N. 434 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 febbraio 1990
N. 434 Ordinanza emessa il 7 febbraio 1990 dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Cotrone Salvatore ed altro Processo penale - Nuovo codice - Arresto operato dall'autorita' di p.s. - Traduzione dell'arrestato entro le ventiquattro ore nella casa circondariale del luogo ove l'arresto e' stato eseguito Mancato rispetto del termine - Inefficacia del provvedimento restrittivo - Conseguente immediata liberazione da parte del p.m. - Convalida del g.i.p. - Esclusione - Lamentata possibile arbitrarieta' - Illegittimita' della mancata previsione del controllo dell'autorita' giudiziaria sull'operato della polizia in materia di liberta' personale. (C.P.P. 1988, artt. 386, settimo comma, in relazione all'art. 390, terzo comma, stesso codice). (Cost., art. 13).(GU n.27 del 4-7-1990 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Visti gli atti del procedimento penale contro: Cotrone Salvatore nato a Gerocarne il 10 novembre 1958 e residente in Torino, via Bonelli n. 15, Guccio Salvatore nato a Piazza Armerina il 5 gennaio 1957 e residente in Torino, via Palazzo di Citta' n. 19, (difesi entrambi d'ufficio dall'avv. G. Gribaudi del foro di Torino) per i reati ivi specificati; PREMESSO QUANTO SEGUE Gli indagati sopra generalizzati, in data 16 gennaio 1990, venivano tratti in arresto dai carabinieri di Torino nella flagranza di tentato furto e lesioni personali in danno di Menniti Rita e denunciati al procuratore della Repubblica presso la locale pretura circondariale; In pari data gli atti venivano trasmessi al procuratore della Repubblica presso il locale tribunale, per competenza, ravvisando il delitto di tentata rapina; In data 17 gennaio e successiva il procuratore della Repubblica in sede richiedeva la convalida dell'arresto ( ex art. 390 del c.p.p.); Questo giudice fissava in data 17 gennaio 1990 per il giorno successivo l'udienza di convalida presso la locale casa circondariale; Nella stessa data il procuratore della Repubblica ordinava la liberazione degli arrestati, essendogli risultato che non era stato rispettato il termine di ventiquattro ore per l'associazione degli arrestati alla competente casa circondariale (ex combinato disposto degli artt. 386/4 e 389 del c.p.p.); Rilevato che tuttora pende avanti questo giudice la cennata richiesta di convalida dell'arresto; OSSERVA QUANTO SEGUE L'art. 390 del codice di procedura penale, recitando "Entro quarantotto ore dall'arresto o dal fermo il pubblico ministero, qualora non decida di ordinare la immediata liberazione dell'arrestato o del fermato, richiede la convalida al giudice per le indagini preliminari competente....", chiaramente indica che in caso contrario, cioe' quando il pubblico ministero ordini l'immediata liberazione, lo stesso non debba richiedere la convalida. I casi di immediata liberazione da parte del pubblico ministero sono quelli indicati dall'art. 389 del codice di procedura penale, vale a dire: 1) arresto o fermo eseguito per errore di persona; 2) arresto o fermo eseguito fuori dei casi previsti dalla legge; 3) inefficacia dell'arresto o fermo, e cioe': a) tardiva messa a disposizione (simbolica) dell'arrestato da parte della p.g., con trasmissione del pubblico ministero del verbale di arresto (art. 386/3); b) tardiva traduzione dell'arresto o fermato alla casa circondariale o mandamentale (art. 386/4); c) tardiva richiesta di convalida da parte del pubblico ministero (art. 390). Ve ne e' tuttavia uno ulteriore e cioe' quello: 4) ex art. 121 delle norme di attuazione del codice di procedura penale, quando il pubblico ministero non ritenga di dovere richiedere l'applicazione di misure coercitive. Per amore di sistematica si potrebbe osservare che, mentre le ipotesi sub 3 sono definite chiaramente "di inefficacia", quelle sub 1 e 2 potrebbero essere definite di "illegittimita'" (d'altro canto l'art. 391/4 del codice di procedura penale si riferisce ad arresto "legittimamente eseguito" come ipotesi distinta dal rispetto dei termini di cui agli artt. 386, terzo e quarto comma, e 390, primo comma, e quella sub 4 di "inopportunita'". Orbene, come gia' abbiamo detto, mentre per le ipotesi di illegittimita' e di inefficacia dell'arresto o fermo e quindi di conseguente immediata liberazione (cioe' quelle sub 1, 2 e 3) il legislatore ha escluso la possibilita' di convalida da parte del giudice, al contrario per l'ipotesi di inopportunita' l'art. 121 delle norme attuative, ha espressamente previsto l'udienza di convalida, statuendo al secondo comma che "nel fissare l'udienza (il giudice) ne da' avviso, senza ritardo, anche alla persona liberata". E' possibile ritenere che il