N. 422 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 aprile 1990
N. 422 Ordinanza emessa il 26 aprile 1990 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Mattiazzo Diego Imposte - Infedele dichiarazione dei redditi - Estensione della punibilita', secondo il "diritto vivente" (conforme alla giurisprudenza della Corte di cassazione), alla mera omissione di componenti positivi del reddito e alla simulazione di componenti negativi dello stesso - Difformita' dall'interpretazione accolta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247/1989 (necessita' di un'attivita' preparatoria fraudolenta) - Irragionevole disparita' di trattamento tra eguali comportamenti sanzionati come contravvenzione oblazionabile se relativi a redditi non soggetti ad annotazioni contabili e invece come delitto se relativi a redditi autonomi o d'impresa - Indeterminatezza della fattispecie penale per contrasto interpretativo. (Legge 7 agosto 1982, n. 516, art. 4, n. 7). (Cost., artt. 3 e 25).(GU n.27 del 4-7-1990 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza; A scioglimento della riserva in data odierna nel proc. pen. 2528/1990 g.i.p. nei confronti di Mattiazzo Diego, imputato del reato di cui all'art. 4, n. 7, della legge n. 516/1982; Pronunciando sull'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 4, primo comma, n. 7, della legge n. 516/1982, in relazione agli artt. 25, secondo comma, e 3, della Costituzione, proposta dall'avv. Massimo Spina, difensore di fiducia di Mattiazzo Diego; Sentito il p.m. (dott. Prunas) che insiste nella richiesta di rinvio a giudizio dell'imputato in quanto il contrasto giurisprudenziale sulla norma in questione implica in definitiva che non e' evidente che il fatto non sussiste e tanto basta per disporre il rinvio a giudizio dell'imputato senza necessita' di sospendere il processo in corso, cio' significando che la sollevata eccezione non e' rilevante per la decisione del g.u.p.; P R E M E S S O che l'imputato Mattiazzo e' tratto al giudizio di questo g.u.p. per presunta frode fiscale, specificamente consistita nella dissimulazione di componenti positivi del reddito, relativi alla sua attivita' di imprenditore commerciale per la vendita di autoveicoli, dissimulazione consistita nella mancata annotazione e registrazione dei corrispettivi sulle scritture contabili obbligatorie e prima ancora nella mancata fatturazione delle cessioni dei beni; che, secondo quanto risulta in atti, il reato di frode fiscale e' in particolare dato dalla mancata riproduzione degli stessi corrispettivi sulla dichiarazione dei redditi dall'83 all'85, senza la commissione di altri mezzi di inganno verso l'erario; che si ripropone, quindi, il problema di come intendere tale dissimulazione alla stregua dell'omonimo termine lessicale contenuto nell'art. 4, primo comma, n. 7, della legge n. 516/1982 se, cioe', sia sufficiente ad integrare il reato il semplice mendacio di chi nella dichiarazione annuale ometta componenti positivi del suo reddito oppure sia necessario un comportamento oggettivamente artificioso; che questo tribunale gia' in passato ebbe ad esprimersi con pronunce, peraltro conformi all'orientamento della Corte di cassazione (Cass. 3º 20 settembre 1989 e Cass. 3º 3 luglio 1989), ritenendo sufficiente ai fini della sussistenza del delitto de quo, anche un comportamento non necessariamente caratterizzato da segni obiettivi di artificiosita', e quindi connotato dalla mera mancanza di registrazione dei ricavi; che attualmente sono mutati i supporti giurisprudenziali a seguito di sentenza (n. 247 del 15-16 maggio 1989) della Corte costituzionale, che, per quanto investita direttamente di altra questione (sulla legittimita' dell'art. 4, n. 7, della legge n. 516/1982, laddove si richiede l'alterazione in misura rilevante del risultato della dichiarazione, quale effetto della dissimulazione o simulazione), contiene caratteri interpretativi sugli elementi oggettivi della fattispecie de qua, nell'ottica di dare determinatezza alla condotta criminosa della stessa fattispecie; che secondo il giudizio, nel merito, della Corte costituzionale non sarebbe sufficente, ai fini dell'integrazione del reato, il solo simulare o dissimulare, di cui alla norma, ma sarebbe necessario un quid pluris, un'attivita', cioe', preparatoria (fraudolenta) alla dichiarazione finale, volta all'alterazione del risultato della dichiarazione stessa; che la sentenza n. 247 citata, in