N. 316 SENTENZA 26 giugno - 5 luglio 1990

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Imprese di assicurazione in liquidazione coatta amministrativa -
 Previsto coattivo trasferimento di parte del loro personale alle
 compagnie assicuratrici cessionarie in conseguenza del coattivo
 trasferimento alle stesse di quote del portafoglio Mancata
 determinazione quantitativa del personale da assumere Prospettata
 violazione del principio della riserva di legge per l'imposizione di
 prestazioni personali e patrimoniali - Asserita lesione della
 liberta' di organizzazione dell'impresa Insussistenza - Non
 fondatezza delle questioni.
 
 (D.-L. 23 dicembre 1976, n. 857, conv. in legge 26 febbraio 1977, n.
 39, art. 11, terzo e quarto comma).
 
 (Cost., artt. 23 e 41).
(GU n.28 del 11-7-1990 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Francesco SAJA;
 Giudici:  prof.  Giovanni  CONSO,  prof. Ettore GALLO, prof. Giuseppe
 BORZELLINO, dott. Francesco GRECO,  prof.  Renato  DELL'ANDRO,  prof.
 Gabriele   PESCATORE,   avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
 CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,  avv.
 Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
   nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 11, commi 3Œ
 e 4Œ, del d.l. 23 dicembre 1976, n. 857 ("Modifica  della  disciplina
 dell'assicurazione    obbligatoria   della   responsabilita'   civile
 derivante dalla circolazione dei veicoli a  motore  e  dei  natanti")
 convertito  con  modificazioni  nella  legge  26 febbraio 1977, n. 39
 promosso con ordinanza emessa il 4 maggio 1989 dal Tribunale di  Roma
 nel  procedimento  civile vertente tra la s.p.a. Sara Assicurazioni e
 Testa Paolo ed altra, iscritta al n. 85 del registro ordinanze 1990 e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 10, prima
 serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  costituzione  della  s.p.a.  Sara Assicurazioni
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 22 maggio 1990 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
    Uditi  gli  avvocati  Renato Scognamiglio e Alessandro Pace per la
 s.p.a. Sara Assicurazioni e l'Avvocato dello Stato Paolo Di Tarsia di
 Belmonte per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  delibera  del 1Πottobre 1984 il Comitato del Fondo di
 garanzia per le vittime della strada provvide, ai sensi dell'art.  11
 del d.l. 25 dicembre 1976, n. 857, convertito nella legge 26 febbraio
 1977, n. 39, a ripartire tra dodici imprese autorizzate a  esercitare
 l'assicurazione   della   responsabilita'   civile   derivante  dalla
 circolazione degli autoveicoli il portafoglio e  il  personale  della
 s.p.a.  La  Colombo - Compagnia di assicurazioni e riassicurazioni in
 liquidazione  coatta  amministrativa,  assegnando  alla  s.p.a.  SARA
 Assicurazioni  870  contratti  e un dipendente nella persona di Paolo
 Testa.  Quest'ultimo,  avendo  l'impresa  assegnataria  rifiutato  di
 prenderlo  in servizio, otteneva dal Pretore di Roma un provvedimento
 ex art.  700  che  ordinava  alla  societa'  SARA  di  assumerlo  con
 inquadramento  al  medesimo  livello contrattuale raggiunto presso la
 societa' La Colombo.
    Nel  corso  del  giudizio  di appello promosso dalla societa' SARA
 contro la sentenza di accoglimento  della  domanda,  pronunciata  dal
 Pretore  nel successivo giudizio di merito, il Tribunale di Roma, con
 ordinanza del 4 maggio 1989, pervenuta alla Corte  costituzionale  il
 20  febbraio  1990,  ha  sollevato, in riferimento agli artt. 23 e 41
 della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  11, terzo e quarto comma, del citato d.l. n. 857 del 1976.
   Secondo  il  giudice a quo, la norma impugnata viola la liberta' di
 iniziativa economica privata perche' - a differenza delle  figure  di
 assunzione  obbligatoria esaminate da questa Corte nelle sentenze nn.
 38 del 1960, 55 del 1961 e 279 del 1983 - "il  vincolo  imposto  alle
 imprese con il provvedimento di cui ai comma terzo e quarto dell'art.
