N. 421 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 aprile 1990
N. 421 Ordinanza emessa il 10 aprile 1990 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Uldanh Massimiliano ed altro Processo penale - Nuovo codice - Rito abbreviato - Dissenso immotivato e vincolante del p.m. - Insindacabilita' da parte del giudice - Conseguente inapplicabilita' della diminuente ex art. 442, secondo comma, del c.p.p. 1988 - Disparita' di trattamento tra imputati secondo la determinazione del p.m. - Compressione dell'esercizio del diritto di difesa - Limitazione del potere decisorio del giudice ad opera di una parte (p.m.) in ordine alla misura della pena - Elusione del divieto di sottrazione del giudizio al giudice naturale - Attivita' decisoria attribuita al p.m. - Violazione dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali. (C.P.P. 1988, artt. 438, 439, 440 e 442). (Cost., artt. 3, 25, 101 e 111).(GU n.27 del 4-7-1990 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza; A scioglimento della riserva nel proc. pen. n. 577/90 r. gip; Pronunciando sull'eccezione di incostituzionalita' degli artt. 438 e segg. del c.p.p. in relazione agli artt. 3, 25, 111 della Costituzione proposta dall'avv. G. Dal Fiume difensore di Uldanh Massimiliano nel processo penale a carico di quest'ultimo (in concorso con altri due), imputato, in istato di arresti domiciliari, del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv., del c.p. 72, primo e secondo comma, della legge n. 19 685/75; Sentito il pubblico ministero (dott. F. Saluzzo) che aderisce all'eccezione; PREMESSO IN FATTO che nel corso di udienza preliminare gli imputati Uldanh Massimiliano e La Forgia Roberto tempestivamente formulavano richiesta di definizione del processo con giudizio abbreviato, alla quale, pero', si opponeva il p.m., sul presupposto che fosse necessaria l'audizione degli agenti di p.g. che avevano proceduto all'arresto (in fragranza) degli imputati, motivando cosi' il suo dissenso con l'inidoneita' dello stato degli atti a sortire una definizione anticipata rispetto alle forme del rito ordinario; che il g.u.p., preso atto della mancanza di consenso del p.m. e del carattere vincolante dello stesso, rigettava la richiesta e ordinava procedersi con le forme ordinarie, rimettendo le parti alle conclusioni ai sensi dell'art. 421, terzo comma, del c.p.p.; che il difensore dell'imputato Uldanh Massimiliano eccepiva che l'ordinanza reiettiva era stata emessa sulla base di norme (artt. 438 del c.p.p.) costituzionalmente illegittime, per violazioni degli artt. 3, 25 e 111 della Costituzione, laddove principalmente non e' dato al giudice di sindacare il dissenso del p.m. e perche' si rende, cosi', possibile una disparita' di trattamento sanzionatorio, da annettersi alla opinabilita' delle valutazioni del p.m. ed alla mancata applicazione della diminuzione di un terzo della pena, disparita' che, invece, recentemente sono state eliminate dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 66/1990 (e con declaratoria della illegittimita' dell'art. 247 delle disp. trans. del c.p.p.), nell'omologa disciplina transitoria per il caso di diniego del p.m. al consenso; RITENUTO IN DIRITTO che l'eccezione e' rilevante, perche' implica una censura di legittimita' dell'attivita' processuale in corso, dato che, se questa avesse le diverse forme del giudizio abbreviato piuttosto che quelle ordinarie, avrebbe connotati e conseguenze diverse sotto l'aspetto sostanziale, prima ancora che sotto quello formale, per la possibile applicabilita' della diminuzione di pena di cui all'art. 442, secondo comma, del c.p.p., talche' non e' indifferente al presente giudizio l'applicazione delle norme, della cui legittimita' costituzionale si discute; che la fragranza del reato, da cui e' caratterizzata nella specie la posizione degli imputati, nonche' la chiamata in correita' dell'Uldanh da parte del La Forgia (vds. verbale di udienza di convalida di arresto), costituiscono elementi validi per la valutazione positiva della "rilevanza" della questione, dovendo ad essi rapportarsi la delibazione sulla definibilita' della vicenda allo stato degli atti; che l'eccezione non e' manifestamente infondata sotto molteplici profili, anzitutto in relazione al principio di uguaglianza (art. 3, primo comma, della Costituzione), perche' sembra che vi contrasti il fatto che situazioni del tutto coincidenti, sotto l'aspetto del diritto sostanziale (identica imputazione, identita' gravita' del reato, identica capacita' a delinquere) nonche' sotto l'aspetto del comportamento processuale (identica richiesta di giudizio abbreviato) potrebbero sortire, alla stregua dell'attuale disciplina ex art. 438/59 del c.p.p., una palese differenza di trattamento sanzionatorio, legata alla possibilita', o meno, di ottenere una riduzione di un terzo della pena in concreto, a seconda che vi sia, o no, l'adesione facoltativa del p.m. all'adozione del rito abbreviato; che sembra, altresi', profilabile il contrasto col principio di legalita' della pena (art. 25, secondo comma della Costituzione), atteso che, secondo il dettato costituzionale, la quantita' e la qualita' della pena, da irrogare, devono essere prestabilite dalla legge e non possono essere condizionate alla condotta di una parte processuale con determinazione non motivata, od erroneamente motivata e per di piu' non sindacabile da parte del giudice, mentre invece secondo la disciplina di cui all'art. 438 e segg. del c.p.p., viene a riconoscersi al p.m. una facolta' discrezionale