N. 284 SENTENZA 11 - 14 giugno 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Nuovo codice - Rito abbreviato - Riduzione della
 pena - Mancanza di graduazione con la natura del reato e la
 personalita' del soggetto - Originalita' di un istituto finalizzato
 ad incentivare le richieste di tale rito - Non fondatezza.
 
 (C.P.P. 1988, artt. 442, secondo comma, e 561, terzo comma).
 
 (Cost., art. 3).
 
 Processo penale - Nuovo codice - Rito abbreviato - Riduzione della
 pena - Consenso del p.m. - Disattivazione facoltativa dell'azione
 penale in contrasto con la sua obbligatorieta' Potere rientrante nel
 quadro delle funzioni e responsabilita' del p.m. - Non fondatezza.
 
 (C.P.P. 1988, art. 560, secondo comma).
 
 (Cost., art. 112).
(GU n.25 del 20-6-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giovanni CONSO;
 Giudici:  prof.  Ettore  GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Renato  DELL'ANDRO,  prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,  avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 442, secondo
 comma, 561,  terzo  comma,  e  560,  secondo  comma,  del  codice  di
 procedura  penale  del  1988,  promosso  con  ordinanza  emessa il 27
 novembre 1989 dal pretore di Ragusa nel procedimento penale a  carico
 di  Chebiha  Ali',  iscritta  al  n. 11 del registro ordinanze 1990 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  4,  prima
 serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  21 marzo 1990 il giudice
 relatore Mauro Ferri;
                           RITENUTO IN FATTO
    1.  -  Nel  corso del procedimento penale a carico di Chebiha Ali'
 (imputato dei reati di cui agli artt. 495 del  codice  penale  e  152
 T.U.L.P.S.),  il  pretore  di  Ragusa,  in funzione di giudice per le
 indagini preliminari, ha sollevato, con  ordinanza  del  27  novembre
 1989,  questione  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 442,
 secondo comma, e 561, terzo comma, del codice di procedura penale del
 1988  in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nonche' dell'art.
 560, secondo comma, dello stesso codice in riferimento  all'art.  112
 della Costituzione.
    Premesso  che,  su  richiesta  dell'imputato e con il consenso del
 pubblico ministero, si procede nelle forme del  giudizio  abbreviato,
 il giudice remittente rileva quanto segue:
       a)  la  violazione  dell'art. 3 della Costituzione deriva dalla
 possibilita', prevista dall'art. 442, secondo comma,  del  codice  di
 procedura  penale,  di  ottenere da parte dell'imputato una riduzione
 della pena per cause non dipendenti ne' dalla gravita' intrinseca del
 reato,  ne'  dalla  personalita'  del soggetto, ma esterne a queste e
 collegate esclusivamente allo stato di attivazione delle  indagini  e
 all'apprezzamento,   discrezionale   e  insindacabile,  del  pubblico
 ministero. La  possibilita'  di  un  trattamento  discriminatorio  e'
 insita  nella  aleatorieta'  stessa  del  criterio  introduttivo  del
 giudizio abbreviato, sulla quale la condotta  dell'imputato  -  anche
 successiva al reato - non ha alcun peso. Se si considera, prosegue il
 giudice a quo, che la condizione perche' il pubblico ministero  possa
 aderire  alla richiesta di giudizio abbreviato e' data dallo stato di
 appariscenza della colpevolezza o  comunque  dallo  stato  cui  sara'
 giunta  la sua attivita' di investigazione, non si vede in cio' quale
 merito possa avere l'imputato per  essere  avvantaggiato  rispetto  a
 quello  nei  cui  confronti  la  ricerca della prova si presenti piu'
 complessa e duratura. E' facile figurarsi situazioni  ingiuste,  come
 quella  di  due  coimputati  dello  stesso  reato  puniti  in  misura
 differente  secondo  il  momento  in  cui  si   e'   evidenziata   la
 possibilita' di riconoscerne la rispettiva responsabilita'.
    Anche   nella  relazione  al  codice  si  legge  che  erano  state
 manifestate perplessita' sul piano  dei  principi  per  il  fatto  di
 offrire  un  premio all'imputato senza altra contropartita che quella
 di esonerare la giustizia dall'obbligo di fare fino in fondo  il  suo
 corso,  che  non  significa  necessariamente,  a differenza di quanto
 avviene nel patteggiamento della pena, agevolare l'accertamento della
 verita';
       b)  la  violazione dell'art. 112 della Costituzione si verifica
 nella parte in cui e' consentito al pubblico ministero,  che  esprime
 il  suo consenso alla richiesta di giudizio abbreviato, di rinunciare
 al proseguimento dell'attivita'  investigativa  e  a  quei  mezzi  di
 prova,   gia'   individuati   o  individuabili,  necessari  all'esito
 dell'azione   penale.   L'accettazione   del   giudizio   abbreviato,
 comportando  l'abbandono  da  parte  del  pubblico  ministero di ogni
 ulteriore iniziativa indagatrice  o  diretta  alla  formazione  della
 prova,  puo' concretamente tradursi in una disattivazione facoltativa
 dell'azione penale, contraria al principio della sua obbligatorieta'.