 11 citato incide direttamente  sulla  loro  organizzazione  economica
 indipendentemente   dalle  scelte  imprenditoriali  sulla  dimensione
 dell'azienda". Gli  oneri  che  ne  derivano  non  possono  ritenersi
 compensati   dall'attribuzione   di   una   quota   del   portafoglio
 dell'impresa  posta  in  liquidazione,  sia  perche'  nel   caso   di
 trasferimento  coattivo non ne e' garantita la conservazione mediante
 il blocco biennale del portafoglio,  disposto  solo  nell'ipotesi  di
 trasferimento convenzionale, sia perche', non essendo stabilito alcun
 parametro di rapporto tra i due elementi che  vengono  ripartiti,  e'
 ben  possibile che la quota di personale assegnata risulti esuberante
 rispetto al numero di contratti di assicurazione trasferiti.
    Per altro verso, in ragione della mancata previsione di criteri di
 determinazione dell'onere imposto alle imprese,  la  norma  impugnata
 violerebbe  la  riserva  di legge statuita dall'art. 23 in materia di
 prestazioni obbligatorie. Si esclude che i  termini  della  questione
 possano  mutare  pur se si tenga conto degli artt. 25 e 26 del d.P.R.
 16 gennaio  1981,  n.  45,  che  dettano  regole  per  l'applicazione
 dell'art.   11   della  legge  in  esame.  Tali  regole  non  possono
 considerarsi attuative del principio costituzionale sia per  la  loro
 natura di norme secondarie, sia perche' non sono idonee a "delimitare
 secondo criteri prestabiliti l'entita' dell'onere  economico  imposto
 alle imprese".
    2. - Nel giudizio davanti alla Corte si e' costituita l'appellante
 soc. SARA Assicurazioni, aderendo alle argomentazioni  dell'ordinanza
 di rimessione e sviluppandole con ulteriori considerazioni.
    Nell'imminenza  dell'udienza  di  discussione la difesa della soc.
 SARA ha depositato un'ampia memoria dove si rileva, tra l'altro,  che
 in   nessun   altro  settore  economico  la  tutela  dei  livelli  di
 occupazione in caso di  fallimento  di  un'impresa  assume  la  forma
 dell'imponibile  di  mano  d'opera  a carico delle imprese sane della
 medesima  categoria  merceologica,  forma  gravemente  lesiva   della
 liberta'  di organizzazione dell'impresa. Il plus di coazione imposto
 alle imprese assicuratrici dalla  disciplina  impugnata,  comportante
 obblighi  di  assunzione  in  soprannumero,  non  e' giustificato, ad
 avviso dell'appellante, dal trasferimento del portafoglio,  il  quale
 puo'  rivelarsi inconsistente o comunque di consistenza tale da poter
 essere amministrato dal personale gia' assunto.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione
 sia dichiarata infondata.
    L'Avvocatura   sostiene   che  la  norma  impugnata,  sebbene  sia
 formalmente   una   figura   di   "imponibile   di   mano   d'opera",
 sostanzialmente  contempla  un  obbligo  analogo  all'istituto  delle
 assunzioni obbligatorie. La mancanza di  un  rapporto  predeterminato
 tra  il  numero  delle  assunzioni  imposte e la necessita' effettive
 dell'impresa di assumere  personale  (trattandosi  di  assunzioni  in
 soprannumero)   e'  compensata  da  meccanismi  correttivi  quali  il
 criterio   di   proporzionalita'   del   numero   delle    assunzioni
 all'ammontare  dei  premi dei contratti assegnati e il criterio della
 gradualita' delle assunzioni  secondo  un  programma  concordato  col
 commissario     liquidatore.     Questi     criteri,     ad    avviso
 dell'interveniente,  realizzano  "un   equo   contemperamento   degli
 interessi   in   gioco"  nell'ambito  di  un  intervento  legislativo
 legittimato dal terzo comma dell'art. 41 Cost., e d'altra  parte,  in
 quanto  sviluppano una indicazione sufficientemente precisa contenuta
 nella norma impugnata, non possono dirsi disposti senza  l'osservanza
 della riserva di legge stabilita dall'art. 23.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il Tribunale di Roma ritiene contrastante con gli artt. 3 e
 41 della Costituzione l'art. 11, terzo e quarto comma,  del  d.l.  25
 dicembre  1976,  n.  857, convertito nella legge 26 febbraio 1977, n.
