N. 427 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 gennaio 1990
N. 427 Ordinanza emessa il 23 gennaio 1990 dalla corte d'appello di Caltanissetta nel procedimento penale a carico di Di Gesu' Nicolo' Processo penale - Imputato contumace - Impugnazione - Prevista esclusione per il difensore d'ufficio o anche di fiducia, privo di mandato speciale - Ingiustificato deteriore trattamento rispetto all'imputato presente o assente - Disparita' tra difesa di fiducia e di ufficio - Lesione del diritto di difesa - Contrasto con il principio di effettivita' della difesa. (Legge 23 gennaio 1989, n. 22, art. 2; c.p.p. art. 192 come modificato dalla legge 23 gennaio 1989, n. 22, art. 2 come modificato dal c.p.p. 1988, art. 571). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.27 del 4-7-1990 )
LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel processo penale n. 1004/89 r.g.p. contro Di Gesu' Nicolo' nato a Palermo il 19 agosto 1966. 1. - Nicolo' Di Gesu' e' stato condannato dal pretore di Sommatino con sentenza del 21 luglio 1989 per il reato di emissione di assegni a vuoto continuato, con le attenuanti generiche, equivalenti all'aggravante e L. 600.000 di multa e pene accessorie. Il giudizio si e' svolto in contumacia dell'imputato. Il suo difensore ha proposto appello. Il procuratore generale presso questa Corte ha chiesto che l'appello venga dichiarato inammissibile perche' "proposto da difensore di imputato contumace privo di apposito mandato". 2. - La richiesta del p.g. si fonda sulla nuova disposizione dell'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n. 22, che ha sostituito l'ultimo comma dell'art. 192 del c.p.p. Analoga disposizione contiene l'art. 571, terzo comma, del nuovo c.p.p. che entrera' in vigore nel corrente mese. Sia nei lavori preparatori della legge n. 22/1989 sia nella relazione che accompagna il nuovo codice (libro IX - impugnazioni nella parte introduttiva) sono esposte le ragioni della nuova disposizione che ne determinano l'interpretazione. Nella relazione citata, infatti, si legge: "Innovativa e', invece, la disciplina che regola la legittimazione del difensore a proporre impugnazione avverso una sentenza contumaciale: si e' previsto, infatti, che in tal caso il difensore deve essere munito di specifico mandato, rilasciato con l'atto di nomina o anche successivamente. La ragione di essere di tale previsione risiede nel fatto che l'impugnazione proposta dal difensore esaurisce per l'imputato la possibilita' di ottenere, se contumace, la restituzione in termini, istituto che ha ricevuto una disciplina particolarmente ampia nell'art. 175. Conseguentemente, e' sembrato necessario limitare la legittimazione del difensore nel caso di sentenza contumaciale, allo scopo di impedire gli effetti preclusivi che scaturirebbero da una impugnazione proposta frettolosamente che un difensore, il quale, sia esso legato o meno da rapporto fiduciario, e' ben possibile non abbia potuto prendere contatto con l'imputato nel breve termine previsto per la proposizione del gravame. La previsione di uno specifico mandato consente, invece, di presumere che l'imputato abbia effettuato una preventiva valutazione circa le conseguenze dell'attivita' che il difensore puo' compiere nel suo interesse, ivi compreso, quindi, l'eventuale effetto preclusivo di cui prima si e' detto". 3.- La restituzione nel termine (gia' prevista nel codice del 1913, ma non piu' in quello del 1931, reintrodotta con la novella della legge 18 giugno 1955, n. 517, e regolata dall'art. 183- bis c.p.p., modificato dall'art. 1 della citata legge n. 22/1989, che e' riprodotto nell'art. 175 del nuovo codice), pur con gli ampliamenti innovativi ai quali fa cenno il brano della relazione sopra trascritto (i soggetti legittimati sono ora anche i difensori ed ogni dubbio e' caduto per il p.m.; ecc.) ha per presupposti sempre, come gia' l'art. 183-bis, "quelli oggi previsti dal caso fortuito e della forza maggiore", ai quali "si aggiunge. . . la mancata conoscenza effettiva del provvedimento da impugnare da parte dell'imputato contumace e del condannato con decreto penale, sempre che questa mancata conoscenza non sia da attribuire a colpa del soggetto che chiede la restituzione" (v. relazione al nuovo c.p.p. libro II, titolo VI, termini). E', quindi, di assoluta evidenza che la restituzione nel termine resta istituito eccezionale i