 Il  pericolo  si  prospetta,  prosegue  il  giudice  remittente,  con
 maggiore evidenza nel processo  pretorile,  dove  il  meccanismo  del
 giudizio  abbreviato  puo'  innestarsi  (art.  560,  primo  comma) in
 qualsiasi momento delle indagini preliminari, indipendentemente dallo
 stato  di  esse,  con  la  conseguenza  di far venir meno, a giudizio
 insindacabile del pubblico ministero, in tutto  o  in  parte  la  sua
 attivita' di impulso processuale.
    Ne'  la  possibilita'  del  giudice  di imporre il rito ordinario,
 prevista dall'art. 562 del codice di procedura penale, e' strutturata
 come  un  mezzo  di  controllo  sull'uso  della facolta' del pubblico
 ministero di fermarsi allo stato degli atti o di  andare  avanti.  In
 definitiva,  conclude  il  giudice  a  quo,  la facolta' del pubblico
 ministero di accettare la chiusura anticipata del  processo  potrebbe
 essere  ammessa soltanto in quanto cio' implichi un giudizio negativo
 sulla   produttivita'   ai   fini   dell'accusa   della   protrazione
 dell'inchiesta; ma attualmente la legge non e' in questo senso.
    2.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, concludendo per l'infondatezza delle questioni.
    Rileva  l'Avvocatura  che con l'istituto del giudizio abbreviato -
 nella direzione dell'accentuazione dell'aspetto della  parita'  delle
 parti  da  un  lato, e in accordo con la finalita' di deflazionare il
 dibattimento dall'altro - si  e'  consentito  alle  parti  stesse  di
 valutare  i  vantaggi  e  gli  svantaggi  che  possono  loro derivare
 dall'evitare  la  fase  dibattimentale  e,   sulla   base   di   tale
 valutazione,  di  concordare  la  scelta del rito. Ne consegue che le
 norme sul rito abbreviato hanno  natura  esclusivamente  processuale;
 che  la  scelta  del  rito  non  e' un diritto dell'imputato, essendo
 subordinata all'assenso del pubblico ministero e alla valutazione del
 giudice;  che  la diminuzione di pena prevista dall'art. 442, secondo
 comma,  non  e'  un'attenuante  di  diritto   sostanziale,   ma   una
 contropartita  processuale  ai  sacrifici  fatti  dall'imputato nello
 scegliere il rito abbreviato (rinuncia al dibattimento, utilizzazione
 degli atti del pubblico ministero, limiti all'appello).
    Pertanto,  non  vi  e'  violazione  dell'art. 3 della Costituzione
 perche' non vi sono posizioni di partenza uguali,  ma  situazioni  in
 fatto  diverse,  che giustificano l'assenso del pubblico ministero in
 un caso e non in un altro; non e' la  norma  ordinaria  che  crea  la
 disuguaglianza,  se  questa si vuol ipotizzare, ma la scelta concreta
 dell'imputato.
    Quanto, poi, all'art. 112 della Costituzione, osserva l'Avvocatura
 che  l'obbligatorieta'  dell'azione  penale   attiene   all'esercizio
 dell'azione  e  non  ai  suoi  modi  e  che,  sia  pur  attraverso il
 patteggiamento  sul  rito,   si   giunge   ad   un   giudizio   sulla
 responsabilita', il cui esito non incide sul principio costituzionale
 qui in discussione, che impone al pubblico ministero di agire, non di
 ottenere ad ogni costo la condanna.
                         Considerato in diritto
    1.  - Il pretore di Ragusa sottopone alla verifica di questa Corte
 la legittimita' costituzionale degli artt. 442, secondo comma, e 561,
 terzo  comma,  del codice di procedura penale del 1988 in riferimento
 all'art. 3 della Costituzione, nonche' dell'art. 560, secondo  comma,
 dello stesso codice in riferimento all'art. 112 della Costituzione.
    Con  la  prima  questione  il giudice a quo ravvisa nell'art. 442,
 secondo  comma,  richiamato  dall'art.  561,  terzo  comma,  per   il
 procedimento  davanti  al  pretore,  una violazione dell'art. 3 della
 Costituzione, poiche'  la  riduzione  della  pena  ivi  prevista  non
 sarebbe  in rapporto alla natura del reato, ne' alla personalita' del
 soggetto,  bensi'  a  cause  esterne  non  collegate  alla   condotta
 dell'imputato,   cosi'   da   rendere  possibile  una  ingiustificata
 disparita' di trattamento fra imputati del medesimo reato.