comma due del citato articolo estenda la propria previsione anche alle altre ipotesi di immediata liberazione? Sembra che si possa senz'altro escluderlo, almeno argomentando dal tenore letterale della norma: "Nel caso di liberazione prevista dal primo comma...", laddove il caso previsto nel primo comma e' quello del p.m. che non ritiene di richiedere l'applicazione della misura coercitiva, e cio' anche se vi e' nello stesso comma un richiamo alle ipotesi di cui all'art. 389 del c.p.p., ma soltanto per aggiungervi quella ulteriormente considerata e dettagliata. Riassumendo quindi, si osserva che quando il p.m. ritiene illegittimo l'arresto o il fermo, puo' senz'altro (cioe' deve), su questo presupposto, immediatamente liberare il cittadino, senza dover chiedere la convalida (nel caso, la "non" convalida) al g.i.p.; quando il p.m. ritiene inopportuno l'arresto deve liberare il cittadino, pur chiedendo la convalida dell'avvenuto arresto o fermo; quando infine il p.m. ritiene l'arresto inefficace (e questo e' il caso de quo ), deve ordinare l'immediata liberazione, senza richiedere la convalida. Non pare che ci sia una logica che consenta di comprendere le differenti soluzioni e soprattutto pare che, almeno nel caso di inefficacia dell'arresto (del quale appunto questo giudice si sta occupando) vi sia contrasto con l'art. 13 della Costituzione, nella parte in cui si impone, sempre e comunque, un sindacato dell'autorita' giudiziaria sui provvedimenti restrittivi della liberta' personale del cittadino ad opera ed iniziativa dell'autorita' di pubblica sicurezza. E' assolutamente inutile qui richiamare il fondamentale principio di civilta' contenuto nel dettato costituzionale. Appare piu' proficuo verificarne il rispetto da parte delle norme processuali penali entrate in vigore il 24 ottobre scorso e pertinenti il caso sottoposto a questo giudice. Nelle ipotesi sopra indicate sub 1 e 2, in cui all'arresto o fermo segue la liberazione immediata del cittadino e non la convalida da parte del g.i.p., in effetti sembra che il precetto costituzionale sia sostanzialmente rispettato. Il p.m. valuta (sulla base quanto meno del verbale di arresto e della notizia di reato, ma anche eventualmente su altri elementi) l'atto dell'autorita' di P.S., giudicandolo illegittimo e disponendo la liberazione. Senza dubbio il procuratore della Repubblica e' organo giudiziario, pur assolvendo, nel nuovo processo penale, una funzione di parte, dialetticamente contrapposta (anche se non necessariamente contraria) alle altre ed in particolare a quella dell'indagato/imputato. E' quindi del tutto coerente sia con i principi costituzionali sia con quelli (nuovi) processuali penali il fatto che il p.m. possa autonomamente vagliare l'atto d'iniziativa della P.S. sulla liberta' personale, allorquando egli stesso, organo d'accusa, non lo convalidi, ritenendolo illegittimo. In tal caso, difatti, l'atto della P.S. e', da una parte, comunque sottoposto ad esame di organo giudiziario, apparendo, dall'altra parte, superfluo il ricorso al giudice - organo imparziale - avendo il p.m. presa una decisione addirittura contro il proprio "interesse di parte" e quindi verosimilmente ineccepibile. Il provvedimento di immediata liberazione, in tali casi, motivato sul presupposto dell'affermazione di illegittimita' dell'arresto o fermo, assolve all'imperativo dell'art. 13 della Costituzione ed al sotteso interesse del cittadino a veder affermato, expressis verbis, di essere stato vittima di un errore (di fatto o di diritto). Ben diversa e' la disciplina nei casi in cui il p.m. ritenga legittimo il provvedimento restrittivo della P.S.: la sua qualita' di parte processuale gli impedisce di convalidarlo, per ovvi motivi. Da qui la necessita' di richiedere al g.p., entro quarantotto ore dall'arresto o fermo, la convalida. Il legislatore ordinario (per le norme di attuazione) ha stabilito che il p.m. debba richiedere la convalida anche quando, ritenendo legittimo l'arresto o il fermo, non giudichi opportuno applicare una misura coercitiva. Ed e' giusto: non spetta al p.m., organo di parte, sanzionare di legittimita' l'operato della polizia. Sara' quindi nell'ordinanza del giudice delle indagini preliminari che il cittadino potra' leggere se e perche' l'attivita' di polizia era stata o meno corretta. Il sindacato dell'autorita' giudiziaria sui provvedimenti restrittivi operati d'iniziativa della P.S. non puo' difatti certo limitarsi alla valutazione dell'esistenza dei presupposti per protrarre la custodia cautelare del cittadino, bensi' deve, per rispettare il senso profondo del precetto costituzionale, valutare l'operato stesso dell'autorita' esecutiva, nel momento in cui decide di