suoi presupposti debbono essere provati con precisione (si ridurrebbe altrimenti a facile elusione di termini perentori) applicabile nei rari (pur con i nuovi ampliamenti) casi previsti come dimostrano del resto le poche applicazioni sia nel vigore del codice del 1913, che dell'attuale art. 183-bis, sia nell'originaria che nella nuova formulazione. Di fronte alla possibilita' della restituzione in termini, necessariamente, per quel che si e' detto, di rara applicazione, resta una preclusione all'impugnazione del difensore non munito di specifico mandato, che porta a piu' facile definitivita' della sentenza da impugnare, con lesione del diritto di difesa dell'imputato. Il danno per quest'ultimo e' evidente. L'impugnazione del difensore (sempre rinunciabile in prosieguo; su essa prevale sempre la volonta' contraria dell'imputato) tutela certamente l'interesse dell'imputato in modo pressocche' completo e comunque certo piu' ampliamente e meglio della preclusione dell'impugnazione in vista della sola e scarsamente probabile restituzione in termini. Il diritto di difesa resta, quindi, intaccato per ragioni per le quali sono possibili altre soluzioni alternative, che lo lascino integro (es. consentire la restituzione in termini dell'imputato, nonostante l'impugnazione del difensore, soltanto, evidentemente, in relazioni a richiesta aggiuntive; e cio' sara' molto raro, perche' l'impegnazione e l'espletamento della difesa tecnica le comprendera' tutte; la disposizione in esame, invece finira' col rendere anomalamente applicata la restituzione in termini per introdurre, attraverso essa, un'impugnazione dalla quale si e' decaduti, magari in applicazione proprio della preclusione in esame). Il caso in esame e' chiaro esempio. 4. - Non puo', inoltre, sfuggire che la norma in esame si discosti dall'essenza dei rapporti fra imputato e difensore quali risultano, nel rispetto della Costituzione, dalla normativa vigente e dal sistema: posizione del difensore autonoma rispetto a quella dell'imputato con possibilita' che in caso di contrasto prevalga la volonta' dell'imputato (per le impugnazioni v. art. 193; nel nuovo codice art. 571). Vi e', cioe', una presunzione che la difesa sia concordata dal difensore e dall'imputato, ma, al di la' di questa intesa, che ogni attivita' difensiva sia sempre nell'interesse dell'imputato anche se svolta autonomamente dal difensore, salva la possibilita' della prevalenza della volonta' dell'imputato da manifestarsi con apposita dichiarazione (art. 193; art. 571, quarto comma, nuovo c.p.p. citati). Mentre, quindi, in ogni caso il difensore agisce autonomamente ed e' necessaria una espressa volonta' contraria dell'imputato per precludere o togliere efficacia alla sua attivita', nel caso in esame si richiede un espresso mandato specifico perche' il difensore possa esercitare per il contumace la stessa attivita' consentitagli negli altri casi, senza che possa presumersi, nella generalita' dei casi, una sua volonta' contraria (anzi e' da ritenere una volonta' adesiva, trattandosi, per quanto si e' detto, di attivita' a lui favorevole). Anche quest'aspetto ribadisce il carattere lesivo del diritto di difesa della disposizione in esame. 5. - E' ancora opportuno ricordare in materia di impugnazioni, anche con riferimento al contumace, quanto segue. a) L'art. 210 del c.p.p. disponeva che "l'impugnazione proposta dall'imputato latitante o evaso o dal suo difensore contro una sentenza di condanna a pena detentiva che debba essere ancora scontata in misura non inferiore ad un anno e' dichiarata inammissibile se l'imputato non si e' costituito in carcere anteriormente al giorno fissato per il giudizio sull'impugnazione medesima". La relazione al progetto definitivo del codice del 1931 spiegava (pag. 35): "Il progetto preliminare disponeva che fosse inammissibile l'impugnazione del contumace condannato a pena detentiva non inferiore a 6 mesi, se l'imputato non si fosse costituito in carcere. Res melius perpensa, mi pare opportuno attenuare il rigore di questa disposizione, sia perche' non sempre la contumacia dipende da mala volonta', sia perche' il limite di sei mesi puo' risultare insufficiente per giustificare si grave disconoscimento di un diritto. Ho percio' modificato la disposizione nel senso di restringere l'obbligo della costituzione in carcere ai latitanti ed agli evasi e di elevare il minimo