    Con la seconda questione lo stesso giudice ritiene che l'art. 560,
 secondo comma, possa confliggere con l'art. 112  della  Costituzione,
 in  quanto  il  consenso  del  pubblico  ministero  alla richiesta di
 giudizio  abbreviato,  comportando  l'abbandono  di  ogni   ulteriore
 iniziativa  indagatrice,  potrebbe  tradursi  in  una  disattivazione
 facoltativa dell'azione penale contraria al principio  costituzionale
 della sua obbligatorieta'.
    2. - La prima questione non e' fondata.
    Con  le  sentenze  nn. 66 e 183 del 1990 la Corte, nel prendere in
 esame l'art. 247  delle  norme  di  attuazione,  di  coordinamento  e
 transitorie  del codice di procedura penale, approvate con d. lgs. 28
 luglio 1989 n. 271, e l'art. 452, secondo comma, (trasformazione  del
 giudizio  direttissimo  in giudizio abbreviato) del codice stesso, ha
 dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  delle   norme   citate,
 rispettivamente  con le sentenze n. 66 e n. 183 del 1990, nelle parti
 in cui non prevedono che il pubblico ministero, in caso di  dissenso,
 debba  enunciarne  le  ragioni,  e che il giudice, a dibattimento o a
 giudizio  direttissimo  concluso,  ove  ritenga   ingiustificato   il
 dissenso,  possa applicare, in caso di condanna, la riduzione di pena
 contemplata dall'art. 442,  secondo  comma,  del  vigente  codice  di
 procedura penale.
    L'ordinanza  di  rimessione  del  pretore  di  Ragusa, mettendo in
 dubbio la legittimita' costituzionale della norma  che  prevede  come
 necessaria   conseguenza   dell'adozione   del   rito  abbreviato  la
 diminuzione  della  pena  di  un  terzo,  (o  la  sostituzione  della
 reclusione  di  trent'anni  all'ergastolo), contesta l'istituto nella
 sua essenza. E' infatti del  tutto  evidente  come  l'esclusione  del
 beneficio  della  diminuzione della pena toglierebbe l'incentivo piu'
 forte alla richiesta del giudizio abbreviato da parte  dell'imputato.
    2.1.  -  Dal  complesso  dei  lavori  preparatori si evince che il
 giudizio abbreviato rappresenta una delle novita' di maggior  rilievo
 del  nuovo  codice  di  procedura penale. Le sue caratteristiche sono
 state indicate nei principi e criteri contenuti al n. 53 della  legge
 di delega 16 febbraio 1987 n. 81. Esso costituisce pertanto il frutto
 di una scelta operata dal Parlamento, diretta, cosi' come per  quanto
 attiene  gli  altri procedimenti speciali del libro sesto del codice,
 attraverso la diminuzione dei giudizi da celebrarsi secondo  il  rito
 ordinario,  al  superamento  di  uno degli inconvenienti piu' gravi e
 lamentati della  giustizia  italiana,  quello  dei  tempi  di  durata
 eccessivamente lunghi dei processi.
    "Indubbiamente  l'innovazione  del giudizio abbreviato" - si legge
 nella relazione al progetto preliminare - "crea una  commissione  tra
 decisioni   processuali  e  trattamento  sanzionatorio  dell'imputato
 responsabile e questa commissione,  per  il  nostro  ordinamento,  ha
 caratteri  di assoluta originalita'. L'innovazione, come si e' detto,
 e' determinata dalla finalita' pratica di creare  un  incentivo  alla
 richiesta  di giudizi abbreviati da parte degli imputati, ed e' certo
 che  l'assenza  dell'incentivo   renderebbe   l'istituto   pressoche'
 inutile".
    E'   comprensibile   che  una  novita'  di  tale  portata  susciti
 perplessita' nei  giudici,  ed  anche  riserve  in  una  parte  della
 dottrina.  Ma,  -  ripetesi  -,  essa  scaturisce  da  una scelta del
 legislatore, che, se puo' apparire in  contrasto  con  taluni  canoni
 tradizionali  del  nostro  sistema  penale,  non viola l'art. 3 della
 Costituzione sotto il profilo  invocato  dal  remittente  pretore  di
 Ragusa.
