N. 418 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 aprile 1990

                                 N. 418
 Ordinanza  emessa  il  10  aprile  1990  dal  tribunale  di Lecce nel
 procedimento penale a carico  di  Tarricone  Luciano  (Reg.  ord.  n.
 418/1990)
 Processo  penale  -  Reati  commessi  col  mezzo  della stampa - Rito
 previsto: giudizio direttissimo, anche in assenza delle condizioni di
 cui  all'art.  449 del c.p.p. - Conseguente soppressione dell'udienza
 preliminare - Irrazionale disparita' di trattamento  Limitazione  del
 diritto  di liberta' di stampa - Compressione del diritto di difesa -
 Violazione dei principi e direttive  della  legge  delega  -  Mancata
 tutela dell'efficienza dell'amministrazione giudiziaria.
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 233, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 21, 24, 76 e 97).
(GU n.27 del 4-7-1990 )
                              IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  letta  in  udienza sulla
 questione di legittimita' costituzionale  sollevata  di  ufficio,  si
 osserva;
    Nel   progetto   preliminare   delle   norme  di  coordinamento  e
 transitorie del nuovo codice, venne formulato l'art. 24, che constava
 di  un solo comma, del tutto analogo al primo comma dell'attuale art.
 233 del d.lgs. 271/1989. La norma rimase  invariata  (salvo  divenire
 art.  23)  nel progetto definitivo, con l'osservazione che non si era
 ritenuto "di accogliere il  parere  della  commissione  parlamentare,
 secondo  cui andrebbero mantenuti in vita il giudizio direttissimo in
 materia di armi e di reati a  mezzo  stampa.  Le  ragioni  addotte  a
 fondamento  della  disposizione  nel  testo  del progetto preliminare
 sembrano invero conservare la loro validita' anche in relazione  alle
 ipotesi segnalate per l'esclusione".
    In  particolare,  la  nota  illustrativa  all'originario  art.  24
 spiegava che si era voluto riservare al p.m. "il potere  di  adottare
 la forma del rito giudicata piu' opportuna"; potere che, nell'assetto
 processuale  precedente,  era  stato  "sempre  piu'  compresso  dalla
 tendenza,    gia'    manifestatasi    nell'immediato   dopoguerra   e
 massicciamente incrementata  dalla  legislazione  dell'emergenza,  ad
 introdurre  ipotesi  di  giudizio  direttissimo  obbligatorio, talora
 svincolate  dalla  non  specialita'  delle  indagini".  Si  osservava
 inoltre   che   dalla  prevista  abrogazione  non  sarebbero  discese
 conseguenze di rilievo, in quanto "da un  lato,  se  ne  ricorrono  i
 presupposti,  sara'  sempre  possibile  adottare  il  rito  speciale;
 dall'altro, le caratteristiche del nuovo processo sono  gia'  di  per
 se'  idonee a garantire le esigenze tutelate dalle leggi speciali con
 la previsione del rito direttissimo obbligatorio".
    Il  collegio  ritiene  che  la diversita' di trattamento dei reati
 commessi col mezzo della stampa rispetto agli  altri,  sia  priva  di
 razionale   giustificazione  e  costituisca  un  mero  residuo  della
 concezione  del  rito  direttissimo  propria  del   vecchio   sistema
 processuale,  nel  quale  il  legislatore,  soprattutto  del  periodo
 dell'emergenza,     non      era      motivato      da      finalita'
 garantistico-accusatorie,   ma   dal   desiderio   di  stimolare  una
 repressione "fulminea e spettacolarmente esemplare".
    In  particolare,  la  norma  di  cui  all'art. 21 legge n. 47/1948
 intendeva invitare ad una  discutibile  "cautela"  gli  utenti  della
 nuova liberta' prevista dalla Costituzione, la liberta' di stampa.
    Sotto  questi  profili,  quindi,  l'art.  233  cpv  del  d.lgs. n.
 271/1989 appare  in  contrasto  coi  principi  di  uguaglianza  e  di
 liberta' di stampa (art. 3 e 21 della Costituzione).
    Vi sono poi altre considerazioni.
    La  fase  processuale  anteriore  al  dibattimento assume, sia nel
 vecchio che nel nuovo sistema, una funzione  di  tutela  dei  diritti
 dell'indagato  e  dell'efficienza  dell'amministrazione  giudiziaria,
 come sanciti dagli artt.  24  e  97  della  Costituzione,  in  quanto
 consente   di   accertare   i   casi   piu'   evidenti  di  innocenza
 dell'indagato, evitando allo stesso la sofferenza del giudizio,  alla
 societa' il suo costo, economico e di credibilita'. Nel vecchio rito,
 tuttavia, tale funzione veniva sminuita dal regime processuale  degli
 atti  raccolti  nell'istruzione,  i quali, pienamente utilizzabili al
 dibattimento mediante  il  meccanismo  delle  letture,  finivano  col
 precostituire gli elementi per la decisione.