 39,  "nella  parte  in  cui  prevede   a   carico   delle   compagnie
 assicuratrici  cessionarie  di  quote del portafoglio dell'impresa in
 liquidazione coatta amministrativa l'obbligo di  assumere  parte  del
 personale dell'impresa stessa".
    2. - La questione non e' fondata.
    Data   l'obbligatorieta'  dell'assicurazione  per  responsabilita'
 civile derivante dalla circolazione degli  autoveicoli,  in  caso  di
 liquidazione  coatta  amministrativa di un'impresa operante in questo
 ramo  e'  necessario  provvedere  a  garantire  la  continuita'   dei
 contratti  stipulati.  A  tale  esigenza  risponde la norma di cui al
 terzo comma dell'art. 11 del decreto n. 857: qualora  il  commissario
 liquidatore non abbia potuto procedere al trasferimento convenzionale
 del  portafoglio  ai  sensi  dei  comma  precedenti,  la  parte   del
 portafoglio   costituita  dai  contratti  relativi  all'assicurazione
 r.c.a. e', con provvedimento del comitato del "Fondo di garanzia  per
 le  vittime  della  strada", trasferita di autorita' ad altre imprese
 autorizzate ad esercitare la detta assicurazione, fra le quali  viene
 altresi'  ripartito  il  personale  gia'  dipendente  dall'impresa in
 liquidazione, escluso quello assunto nei dodici mesi  anteriori  alla
 data del decreto di liquidazione.
    Secondo  il  giudice a quo le norme denunciate, in quanto omettono
 di  indicare  criteri  per  la  determinazione   quantitativa   delle
 assunzioni  di  personale che il Comitato di garanzia ha il potere di
 imporre alle imprese cessionarie del  portafoglio,  sarebbero  lesive
 della  riserva  di  legge  stabilita dall'art. 23 Cost. in materia di
 prestazioni obbligatorie. In realta' l'art. 11 in esame - sebbene  si
 preoccupi  esplicitamente,  mediante il richiamo dei criteri indicati
 nell'art. 88 del testo unico approvato con d.P.R. 13  febbraio  1959,
 n.  449,  di  regolare  soltanto  il  potere  di individuazione delle
 imprese assegnatarie del portafoglio, in guisa che ne  sia  garantita
 la  capacita'  di  assorbimento  -,  consente di argomentare anche un
 criterio-limite del potere impositivo delle assunzioni di  personale.
 La   "ripartizione   del  personale  dell'impresa  in  liquidazione",
 prevista dal quarto comma in connessione  con  la  "ripartizione  del
 portafoglio"  prevista  dal  terzo, implica chiaramente una regola di
 proporzionalita' del numero dei lavoratori  trasferiti  all'ammontare
 dei   premi  dei  contratti  assegnati  a  ciascuna  impresa:  regola
 esplicitata nell'art. 26 del  regolamento  approvato  con  d.P.R.  16
 gennaio  1981,  n.  45,  al  quale,  dato il carattere relativo della
 riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. (cfr. sentenza n.  127  del
 1988), ben poteva essere rimesso lo svolgimento di una direttiva gia'
 implicita  nella  legge.  Detta  regola  (parallela  al  criterio  di
 proporzione  del  numero  dei  contratti  assegnati all'ammontare dei
 premi acquisiti  dall'impresa  nel  ramo  r.c.a.)  e'  sufficiente  a
 escludere  che  la  quantita'  della prestazione imposta possa essere
 fissata  in  modo  arbitrario.  Giova  ricordare  in  proposito   che
 dell'organo   titolare   del   potere   impositivo  fanno  parte  tre
 rappresentanti     delle     imprese     assicuratrici      designati
 dall'associazione   di   categoria  piu'  rappresentativa  sul  piano
 nazionale (art. 37 del d.P.R. 24 novembre 1970, n.  973),  e  inoltre
 che  l'esercizio  del  potere  e'  soggetto  al controllo del giudice
 amministrativo.
    4.    -    Piu'    complesso   e'   l'esame   della   censura   di
 incostituzionalita' in relazione  all'art.  41,  primo  comma,  della
 Costituzione.