    2.2.    -   Ad   escludere   la   possibilita'   del   trattamento
 discriminatorio ravvisata dal giudice a  quo,  basta  osservare  come
 l'adozione  del rito abbreviato col conseguente beneficio, in caso di
 condanna, della riduzione della pena, non che estranea alla  condotta
 dell'imputato,  presuppone  al  contrario  l'impulso costituito dalla
 richiesta dell'imputato stesso. Tale richiesta comporta  la  rinuncia
 alle   maggiori  possibilita'  di  verifica  dei  fatti  offerte  dal
 dibattimento, nonche' una limitazione del potere di proporre  appello
 contro la sentenza pronunciata a conclusione del giudizio.
     Che   poi   si  tratti  di  un'attivita'  dell'imputato  in  sede
 processuale, non attinente percio' alla  commissione  del  reato,  e'
 altra  questione  che,  come  e' stato detto innanzi, rappresenta uno
 degli elementi caratterizzanti il nuovo istituto, ma che nulla  ha  a
 vedere  con  l'art.  3 della Costituzione. Del resto, gia' l'art. 133
 del vigente codice penale prevede, ai fini della determinazione della
 pena,  che  venga  presa  in considerazione la condotta dell'imputato
 contemporanea o susseguente al reato; in tal senso la  richiesta  del
 giudizio  abbreviato  contribuisce ad un'attuazione piu' rapida della
 giustizia. Nemmeno puo' essere considerato  in  contrasto  con  detto
 art.   3   il  fatto  che  la  richiesta  dell'imputato,  presupposto
 indefettibile, non  sia  tuttavia  sufficiente  perche'  il  giudizio
 abbreviato  abbia  corso.  Il  consenso  del  pubblico ministero e il
 controllo del giudice, il quale "dispone il  giudizio  abbreviato  se
 ritiene che il processo possa essere definito allo stato degli atti",
 costituiscono condizioni connaturate alla logica del  nuovo  tipo  di
 giudizio.  L'adozione  di questo nel caso concreto non potrebbe certo
 essere determinata dalla sola  volonta'  dell'imputato,  espressa  in
 funzione   dell'apprezzamento  dei  propri  interessi  di  difesa;  e
 comunque le differenze di trattamento sanzionatorio che derivano  dal
 consenso  o  meno  da parte del pubblico ministero e dalla decisione,
 favorevole o sfavorevole, del giudice scaturiscono da una  diversita'
 di  situazioni  di  mero  fatto,  che, in quanto tali, non concernono
 posizioni omogenee comparabili.
     3.  -  Nemmeno la questione relativa all'art. 560, secondo comma,
 in riferimento all'art. 112 della Costituzione, e' fondata.
     Esattamente  osserva  l'Avvocatura  dello  Stato  che  l'art. 112
 impone al pubblico ministero l'obbligo di esercitare l'azione penale,
 ma  nulla  stabilisce  -  ne' potrebbe essere altrimenti, non essendo
 materia da disciplinarsi a livello costituzionale -, circa i tempi  e
 i  modi nei quali l'azione stessa debba essere espletata. L'impugnato
 secondo comma dell'art. 560 dispone che  il  pubblico  ministero,  se
 "presta il consenso" alla richiesta del giudizio abbreviato formulata
 nel corso delle indagini  preliminari  dalla  persona  sottoposta  ad
 esse,  emette decreto di citazione a giudizio e trasmette gli atti al
 giudice per le indagini preliminari. Basta rilevare che tale  decreto
 contiene  fra  l'altro  l'imputazione,  la  cui  formulazione implica
 l'esercizio  dell'azione  penale  (art.  405,   primo   comma),   per
 concludere   che  l'azione  penale  e'  effettivamente  esercitata  e
 costituisce l'essenza di tutta l'attivita' del pubblico ministero: il
 potere  di  consentire  che  essa  possa  sfociare  (salva  sempre la
 decisione del giudice  in  proposito)  nel  nuovo  tipo  di  giudizio
 denominato  abbreviato  rientra cosi' nel quadro delle sue funzioni e
 delle  sue  responsabilita'.  Ne  segue  che  alla   regolamentazione
 adottata  dal  legislatore  ordinario  non puo' muoversi l'appunto di
 mancato rispetto dell'art. 112 della Costituzione, sotto  il  profilo
 dedotto nell'ordinanza di rimessione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 442, secondo comma, e 561, terzo  comma,  del  codice  di
 procedura   penale   del   1988   in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione, sollevata dal pretore  di  Ragusa  con  l'ordinanza  in
 epigrafe;
    Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 560, secondo comma, del codice di procedura penale del 1988
 in  riferimento  all'art.  112  della  Costituzione, sollevata con la
 medesima ordinanza.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 giugno 1990.
                          Il Presidente: CONSO
                          Il redattore: FERRI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 14 giugno 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C0771