della pena detentiva ad un anno". La disposizione e' stata abrogata con legge 29 dicembre 1948, n. 1514, cioe' appena entrata in vigore la Costituzione, perche' rappresentava lesione dei diritti di difesa, di liberta', di autodeterminazione dell'imputato, oltre che violazione del principio di presunzione di non colpevolezza fino alla pronuncia definitiva; b) la novella del 1955 ha modificato l'art. 151 del c.p.p. nel rispetto della Costituzione, aggiungendo nel terzo comma, per il deposito in cancelleria dei provvedimenti del giudice e relativo avviso, che l'avviso dell'avvenuto deposito "e' notificato, inoltre, nel caso preveduto nel primo capoverso (provvedimenti in camera di consiglio), al difensore dell'imputato e, nel caso preveduto dalla prima parte (sentenze pronunciate in seguito a dibattimento), al difensore che abbia proposto l'impugnazione o a quello che e' stato designato dall'imputato nella dichiarazione di impugnazione". La Corte costituzionale con sentenza dell'11 maggio 1971, n. 96, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del detto terzo comma nella parte in cui esclude che l'avviso di deposito di sentenza pronunciata in seguito a dibattimento sia notificato anche al difensore del dibattimento, che non ha proposto l'impugnazione e che non sia stato designato dall'imputato a presentare i motivi. La dichiarazione di illegittimita' e' con riferimento all'art. 24 della Costituzione. La Corte ha posto in evidenza che "l'illegittimita' costituzionale deriva, dunque, da cio': che - nel momento forse piu' delicato del procedimento ed in una fase costitutiva del gravame in cui le ottemperanze, a pena di decadenza e di conseguente inammissibilita'. . . ristrette entro termini assai angusti di tempo - l'interessato puo' trovarsi privo di difensore professionale; il che e' illogico, fra l'altro, se si pensa che chi sia stato difensore nel giudizio a quo puo' presentare i motivi di gravame". E piu' oltre aggiunge che "devono essere disattese le argomentazioni dell'avvocatura dello Stato - secondo la quale vigilantibus iura succurrunt - poiche' l'imputato e le altre parti private possono non essere in grado di conoscere o comprendere le esigenze essenziali del processo penale e, in particolare la necessita' della tempestiva redazione dei motivi con l'eventuale ausilio del difensore". Ed ancora "quel che occorre e' la sicurezza di una difesa subito dopo la dichiarazione di gravame, sicurezza che la norma impugnata non da'". Queste ed altre innovazioni (possibilita' di dichiarazione di impugnazione e di presentazione di motivi per posta in qualsiasi pretura anziche' solo presso la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato; ecc.) dimostrano come l'evoluzione legislativa (seguita dall'evoluzione giurisprudenziale: presentazione di motivi a mezzo di sostituto di commesso di studio, ecc.; maggiore elasticita' nel valutare il principio della tassativita' delle impugnazioni; ecc.), nel quadro della Costituzione che tutela il diritto di difesa qualificato 'inviolabile' (art. 24), abbia sempre piu' rimosso ostacoli ed esteso facolta' dell'imputato e del difensore in materia di impugnazioni. Orbene, la disposizione in esame si pone in senso nettamente ed ingiustificamente contrario. Essa ha, anzi, il senso del ripristino di preclusioni del tipo gia' previsto per l'impugnazione del latitante o dell'evaso che sono contrarie alla Costituzione ed alle stesse possibilita' dell'esercizio del diritto di difesa. Tutte le critiche della Corte costituzionale all'art. 151 del c.p.p. sopra riportate possono ripetersi aggravate: qui l'illogicita' e' ancora piu' palese e piu' grave perche' si nega al difensore tecnico l'esercizio del diritto di impugnazione nell'interesse dell'imputato; qui la parte privata, che per qualsiasi ragione e' rimasta contumace, deve essere in grado di conoscere che, per consentire al difensore di proporre impugnazione, deve conferirgli uno specifico mandato (di cui magari, non sa nulla perche' contava di essere presente); qui nel breve tempo di tre giorni l'imputato, che, essendo contumace, puo' essere lontano ed impedito, deve predisporre e far pervenire al difensore lo specifico mandato (si richiama la stessa relazione al nuovo codice nel brano riportato). 