    Sebbene  la questione sia formulata con riferimento esclusivo alla
 norma del quarto comma dell'art. 11, il giudice remittente  coinvolge
 nell'impugnativa  anche  il terzo comma, giustamente reputando che le
 due norme formano un insieme inscindibile, tale che simul stabunt aut
 simul cadent. Ma proprio da questa connessione scaturisce un criterio
 ermeneutico contrastante con la valutazione che riconduce  il  quarto
 comma  al concetto di imponibile di mano d'opera, traendone argomento
 per invocare, a sostegno  della  denunciata  incostituzionalita',  la
 sentenza   n.  78  del  1958  che  ha  dichiarato  costituzionalmente
 illegittimo il decreto del 1947 sull'imponibile di  mano  d'opera  in
 agricoltura.  In senso stretto e proprio l'imponibile di mano d'opera
 e' negativamente qualificato dalla mancanza di correttivi che valgano
 a  bilanciare o temperare in qualche modo l'onere economico derivante
 all'impresa dall'obbligo di assumere lavoratori in soprannumero.  Nel
 caso  di  cui  si  controverte, invece, l'obbligo di assunzione fuori
 organico e' compensato dall'incremento del volume di  affari  portato
 dalla contestuale cessione di una quota proporzionale del portafoglio
 dell'impresa in liquidazione, e in questa acquisizione esso trova  il
 suo  fondamento  giuridico  giusta il principio dell'art. 2112, primo
 comma, cod.civ. Invero, nell'ipotesi  di  trasferimento  coattivo  il
 personale  dell'impresa  in liquidazione, i cui rapporti di lavoro si
 risolvono di diritto alla  data  del  provvedimento  di  liquidazione
 (art.  5  del  d.l.  n.  576 del 1978), non e' riassunto direttamente
 dalle imprese cessionarie, bensi'  dal  commissario  liquidatore,  il
 quale   provvede   poi   a   trasferirlo  gradualmente  alle  imprese
 cessionarie secondo le quote di ripartizione stabilite  dal  comitato
 del  Fondo  di  garanzia (artt. 10 del d.l. n. 857 del 1976 e 23 e 26
 del d.P.R. n. 75 del 1981).
    Pertanto,  qualora  non  si  contesti,  come  in effetti non viene
 contestata, la legittimita' costituzionale  della  norma  di  cui  al
 terzo  comma  dell'art.  11  del d.l. n. 857, una censura autonoma di
 costituzionalita' del quarto comma  sotto  il  profilo  dell'art.  41
 Cost.  non potrebbe fondarsi se non sulla dimostrazione che il limite
 imposto  alla  liberta'  di  organizzazione  dell'impresa  a   tutela
 dell'utilita'  sociale  comporta  un aggravio eccessivo del costo del
 lavoro tale da pregiudicare gli equilibri finanziari di bilancio.  Ma
 in   contrario   va  rilevato  che  l'onere  derivante  alle  imprese
 cessionarie dall'obbligo di accollarsi una  quota  dei  contratti  di
 lavoro  con  cui  il  commissario  ha  riassunto  il  personale  gia'
 dipendente dall'impresa in  liquidazione  (eccettuati  i  dirigenti),
 oltre  che  contenuto  entro la proporzione con l'ammontare dei premi
 dei contratti di assicurazione a ciascuna assegnati, e'  ridotto:  a)
 dall'esclusione,  in  deroga  all'art.  2112  cod.civ., del personale
 assunto nei dodici mesi antecedenti il provvedimento di liquidazione;
 b)  dalla  gradualita'  delle  dismissioni  da parte del commissario,
 programmata di concerto con le imprese cessionarie: benche'  prevista
 dalla legge in funzione delle esigenze della liquidazione, essa giova
 indirettamente  anche  alle  imprese  destinatarie   consentendo   la
 compensazione  almeno  parziale  delle nuove assunzioni col turn over
 maturato nel frattempo; c)  infine  dall'azzeramento  dell'anzianita'
 precedentemente raggiunta dai lavoratori alle dipendenze dell'impresa
 in  liquidazione,  considerato  che  essi   vengono   riassunti   dal
 commissario col trattamento minimo stabilito dal contratto collettivo
 di categoria per la qualifica spettante.