porre delle restrizioni alla liberta': in sostanza il magistrato e' chiamato a verificare l'esistenza di quei fattori che legittimano l'arresto e il fermo e solo successivamente se l'uno o l'altro debbano essere protratti negli effetti. Questo appare sia il delicato compito della magistratura in una societa' civile e democratica: fungere da imparziale elemento di raccordo e controllo nella dialettica tra autorita' e liberta'. Nel caso di cui questo giudice e' stato chiamato ad occuparsi e cioe' di immediata liberazione dell'arrestato per inefficacia dell'arresto, e' di tutta evidenza che l'autorita' giudiziaria non ha operato ne' puo' operare alcun controllo dell'attivita' autonoma della polizia. Non lo fa ne' lo puo' fare il p.m. il quale non puo' "certificare" la legittimita' di tale attivita', essendo esso parte processuale; non lo fa ne' lo puo' fare il giudice, che non viene chiamato a tale compito. Se il p.m. deve immediatamente liberare, cosi' come ha fatto nel caso ora esaminato, un arrestato per il solo fatto che questi e' stato tradotto in carcere tardivamente, si verifica una situazione in cui il provvedimento restrittivo della polizia viene giudicato - nel foro interno - legittimo dal p.m. (ancorche' inefficace, diversamente avrebbe operato la liberazione per altri motivi), ma non dichiarato tale con opportuna motivazione proiettata anche all'esterno, perche' questo potrebbe essere fatto solo dal giudice, che tuttavia ne e' interdetto dal dettato dell'art. 390 del c.p.p. Se cosi' e', come pare che sia, se ne traggono alcune considerazioni. La polizia si trova ad avere un potere discrezionale non soltanto per arrestare ma anche per scarcerare: ipotizzando una patologia comportamentale tanto agevole da poter temere che diventi una prassi, potra' darsi il caso in cui l'autorita' di P.S., operato un pretestuoso arresto o fermo, successivamente, a seguito di trattativa con l'arrestato o fermato, decida di "premiarlo" con l'agevole mezzo di tardarne il trasferimento in carcere, per il piu' banale dei motivi, ottenendo anche di evitare che il p.m. o il giudice siano chiamati a pronunciarsi sulla legittimita' dell'arresto. E' evidente la possibile arbitrarieta' di una tale evenienza. E' altrettanto evidente la necessita' di un controllo del magistrato sull'operato della polizia, anche se gli effetti successivi siano stati elisi. Il controllo d'altro canto non puo' che essere esplicito, come puo' fare soltanto il giudice, e non meramente implicito, come fa il p.m. quando provvede alla liberazione per inefficacia dell'arresto o fermo. Di questa esigenza si e' accorto lo stesso legislatore, quando nell'art. 121 delle norme di attuazione ha previsto che, nel caso ivi trattato, nonostante la liberazione immediata, si dovesse pervenire comunque alla delibazione da parte del giudice dell'operato della polizia. Ne' e' dato vedere quale diversa esigenza abbia mosso il legislatore dell'art. 121 citato e quello dell'art. 121 citato e quello dell'art. 389 del c.p.p. In effetti, volendoci arrogare il diritto di immaginare quale possa essere stata la motivazione intima del compilatore dell'art. 389 citato, e' possibile ritenere che l'ansia di "semplificare" il rito, anche in materia di arresti e convalide, abbia fatto trascurare la tutela di un diritto fondamentale del cittadino, imposto dall'art. 13 della Carta costituzionale. Altre semplificazioni avrebbero potuto essere ben piu' utilmente previste. Questa, se cosi' voleva essere, non sembra legittima. Sul piano della rilevanza, la questione che qui si solleva appare a questo giudice in tal modo configurabile: vi e' richiesta del p.m. di convalida dell'arresto dei sigg. Cotrone e Guccio, a tale richiesta questo giudice non puo' dare corso per via del dettato dell'art. 390 del c.p.p. Per i motivi gia' esposti, l'art. 390 del c.p.p. appare contrastante con l'art. 13, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui tale norma di procedura penale esclude l'intervento convalidante dell'autorita' giudiziaria in seguito a provvedimenti restrittivi (arresto o fermo) d'iniziativa dell'autorita' di pubblica sicurezza, in particolare nei casi d'inefficacia a norma degli artt. 386, settimo comma, e 390, terzo comma, del c.p.p.
P. Q. M. Visto l'art. 23, secondo e terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina la sospensione del procedimento di convalida dell'arresto in corso; Ordina la notifica della presente ordinanza alle parti in causa ed al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri; Manda alla cancelleria in sede per gli adempimenti conseguenti (anche per quelli di cui all'art. 23, terzo comma, ultima parte, della legge citata). Il giudice: VITARI 90C0837