definitiva, sembra dar ragione alle tesi (disputate in dottrina e in giurisprudenza) secondo cui senza il quid pluris anzidetto vi sarebbe non solo una duplicazione di previsione sanzionataria per lo stesso comportamento, ex art. 1, secondo comma, n. 3, della legge n. 516/1982, ma si introdurrebbe, surrettiziamente, una punibilita', addirittura a titolo di dolo, per condotte escluse dalla ipotesi contravvenzionale di cui al citato art. 1, secondo comma, n. 3, allorche' tali da non superare la soglia di punibilita' prevista, con possibilita' di non evitare disparita' di trattamento, consistenti nel sanzionare lo stesso comportamento (l'infedele dichiarazione) come semplice contravvenzione oblazionabile, quando ha per oggetto redditi non soggetti ad annotazione contabile e grave delitto; quando concerne redditi di lavoro autonomo o d'impresa, derivanti da cessioni di beni o prestazione di servizi; che, per quanto non siano vincolanti le decisioni di rigetto della Corte costituzionale per il giudice ordinario, allo scrivente in particolare, non convincono per diversi motivi, primo dei quali perche', secondo giurisprudenze consolidate e mai messe in discussione, con riferimento a fattispecie penali comuni e a dizioni lessicali comuni (art. 641 del c.p.; art. 218 della l.f.), al termine "dissimulare" si e' abitualmente dato il significato di "nascondere" o "passare sotto silenzio", senza necessita' di atti positivi di occultamento, dandosi cosi' rilevanza al silenzio, se rapportato a fatti che si e' tenuti a esteriorizzare; che, a parte l'indeterminatezza della norma che cosi' si viene a creare per via del mutato quadro interpretativo, quanto alla presunta violazione del principio di uguaglianza, desunta dalla presunzione che per una stessa condotta (falsa dichiarazione) i percettori dei diversi tipi di reddito sarebbero sanzionati in maniera diseguale, sembra che si connotino invece di "diversita'" e non uguaglianza le situazioni considerate, rispettivamente, dalle disposizioni di cui all'art. 1, secondo comma, n. 3, e art. 4, n. 7, della legge n. 516/1982, atteso che il reato contravvenzionale investe soltanto il contribuente che non e' obbligato ad annotazioni delle scritture contabili, diversamente dall'ipotesi delittuosa, a parte il fatto che l'elemento soggettivo si atteggia differentemente, a seconda che sia riferito all'una (colpa) o all'altra (dolo) fattispecie; che resta intanto contraria l'interpretazione della Corte costituzionale, anche se non e' stato esemplificato da questa in cosa potrebbero, in concreto, esplicitarsi le necessarie condotte fraudolente, senza ricadere in altra ipotesi criminosa espressamente prevista ma l'autorevolezza dell'organo da cui proviene il diverso giudizio fa si' che il giudice di merito ne prenda atto e si adegui all'impostazione offerta; che permane ugualmente il disorientamento interpretativo, anche per le oscillazioni decisorie della Corte di cassazione sul punto, si impone quindi un intervento della Corte costituzionale, ritenendosi sussistenti entrambi i requisiti, di rilevanza e non manifesta fondatezza, della questione di incostituzionalita' sollevata; che in ordine al primo requisito, si e' gia' premesso che il Mattiazzo e' stato tratto al giudizio del g.u.p., per avere omesso di indicare nella propria dichiarazione, ai fini delle ii.dd., componenti positivi dal reddito, senza usare particolari tecniche fraudolente, di talche' e' indubbio che la questione della necessita', o meno, di un quid pluris, rispetto al semplice mendacio, si pone come rilevante ai fini del decidere; che, quanto al secondo requisito, la Corte costituzionale si e' gia' espressa statuendo che solo l'interpretazione offerta avrebbe potuto evitare un patente vizio di incostituzionalita' della fattispecie sotto il profilo della sua indeterminatezza;
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 4, n. 7, della legge n. 516/1982, in relazione agli artt. 25, secondo comma, e 3, secondo comma, della Costituzione; Sospende il processo in corso; Visto l'art. 18, lett. b), del c.p.p.; Ordina la separazione degli atti relativi al reato di cui all'art. 4, n. 7, della legge citata e dispone che gli atti vengano trasmessi alla Corte costituzionale e che copia della presente ordinanza venga notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Torino, addi' 26 aprile 1990 Il giudice per le indagini preliminari: CUVA Il collaboratore di cancelleria: SANTORO 90C0825