dal tribunale di Torino nel
          procedimento penale a carico di Lo Giudice Carmelino
 Processo  penale  -  Procedimento  in corso all'entrata in vigore del
 nuovo codice - Formalita' di apertura del dibattimento gia'  esperite
 -  Applicazione  della  pena  richiesta  dall'imputato  Esclusione  -
 Conseguente inapplicabilita' della diminuente ex art.  444 del c.p.p.
 1988  -  Disparita'  di trattamento tra imputati secondo lo stato dei
 relativi procedimenti - Lesione del principio di  applicazione  della
 legge  piu'  favorevole  al  reo - Mancato perseguimento dell'intento
 deflattivo perseguito dal legislatore.
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 248).
 (Cost., artt. 3, 25 e 97).
(GU n.25 del 20-6-1990 )
                              IL TRIBUNALE
    Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza   sull'eccezione   di
 incostituzionalita' dell'art. 248 delle  disposizioni  attuative  del
 c.p.p.  per violazione dell'art. 3 della Costituzione e del principio
 di ragionevolezza, sollevata dalla difesa di Lo Giudice Carmelino;
    Sentito il pubblico ministero che ha concluso per la irrilevanza e
 manifesta infondatezza della questione sollevata;
                             O S S E R V A
    1. - Sulla rilevanza della questione;
    Il presente procedimento, instaurato secondo il vecchio c.p.p., ha
 visto l'apertura del dibattimento il 5 maggio 1989; successivamente a
 tale  udienza,  in  cui  si  e' proceduto a istruzione, vi sono state
 alcune udienze di mero  rinvio  dovuto  a  diversa  composizione  del
 collegio,  nell'ambito delle quali ne' l'imputato ne' la difesa hanno
 potuto  presentare  richieste  di  alcun  genere;  in  data   odierna
 l'imputato  ha  richiesto  l'applicazione del patteggiamento ai sensi
 dell'art. 248 delle disposizioni attuative del c.p.p., sollevando  la
 predetta  questione di incostituzionalita' con riferimento al decorso
 termine di decadenza stabilito nel suddetto articolo.
    Il  p.m. non ha prestato il suo consenso esclusivamente sulla base
 della lettera della norma citata, non sollevando questioni  circa  il
 merito della richiesta.
    Il tribunale ritiene corretta la richiesta dell'imputato sia sotto
 il profilo della  qualificazione  giuridica  della  fattispecie,  sia
 sotto  il  profilo  delle  attenuanti proposte e della condizionale e
 reputa non sussistere, alla luce dell'istruttoria sin  qui  compiuta,
 gli  estremi  di  cui  all'art.  129 del c.p.p. Pertanto la questione
 sollevata dalla difesa appare rilevante, posto che la sua risoluzione
 incide  appunto sulla adottabilita' dell'istituto del patteggiamento.
    2. - Sulla manifesta infondatezza.
    Nel valutare la fondatezza o meno della questione sollevata appare
 preliminare analizzare la natura della norma di cui all'art. 248  con
 riferimento  a  quella di cui all'art. 444 del c.p.p.; in particolare
 appare  preliminare  stabilire  se  tali  istituti   abbiano   natura
 processuale  ovvero  sostanziale  giacche'  nel  primo caso infondata
 sarebbe la questione proposta alla luce del  principio  tempus  regit
 actum  che  disciplina  la  successione  delle  leggi processuali nel
 tempo.
    Indubbiamente  l'istituto del patteggiamento in via ordinaria e in
 via   transitoria   esplica   efficacia   squisitamente   processuale
 determinando una modifica del rito applicabile.
    Peraltro  gli  effetti  ulteriori che tale norma produce sul piano
 della  quantificazione  della  pena  e  della  esclusione   di   pene
 accessorie  hanno  sicuramente  carattere  sostanziale; cio' non puo'
 essere messo in dubbio anche alla luce  delle  argomentazioni  svolte
 dalla  Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.  66/1990  la' dove,
 trattando dell'istituto del giudizio abbreviato - del tutto simile al
 patteggiamento  per  quanto  qui  interessa  -  ha  riconosciuto  che
 "l'accordo delle parti sul rito ha pure un  effetto  sul  merito:  in
 caso di condanna tale accordo comporta, invero, una diminuzione della
 pena  per  il  solo  fatto  dell'adozione  del  rito  speciale".  Ne'
 l'esempio fatto dal p.m. appare del tutto pertinente: e' vero infatti
 che anche il provvedimento  di  amnistia  ha  effetti  sostanziali  -
 l'estinzione  del  reato - e che non e' mai stata sollevata questione
 di costituzionalita'  per  disparita'  di  trattamento  fra  imputati
 rientranti  o  esclusi  dall'operativita'  del  provvedimento solo in
 relazione alla data del commesso reato; ma cio'  costituisce  riprova
 di   quanto  si  asserisce  giacche'  mai  puo'  porsi  questione  di
 disparita' di trattamento fra situazioni diverse  quali  sono  quelle
 con differenti dati di commissione del reato.
