N. 435 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 aprile 1990

                                 N. 435
 Ordinanza  emessa  il  4  aprile  1990  dal  tribunale di Pistoia nel
 procedimento penale a carico di Riccioni Lorenzo
 Processo penale - Nuovo codice - Procedimenti speciali - Applicazione
 della pena su richiesta delle parti - Previo accertamento  probatorio
 della   responsabilita'   penale  -  Non  necessarieta'  Lesione  del
 principio   di   presunzione   di   non   colpevolezza    Restrizione
 dell'inviolabilita'  del  diritto  di liberta' personale - Violazione
 del principio di indipendenza  del  giudice  Limitazione  del  potere
 decisorio  dell'organo giudicante Violazione dell'obbligo di motivare
 i provvedimenti giurisdizionali.
 (D.Lgs.  28  luglio  1989,  n.  271, art. 248; c.p.p. 1988, art. 442,
 secondo comma).
 (Cost.,  artt.  13,  primo  e secondo comma, 27, secondo comma, 101 e
 111, primo comma).
(GU n.27 del 4-7-1990 )
                              IL TRIBUNALE
    Sulla  istanza di applicazione della pena ai sensi degli artt. 248
 delle disp. att. del c.p.p. e 444 del c.p.p.  proposta  dall'imputato
 Riccioni Lorenzo, cui ha consentito il p.m., ritenuta la ritualita' e
 la correttezza - sotto il profilo della "cornice giuridica"  -  della
 richiesta, osserva quanto segue:
       a)  sulla  base  degli  atti non si puo' ritenere raggiunta una
 sufficiente prova della colpevolezza del Riccioni in ordine al  reato
 di  calunnia,  ne'  d'altra parte si puo' ritenere raggiunta la prova
 positiva della sua innocenza risultando in sostanza a suo  carico  un
 inizio di prova costituito dalle sue stesse dichiarazioni confessorie
 e dalla dichiarazione della  madre,  peraltro  in  contrasto  con  le
 precedenti  reiterate  dichiarazioni  rese  alla  p.g.  dallo  stesso
 Riccioni: infatti la ritrattazione delle accuse da parte sua  non  e'
 motivata  ed  e'  generica  a  fronte di una denuncia circostanziata;
 d'altra parte le dichiarazioni della madre  potrebbero  essere  state
 rese  per  favorire  il  convivente,  persona  offesa  nel delitto di
 calunnia;
       b) in tale situazione probatoria, ad avviso di questo tribunale
 la responsabilita' del Riccioni e' dubbia, almeno  allo  stato  degli
 atti;   si   renderebbe   necessario  un'approfondimento  istruttorio
 dibattimentale  che  l'istanza  di   "patteggiamento"   delle   parti
 preclude;
       c)  il  sistema  delineato dagli artt. 248 della disp. att. del
 c.p.p., 444 e segg. del  c.p.p.  (cosi'  come  del  resto  e'  quello
 delineato   dal   codice   di   procedura  penale  nell'istituto  del
 "patteggiamento") impone al giudice di applicare la pena  cosi'  come
 richiesta  dalle parti con i soli limiti della valutazione della c.d.
 "cornice giuridica" dell'accordo e della possiblita' di prosciogliere
 l'imputato  ai  sensi  dell'art.  421  del  c.p.p. abrogato (ai sensi
 dell'art. 129 del c.p.p., nel rito nuovo) e in sostanza  di  irrogare
 la  sanzione  richiesta  anche in assenza di un positivo accertamento
 della penale responsabilita', con la sola esclusione quindi dei  casi
 in  cui  risulti  provata  positivamente  la  non colpevolezza (o sia
 assolutamente carente la prova della responsabilita')  cio'  si  puo'
 desumere  dal dato normativo nonche' dalla stessa relazione al c.p.p,
 che espressamente si esprime nel senso che "non occorre  un  positivo
 accertamento  della  responsabilita'  penale"  (p. 108); e risulta in
 modo ancor piu' evidente nel regime c.d. transitorio dal richiamo che
 l'art.  248  delle  disp.  att. del c.p.p. fa all'art. 421 del codice
 abrogato, il quale a sua volta richiama il  capoverso  dell'art.  152
 del  c.p.p.  previgente  e  quindi  l'"evidenza" della prova a favore
 dell'imputato; la conclusione del resto non sarebbe diversa  anche  a
 voler  ritenere  che  il  richiamo ai "presupposti" della sentenza ex
 art. 444, secondo comma, del c.p.p., comporti la  operativita'  anche
 nel  regime  transitorio  del  limite posto dall'art. 129 del c.p.p.,
 giacche' questo postula,  comunque,  ad  avviso  del  tribunale,  una
 situazione probatoria diversa da quella del dubbio;
       d)  ne  consegue che il giudice, sull'accordo delle parti, deve
 applicare la sanzione  criminale  anche  in  presenza  di  una  prova
 dubbia,  non  essendogli  consentito  di  ricusare  la  richiesta, di
 procedere al dibattimento e, all'esito dello  stesso,  eventualmente,
 applicare  la pena richiesta, nel caso che accerti la responsabilita'