6. - Quanto esposto va completato con talune osservazioni sul diritto di difesa e sulla posizione del difensore che si aggiungono a quelle gia' esposte e le chiariscono ulteriormente. Nel processo penale il diritto alla difesa, costituzionalmente garantito, come e' detto, si attua sia con le facolta' riconosciute all'imputato (cosiddetta difesa materiale) sia con l'attivita' del difensore (cosiddetta difesa formale o tecnica). Il diritto alla difesa e' un diritto soggettivo pubblico, che la Costituzione qualifica "inviolabile" e conformemente da tempo (e cio' dimostra come la sua natura ed i suoi caratteri siano radicati) trova tutela nella nullita' assoluta (art. 185, n. 3, del c.p.p.; nel nuovo codice art. 178); e l'istituto del difensore ha carattere pubblico con aspetti di obbligatorieta' e di necessita'; il tutto e' ribadito costituzionalmente (art. 24, terzo comma) dalla prescrizione di assicurare la difesa ai non abbienti. Ogni imputato deve necessariamente ed obbligatoriamente essere difeso da un difensore ed e' stata esclusa la possibilita' dell'autodifesa (si ricordano le sollecitazioni. In tal senso degli anni '70) anche se l'imputato eserciti personalmente la professione forense e sia, quindi, un tecnico. L'attivita' difensiva si estrinseca sotto due aspetti: la funzione di assistenza e quella di rappresentanza (intesa quest'ultima nel senso proprio della difesa nel processo penale, su cui non e' il caso di indugiare). Proprio per l'imputato contumace, mancando la possibilita' della difesa materiale, il compito del difensore si estende maggiormente nella rappresentanza dell'imputato secondo l'art. 499, ultimo comma, del c.p.p. ("il difensore rappresenta l'imputato per tutti gli effetti") (analogamente nel nuovo codice, art. 487, secondo comma, anche se non vi e' piu' il riferimento a "tutti gli effetti"). Non puo' sfuggire per completezza e perche' e' indicatore di ulteriore evoluzione, il fatto che nel nuovo codice le disposizioni sul difensore sono aggruppate in apposito titolo (il settimo del libro libro primo) considerandolo come un soggetto a se' stante rispetto agli altri del processo e soprattutto in riconoscimento dell'autonomia della sua attivita'. Si esige ancora la "effettivita'" della difesa tecnica, che, peraltro, e' necessaria per i caratteri essenziali del nuovo processo. La preclusione della norma in esame e' in contrasto con i dati caratteristici del sistema ora esposti e della stessa delega legislativa. 7. - Essa, inoltre, finisce col creare situazioni giuridiche ingiustificatamente diffenziate fra imputato presente o da considerare presente ed imputato contumace perche' la preclusione eccezionale e' innovativamente prevista solo per quest'ultimo. Ne' puo' dirsi che alla base della differente disciplina vi sia una differenza di situazioni, per piu' ragioni. Anzitutto, nella realta', specie nei processi di lunga durata o che comunque si svolgono in lungo arco di tempo, la posizione dell'imputato assente, non contumace (o per rinuncia - art. 497 del c.p.p., nuovo codice art. 488 -; o per essersi allontanato od essere evaso dopo essere comparso - art. 427 per il detenuto e 428 per il libero, nuovo codice art. 488 -; o per rappresentanza convenzionale dell'imputato da parte del difensore prevista dall'art. 125, 2 comma, del c.p.p.) e' molto simile a quella del contumace. Peraltro, durante l'assenza l'imputato e' rappresentato dal difensore (artt. 427 e 428, nel nuovo codice 488) come il contumace. Poi, la differenza fra l'imputato presente o assente e quello contumace e' in senso diametralmente opposto a quello risultante dalla norma in esame (e le possibilita' di avvalersi della restituzione nel termine sussistono anche per il non contumace, specie per l'assente). Infatti, gia' nel codice del 1931 e da recente la citata legge n. 22/1989, e cosi' il nuovo codice, contengono disposizioni che tendono ad evitare che il dibattimento celebrato in contumacia possa menomare i diritti dell'imputato; per l'art. 501 del c.p.p. il contumace, comparendo prima della discussione, deve essere informato di quanto avvenuto in sua assenza e deve essere interrogato; per l'art. 500 ha diritto alla notifica dell'estratto della sentenza ai fini dell'impugnazione; ha ora il diritto di rendere dichiarazioni nel momento in cui compare, anche se e' in corso la discussione, e, in determinati casi, puo' ottenere la rinnovazione del dibattimento in appello (art. 603 nuovo codice) e di rendere dichiarazioni anche durante il giudizio in cassazione (art. 489 nuovo codice). La disposizione che preclude l'appello del difensore, che non abbia specifico mandato, contrasta con i diritti e le facolta' che sono riconosciuti al contumace, rispetto all'imputato presente od assente. Si tratta di disparita' di trattamento, che, come e' noto, ricorre non solo quando situazioni eguali hanno trattamento diverso e quando situazioni diverse hanno trattamento eguale, ma anche, ed evidentemente ancor piu', quando situazioni diverse hanno trattamenti diversi in senso opposto alle differenze che le caratterizzano, com'e' per i casi del tipo in esame. 