    Cio'  premesso  e'  pertanto evidente la disparita' di trattamento
 sostanziale che la  norma  di  cui  all'art.  248  cit.  produce  con
 riferimento  alle  due  categorie  di  imputati  (del  medesimo reato
 commesso in identica data) che si trovano rispettivamente nella  fase
 processuale  precedente  o  in  quella  successiva  all'apertura dell
 dibattimento; disparita' di trattamento collegata a  circostanza  del
 tutto  occasionale ed indipendentemente dalla volonta' dell'imputato,
 non essendo la  fissazione  del  processo  nella  disponibilita'  del
 medesimo.
    Viene  in  rilievo,  fatte tali premesse, la disciplina dettata in
 tema di successione nel tempo di leggi penali  dall'art.  2  c.p.  In
 proposito  si e' sostenuto che il principio di irretroattivita' della
 legge penale costituzionalmente statuito dall'art. 25  secondo  comma
 dovrebbe  essere necessariamente integrato da quello di cui al citato
 art. 2 sul principio di applicazione della legge piu'  favorevole  al
 reo. Cio' a parere del tribunale appare condivisibile non tanto sotto
 il profilo della attribuzione di forza costituzionale al principio di
 cui  all'art.  2  del  c.p., quanto sotto quello di riconoscimento al
 medesimo di rilevanza costituzionale, nel senso  che  una  norma  che
 intendesse  contravvenire  a  tale  principio  dovrebbe  rispondere a
 principi anch'essi di rilevanza costituzionale.
    Tali  diversi principi costituzionali potrebbero individuarsi, per
 quel che qui  interessa,  in  quelli  garantiti  dall'art.  97  della
 Costituzione,  sotto  il  profilo  del  buon andamento dell'attivita'
 giudiziaria. E' infatti del tutto  ovvio  che  a  tale  principio  si
 ispirino   le   norme  di  cui  agli  artt.  248  della  disposizione
 transitoria e 444 del c.p.p.: l'effetto deflattivo da loro  originato
 perseguirebbe  proprio  lo  scopo  di  meglio sfruttare le risorse di
 persone e mezzi dell'apparato giudiziario.
    Il  legislatore del 1989 ha inteso in realta' persegure un intento
 deflattivo di maggiore portata rispetto a quello che  si  ricaverebbe
 dalla   semplice  lettura  dell'art.  444.  Infatti  l'aver  previsto
 l'applicabilita' in via transitoria  anche  sugli  istituti  previsti
 dall'art.  599  in sede di appello autorizza a ritenere che l'intento
 di fondo fosse quello di evitare qualunque  attivita'  dibattimentale
 anche  successiva  all'appertura  del  dibattimento  di  primo grado,
 sfruttando a tal fine le procedure abbreviate.
    Pertanto  si appalesa irragionevole la limitazione posta dall'art.
 248 della disposizione transitoria la' dove non  si  prevede,  per  i
 dibattimenti   gia'   aperti  alla  data  del  24  ottobre  1989,  la
 possibilita' di chiedere il  rito  speciale  sia  pure  eventualmente
 fissando un congruo termine.
    Con  cio'  si  sarebbe  evitata la differenza di trattamento fra i
 dibattimenti non ancora aperti e quelli gia' iniziati  tenendo  cosi'
 conto  della  evidente  impossibilita'  dell'imputato  di  richiedere
 l'applicazione della pena prima  dell'entrata  in  vigore  del  nuovo
 codice.
    Una   tale  previsione  avrebbe  pienamente  rispettato  l'effetto
 deflattivo  che  ha  informato  l'intero  sistema  del  nuovo  c.p.p.
 comprese  le  norme transitorie dello stesso evitando la prosecuzione
 di dibattimenti in ipotesi  anche  lunghi  e  complessi  seppur  gia'
 iniziati  e  avrebbe  inoltre  pienamente  rispettato il principio di
 rilevanza costituzionale dell'art. 2 del c.p.
    Pertanto   conclusivamente   questo   Tribunale   ritiene  che  la
 disposizione di cui all'art. 248 delle disposizioni transitorie nella
 sua   mancata  previsione  per  i  procedimenti  in  fase  successiva
 all'apertura  del  dibattimento  di  un  termine  per   chiedere   il
 patteggiamento   contrasti  con  l'art.  3  della  Costituzione,  per
 ingiustificata disparita' di trattamento, 25,  secondo  comma,  e  97
 della Costituzione.
    Il giudizio deve pertanto essere sospeso con rimessione degli atti
 alla Corte costituzionale.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  rilevante e non manifestamente infondata la questione di
 illegittimita' costituzionale sollevata dalla difesa  di  Lo  Giudice
 Carmelino dell'art. 248 delle disposizioni transitorie del c.p.p. con
 riferimento agli artt. 3, 25 e 97 della Costituzione nella  parte  in
 cui  non  prevede, per i procedimenti in fase successiva all'apertura
 del dibattimento  di  primo  grado,  un  termine  per  esercitare  la
 facolta'  di  richiedere l'applicazione della pena su richiesta delle
 parti ex art. 444 del c.p.p.;
    Ordina  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzione e
 dispone che la presente ordinanza sia notificata  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  e comunicata ai Presidenti dei due rami del
 Parlamento;
    Sospende  il  giudizio  in corso e dispone il rinvio a nuovo ruolo
 del procedimento.
      Torino, addi' 16 marzo 1990
                                    Il presidente: (firma illeggibile)
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