 dell'imputato e ritenga congrua la pena "patteggiata"  (come  avviene
 nell'ipotesi delineata dal primo comma dell'art. 448 del c.p.p.);
       e)  tale  sistema contrasta, ad avviso del collegio, con alcuni
 principi costituzionali e, in particolare,  con  l'art.  27,  secondo
 comma,  con  l'art. 13, con l'art. 101 e con l'art. 111, primo comma:
 infatti la "presunzione di non  colpevolezza"  comporta  che  nessuno
 possa essere assoggettato a pena senza un accertamento positivo della
 sua responsabilita' penale  mentre,  da  un  lato,  la  richiesta  di
 "patteggiamento"  non equivale affatto ad una "confessione" (peraltro
 non  costituente  "prova  legale"  di  colpevolezza)  e,   dall'altro
 l'accertamento  giudiziale  di  responsabilita'  non  puo' che essere
 pieno ed esteso a  ciascun  elemento  costitutivo  della  fattispecie
 penale;  il  diritto  di  liberta'  individuale e' "inviolabile", ne'
 quindi puo' essere rimesso alla volonta' del  titolare,  mentre  puo'
 subire   restrizioni   solo   per   "atto   motivato   dell'autorita'
 giudiziale", laddove nel  sistema  del  "patteggiamento"  (in  quello
 transitorio  cosi'  come  in  quello  definitivo)  e'  consentita una
 restrizione del diritto senza una  sostanziale  motivazione,  ne'  da
 parte del p.m. ne' da parte del giudice, circa la accertata esistenza
 del reato  e  la  sua  dimostrata  attribuzione  all'imputato;  sotto
 l'ultimo  profilo,  poi,  l'accordo  delle parti impedisce al giudice
 l'esercizio pieno della sua funzione giurisdizionale,  e  soprattutto
 gli  impedisce,  nei  casi  di effettivo dubbio sulla responsabilita'
 penale, di "motivare" in termini  non  fittizi,  ma  sostanziali,  la
 pronuncia  di condanna, sul punto piu' importante, quale e' quello di
 un  accertamento  positivo  che  superi  il  principio   della   "non
 consapevolezza";
       f)  una  diversa  lettura  delle norme costituzionali nel senso
 cioe' che valorizzi l'accordo delle parti  rispetto  all'accertamento
 giurisdizionale  svuoterebbe  di  significato effettivo quelle norme,
 giacche' ne  deriverebbe  la  legittimita'  della  irrogazione  della
 sanzione  penale  anche detentiva alla con dizione della emissione di
 un provvedimento giurisdizionale solo formale; ne' pare che  i  dubbi
 di  costituzionalita'  si  risolvano  nella  prospettiva,  di  taluna
 avanzata, che la sentenza ex art. 444 del c.p.p. non sia "sentenza di
 condanna" (arg. a contrario dall'art. 445, ultima parte, del c.p.p.),
 giacche' da un lato, sta il fatto che quella sentenza si  irroga  una
 sanzione   criminale   ed   e'   quindi   assai  discutibile  il  suo
 inquadramento in un tertium genus) e dall'altro lato sta il fatto che
 i  beni  costituzionalmente  protetti  dalle  norme  sopra richiamate
 prescindono    necessariamente    dalla    eventuali     "ambiguita'"
 nominalistiche o definitorie degli istituti processuali penali;
       g)  gli  anzidetti  rilievi  di  incostituzionalita' potrebbero
 essere risolti, ove si preveda  quale  condizione  di  applicabilita'
 dell'istituto    processuale   il   "positivo"   accertamento   della
 responsabilita' dell'imputato, sia pure allo stato degli atti, e,  in
 difetto,   la   necessita'   di  procedere  al  dibattimento  con  la
 possibilita', pero' all'esito, di applicare la pena richiesta  se  la
 stessa risulti congrua e la responsabilita' sia accertata;
    Ritenuto,  in definitiva, che la questione di costituzionalita' e'
 rilevante ai fini del decidere e appare non manifestamente infondata.
                                P. Q. M.
    Solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 248
 delle disp. att. del c.p.p. e 442, secondo comma,  del  c.p.p.  nella
 parte  in  cui  consentono la applicazione della pena richiesta delle
 parti senza un positivo accertamento della responsabilita' penale, in
 relazione  agli  artt.  13, primo e secondo comma, 27, secondo comma,
 101 e 111, primo comma, della Costituzione  nei  sensi  di  cui  alla
 parte motiva;
    Letto ed applicato l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Sospende  il  giudizio  in  corso  ed  ordina  che  a  cura  della
 cancelleria la presente ordinanza venga notificata al Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  e comunicata al Presidente dei due rami del
 Parlamento.
    Cosi' deciso in Pistoia il 4 aprile 1990.
                       Il presidente: SIGNORELLI

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