    5.  -  Si obietta che, non essendo previsto, diversamente dal caso
 di trasferimento convenzionale, il blocco biennale delle disdette  da
 parte  degli  assicurati,  le  quote di portafoglio assegnate possono
 risultare inconsistenti o  comunque  di  consistenza  tale  da  poter
 essere amministrate dal personale in organico.
    Alla  prima  parte dell'obiezione si puo' rispondere anzitutto che
 le imprese  cessionarie  devono  imputare  a  se  stesse  la  mancata
 fruizione del blocco delle disdette, previsto dall'art. 2 del d.l. n.
 576 del 1978 come incentivo al trasferimento consensuale; in  secondo
 luogo  che,  se  il  paventato recesso degli assicurati (con effetto,
 comunque, solo alla scadenza dei contratti in corso)  si  verificasse
 con  dimensioni  tali  da intaccare significativamente la consistenza
 della quota di mercato attribuita, sarebbe  giustificato  il  ricorso
 alle procedure di licenziamento per riduzione del personale, il quale
 colpira' in prima linea i lavoratori provenienti  dall'impresa  posta
 in  liquidazione,  avendo  essi  perduto  l'anzianita' raggiunta alle
 dipendenze dell'originario datore di lavoro.
    La  seconda  parte dell'obiezione sottolinea nelle norme impugnate
 una remora legale all'aumento dei carichi o dei ritmi di  lavoro  del
 personale   gia'   occupato   analoga  alle  limitazioni  del  lavoro
 straordinario, la cui legittimita',  in  quanto  strumenti  di  lotta
 contro la disoccupazione, non puo' essere contestata.
    Si  obietta  ancora che in nessun altro settore economico, in caso
 di crisi occupazionale determinata dal fallimento di  un'impresa,  la
 liberta'  organizzativa  delle altre imprese subisce una compressione
 cosi' grave. In effetti nel settore dell'industria  l'art.  25  della
 legge  12 agosto 1977, n. 675, modificato dalla legge 27 luglio 1979,
 n. 301, impone alle imprese  della  medesima  categoria  merceologica
 soltanto   l'obbligo   di   comunicare   agli   organi  pubblici  del
 collocamento il numero e la specie dei  posti  disponibili  nei  loro
 organici  ai  fini  dell'attivazione  di  un  sistema  di  avviamento
 privilegiato dei lavoratori  dipendenti  dalle  imprese  in  crisi  o
 fallite.  Ma  occorre  aggiungere  che  in  favore  dei lavoratori in
 mobilita' di  questo  settore  e'  istituita  la  Cassa  integrazione
 guadagni,  il  cui  finanziamento  grava  in  misura prevalente sulle
 imprese, mentre tale forma previdenziale non e' praticata nel settore
 del credito e delle assicurazioni.
    Piu'   in   generale,   e   conclusivamente,   va   rilevato   che
 l'obbligatorieta'  dell'assicurazione  della  responsabilita'  civile
 derivante  dalla  circolazione  degli autoveicoli accentua fortemente
 l'inerenza  dell'interesse  pubblico  alle  imprese  autorizzate   ad
 esercitarla,  e  percio'  giustifica l'assoggettamento dell'esercizio
 del diritto d'impresa a limiti piu' penetranti,  a  salvaguardia  non
 solo  dell'interesse  alla continuita' dei contratti di assicurazione
 nel  caso  di   liquidazione   coatta   di   un'impresa,   ma   anche
 dell'interesse  di  conservazione  dei  livelli  occupazionali.  Tali
 limiti sono corrispettivi  allo  specifico  vantaggio  che  a  queste
 imprese   e'   procurato   dall'obbligo  imposto  ai  proprietari  di
 autoveicoli di assicurarsi presso di esse.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 11, terzo e quarto comma,  del  decreto-legge  23  dicembre
 1976,  n.  857,  convertito  nella  legge  26  febbraio  1977, n.  39
 ("Modifica della  disciplina  dell'assicurazione  obbligatoria  della
 responsabilita'  civile  derivante  dalla  circolazione dei veicoli a
 motore e dei natanti"), sollevata, in riferimento agli artt. 23 e  41
 della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l'ordinanza indicata in
 epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1990.
                          Il Presidente: SAJA
                         Il redattore: MENGONI
                        Il cancelliere: MINELLI
    Depositata in cancelleria il 5 luglio 1990.
                Il direttore della cancelleria: MINELLI
 90C0856