8. - Non puo', infine, sfuggire che la preclusione in esame crea una situazione di disparita' fra difesa di fiducia e difesa di ufficio (che ricorre nella fattispecie concreta in esame). Nella nomina del difensore di fiducia l'imputato (ma secondo l'art. 96, terzo comma, del nuovo codice la nomina puo' compiersi da un prossimo congiunto in caso di detenzione) puo' inserire lo specifico mandato ad impugnare prescritto dall'art. 2 della legge n. 22/1989 (e dall'art. 571 nuovo codice) per rimuovere la preclusione in esame. Nella nomina del difensore di ufficio l'organo pubblico che procede alla nomina secondo l'art. 128 (art. 97 del nuovo codice) non ha potere alcuno di conferire lo specifico mandato ad impugnare e, tanto meno, lo ha lo stesso o altro organo pubblico, successivamente alla nomina, in caso di contumacia dell'imputato. L'impossibilita' e' in re ipsa perche' rappresenterebbe un'ingerenza esterna nell'esercizio del diritto di difesa dell'imputato da parte di soggetti con interesse diverso (si ricordano, fra l'altro, le contestazioni del potere del p.m. di nominare il difensore di ufficio dell'imputato, per la sua qualita' di parte contrapposta). D'altra parte il conferimento dello specifico mandato ad impugnare al difensore di ufficio si risolve in un incarico fiduciario e, quindi, in una nomina a difensore di fiducia. Ma, a parte cio', e pur ammettendo che l'imputato possa conferire mandati specifici al difensore d'ufficio, non puo' non tenersi conto che il difensore d'ufficio puo' essere nominato lo stesso giorno del dibattimento e della pronuncia della sentenza (come nella realta' normalmente avviene) e, quindi, resta sconosciuto dall'imputato contumace (ed e' impossibile un mandato ad incertam personam). Sono difficolta' che emergono dalla stessa relazione al nuovo codice sopra riportata. L'imputato in tre giorni deve formulare il mandato specifico e farlo pervenire, nel rispetto delle forme, al difensore (che, se di ufficio, deve prima identificare e rintracciare), con una attivita' di maggiore consistenza di quella necessaria per proporre direttamente il gravame. La norma in esame crea, quindi, una reale soppressione della facolta' di impugnazione del difensore, specie di ufficio per il contumace. Ma crea anche un'altra reale disparita' di trattamento secondo che il difensore del contumace sia di fiducia o di ufficio. 9. - Cio' e' anche in pieno contrasto col principio della "effettivita'" della difesa, che il nuovo codice afferma e che il legislatore delegante impone, per cui nel codice la norma in esame non e' conforme alla delega. 10. - La questione di legittimita' dell'art. 2 della legge n. 22/1989 (e dell'art. 571 del nuovo c.p.p.) in relazione all'art. 3 (principio di eguaglianza) ed all'art. 24 (diritto inviolabile di difesa) appare, quindi, fondata. Dalla sua soluzione discende l'ammissibilita' originaria o no dell'appello proposto dal difensore del Di Gesu', contumace, nel caso in esame e, quindi, la possibilita' o no del riesame della sentenza di primo grado; da cio' la rilevanza della questione di costituzionalita' sopra esposta.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 gennaio 1953, n. 87; Rimette gli atti alla Corte costituzionale per la soluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n. 22 ed art. 192 del c.p.p. da esso modificato (e dall'art. 571 nuovo c.p.p.) in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione; Ordina che questa ordinanza sia notificata all'imputato Nicolo' Di Gesu', al suo difensore ed al p.m., nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e che sia comunicata dalla cancelleria al Presidente del Senato e della Camera dei deputati. Caltanissetta, addi' 23 gennaio 1990 Il presidente estensore: (firma illeggibile) 90C0830