    Nel nuovo rito, invece, tale ultimo aspetto della indagine viene a
 cadere, si' che la  stessa  assume  esclusivamente  una  funzione  di
 filtro  delle  notitiae  criminis infondate, azzardate e comunque non
 abbastanza consistenti (cfr. art. 125 del d.lgs. n. 271/1989).
    Conseguentemente,  a  fronte dell'art. 368 del vecchio c.p.p., che
 sanciva  un  generico  obbligo   di   verificare   le   dichiarazioni
 dell'imputato,  l'art. 358 del nuovo c.p.p. ha previsto l'obbligo del
 p.m. di  svolgere  accertamenti  su  fatti  e  circostanze  a  favore
 dell'indagato.  Tale disposizione, criticata da coloro che sostengono
 una concezione del processo penale rimesso al solo gioco delle parti,
 non  vuole  certo  attribuire  al  p.m. compiti diretti di difesa, ma
 soltanto l'obbligo di verificare con particolare cura la  sussistenza
 dei  presupposti  positivi  (e  l'assenza  di  quelli  negativi)  per
 l'esercizio dell'azione penale, nella prospettiva degli artt. 24 e 97
 della Costituzione.
    Orbene,  nel  caso  di  reati  commessi per mezzo della stampa, la
 prova  della  colpevolezza   postula   l'infondatezza   dell'exceptio
 veritatis  (la  falsita',  gratuita  o  comunque inutile sconvenienza
 dell'affermazione  offensiva),  che  puo'  essere   verificata   solo
 attraverso le opportune indagini del p.m.
    Del  rispetto  dell'obbligo  predetto  e'  normalmente  garante  e
 controllore, nel nuovo sistema processuale,  il  giudice,  il  quale,
 nell'udienza  preliminare,  ha anche il potere di indicare alle parti
 "temi nuovi o incompleti" (art. 422, primo comma, del c.p.p.).
    A  tale  principio si fa eccezione laddove la prova sia evidenze e
 sia rispettato il termine di cui all'art. 454 del c.p.p., nel caso di
 giudizio  immediato,  ma  sempre  con  l'autorizzazione  del  g.i.p.;
 oppure, senza autorizzazione del g.i.p. e  col  rispetto  di  termini
 revissimi,  in  ipotesi particolarmente qualificate di prova evidente
 (arresto  in  flagranza,  confessione),  per  il  caso  di   giudizio
 direttissimo.
    Invece,  per il giudizio direttissimo in materia di stampa, nessun
 controllo e' possibile sul rispetto dell'art. 358 del c.p.p. da parte
 del p.m., con violazione, per quanto si e' detto, degli artt. 24 e 97
 della Costituzione.
    Ne'  puo'  sottacersi  un  ultimo,  e  forse  decisivo, rilievo di
 illegittimita'.
    Il  punto  43) dell'art. 2 legge-delega sanciva il potere del p.m.
 di citare l'imputato per  il  giudizio  direttissimo,  nei  casi  poi
 trasfusi  nell'art.  449 del codice. Correlativamente, la citata nota
 illustrativa all'art. 24 del progetto preliminare  norme  transitorie
 enunciava  l'intento  di  riservare al p.m. "il potere di adottare la
 forma del rito giudicata piu' opportuna".
    Tale  potere,  nel  caso previsto dall'art. 233 cpv. del d.lgs. n.
 271/1989,  e'  diventato  un  dovere,  in  chiara  violazione   della
 legge-delega  (e  quindi  dell'art.  76  della Costituzione), che del
 resto ancorava lo stesso potere a ben precisi presupposti (quelli  di
 cui  all'odierno art. 449 del c.p.p.), completamente trascurati dalla
 norma censurata.
    E'  evidente  la rilevanza, nel presente giudizio, delle questioni
 proposte, non essendo stati rispettati i termini ex art. 449,  quinto
 comma, del c.p.p.
                                P. Q. M.
    Solleva  d'ufficio  e  dichiara  non  manifestamente  infondata  e
 rilevante ai fini del presente giudizio la questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art. 233, secondo comma, del d.lgs. n. 271/1989,
 limitatamente alle parole "e per i reati commessi con il mezzo  della
 stampa",  per  contrasto  con  gli  artt.  3,  21,  24, 76 e 97 della
 Costituzione;
    Sospende  il  giudizio in corso ed ordina l'emmediata trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Si  notifichi  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e si
 comunichi ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
                   Il presidente: (firma illeggibile)

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