che vincola il giudice nella determinazione della pena e pone il singolo in condizioni di non sapere quale pena puo' essere comminata per un reato, facolta' che, stante la assenza di parametri predeterminati, potrebbe essere dettata da mere ragioni di opportunita' quali il notevole numero dei processi di un ufficio giudiziario; che un'ulteriore problema di legittimita' costituzionale si pone in rapporto all'art. 25, primo comma, della Costituzione, al principio cioe' del giudice naturale, nella considerazione che, qualora all'imputato si attribuisca un reato di competenza del tribunale o della corte d'assise, il diniego di consenso alla sua richiesta di giudizio abbreviato lo sottrarra' al giudice monocratico dell'udienza preliminare, sottoponendolo al giudizio di un giudice collegiale diversamente competente; che se e' vero come si osserva in dottrina - che il legislatore puo' predeterminare spostamenti di competenza, senza porsi in contrasto con la Costituzione, conseguenti a fatti accertati nel corso del processo (cfr. Nobili Comm. Cost.) e che una situazione simile potrebbe essere ravvisata nel caso del rito abbreviato, e' anche vero, come ha avuto modo di asserire la Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 82/1971) che il potere di spostare la competenza deve essere condizionato a fattispecie preventivamente descrite dalla legge con delimitazioni sufficienti ad escludere un'illimitata discrezionalita', nel senso, che solo l'esistenza di parametri obiettivi fa si' che la scelta del giudice venga effettivamente e direttamente a dipendere in via generale da una norma giuridica e non da scelta operata in concreto da qualsivoglia soggetto diverso dal legislatore (cfr. Lozzi relaz. sul nuovo c.p.p. convegno C.S.M. Roma 23-25 giugno 1989); che si pongono ancora dubbi di legittimita' costituzionale per i seguenti altri rilievi, che ora si rilevano di ufficio; a) in relazione all'art. 101/2 Cost., perche' il diniego del consenso del P.M. incide non solo sull'individuazione del rito ma anche sulla determinazione della pena e si traduce in uno sconfinamento del P.M. in un'attivita' decisoria, che e' invece riservata esclusivamente agli organi giurisdizionali; b) in relazione all'art. 24, comma primo e secondo, della Costituzione sul presupposto che la insindacabilita' e l'effetto vincolante della decisione del p.m. finiscono col precludere ogni sorta di difesa dell'imputato; c) in relazione all'art. 111, primo comma della Costituzione posto che la motivazione dell'ordinanza di rigetto del g.u.p. ( ex art. 440 del c.p.p.) consiste in una presa d'atto del dissenso del p.m. (motivato o immotivato che sia) e pare cosi' in contrasto con la necessita' di motivare tutti i provvedimenti giurisdizionali; che in ordine ai profili come sopra enunciati sono del reato illuminanti le intervenute decisioni della stessa Corte costituzionale: 1) laddove detta Corte nel verificare la compatibilita', con la Costituzione, dell'art. 71 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (patteggiamento per l'applicazione di sanzioni sostitutive), aveva avuto modo di affermare che il parere del p.m. potesse risultare vincolante nella scelta di rito, ma non per la decisione sul merito e aveva introdotto la possibilita' per il giudice di applicare, comunque, il beneficio della sanzione sostitutiva anche contro le conclusioni dell'accusa (sentenza Costituzionale 30 aprile 1984, n. 120); 2) laddove peraltro la stessa Corte, a proposito dell'art. 389 vecchio c.p.p., con due successivi interventi (68/117 e 71/40) incideva sulla discrezionalita' del p.m. circa la scelta del rito (sommario o formale), consentendo all'imputato la sindacabilita' limitatamente alle ragioni dell'adottato rito sommario e propiziando quella modifica legislativa, che poi s'introduceva con la novella di cui alla legge 7 novembre 1969, n. 780; 3) laddove, infine, recentemente ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 247 delle disp. trans. del c.p.p. nella parte in cui questa norma non prevede che il p.m., in caso di dissenso, debba enunciarne le ragioni e nella parte in cui non prevede che il giudice possa applicare all'imputato la riduzione di pena ex art. 442 del c.p.p., quando, a dibattimento concluso, ritiene ingiustificato il dissenzo del p.m. (sentenza Cost. n. 66/1990); che, conclusivamente, si presenta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, degli artt. 438, 439, 440, 442 del c.p.p., per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 25, primo e secondo comma, 101, secondo comma e 111, primo comma, della Costituzione nella parte in cui non si prevede che il p.m. sia tenuto a motivare il diniego di consenso alla definizione del processo col rito abbreviato e nella parte in cui non si consente al giudice il potere di sindacato al dissenso del p.m.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la eccezione di illegittimita' costituzionale degli artt. 438, 439, 440 e 442 del c.p.p. per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 25, primo e secondo comma, 101, secondo comma e 111, primo comma della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone la notifica della presente ordinanza al p.m., agli imputati Uldanh Massimiliano, La Forgia Roberto e ai loro difensori nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri; Ordina che la stessa ordinanza sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Torino, addi' 10 aprile 1990 Il giudice dell'udienza preliminare: CUVA Il collaboratore di cancelleria: VASILE 90C0824